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L A STRUTTURA DEI PARTITI POLITICI E LA FORMA DI GOVERNO ITALIANA

SOMMARIO: 2.1 Profili introduttivi: i partiti come elementi interni o esterni alla forma

di governo; 2.2 L’organizzazione interna dei partiti e la rilevanza dell’aspetto territoriale: nozione e caratteri; 2.3 L’incidenza della forma di governo sul sistema dei partiti; 2.4 Governo con “troppi” partiti; 2.5 Governo di partito e parlamentarismo maggioritario; 2.6 Governo senza partito: il governo tecnico; 2.7 Quando il partito prende la forma del leader: personalizzazione della politica; 2.8 Lo “strano caso” dei movimenti; 2.9 Aspetti comparativi.

2.1 Profili introduttivi: i partiti come elementi interni o esterni alla forma di governo Secondo una definizione generalmente accettata, la forma di governo costituisce il complesso dei fattori che concorrono a determinare la tenuta del potere esecutivo in rapporto agli altri poteri previsti in Costituzione205.

Partendo da queste premesse, mentre una parte della dottrina si interessa del «dispiegarsi effettivo dei rapporti fra i titolari delle funzioni costituzionali»206,

altra dottrina è ferma nella considerazione che le caratteristiche del sistema dei partiti politici siano «meri elementi di fatto che condizionano dall’esterno i

205L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p. 638 ss., o anche, secondo C.MORTATI, Le forme di governo, Lezioni, CEDAM, Padova, 1973, p.3, concernerebbe «i mutevoli rapporti che intercorrono fra i supremi organi costituzionali in relazione alla definizione dell’indirizzo politico», e in sostanza «il modo in cui le varie funzioni dello Stato sono distribuite ed organizzate fra i diversi organi costituzionali». Diversamente, M.LUCIANI, voce Governo (forme

di), in Enciclopedia del diritto, Annali, Volume III, Milano, Giuffrè, 2009, p.538 e ss., sostiene

che «la classificazione della forma di governo finisce per dipendere dalle modalità concrete del suo funzionamento».

206 Cfr. M.DUVERGER, I partiti politici, cit., p. 261 e ss. e L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p.

638 ss., P.RIDOLA, Diritti di libertà e costituzionalismo, Giappichelli, Torino, 1997, pp.120 e 128 ss. e infine L.PRIMICERIO, Forma di governo parlamentare e modelli di democrazia rappresentativa, Giappichelli, Torino, 2002, p. 33.

60 congegni della forma di governo e che quindi non debbano essere incluse tra gli elementi costitutivi di quest’ultima»207.

Nella sua celebre voce enciclopedica208, Elia sostiene che l’aspetto politologico

non sia estraneo agli studi sulla forma di governo e che, dunque, lo studio delle dinamiche partitiche sia funzionale a una corretta comprensione delle trasformazioni ordinamentali in atto. Il contributo di Elia in tema di forme di governo risale agli anni Settanta quando, con l’allargamento del suffragio universale e la nascita dei partiti di massa, questi ultimi potevano vantare una legittimazione piena e riuscivano a esercitare una forte influenza sulle istituzioni. A tal riguardo, secondo l’illustre studioso, l’indagine del giurista non potrebbe prescindere dal sistema partitico: l’aspetto sociologico/politologico è rilevante nel momento in cui il partito si stabilizza, «diviene una condizione di fatto di immediata rilevanza giuridica, in quanto entra nel sistema

207 Cfr. L.PRIMICERIO, Forma di governo parlamentare, op.cit., p. 34 e S.GAMBINO, Partiti politici e forma di governo: la difficile riforma di una “Costituzione materiale” radicata nella storia costituzionale del Paese, in federalismi.it, n.15/2008, p. 21, sottolineano la contraddizione in termini dei partiti,

visto che, da un lato, essi «per il tipo di rapporti che sono andati intessendo con lo Stato,… possono ben cogliersi come organi ausiliari dello Stato, se non come veri e propri organi statali», dall’altro, rivendicano la natura di associazioni di diritto privato che li rende fortemente «insediati nella società»: tale dicotomia ontologica ne rende difficile una loro ricostruzione in termini istituzionali. Ma di questa contraddizione in termini ci si è già estesi nel primo capitolo. M. LUCIANI, voce Governo (forme di), cit., p. 551 e ss., in particolare, sostiene che la versione definitoria di L.Elia, in tema di forme di governo, non sia del tutto corretta, in quanto si presterebbe a più critiche. Innanzitutto la circostanza che «i partiti si muovano su un terreno diverso da quello della forma di governo, che attiene all’emersione istituzionale del potere». In altre parole, l’A. sostiene che i Costituenti conoscevano bene la differenza tra il «popolo organizzato in partiti che spettava determinare…la politica nazionale, mentre era solo all’interno delle coordinate politiche così “determinate” che il Governo poteva svolgere l’indirizzo politico, realizzando la propria politica generale». Luciani, in sostanza, non sminuisce l’importanza dei partiti politici nel processo democratico, «il punto, però, è che il loro essere “presupposti” quali condizioni di fatto non fa sì che i partiti siano anche “posti” quali elementi costitutivi della forma di governo. Ciò che sta “fuori” di essa può essere importante, per il suo funzionamento, tanto quanto ciò che vi sta “dentro”, ma non per questo cessa d’essere un elemento che non appartiene alla sua struttura».

