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F INANZIAMENTO DEI PARTITI POLITICI E DEMOCRAZIA INTERNA

SOMMARIO: 3.1 Le ragioni del finanziamento pubblico e l’incidenza

sull’organizzazione interna e sui rapporti interpartitici; 3.2 I modelli di finanziamento dei partiti politici; 3.3 Un memento delle discipline storicamente succedutesi sul finanziamento ai partiti politici in Italia; 3.4 L’assetto attuale (dalla riforma del 2012 alla legge n.13/2014).

3.1 Le ragioni del finanziamento pubblico e l’incidenza sull’organizzazione interna e sui rapporti interpartitici

Il problema dei costi della politica presenta innumerevoli sfaccettature. Con questa espressione, infatti, si designano fenomeni tra loro diversi, anche se strettamente connessi, vale a dire il finanziamento delle istituzioni politiche, il finanziamento delle campagne elettorali e, inoltre, il sostegno economico alle attività partitiche in senso lato. D’altronde, oramai, quasi tutti gli ordinamenti hanno adottato una legge sul finanziamento dei partiti politici, e prevedono che almeno una porzione di tale finanziamento abbia matrice pubblica.

I costi della politica cominciano a interessare la dottrina costituzionalistica solo a partire dalla nascita dei partiti di massa, ossia all’indomani dell’estensione del suffragio universale429. Il finanziamento diventa oggetto di dispute dottrinarie

poiché ci si cominciò a porre il problema di garantire pari opportunità di accesso alla politica a tutte le formazioni partitiche, evitando, cioè, che chi avesse maggiori disponibilità finanziarie potesse giovarsi di una maggiore visibilità e, dunque, potesse condizionare per questo motivo le scelte degli elettori, incidendo sulla libertà del voto ex art. 48 Cost.

La Costituzione repubblicana se, da un lato, tace sull’argomento-finanziamento dei partiti, dall’altro, cerca, nell’art. 49 Cost., una sintesi tra la dimensione associativa del partito (soggetti sono “i cittadini”) e quella istituzionale

429 A ben vedere, infatti, fino a quel momento l’omogeneità sociale non poneva problemi

particolari di rappresentanza e quindi del suo finanziamento. Tuttavia, gli interventi in materia toccano inizialmente i singoli candidati e solo successivamente l’attenzione si sposta sui partiti, intesi come i soggetti che gestiscono le varie fasi della vita del partito e in particolare quella elettorale, che è centrale in questo momento storico.

141 (chiamando i partiti a “concorrere … a determinare la politica nazionale”). La disposizione, infatti, pur non contenendo alcun riferimento al tema del finanziamento dei partiti e presentandosi, perciò, “neutra” rispetto alle varie possibilità, non va considerata come limite per il legislatore al finanziamento. Tanto è più vero se si considera, ripercorrendo i lavori dell’Assemblea costituente430, che in quella circostanza non si discusse mai specificamente sul

tema, ma si accennò solo alla necessità di introdurre strumenti idonei a realizzare la democrazia interna ai partiti. Storicamente, quindi, la decisione di introdurre un sistema di finanziamento statale era giustificata dalla diminuzione del numero degli iscritti nei partiti e dall’aumento dei costi delle campagne elettorali431.

Nonostante le ragioni suddette, una scelta di questo tipo avrebbe dovuto trovare un avallo in Costituzione che, all’art. 49 Cost., formalmente lascia

430 Lo stesso Mortati propose di imporre la pubblicità dei bilanci dei partiti. Nell’idea dello

Studioso, infatti, la trasparenza dei bilanci poteva dire molto sul corretto funzionamento interno della vita dei partiti. Nonostante ciò, prevalse la posizione che considerava la trasparenza dei bilanci come un’eccessiva ingerenza dello Stato nella vita dei partiti. Anche Luigi Sturzo, una decina d’anni dopo, presentò un progetto di legge con l’obiettivo di regolamentare le spese elettorali dei partiti e dei candidati, ponendo limiti certi alle stesse.

