2.3. La crisi del modello giuspositivista Critiche
2.3.1. Fase ideologica La rivolta al formalismo
La prima importante risposta contro la rigidità dei principi illuministici, conso- lidati e riformulati dalla Scuola dell’Esegesi, viene in Francia, ad opera di Geny, fondatore di una scuola denominata “scientifica”. Secondo Geny l’ordinamento giu- ridico non è completo e occorre avvalersi della ricerca scientifica che “deve, da un lato, interrogare la ragione e la coscienza per scoprire nella nostra natura intima le basi della giustizia, e dall’altro lato, deve rivolgersi ai fenomeni sociali per cogliere le leggi della loro armonia e i principi d’ordine che richiedono235”. Geny ritiene in- sufficienti le fonti positive del diritto e afferma la necessità che l’interprete si avvalga
233 Ibidem. 234 Ivi, p. 13.
235 F. GÉNY, Science et technique en droit privé positif, in C. FARALLI, Le grandi correnti della fi-
della “natura delle cose”, “una sorta di diritto comune, generale quanto alla sua natu- ra, sussidiario quanto alla sua funzione, che supplisce alle lacune delle fonti formali e dirige tutto il movimento della vita giuridica”236.
Il concetto di “libera ricerca scientifica” elaborato da Geny influenzò, e in una certa maniera precorse, l’opera del Movimento del diritto libero237. Con la denomi- nazione “Movimento del diritto libero” si suole indicare un atteggiamento più che una scuola o una dottrina, che si sviluppò in Germania tra Ottocento e Novecento e assunse svariate forme238, il cui fine comune è rappresentato dalla rivolta contro la tradizione e il conformismo239.
Il primo esponente del Movimento fu Ehrlich che, in una conferenza del 1903, parlò, per la prima volta in Germania, di “libera scienza del diritto”, riprendendo il concetto di Geny di “libera ricerca del diritto” e affermandone il valore, contro l’applicazione meccanica della legge. Egli non postulava l’affidamento di un potere creativo ai giudici, ma riteneva inutile negare la presenza della personalità degli stes- si nelle decisioni giudiziarie e cercava di trovare, al di fuori della legge, dei criteri oggettivi ai quali vincolare la loro attività240.
È Kantorowicz, tuttavia, ad essere riconosciuto come il maggiore esponente del Movimento del Diritto Libero. Il suo libro, “La lotta per la scienza del diritto”, che diede l’avvio al Movimento, da lui stesso denominato “freirechtliche Bewegung”, e
236 F. GÉNY, Méthode d’interprétation et sources en droit privè positif : essai critique, Librairie gene-
rale de droit et de jurisprudence, Paris, 1919, p. 89.
237 G. FASSÓ, Storia della filosofia del diritto. III, cit. p. 202.
238 Ad esso viene ricondotta anche la “Giurisprudenza degli Interessi”, corrente di pensiero giuridico
iniziata da Jhering e facente capo alla Scuola di Tubinga, rappresentata principalmente da Heck e Ru- melin, estendendosi poi in tutta la Germania..
239 G. FASSÓ, Storia della filosofia del diritto. III, cit. p. 196. 240 Ivi, p. 196.
rivolge le sue critiche, prevalentemente, alla concezione meccanicistica dell’applica- zione del diritto241. Il principio fondamentale è il rifiuto del dogma della completezza e della concezione secondo la quale il diritto è costituito solo dalle leggi o ricavato tramite procedimenti logico-formali242. Il Movimento del Diritto Libero sostiene che in ogni ordinamento giuridico vi sia uno spazio vuoto che debba essere colmato dal giudice, tramite l’attribuzione di maggiori poteri discrezionali, che gli permettano di adeguare, in maniera più immediata, il diritto ai nuovi bisogni della società. L’intento è quello di svincolare il giudice dalla rigida osservanza della legge e di renderlo crea- tore, e perciò fonte, di diritto243. Secondo questa concezione, i mutamenti della realtà comportano un’inevitabile incompletezza della legislazione e rendono necessaria, per poter colmare le lacune, la presenza accanto al diritto statuale, di un diritto libero, prodotto dalle sentenze dei giudici e dalla scienza giuridica244.
A partire da questo momento in poi, si spezza l’utopica convinzione che il co- dice possa contenere in se stesso tutte le soluzioni e che compito del giudice sia, esclusivamente, quello di applicare la legge come risultato di un’inferenza logica.
La risposta americana al formalismo giuridico venne dal realismo giuridico, Frank in particolare. La storia americana ha avuto uno svolgimento peculiare ed in- dipendente rispetto alle contemporanee dottrine europee. A dispetto dei tentativi del potere legislativo di sostituirsi al potere giudiziario, mantenne comunque, la forma del common law, la quale non la rese, tuttavia, esente dal formalismo.
241 H. KANTOROWICZ, La lotta per la scienza del diritto, Remo Sandron editore, Milano-Palermo-
Napoli, 1908, p. 72.
242 “Le sentenze non possono emanare solo dalla legge, ma hanno bisogno di altre fonti”. H.
KANTOROWICZ, La lotta per la scienza del diritto, cit. p. 72.