61 “presupposto” dalle norme costituzionali»209. In quest’ottica, la classificazione

delle forme di governo dipende immediatamente dal contesto politico, sempre in grado di condizionarle: secondo Elia bisogna considerare, a questi fini, sia i dati normativi, sia i profili fattuali non disciplinati da norme costituzionali. In particolare, le regole sulla forma di governo parlamentare, poiché «a fattispecie aperta», sarebbero «suscettibili di essere qualificate dal sistema dei partiti ed integrate dalle regole convenzionali che ad esso fanno capo»210.

Elia sostiene, infatti, che le forme di governo, oltre che in prospettiva statica, andrebbero studiate mettendo in debito conto il numero dei partiti, la loro consistenza, le reciproche interrelazioni, le regole convenzionali e, infine, i meccanismi di elezione delle assemblee rappresentative211: «si potrebbe dire

che, di conseguenza, le norme sulla forma di governo (e particolarmente quelle relative al governo parlamentare in senso proprio) sono a fattispecie aperta (entro certi limiti) e cioè suscettibili di essere qualificate dal sistema dei partiti e integrate dalle regole convenzionali che ad esse fanno capo»212.

Pertanto, l’indagine sulle forme di governo dello Stato democratico non può prescindere dal contesto politico in cui dialogano il legislativo e l’esecutivo. È necessario, dunque, il contributo delle norme consuetudinarie, delle convenzioni costituzionali, del sistema elettorale e del sistema dei partiti213.

209 L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p. 638. 210 L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p.640.

211 Cfr. S.GAMBINO, La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto, cit., p. 1645,

definisce tale approccio «realista…per effetto del quale l’organizzazione strutturale dei poteri viene analizzata unitamente alla comprensione dei relativi momenti funzionali e dinamici».

212 L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p. 640.

213 Cfr. L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p. 638; è ciò che emerge anche da S.GAMBINO, La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto, cit., pp. 1639-1664, che afferma:

«accanto a un metodo giuridico formale, fondato su tipologie di governo basate sul principio di separazione dei poteri fra gli organi costituzionali, la ricerca costituzionale –nel tempo – non ha potuto sfuggire alla stessa utilizzazione di un metodo realista, nel quale trovasse adeguata considerazione lo stretto rapporto esistente tra quadro normativo-costituzionale e la sua concreta traduzione nella realtà. Una mancata integrazione tra i due momenti analitici – formale il primo, sostanziale il secondo – incorrerebbe nello stesso rischio di non consentire di poter attingere l’oggetto del proprio studio quando ci si apprestasse a studiare la natura del parlamentarismo e, al suo interno, le problematiche relative alla funzionalità complessiva del Governo».

62 A riprova del fatto che non sia possibile estromettere il sistema partitico dall’analisi della forma di governo militano differenti considerazioni. Innanzitutto la riflessione per cui l’assetto, anche numerico, del sistema dei partiti è condizionato dal sistema elettorale214, che pertanto non ha carattere

solo fattuale, ma è materia sottoponibile a interventi di carattere normativo (compresi quelli concernenti il finanziamento), in modo da acuire o di mitigare l’incidenza sulla forma di governo.

In secondo luogo, le regole convenzionali hanno ruolo di non poca importanza nell’evoluzione dell’ordinamento, anche laddove esse non siano riconducibili a principi costituzionali215. Pertanto, un’analisi sull’organizzazione

e sul funzionamento delle istituzioni dovrebbe tenere in conto due aspetti complementari, ossia le regole istituzionali e il sistema politico: in altre parole, è necessario che le disposizioni costituzionali trovino un loro sbocco nel sistema dei partiti216.

L’idea di Elia di forma di governo non è rimasta esente da critiche: difatti, come si è visto, autorevole dottrina ha affermato che «l’insieme degli elementi rilevanti del sistema classificatorio…è ridotto sostanzialmente a due soli

214 In base all’opzione tra sistemi proporzionali e sistemi maggioritari, nonché dell’utilizzo

delle clausole di sbarramento.