431 F. BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici-Profili Costituzionali, Giuffrè, Milano,

p.36-37, sostiene che proprio l’introduzione del finanziamento pubblico abbia funzionato da catalizzatore nel favorire la regolazione dei partiti politici, tanto da pensare che «sarebbe dunque quasi sempre la concessione del finanziamento pubblico a far fare “un salto di qualità” ai rapporti tra Stato e partito politico dall’alveo delle associazioni non riconosciute». Il finanziamento pubblico sarebbe, perciò, un «privilegio» al prezzo dell’accettazione del regime giuridico per i partiti politici. Il legislatore non è, però, vincolato nel modo di regolare il partito politico: questi può formulare una vera e propria legge oppure solo «subordinare il finanziamento pubblico al rispetto di alcune prescrizioni». L’A. si spinge oltre individuando il limite a partire dal quale può identificarsi la legislazione sui partiti: essa vi sarebbe nel momento in cui «il legislatore si spinge a dare una definizione normativa di partito e ad imporre ad esso una specifica disciplina su alcuni aspetti relativi all’ organizzazione e alle procedure decisionali interne… Diversamente non pare possa parlarsi di una legge sui partiti quando sono ammessi al finanziamento tutti i soggetti politici che hanno partecipato alle elezioni o ottenuto degli eletti e il legislatore si limita a subordinare il finanziamento pubblico al rispetto di alcune prescrizioni minime, tra cui, ad esempio, l’obbligo di ottenere il riconoscimento giuridico, che generalmente comporta un controllo maggiore sulla vita interna del partito».

142 aperte al legislatore tutte le possibilità, nulla dicendo a proposito dell’introduzione del finanziamento pubblico, né vietandolo né obbligando lo Stato a ricorrervi.

In realtà, una lettura più attenta dell’articolo 49 Cost. può aiutare nella comprensione della ratio del finanziamento dei partiti politici, in particolare laddove la norma ne precisa la funzione di mediatori dei cittadini nel concorso «con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Si comprende come, in quest’ottica, il finanziamento pubblico possa trovare il suo aggancio costituzionale nell’art. 49, non tanto se interpretato in funzione della tutela delle formazioni politiche, quanto se letto come una delle modalità che avvicini il cittadino all’attività politica. Difatti, il finanziamento avrebbe proprio questa funzione, ossia quella di «favorire i partiti politici in quanto strumenti principali della partecipazione dei singoli alla vita politica»432, e poiché la Carta

non solo riconosce ma, altresì, auspica il pluralismo politico, inteso come l’akmè del principio di eguaglianza, il finanziamento avrebbe la finalità precipua di dare ai partiti uguali possibilità di partecipazione alla politica, garantendo in questo modo la c.d. «ragione equilibratrice»433.

In tal senso, il finanziamento pubblico diretto434 dei partiti consisterebbe

nell’attuazione del principio di eguaglianza di chances nell’ambito della competizione per la conquista del potere, affinché tutti i partecipanti possano avere pari possibilità di successo. Chiarito il rapporto tra finanziamento e democrazia interna dei partiti, bisogna adesso analizzare il ruolo dello Stato, che non può alterare l’eguaglianza dei partiti, ma deve tenere conto del diverso peso elettorale degli stessi, facilitando l’accesso di forze politiche nuove e il ricambio politico. In altre parole, la norma richiede, affinché si realizzi un’equa distribuzione delle risorse, che lo Stato si faccia garante e terzo, cercando di assumere una posizione neutrale nella competizione politica, non alterandone lo svolgimento e i relativi risultati. Questa tesi, se estremizzata, come ha fatto una parte della dottrina435, chiede la regolamentazione del finanziamento

432 Così, F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, cit., p. 32. 433 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 32.

434 Lo Stato, cioè, dispone la dazione di un contributo, che può essere diretto o indiretto

(ossia erogato in servizi) a favore dei partiti. Quest’ultimo è il modello tipico di quei paesi occidentali in cui ha fatto ingresso sulla scena politica il partito socialdemocratico: si tratta, cioè, di un sistema complesso, prima sostenuto dai contributi degli iscritti e poi dalla spesa pubblica.

143 statale, perché in tal modo non solo si garantirebbe l’uguaglianza dei partiti nella partecipazione al processo politico, ma altresì il contenimento della tendenza alla corruzione.

Un risultato di questo genere è perseguito con molte difficoltà. Difatti, una distribuzione paritaria delle risorse pubbliche avrebbe luogo solo nei sistemi in cui i partiti sono strutturalmente deboli436, mentre, al contrario, lì dove i partiti

rappresentano una componente forte del sistema politico, l’accesso al finanziamento sarebbe proporzionato al peso elettorale di ciascun partito437.

