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EZIOPATOGENESI E FISIOPATOLOGIA DELLE LESIONI TENDINEE

4.1 Eziopatogenesi della tenite

La tenite è un processo infiammatorio di un tendine e della giunzione muscolo- tendinea. Nel cavallo si riferisce specificatamente all’infiammazione dei tendini flessori, e soprattutto del TFS. Il termine tenite usato correttamente indica la flogosi che coinvolge il tendine circondato dallo strato paratendineo, mentre il termine tenosinovite è usato se la zona in cui il tendine è colpito è avvolta da una guaina tendinea.

La tenite è una patologia che colpisce prevalentemente i cavalli atleti a cui sono richiesti allenamenti giornalieri e prestazioni competitive molto elevate. Si riscontrano in qualsiasi razza, anche se i dati statistici mettono in evidenza una prevalenza della patologia negli arti anteriori dei Purosangue Inglesi e dei Quarter Horse, Paint e Appaloosa, solitamente impiegati nelle gare di agilità e di precisione in cui sono previsti velocissimi cambi di direzione e stop improvvisi. In queste razze la tenite interessa prevalentemente il tendine flessore digitale superficiale. Nei trottatori e negli ambiatori le strutture maggiormente colpite sono il legamento sospensore dell’arto posteriore e il tendine flessore digitale superficiale di quello anteriore. Nei cavalli da salto ostacoli, invece, si ha una elevata sollecitazione del TFS nel momento in cui l’animale viene a contatto con il terreno e le lesioni tendinee sono favorite

58 dall’altezza degli ostacoli e dal numero di salti che un cavallo deve effettuare durante una gara.

Quindi, la tenite del TFS dell’arto posteriore è poco frequente in tutte le razze, così come la patologia del TFP, sia anteriore che posteriore (Dowling, 2000). La tenite è una patologia multifattoriale in cui devono essere presi in considerazione i meccanismi fisici e vascolari, che, associati tra loro danno origine a questa patologia. Tra i fattori meccanici causa di tenite un’attenzione particolare deve essere rivolta all’eccessiva sollecitazione a cui gli arti in

generale e i tendini flessori in particolare sono sottoposti. Queste sollecitazioni possono provocare microtraumi che, sommandosi, danno

origine alla tenite del TFS. Infatti le iperestensioni improvvise dell’articolazione metacarpofalangea causano la distruzione meccanica del tendine, portandolo a uno stato avanzato di affaticamento che si ripercuote anche sulla composizione della sua matrice (Spinabella, 2002).

Un esempio ci viene dai cavalli galoppatori e saltatori. I galoppatori, infatti sono cavalli che raggiungono elevate velocità durante la corsa (5-9 m/s nel canter e 12-14 m/s nel galoppo), stirando i tendini oltre misura nel momento in cui il soggetto scarica tutto il peso a terra. In questo tipo di andatura, infatti, al contrario di quanto avviene nel passo, nel trotto e nell’ambio, non si ha un’attività coordinata delle coppie di arti anteriori e posteriori, ma è il risultato di movimenti asimmetrici di tutte e quattro le estremità (Nickel, 1991).

I trottatori sono colpiti in misura minore rispetto ai galoppatori perché il trotto, anche se effettuato a velocità notevoli, è un tipo di andatura più equilibrato visto che il soggetto poggia a terra, tra una fase di sospensione e l’altra, due arti, un anteriore ed un posteriore in diagonale , per cui i carichi del peso vengono distribuiti in modo più proporzionato (Nickel, 1991).