215 Elia non è il solo a sostenere questa tipologia di studio, difatti anche Duverger sosteneva

che «chi conosce il diritto costituzionale classico e ignora la funzione dei partiti, ha un’idea sbagliata dei regimi politici contemporanei; chi conosce la funzione dei partiti e ignora il diritto costituzionale classico ha un’idea incompleta (…) dei regimi politici contemporanei», così M.DUVERGER, I partiti politici, cit., p. 261 e ss.

216 Le classificazioni tradizionali della dottrina insegnano che, in genere, un sistema

caratterizzato dalla presenza di partiti molto distanti tra loro e ideologicamente ostili implica uno scenario politico molto competitivo. Di contro, in un sistema tendenzialmente normalizzato è difficile imbattersi in formazioni che tendono a sovvertire il sistema politico e istituzionale esistente. Da tale prima generale differenziazione discende la classificazione dei sistemi di partito tra sistemi monopartitici, sistemi bipartitici e sistemi multipartitici. Nei primi solo un partito compete effettivamente per le cariche pubbliche, poiché vi è un solo partito, egemonico o principale attorno a cui ruotano diversi partiti legati ad esso come dei satelliti. In senso opposto, quando il sistema presenta due partiti ben strutturati, siamo di fronte a sistemi bipartitici. Il sistema bipartitico, in particolare, si afferma alla presenza di due partiti in grado di governare da soli, senza stringere alleanze con altri partiti. Essi, giacché condividono ideologie moderate, permettono di mantenere la competizione elettorale al centro: la competizione centripeta è l’essenza del sistema bipartitico.

63 componenti: l’Esecutivo e il Legislativo»217. Seguendo questo indirizzo, la

forma di governo ruoterebbe unicamente attorno al rapporto fiduciario, non richiamando gli elementi costitutivi menzionati in altre ricostruzioni. L’indicazione dottrinaria appena esposta, non esclude, tra l’altro, l’influenza di altri “poteri” che, tuttavia, dovrebbero limitarsi all’«arricchimento della griglia classificatoria non con il riferimento al sistema dei partiti, bensì con il riferimento a tutti i poteri e a tutti gli organi costituzionali che hanno certe caratteristiche», ossia che «partecipano…anche solo indirettamente, alla funzione di governo»218. Partendo da questa nozione di potere, l’A. esclude

una qualificazione dei partiti in termini di organi o poteri costituzionali, poiché una tale interpretazione dovrebbe poggiare su un loro riconoscimento e, seppure la Carta costituzionale riconoscesse loro la funzione di «strumenti di rappresentanza di interessi politicamente organizzati»219, i compiti loro

attribuiti «non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali»220 al di là del diritto costituzionalmente riconosciuto al cittadino

di associarsi in partiti: pertanto, i partiti andrebbero considerati come organizzazioni proprie della società civile e non come poteri dello Stato.

Si vede come l’accettazione dell’una o dell’altra posizione dottrinaria ruota, ancora una volta, intorno alla natura giuridica del partito politico. Milita certamente a favore della ricostruzione di Leopoldo Elia la considerazione per cui la forma di governo è un fenomeno talmente complesso che necessita, ai fini di una sua profonda comprensione, dell’analisi del sistema partitico, inteso come uno di quei fattori “mobili”, in grado di incidere sul funzionamento concreto della forma di governo, che è strutturalmente dinamica. D’altro canto, però, i dati costituzionali, anche se considerano i partiti -intesi come

217 M.LUCIANI, voce Governo (forme di), cit., p. 567.

218 Dalla definizione di M.LUCIANI, voce Governo (forme di), cit., p. 567 e ss., restano, perciò,

fuori «i poteri e gli organi costituzionali che non sono titolari di attribuzioni di natura politica» e «i soggetti e gli organi le cui decisioni, almeno sul piano del diritto interno, non sono imputabili allo Stato», la Corte costituzionale e la magistratura. Mentre, vi rientrano il Parlamento, il Governo e il Capo dello Stato (poiché già la sua legittimazione e i parametri della sua azione hanno natura politica). Per quel che concerne il corpo elettorale, poiché esso adotta atti «direttamente e vincolantemente imputabili» al popolo, mediante il sistema elettorale, è considerato un elemento della forma di governo «per la sua essenzialità al fine della costituzione della rappresentanza».

219 Così, Corte costituzionale, ordinanza del 24 febbraio 2006, n.79. 220 Come sopra, Corte costituzionale, ordinanza del 24 febbraio 2006, n.79.