Diversa lettura, invece, dà quella dottrina che giustifica il finanziamento perché «corrispettivo dovuto ai partiti per l’esercizio delle loro funzioni politiche di attivazione della procedura elettorale, ma soprattutto per la loro strumentalità nel c.d. concorso “libero e continuo” dei cittadini alla determinazione della politica nazionale»438. Questa interpretazione arriva sino a comprendere nel

finanziamento della politica anche la contribuzione alle attività elettorali e a quelle funzioni concernenti la vita ordinaria dei partiti. Un finanziamento del genere rappresenterebbe, secondo tale dottrina, il corrispettivo dovuto ai partiti per l’esercizio delle loro funzioni politiche, per le procedure elettorali e per l’attività mediatica a favore dei cittadini nell’ambito del «concorso alla determinazione della politica nazionale»439.

Altri, invece, per ammettere la necessità del finanziamento pubblico fanno leva sull’argomento della sovranità. Si vuol dire, cioè, che il cittadino-elettore, partecipando alla vita politica mediante partito, esaurisce in ciò la sua sovranità: «se dunque il partito è uno strumento nelle mani del “sovrano collettivo” -il popolo- perché questo possa servirsene per esercitare la sua sovranità ne consegue per tale teoria che, assolvendo esso a funzioni di

436 Per “partiti strutturalmente deboli” s’intende quelle associazioni partitiche che non

vantano un’organizzazione stabile al loro interno e sul territorio, come lo sono, ad esempio, i partiti americani che, infatti, come si vedrà più nello specifico nel prosieguo del lavoro, non hanno una specifica ideologia o programma, ma si fondano unicamente sulla personalità che dà “la faccia” al partito. Essi, infatti, si collocano agli antipodi con i partiti europei che, invece, possono vantare una solida struttura e organizzazione territoriale che vanno al di là del solo momento elettorale.

437 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 136.

438 S.GAMBINO, Partiti politici e forma di governo, Liguori editore, Napoli, 1977, p. 106. 439 Cfr. S.GAMBINO, Partiti politici e forme di governo, cit., p.106.

144 carattere pubblico all’interno della società, ha anche il diritto di ottenere dallo stato i mezzi necessari per assolvere a tali funzioni»440.

In senso opposto a chi riconosce il finanziamento pubblico e lo motiva con argomenti riguardanti l’eguaglianza di chances o il corrispettivo dovuto ai partiti per l’attività svolta, c’è chi sostiene l’incostituzionalità del finanziamento pubblico. Una tale posizione farebbe leva sulla natura associativa441 del partito.

In altre parole, secondo questa teoria il contributo statale renderebbe i partiti organi dello Stato, favorendone il distacco dalla società.

Le due posizioni illustrate sono volte ad accentuare, l’una, la funzione costituzionalmente rilevante dei partiti politici, l’altra, la loro natura associativa442.

La dottrina che disconosce legittimità costituzionale al finanziamento pubblico utilizza l’argomento del parallelismo tra regolazione giuridica del partito e legislazione sul finanziamento pubblico. Anche quest’ultimo, infatti, costituirebbe una fase di istituzionalizzazione dei partiti che «precede o accompagna la loro regolazione giuridica»443, e sarebbe il momento in cui il

partito acquisisce la personalità giuridica e assume una struttura organizzativa idonea a garantirne democraticità interna.

Invece, a favore della costituzionalità del finanziamento milita certamente il silenzio dell’art. 49 Cost. che nulla dice rispetto alla possibilità che lo Stato contribuisca economicamente alla vita dei partiti. Inoltre, la natura associativa dei partiti non dovrebbe considerarsi un limite a un loro finanziamento statale, giacché è vero che lo Stato deve mantenersi neutrale, ma può decidere di

440 Così, L.BASSO, Il partito nell'ordinamento democratico moderno, cit., p. 3 e ss.

441 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op.cit., p. 128. Tra le posizioni contrarie

al finanziamento pubblico della politica si veda C.MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 810; V.CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, cit., p. 135; L.ELIA, introduzione a: I progetti di

legge sull’ordinamento e finanziamento dei partiti nella Repubblica Federale Tedesca, a cura del Segr.

Gen., Ufficio studi legislativi, Roma, 1965, p. 23, 34, 39 e 40.