La sede più frequente della lesione nel tendine flessore superficiale digitale è la regione medio metacarpale, dove il tendine presenta una sezione traversa più piccola. Questo ci suggerisce che ci sia un ruolo fondamentale dell’eccessiva forza per unità di superficie che viene ad agire sul tendine (Mc-Ilwraith, 1990). Un altro fattore che influisce significativamente sull’insorgenza della tenite è l’età in cui il cavallo viene avviato alla carriera agonistica. I cavalli destinati alle corse vengono allenati quotidianamente fin dallo scadere dei 18 mesi di età. In questa fase l’accrescimento scheletrico non è ancora completato e quindi

59 le ossa sono ancora immature e incapaci di sopportare eccessive sollecitazioni meccaniche, che scaricano, in parte, sui muscoli e sui tendini. Mentre i muscoli reagiscono agli stimoli fisici crescenti con l’ipertrofia, i tendini vanno incontro a un precoce affaticamento. Le sollecitazioni ripetute rapidamente tendono a stabilizzare la risposta meccanica del tendine. In questa posizione tesa e stabilizzata il tendine è leggermente più elastico e rigido e questo è chiaramente un fondamentale fattore predisponente. D’altra parte la fatica muscolare che si registra alla fine di un lavoro fisico intenso o causata da mancanza di un allenamento adeguato, provoca una scarsa risposta muscolare e perdita della stabilità tendinea (Mc-Ilwraith, 1990).

Ci sono altri fattori necessariamente degni di considerazione, anche se meno frequenti nell’eziologia della tenite che possono aiutarci a spiegare perché anche i cavalli impiegati saltuariamente per lavori leggeri possono ugualmente manifestare tale patologia. Tra questi ricordiamo le deformità flessorie a livello del nodello o del carpo nei puledri, dovute a debolezza muscolare o a una conformazione anomala. Queste tendono a risolversi con il caricamento fisiologico del peso sull’arto interessato, ma provocano comunque un aumento delle sollecitazioni meccaniche sui tendini dell’arto stesso.

Anche la conformazione del piede influisce sul carico del TFS, infatti l’abbassamento della punta rispetto ai talloni o il sollevamento dei talloni ma non della punta provoca una diminuzione della tensione nel TFP e un suo aumento nel LS. Invece la punta lunga e i talloni bassi, potrebbero proteggere dall’insorgenza della tenite a carico del TFS, visto che il carico a questo livello viene ridotto. Oltre a questi fattori si deve ricordare che un’ inclinazione eccessiva della pastoia, una ferratura non corretta, la mancanza di allenamento, l’attività muscolare incoordinata, la natura del terreno su cui il cavallo si muove, ad esempio le piste fangose, il terreno accidentato e scivoloso, possono sollecitare eccessivamente i tendini aumentando notevolmente i carichi. Ad esempio quando il cavallo si muove su superfici morbide si ha un aumento di tensione nel TFS, favorendo l’insorgenza della tenite. Tutti questi fenomeni sono in grado di accelerare i cambiamenti degenerativi della struttura tendinea (Dowling, 2000).

Nell’eziologia delle teniti, oltre ai fattori meccanici, devono essere necessariamente considerati anche i fattori vascolari. Resta incerto se una

60 degenerazione primaria della rete vascolare predisponga o meno a lesioni tendinee. Alcuni lavori suggeriscono che la degenerazione ischemica preceda la lesione acuta (Rigby, 1997).

La frequenza con cui le lesioni interessano prevalentemente la regione medio metacarpale del TFS, che è la zona meno vascolarizzata, il ritrovamento di emorragie intratendinee e di zone di necrosi in studi effettuati post mortem fa sospettare che la vascolarizzazione giochi un ruolo fondamentale e precoce nell’eziologia delle teniti (Stromberg, 1969; Webbon, 1977).

Il tendine riceve la maggior parte del flusso ematico dall’inserzione muscolare, prossimalmente, e da quella periostale, distalmente, che garantiscono la perfusione del tessuto tendineo solo al livello delle estremità, e, all’interno della guaina, è raggiunto da vasi che decorrono nel connettivo. La regione del terzo medio metacarpale, priva di guaina, è nutrita da una ricca rete vascolare proveniente dal paratenonio circostante. Quanto detto suggerisce che la nutrizione tendinea avvenga per diffusione (Peacock, 1959).