64 strumento atto a favorire la vita politica del cittadino-, tuttavia non riconoscono loro natura organicistica -del genere Inkorporation “alla tedesca”- nella struttura della forma di governo.

2.2 Il rapporto tra legislazione elettorale e sistema di partiti

Il sistema elettorale è il principale fattore di condizionamento dei partiti e del loro numero poiché agisce sulla stabilità governativa e sul rapporto tra organi di governo221: incidendo sul numero dei partiti, infatti, influenza

indirettamente i comportamenti interni ed esterni degli stessi.

Preliminarmente, si precisa come l’analisi della forma di governo, a oggi, non possa prescindere dal legame con la forma di Stato: mediante tale connessione, infatti, è assicurata la partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà dello Stato, attraverso i partiti. Il cittadino, d’altronde, in questo rapporto è un termine tutt’altro che irrilevante, potendo, mediante il voto, incidere sulla sistemazione e sulla tenuta dei poteri222.

Si comprende come il sistema elettorale svolga un ruolo importante, non solo per ridefinire la forma di governo e garantire l’alternanza delle forze politiche, ma soprattutto al fine di permettere ai cittadini di scegliere in modo diretto i propri rappresentanti e indicare una preferenza rispetto a programmi politici.

221 Così, L.ELIA, voce Governo (forme di), cit., p. 638 e ss., sostiene che ogni forma di governo

include un sistema partitico in grado di condizionarlo sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista funzionale: ecco perché l’A. evidenzia che le disposizioni costituzionali sulla forma di governo sono a fattispecie aperta, «e cioè suscettibili di essere qualificate dal sistema dei partiti e integrate dalle regole convenzionali che ad esso fanno capo». Sulla scorta dell’insegnamento di L. Elia è facile comprendere oggi la rilevanza assunta dai partiti politici nell’ordinamento costituzionale. Ma anche T. E. FROSINI, Nuova legge elettorale, in Rassegna

Parlamentare, n.1 del 2006, p. 48, è di quest’idea, per «i rapporti che si vengono a stabilire tra i

supremi organi costituzionali (corpo elettorale, potere legislativo e potere esecutivo) in relazione alla funzione di indirizzo politico; dal momento che a seconda del sistema elettorale adottato si fa mutevole l’assetto politico istituzionale della forma di governo. C’è inoltre che i sistemi elettorali incidono sul numero (e sul ruolo) dei partiti politici che gareggiano alle elezioni».

222 Così, S. GAMBINO, Del rappresentare e del governare. La difficile riforma della “costituzione materiale” del paese, fra riforme elettorali (partigiane), partiti politici (sregolati) e governi (deboli), in G.

Moschella e P. Grimaudo (a cura di) Riforma elettorale e trasformazione del “partito politico”, Giuffrè, Milano, 2008, p. 1 e ss.

65 La scelta di un sistema elettorale piuttosto che un altro non è irrilevante poiché condiziona il peso del voto, la scelta della maggioranza e la governabilità223 tout

court.

Il voto è quindi il modo con cui il cittadino compie scelte che incidono sulla comunità di riferimento, giacché esse producono effetti sull’organizzazione, sul funzionamento e sugli indirizzi della politica. Per tale motivo è necessario che il voto si configuri realmente come modo di attuazione della sovranità popolare, poiché una democrazia come la nostra ha il principale compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione alla vita politica del paese: per fare ciò è necessario, quindi, ricorrere a un sistema elettorale che metta i cittadini nella condizione di determinare «le politiche della comunità di appartenenza»224.

I manuali di diritto costituzionale225 illustrano i sistemi elettorali in modo

schematico, naturalmente a fini didattici: da un lato, infatti, i sistemi proporzionali rendono meno semplice l’individuazione di una maggioranza parlamentare, dall’altro, i sistemi maggioritari, realizzano una minore rappresentatività del Parlamento e una più evidente selezione delle forze politiche. Pertanto, con sistemi elettorali interamente proporzionali e non fondati su accordi precedenti la competizione elettorale, si realizza un effetto proiettivo, ma a discapito della stabilità dei governi, poiché è necessario che vi

223 Il concetto di “governabilità” riguarda la “possibilità di governare”, caratteristica che

prescinde dalla capacità e abilità di chi lo esercita. Essa dipende dalla stabilità politica e dalla capacità decisionale. Certamente, in situazioni di disordine sociale, in cui nessuno riconosce a nessun altro il potere/dovere di governare, manca la stabilità politica e quindi non esiste la governabilità; in periodi di tranquillità sociale, invece, la stabilità si realizza nella successione ordinata dei governanti. In Italia, la c.d. Prima Repubblica è stata caratterizzata da una grande stabilità sia riguardo la forma di governo (democrazia parlamentare) sia rispetto alle formule politiche cui quei governi si ispiravano (centrismo, centrosinistra, solidarietà nazionale, pentapartito). Invece, la c.d. Seconda repubblica ha registrato una maggiore instabilità politica, poiché ogni legislatura si è impegnata ad allontanarsi dall’azione della legislatura precedente, così V.PALUMBO, La legge elettorale, cit.