442 La posizione insicura della Costituzione in materia di finanziamento dei partiti politici è

stata confermata anche da alcune sentenze della Corte costituzionale che, ammettendo

referendum abrogativi sulle norme che prevedevano il finanziamento pubblico dei partiti

politici, ha implicitamente escluso che esse fossero imposte dalla Costituzione e, cioè, che fossero a contenuto costituzionalmente vincolato (sentenze 16 del 1978, 30 del 1993 e 32 del 2000).

145 contribuire comunque all’attività dei partiti al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Si comprende come il dibattito sulla concreta attuazione dell’art. 49 Cost. sia sempre dietro l’angolo, poiché è dall’art. 49 che si trae la ratio del finanziamento pubblico, anche se la norma non lo prevede espressamente. La disposizione in parola necessita, infatti, di una legge che imponga ai partiti l’assunzione di determinate modalità organizzative e il rispetto di specifiche procedure decisionali atte a garantire un assetto democratico.

A ben vedere il finanziamento pubblico va rapportato al tema della democrazia interna, e ciò per diversi ordini di motivi. Innanzitutto bisogna immaginare che solitamente c’è coincidenza tra chi gestisce il denaro all’interno del partito e chi ha il potere nello stesso e, pertanto, al fine di rendere realmente democratica l’organizzazione, è necessario controllare i modi in cui il finanziamento pubblico si esplica.

Se, quindi, si ammette la costituzionalità del finanziamento, esso va, però, circoscritto soggettivamente e limitato qualitativamente e quantitativamente. In linea di massima, come si avrà modo di specificare in seguito, gli interventi regolatori dello Stato in materia di finanziamento pubblico sono dipesi per lo più dalla “posizione costituzionale” assegnata ai partiti444, poiché c’è chi li

considera come espressione di auto-organizzazione del popolo e chi invece ritiene essi siano veri e propri organi dello Stato.

Sulla base dell’una o dell’altra tesi, si dovrebbe adottare un differente modello di finanziamento. Ciascuno schema di finanziamento dei partiti presenta, però, delle implicazioni, rivelandosi fallace sia per il suo eccessivo grado di astrazione sia perché non tutti gli ordinamenti prendono una posizione chiara in merito alla “collocazione” del partito.

Difatti, il finanziamento, da un lato, può accentuare la dimensione associativa o istituzionale del partito e avere, così, conseguenze costituzionalmente rilevanti sul piano del pluralismo politico e dell’uguaglianza di chances; dall’altro, può incidere sui contenuti delle politiche elaborate dai partiti -a seconda che essi siano più o meno dipendenti dai loro finanziatori-, sul modello di partito, più o meno “personale” e, infine, sul radicamento territoriale dello stesso. Sulla base di queste premesse, la dottrina445 ha individuato almeno tre schemi

di intervento statale.

444 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 5. 445 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 163.

146 Se si parte dal presupposto che solo i partiti con una certa organizzazione interna possano garantire il funzionamento del sistema democratico, allora si accede a quel filone di pensiero secondo cui possono partecipare alle competizioni elettorali e ricevere il finanziamento pubblico solo quei partiti che rispettino tali modalità organizzative.

Se, invece, in via meno rigorosa, si impone il rispetto solo di determinati requisiti di organizzazione stabiliti dalla legge, il finanziamento pubblico sarebbe ammesso solo per quei partiti che li adempiano. Altra soluzione, ancora più elastica, riconosce il finanziamento pubblico a quei partiti che rispettino talune modalità organizzative, come ad esempio determinati procedimenti di selezione delle candidature: tale approccio prevede, cioè, l’estensione o la riduzione del finanziamento statale a seconda dell’adozione o meno del metodo delle primarie per la scelta dei candidati.

Come si è visto, molti ordinamenti europei sono dotati di una legislazione in tema di finanziamento, talvolta accompagnata dalla disciplina organizzativa del partito. I modi in cui le due legislazioni si relazionano dimostra quanto sia stato poco approfondito il rapporto tra esse quando si è proposta la questione della concreta attuazione dell’art. 49 Cost. Una parte della dottrina richiama la necessità di un intervento minimo nella disciplina dei partiti – ad es. non imponendo uno statuto-tipo ma solo principi generali che valgano come indicatori di “democraticità”-, di cui la disciplina sul finanziamento ne sia attuativa e integrativa, in particolare delle norme sull’organizzazione interna ai partiti446. Infatti, da un lato, la recente legge n. 96 del 2012 ammette il

finanziamento dei partiti e dei movimenti politici, purché subordinato all’obbligo di dotarsi di uno statuto «conforme ai principi democratici della vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti»447, dall’altro, però, i progetti di legge di

attuazione dell’art. 49 Cost. si disinteressano del rapporto tra le due discipline448.