Con l’utilizzo della microangiografia è possibile evidenziare la rete vascolare intratendinea formata da una rete intrecciata di vasi. Tra i fasci di fibre collagene decorrono longitudinalmente dei vasi che si anastomizzano perpendicolarmente con le sottili arteriole, alcune delle quali sembrano prendere origine dal paratenonio. L’ architettura vascolare del tendine è visibilmente alterata nel caso in cui si verifichino traumi o nel caso in cui l’arto sia fasciato troppo stretto. (Kraus-Hansen 1992) ha dimostrato che, eliminando l’apporto vascolare fornito dal paratenonio, non si registrano nel tendine dei cambiamenti degni di nota, mentre si ottengono risultati completamente diversi con la legatura dei due maggiori rami vascolari intratendinei.

In questo secondo caso il tessuto tendineo acquista subito una colorazione violacea dovuta a un sovraccarico ematico a livello venoso.

L’eliminazione sperimentale dell’apporto vascolare intratendineo provocherà una diminuzione dei tenociti attivi, evidenziabile attraverso le alterazione dei loro organuli citoplasmatici, come i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, i ribosomi e i lisosomi (Goodship, 1994).

I tenociti, quindi, in ambiente ipossico non sono in grado di sintetizzare e secernere molecole di collagene e altri componenti della matrice, con conseguente degenerazione delle fibre e della struttura tendinea in generale. Si

61 possono avere quindi alterazioni nella cellularità centrale del tendine, nella dimensioni delle fascicole, nel diametro delle fibre, nell’angolo del crimp e nel declino della concentrazione di COMP del tendine con progressiva degenerazione tendinea. Questi fenomeni, studiati in vitro, sono molto simili alle alterazioni che si possono notare in caso di tenite spontanea (Dowling, 2000; Spinabella, 2002).

62 Una puntualizzazione necessaria è che la vascolarizzazione del tendine è sufficiente per garantire la normale funzionalità della struttura, ma, a differenza di quanto avviene per esempio nel muscolo, il tendine non è in grado di aumentare il proprio apporto ematico in caso di necessità e quindi, quando sono richieste prestazioni eccessive, la vascolarizzazione diviene insufficiente (Stromberg,1969).

Il danno a carico dei tendine avviene anche a seguito della riperfusione (reperfusion injury), che è un fenomeno strettamente legato all’ischemia e all’ipossia dei tessuti. Cicli ripetuti di carico, infatti, sono associati alla diminuzione di afflusso di sangue quando il tendine è sottoposto alla massima tensione; quando la struttura si rilassa il sangue ricomincia a scorrere nei capillari portando oltre all’ ossigeno i superossidi che si sono formati durante il metabolismo anaerobio. I radicali liberi sono tossici per il tessuto e provocano una diminuzione significativa della moltiplicazione dei tenociti, compromettendo di conseguenza, il mantenimento della matrice. Questo fenomeno è stato accertato con studi in vitro: i tenociti ricavati dalla regione centrale del TFS sono stati coltivati in vitro e trattati con perossido di idrogeno, per stimolare un’alta concentrazione di radicali liberi. Questo esperimento è stato poi ripetuto aggiungendo un agente che riducesse il numero di radicali liberi, come per esempio la vitamina E, e quindi proteggesse le cellule dai loro effetti negativi.

Comparando i risultati ottenuti si è visto come tenociti non trattati con Vitamina E subiscano degenerazioni gravi a contatto con i radicali liberi sviluppatisi in condizioni di anaerobiosi (Goodship, 1994).

Sembra avere un ruolo fondamentale nell’insorgenza della tenite anche l’aumento della temperatura che avviene all’interno del tendine durante un esercizio fisico intenso.

Durante l’esercizio fisico il tendine TFS, molto meno il TFP (Birch, 1999), immagazzina una certa quota di energia elastica, che viene riutilizzata nel passo successivo per ridurre il consumo di energia metabolica e aumentare notevolmente l’efficienza del lavoro muscolare (Lindsey, 2005).

