• Non ci sono risultati.

EZIOLOGIA DELL’AREA VASTA

2. Eziologia dell’area vasta originaria

Nel 1990 questi vincoli vengono percepiti come rimossi e la legge 142 – tutt’altro che perfetta, ma priva almeno di paraocchi – può finalmente mettere in discussione l’ansia conservativa che aveva in- trappolato, insieme ai processi materiali, le norme sugli enti locali. La legge, in verità, non contiene il termine area vasta che per un cenno breve e incidentale: al Capo VI (Aree metropolitane), art. 19, asse- gna alla Città metropolitana competenze fra cui quelle relative ai «servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e delle formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolita- no».

Se la legge 142 utilizza questo termine, ciò deriva probabilmente dal DPCM 27 dicembre 1988

Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale, che è un decreto di attuazione della legge

8 luglio 1986 n. 349 (Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale) e della Direttiva comunitaria 337 del 1985 sulla valutazione di impatto ambientale. Il decreto prevede che le infrastrutture di trasporto, gli impianti industriali, le centrali energetiche, gli impianti di smal- timento rifiuti e le dighe vengano valutate con analisi sul sito d’insediamento e sulla area vasta interes- sata dagli impatti. Per le dighe il decreto prevede inoltre la redazione di specifici piani ‚regionali e di

area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale‛, ed è facendo riferimento a questa formula

che la Regione Molise (legge regionale primo dicembre 1989, n. 24) e poi la Regione Basilicata (legge regionale 12 febbraio 1990, n. 3) si doteranno di piani territoriali paesistico-ambientali di area vasta, indi- viduando rispettivamente otto e cinque aree vaste inter-comunali e sub-provinciali.

È questa, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, l’area vasta originaria. Il termine entra nel nostro lessico normativo a designare una dimensione geografica non risolvibile da quella della Provincia e la 142 lo mutua nel predetto art. 19, parlando inoltre nell’art. 14 di «funzioni amministrative di interesse provinciale, che riguardino vaste zone intercomunali», e prevedendo nell’art. 16 che i confini provin- ciali, ove opportuno, possano essere rivisti. Sono infatti queste vaste zone intercomunali a essere pre-

NEO-CENTRALISMO E TERRITORIO 2221

supposte dalla legge come future destinatarie di una serie di servizi la cui competenza dovrà essere trasferita dal centro alle Regioni. Ed è qui che emerge la questione chiave per la programmazione del- le politiche e la gestione delle nuove competenze, quella dell’ente intermedio fra Regione e Comuni. È un ente intermedio, per un Paese di sessanta milioni di abitanti e venti Regioni, fattualmente necessa- rio2, ma ha appunto bisogno di una dimensione efficiente, tale da renderne flessibili e aggiornabili i

confini. La legge 142 promette questa flessibilità.

La promessa, però, non sarà mantenuta. Davvero la nostra storia amministrativa unitaria è una sorta di ininterrotta vicenda entro la quale il territorio e il tentativo di fargli fare degnamente il suo mestiere – quello di sostenere la vita materiale – restano costantemente secondari e subordinati a qualcos’altro (Dini, Zilli, 2017, pp. 15-16). La legge 142 dista un anno e mezzo dall’arresto del presi- dente del Pio Albergo Trivulzio, arresto che possiamo considerare l’atto di inizio della radicale sosti- tuzione del ceto politico e delle rappresentanze parlamentari che interesserà la prima metà del decen- nio Novanta. La cosiddetta Seconda Repubblica, e all’interno di questa l’affermazione e l’ascesa al go- verno di partiti regionalisti che prevedono nel loro statuto la secessione dallo Stato unitario, rende- ranno ancora più complesso il quadro, sottraendo al dibattito politico le condizioni di minima per un’organica riforma delle autonomie locali.

Con un gioco di parole abbiamo definito la 142 una legge in via di inattuazione, ed è giusto nelle mo- re di questa mancata attuazione che la categoria territoriale dell’area vasta troverà il suo incubatore. Fra spinte e sollecitazioni contrastanti da parte delle rappresentanze parlamentari, il processo di ri- forma aperto dalla legge entra in stallo per ben sette anni, un periodo nel quale si succederanno tre campagne elettorali nazionali e sette governi3. La pressione generata da un tappo del genere è notevo-

le, specie se si considera che al ritardo di un quarto di secolo di una seria normativa sulle Regioni si sta adesso sommando il ritardo nell’attuazione della Carta Europea dell’Autonomia locale (Strasburgo, 1985)4.

La Carta sanciva la partecipazione delle Regioni all’organizzazione europea, ma soprattutto le indi- cava come destinatarie delle politiche redistributive e dei fondi strutturali comunitari. È dunque in condizioni di vera urgenza che nel 1997 la situazione finalmente si sblocca: non con la razionale attua- zione della 142, per la quale continuano a non ricorrere le condizioni politiche (Vespertini, 2010), ma per la via obliqua di un forte decentramento amministrativo su cui invece si costruisce un’ampia con- vergenza parlamentare. Essa porta in 24 mesi alle quattro leggi Bassanini e, coerentemente al princi- pio di sussidiarietà previsto dalla Carta di Strasburgo, al trasferimento alle Regioni di numerose com- petenze prima centralizzate5. È da questo momento che le Regioni, inceppate dall’inattuazione della

142, si ingegneranno a cercare soluzioni pratiche sub-regionali e sovra-comunali, concettualizzandone l’incipiente operatività nei termini non provinciali delle funzioni di area vasta. Ed è qui, nel redde rationem repubblicano di un ente intermedio efficiente mai costruito in mezzo secolo, che l’area vasta riemerge e diviene un areale di progetto con cui alcune Regioni vanno alla ricerca, caso per caso, di dimensioni ge- stionali territorialmente più sensate di quelle della Provincia. Il primo cenno del recupero del termine

2 I sei più vasti Paesi dell’UE (Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna e Polonia) hanno tre livelli

amministrativi decentrati. Di contro un ente intermedio non è previsto, in Europa, solo da alcuni Paesi poco estesi e/o popolosi, quali Portogallo, Bulgaria, Danimarca, Slovenia, Lettonia, Cipro, Lussemburgo e Malta (Ciappetti, 2014, pp. 263-269).

3 Dal 1990 al 1997 Andreotti VI (luglio 1989-aprile 1991) e VII, Amato, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I

(maggio 1996-ottobre 1998).

4 Sarà recepita nel nostro ordinamento solo quattro anni più tardi (l. 439 del 30 dicembre 1989), pochi me-

si prima della legge 142, della quale può essere considerata uno dei più significativi fattori di sollecito. Allo stesso modo la necessità di attuare la Carta di Strasburgo può essere considerato uno dei principali stimoli alle quattro leggi Bassanini.

5 Le leggi cosiddette Bassanini sono promulgate nel biennio marzo 1997-marzo 1999 e costituiscono di fat-

to, benché parziale e incompiuta, la riforma in senso federale dell’amministrazione dello Stato. Risalgono (cfr. nota 3) al Governo Prodi e al successivo primo Governo D’Alema.

si rintraccia appena sei mesi dopo la prima Bassanini ed è contenuto nella legge regionale toscana 72 del 3 ottobre 1997, Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità:

riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari integrati.