446 G.TARLI BARBIERI, Il finanziamento dei partiti e il costo della politica italiana, in S. Merlini(a

cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Passigli editori, Firenze, 2009, p. 104.

447 Art. 5, comma 2, L. n. 96 del 2012.

448 Si prenda come esempio il testo unificato adottato dalla Commissione Affari costituzionali

della Camere dei deputati il 9 maggio 2012, dove l’unico riferimento al finanziamento pubblico è contenuto nell’art.5, in cui si prevede che, in caso di cessazione dell’attività, il partito politico perda il diritto al finanziamento pubblico.

147 L’aspetto del finanziamento pubblico che ne ha intensificato il dibattito è, però, quello riguardante il rapporto partito-società.

Il contributo economico, infatti, rischia di legare eccessivamente a sé i partiti, pregiudicandone la natura associativa e rendendoli «dipendenti rispetto alle istituzioni»449. Si comprende come il modo in cui il legislatore disciplina la

materia del finanziamento incida fortemente sull’organizzazione interna dei partiti. E non è un caso se, come si è già visto, il finanziamento pubblico in Europa sia stato affiancato, per lo più, alla regolazione dei partiti politici, «subordinando il contenuto economico al rispetto di alcune modalità organizzative interne»450.

A complicare il quadro giuridico in materia di “diritto della finanza politica”, sono i frequenti aggiornamenti legislativi e, in alcuni casi, anche in via giurisprudenziale: in Italia, infatti, la prima disciplina in materia di finanziamento risale al 1974 con la legge n. 195, normativa sottoposta a referendum nel 1993, e seguita da una serie di interventi legislativi nel 1993, 1997 e 1999. Si tratta di un quadro disorganico, poiché derivante da una pluralità di leggi che si sono nel tempo stratificate e sovrapposte, ponendosi in contrasto con la conclamata esigenza di trasparenza451.

La circostanza per cui oggi la vita interna dei partiti non abbia avuto neanche un minimo di eteroregolazione, come si è visto, non dipende da un divieto costituzionale. Pertanto, si può affermare che una disciplina organica dei partiti politici in attuazione dell’art. 49 della Costituzione non esiste anche perché le proposte di legge di attuazione della norma costituzionale hanno sempre viaggiato parallelamente alle proposte attinenti al finanziamento dei partiti, data la costante urgenza e improcrastinabilità delle riforme in tema di rimborsi elettorali.

In tal senso, nel corso del lavoro si proverà sia a indicare i possibili effetti delle regole introdotte sui partiti italiani, abituati a reggersi per lo più sui fondi pubblici, sia a valutare se le fonti di finanziamento (pubbliche e private) che i

449 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 39. 450 F.BIONDI, Il finanziamento pubblico dei partiti politici, op. cit., p. 41.

451 La trasparenza è intesa come valore che incide sulla democrazia, essa, infatti, «dovrebbe

garantire l’attivazione di meccanismi di responsabilità e di controlli esistenti a vario livello». Difatti, l’ambito dei meccanismi di rappresentanza politica potrebbe essere definito come la «trasparenza finanziaria della vita politica», mentre l’ambito dei flussi finanziari riguardanti i circuiti decisionali la «trasparenza finanziaria istituzionale» così R.BORRELLO, Finanziamento

148 partiti ottengono oggi con le nuove regole riescano a garantire una “buona politica”, intesa come attività che consenta l’esercizio di fondamentali diritti individuali di libertà (in tal caso la piena attuazione del diritto di concorrere alla vita politica del Paese) e una rappresentanza politica coerente con le scelte programmatiche effettuate in campagna elettorale.

3.2 I modelli di finanziamento dei partiti politici

Il ricorso ai modelli comparati è frequente in dottrina, nel dibattito politico e nei lavori preparatori delle leggi che si sono occupate del finanziamento pubblico. La materia è colma, infatti, di regole internazionali di soft law – in special modo per la materia elettorale e per la disciplina delle campagne elettorali – e di sentenze della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo452.

452 Il Trattato di Maastricht del 1992 ha il merito di aver riconosciuto l’esistenza e il ruolo dei

partiti politici europei. In particolare, l’art. 191 Tce dispone che «i partiti politici a livello

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