63 Una quota minima (8-13%) di energia elastica accumulata non viene riconvertita in energia cinetica nel passo successivo ma è rilasciata sotto forma di calore nel tendine. Visto che, come abbiamo detto prima, il centro del tendine presenta un numero ridotto di vasi sanguigni il suo meccanismo di raffreddamento non può agire al massimo dell’efficienza possibile e quindi il tendine è predisposto ad accumulare calore. Secondo alcuni studi, la temperatura del core del TFS raggiunge in 10 minuti di galoppo valori che sfiorano i 45-50 °C, mentre la zona periferica del tendine ha una temperatura di circa 35-40 °C (Goodship, 1994). Questa temperatura così elevata al livello del core del tendine danneggia il tessuto fibroso e mina la sopravvivenza e la natura dei fibroblasti, cellule importanti sia per mantenere le caratteristiche del tessuto sia per riparare eventuali lesioni. Inoltre a 45 °C nel centro del tendine si può creare un ambiente ipossico anche a causa della rete vasale deficitaria. Il danno che il calore provoca ai fibroblasti sembra essere la causa principale della degenerazione centrale del tendine, che si nota anche in cavalli che non manifestano sintomi di tenite. Una curiosità per quanto riguarda la temperatura interna del tendine dopo l’esercizio fisico è che, alla fine di un lavoro in piano, eseguito al galoppo, ci sono differenze di temperatura interne tra i due arti anteriori, visto che ogni cavallo ha un senso di galoppo che preferisce (sinistro o destro) e quindi un arto che viene caricato maggiormente rispetto al contro- laterale. Questo potrebbe anche aiutarci a spiegare come mai le teniti, in un determinato soggetto, possono colpire un solo arto anteriore (Yamasaki, 2001). A convalidare l’ipotesi che al centro del tendine si venga a creare un ambiente ipossico c’è anche il ritrovamento, proprio nella parte centrale, di aree che presentano fenomeni locali di metaplasia condroide (Crevier-Denoix, 1998). Questo avviene perché le cellule, avendo a disposizione quantità decrescenti di ossigeno, si trasformano per sopravvivere a tale condizione ischemica e vanno incontro al fenomeno della metaplasia per originare i condrociti, che possono resistere in un ambiente ipossico sfruttando il metabolismo anaerobio.

Riassumendo quanto detto fino ad ora, i fattori principali che provocano la tenite sono i sovraccarichi ripetuti del tendine accompagnati ed aggravati da una circolazione ematica relativamente deficitaria. Il danno principale è a carico della parte cellulare del tendine, perché il suo limite di allungamento è

64 minore rispetto a quello della parte collagene, causando un’infiammazione locale, che viene tamponata all’interno della struttura tendinea.

Questo fenomeno tende ad ostruire l’afflusso ematico creando un ambiente ipossico e quindi nocivo per i tenociti e di conseguenza anche per la matrice e la componente collagene, riducendo la resistenza del tendine stesso. Inoltre si ha lo sviluppo di elevate temperature all’interno del tendine a causa dei sovraccarichi ripetuti che possono ridurre la sopravvivenza dei tenociti.

4.2. Fisiopatologia

I vari fattori eziologici, sopra ricordati, portano alla perdita della normale struttura tendinea con la rottura delle fibre e delle fibrille all’interno del tendine. Le lesioni e le degenerazioni tendinee si possono verificare secondo tutta la gamma di gravità variando da leggere e subcliniche, rilevate solo con l’ausilio di tecniche diagnostiche molto sensibili o all’esame post mortem, fino a quelle che portano a completa rottura del tendine (Mc-Ilwraith, 1990).

Il fatto che molte lesioni degenerative siano, almeno all’inizio, completamente asintomatiche, sembra essere dovuto ai microtraumi a cui il tendine è sottoposto, direttamente o indirettamente, i cui effetti tendono a sommarsi nel tempo provocando una lesione clinicamente osservabile (Patterson- Kane, 1997).