224 Così, G.COLETTA, Il sistema elettorale dal punto di vista dei cittadini, in C. De Fiores (a cura di) Rappresentanza politica e legge elettorale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 193.

225 Nello specifico si veda R.BIN,G.PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino,

66 sia un accordo tra le forze politiche per dare sostegno a un governo226. Di

contro, una legge elettorale maggioritaria è quella per cui un solo partito (o una sola coalizione) controlla la maggioranza assoluta dei seggi: così il governo è caratterizzato da notevole stabilità ma, al contempo, l’effetto proiettivo diviene recessivo rispetto a quello selettivo. Il sistema elettorale, però, può anche non essere così intellegibile: è possibile, infatti, che il legislatore lo contamini sì da

226 Esempio tipico di questo stato di cose è quanto si è verificato in Italia con il

consociativismo di DC e PCI che hanno dato luogo al c.d. compromesso storico, accompagnato dalla conventio ad excludendum. Si tratta del periodo in cui l’Italia fece esperienza del centrismo: le coalizioni si formavano in sede parlamentare, dopo le elezioni e sulla base di accordi tra partiti. Si comprende come l’elettore non aveva la possibilità di scegliere né la maggioranza né la persona che avrebbe ricoperto la carica di Primo ministro. Trattasi, dunque, di c.d. mandato in bianco, così R.BIN,G.PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, op. cit., p. 160 e ss. Le formazioni politiche di centro acquisiscono, così, un ruolo cruciale in virtù della loro posizione e dei seggi che controllano. Riducendo man mano il grado di proporzionalità, i partiti sono notevolmente penalizzati nella distribuzione dei seggi, poiché contribuiscono all’instabilità nella formazione degli esecutivi. Ha notato I. NICOTRA, Brevi

note sul rapporto tra rappresentanza politica, partiti antisistema e conventio ad excludendum nell’esperienza costituzionale italiana, in C. De Fiores (a cura di) Rappresentanza politica e legge elettorale,

Giappichelli, Torino, 2007, p. 392 e ss., che «la mancata istituzione di un sistema bipolare in Italia ha trovato per lungo tempo giustificazione… nell’atteggiamento di sostanziale diffidenza nei confronti del maggiore partito di opposizione»: in sostanza, si stabilizzò un sistema in cui non vi era ricambio poiché l’opposizione era considerata «irresponsabile». In tale contesto si ritenne, infatti, che solo il multipartitismo potesse garantire la tenuta del sistema, giacché il sistema bipolare «sarebbe inconciliabile con il mantenimento del carattere democratico di un ordinamento nell’ipotesi in cui uno dei partiti maggiori si atteggiasse come anti-sistema», poiché l’alternanza avrebbe offerto il potere di distruggere il bipolarismo creato. L’A. sostiene, inoltre, che la conventio rappresenti a tutti gli effetti una convenzione costituzionale, poiché essa avrebbe valenza meramente politica, ma integrativa dei precetti costituzionali. Quest’affermazione è supportata dal collegamento tra conventio e articolo 49 Cost., il cui significato «viene posto in luce dalla normativa “supplementare”, ove stabilisce – secondo l’antico brocardo “rebus sic stantibus”- l’esclusione dei movimenti politici da accordi di coalizione o da decisioni circa la formazione di organi costituzionali, in conseguenza di un deficit di democrazia desumibile dalle intenzioni ideologico- programmatiche da questi manifestate». Per la valenza di convenzione costituzionale della conventio si veda anche V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, CEDAM, Padova, 1989, p. 240.

67 renderlo “meno proporzionale” (attraverso la previsione di clausole di sbarramento, premi di maggioranza) o, comunque, misto.

Si vuole dimostrare come nei sistemi elettorali a prevalente contenuto maggioritario la democrazia interna dei partiti sia un fattore indispensabile per un ordinamento che deve garantire che la «sovranità appartiene al popolo», secondo il dettato dell’art.1 Cost. Si è visto, infatti, che la democraticità dei partiti assume sembianze che non si manifestano nella sola dimensione esterna

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