Una lesione acuta tendinea ha solitamente un esordio improvviso e il primo segno è dato da claudicazione di vario grado, rigonfiamento caldo e fusiforme, dolente e cedevole alla palpazione a causa dell’emorragia e dell’edema che si vengono a formare. (Carlucci e Spinabella, 2004).

Di solito la zoppia si manifesta subito dopo la rottura del tendine nel caso in cui sia grave o anche 48h dopo, quando l’infiammazione e la lesione sono meno intense.

Il sito dell’infiammazione è, all’inizio, soffice alla palpazione, aumentando di consistenza con il passare del tempo, mentre il calore della parte tende a ridursi. All’ispezione del TFS è possibile individuare, in quasi tutti i soggetti affetti da tenite, un’area rossastra al centro del tendine (Yamasaki 2001).

Dopo la lesione si assiste al processo riparativo dei legamenti e dei tendini. Gli scopi che devono essere raggiunti con la guarigione sono:

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- r

iempire l’area della lesione con fibroblasti che producano collagene e che maturino;

- fino a sviluppare la resistenza alla trazione e l’ elasticità adeguate;

- r

idurre al minimo la comparsa di aderenze fibrose, per non compromettere la capacità di scivolamento del tendine e quindi la sua funzionalità.

Il processo riparativo segue una sequenza di eventi costanti nel tendine, composta prevalentemente da quattro fasi (Dowling, 2000). Il primo evento è l’emorragia. In concomitanza con la rottura delle fibre e delle fibrille si assiste alla lesione dei vasi intra-tendinei e alla formazione di una lacuna che viene riempita velocemente da sangue coagulato prima e da trasudato infiammatorio poi (Carlucci e Spinabella, 2004).

L’edema e l’emorragia del tendine separano ed indeboliscono le restanti fibre che non hanno ancora subito degenerazione. All’estensione della lesione contribuiscono anche gli enzimi idrolitici liberati a seguito del danneggiamento dei fibroblasti e delle cellule infiammatorie (Dowling, 2000).

Un’altra conseguenza dell’emorragia e dell’edema è l’interruzione dell’apporto ematico nella zona lesa che darà origine alla necrosi, il cui grado è direttamente proporzionale al grado di compromissione vascolare (Mc-Ilwraith, 1990). Nella parte interna al coagulo vengono richiamati i leucociti polimorfonucleati e i linfociti. Questi producono citochine, glicoproteine a basso peso molecolare, che funzionano da mediatori chimici locali nei processi flogistici (Debenedetti, 1998), richiamando al livello del sito di infiammazione altre cellule (Woo, 1999).

Alla fine di questa fase si ha la deposizione della fibrina, che sarà fondamentale negli stadi successive per l’allineamento dei fibroblasti e poi per quello delle fibrille da essi sintetizzate. Nella fase successiva all’emorragia si instaura l’infiammazione. La fibroplasia è influenzata notevolmente dall’entità della risposta infiammatoria. Se è presente tessuto traumatizzato e ischemica, infatti, si verifica una reazione infiammatoria più intensa che rappresenta una stimolazione sufficiente per la formazione di un’eccessiva quantità di tessuto di granulazione e per la deposizione di collagene. Durante la fase infiammatoria si mette in evidenza il ruolo fondamentale dei capillari dello strato peritendineo

66 che hanno la funzione di apportare ossigeno, garantendo la sopravvivenza cellulare e i fenomeni di idrossilazione della prolina, fondamentali per la sintesi del collagene, ma permettono anche alle cellule dell’infiammazione di arrivare sul sito della lesione. Durante questa fase, infatti, grazie agli stimoli chemiotattici, vengono richiamati a livello della lesione i macrofagi, che costituiscono le cellule determinanti da 24- 48 h dopo la lesione per alcuni giorni. I macrofagi sono fondamentali per il processo riparativo della lesione tendinea in quanto, non solo fagocitano il tessuto necrotico formatosi, ma anche liberano molti fattori di crescita che indurranno la neovascolarizzazione e la formazione di tessuto di granulazione, già evidente nel sito di lesione dopo una settimana (Woo, 1999).

Analizzando le cellule che si trovano a livello della lesione tendinea, dopo circa tre giorni dall’evento traumatico, possiamo trovare piastrine, macrofagi, leucociti polimorfonucleati, linfociti e cellule staminali multipotenti. Ogni cellula in questa fase ha un’importanza fondamentale per il processo riparativo; per esempio è stato dimostrato come le piastrine liberino il PDGF (Platelet Derived Growth Factor), il TGFβ (Transforming Growth Factor beta) ed il EGF (Epidermal Growth Factor), mentre i macrofagi rilascino BFGF (Basic Fibroblast Growth Factor), TGFα (Transforming Growth Factor alpha) e lo stesso PDGF.

Questi fattori non hanno solo funzione chemiotattica per i fibroblasti e per altre cellule, ma stimolano anche la proliferazione fibroblastica e la sintesi di collagene di tipo I, III, IV e V e di proteine non collagene (Woo, 1999).

La proliferazione fibroblastica costituisce la terza fase della cascata riparativa. Abbiamo visto come i fibroblasti siano tra le ultime cellule che arrivano nel sito di infiammazione, migrando dallo strato peritendineo alla zona lesionata e infiammata. Questi fibroblasti hanno un abbondante reticolo endoplasmatico ruvido. In passato, il tendine era considerato una struttura inerte, pressoché avascolare, con scarse capacità di riparazione intrinseca e quindi si ipotizzava che la guarigione avvenisse solamente attraverso una produzione di fibroblasti e di capillari dal tessuto peritendineo. Oggi sappiamo che anche le cellule dell’endotenonio possono comportarsi come fibroblasti attivi (Manske, 1984), dando importanza alla capacità di riparazione intrinseca. In caso di severe

67 distruzioni della trama tendinea, invece, la componente estrinseca è fondamentale per la guarigione.

La prevalenza del processo di riparazione intrinseco e una minore importanza del processo di guarigione estrinseco, potrebbe potenzialmente portare a minore formazione di aderenze peritendinee. I fibroblasti hanno la funzione di produrre collagene e anche le proteine della matrice per circa 1 settimana dopo la lesione (Woo, 1999).

Il collagene di tipo III è uno dei primi tipi che è sintetizzato nel sito della lesione tendinea. È un collagene immaturo, organizzato in modo casuale (Goodship, 1994) che forma legami interfibrillari conferendo una più rapida stabilità e potenza meccanica al sito di lesione (Dowling, 2000).

Dalla seconda settimana dopo la lesione si può notare una migliore organizzazione del tessuto di riparazione e una maggiore proliferazione cellulare della matrice. Durante questa fase si assiste alla neovascolarizzazione (il diametro dei vasi sanguigni cicatriziali è solitamente maggiore rispetto a quello del tendine normale) e il contenuto di collagene è maggiore rispetto a quello presente nel tendine normale (Woo, 1999). A 6 settimane circa dalla lesione predominano nel tendine le fibre collagene di tipo III e un consistente aumento del GAG (Goodship, 1994).

La fase successiva a cui assistiamo è il rimodellamento e la maturazione del tessuto cicatriziale. In questo stadio si assiste a una graduale diminuzione nella cellularità del tessuto cicatriziale. La matrice diviene meno densa e si comincia a intravedere un orientamento longitudinale delle fibre. Il turnover del collagene, il rapporto tra collagene di tipo I e III diviene più vicino a quello del tendine normale e la percentuale di acqua si riduce notevolmente. Comunque, analizzando l’organizzazione delle fibre collagene della cicatrice possiamo ancora osservare come si abbia un aumento dell’angolo del crimp e una

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