243 M. A. CATTANEO, Illuminismo e legislazione, cit. p. 178.
244 T. G. TASSO, Oltre il giuridico. Alla ricerca della giuridicità del fatto, Cedam, Padova, 2012, p.
Il modo di intendere il diritto proprio del common law, basato sulla dottrina del precedente, secondo la quale il giudice doveva decidere in base alla ratio decidendi delle sentenze già emanate, mal si conciliava con il modo di intendere il diritto pro- prio del positivismo giuridico, fatto di istituti e concetti giuridici ben definiti. Invero, la grande quantità di decisioni giudiziarie rendeva difficile la conoscenza completa dei precedenti e costituiva un ostacolo allo studio del diritto. Per queste ragioni, Langdell coniò un nuovo metodo di insegnamento, che ricordava le concezioni si- stematiche del diritto, ovvero il “case method”245. Lo studio dei casi comportava l’attribuzione ad essi di una valenza normativa, indipendentemente dalla ratio deci-
dendi e dai valori ad essa sottesi, andando a snaturare i principi del common law e as-
similandolo ai sistemi formalistici246.
Contro questa concezione del diritto operò negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento quella che venne denominata la “rivolta contro il formali- smo” dall’opera omonima di White247.Motto della rivolta è la celebre frase del giu- dice Holmes che nel suo “The Common Law” dichiarò che “la vita del diritto non è la logica, ma l’esperienza248”. “Il diritto incorpora la storia dello sviluppo di una nazio- ne lungo il corso di molti secoli e non può essere trattato come se fosse formato sol- tanto da assiomi e corollari come un libro di matematica249”. Emerge immediatamen- te l’impostazione storica che regge il pensiero di Holmes, ma la necessità di tali studi storici è collegata non alla venerazione del passato, ma ad una maggior consapevo-
245 C. FARALLI, L’eredità del realismo giuridico americano, in Materiali per una storia della cultu-
ra giuridica, a. XXXVI, n°1, Giugno 2006, p. 119.
246 G. MINDA, Teorie postmoderne del diritto, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 31. 247 M. WHITE, La rivolta contro il formalismo, Il Mulino, Bologna, 1956.
248 O. HOLMES, The Common Law, Little, Brown, 1909 in M. HORWITZ, Le trasformazioni del di-
ritto americano. 1870-1960, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 193.
lezza del presente. Lo studio delle tradizioni costituisce il punto di partenza, ma è in- serito in una concezione sociologica del diritto, che ritiene parte fondamentale della scienza giuridica lo studio di “postulati fondati sulle esigenze sociali accuratamente calcolate”250. Il diritto viene concepito come la previsione di ciò che effettivamente faranno i tribunali, al di fuori di ogni astrazione logico-deduttiva. È alla giurispru- denza sociologica di Holmes che si ispira, pur portandola agli estremi, il “realismo giuridico251” in senso stretto, inteso come quel movimento che si sviluppò in Ameri- ca intorno al 1930, il cui maggiore esponente è il giudice Frank252.
Con Frank le critiche alla logica sillogistica si spingono, dal punto di vista ideologico, al loro limite massimo, fino ad arrivare a considerare l’operato del giudi- ce come totalmente arbitrario e dipendente da fattori personali. “Il diritto non è una scienza, ma un’arte; l’arte di un compromesso intelligente253”. L’amministrazione della giustizia dipende dalla personalità del giudice, così dimostra, secondo Frank, l’osservazione della realtà. L’analisi dei fatti è sempre soggettiva. Egli ritiene, ad esempio, che il giudice nell’ascoltare i testimoni partirà dall’idea che vi sia una nor- ma per risolvere il caso, e ascolterà le testimonianze sulla base di quella norma cer- candone conferma o smentita. Questa regola polarizzerà la sua attenzione e, se nel corso del processo egli dovesse cambiare idea sulla norma da applicare, non potrà più ricordare bene le testimonianze, perché i suoi ricordi saranno falsati254. I giudici
250 Ibidem.
251 Il termine “realismo giuridico” venne utilizzato per la prima volta da J. Frank al cap. Vedi J.
FRANK, Law and modern mind, Peter Smith, Gloucester, 1970, p. 46.
252 G. FASSÓ, Storia della filosofia del diritto. III, cit. p. 271.
253 J. FRANK, Courts on trial. Myth and reality in American justice, Princeton university press,
Princeton, 1949, p. 388 (trad. mia).
sono umani, sostiene Frank, con il loro bagaglio di esperienze, con le loro credenze ed inevitabili pregiudizi e da questi dipenderà l’esito della causa255.
Queste considerazioni portano Frank ad affermare che la certezza del diritto è un mito, che persiste nonostante la realtà continui a dimostrare il contrario. In “Law
and Modern Mind” egli cerca di spiegare le origini di questa credenza rielaborando
teorie psicologiche e ritenendo l’esigenza dell’uomo adulto di cercare certezza nel mondo del diritto, come il risultato del perdurare del desiderio del bambino di affi- darsi al padre256. “Nonostante il passare degli anni, molti uomini sono vittime del de- siderio infantile di avere una serenità completa e della paura della sorte incontrollabi- le. Loro vogliono, allora, credere di vivere in un mondo in cui la sorte è solo un’apparenza e non una realtà; un mondo in cui sono liberi dall’indefinito, dall’arbitrario e dal capriccio257”. Per questo motivo tentano di trovare conforto nella “riscoperta del padre” cercandone un sostituto. “Il diritto può facilmente rivestire una parte importante nella riscoperta del padre. Per la sua funzione, la legge somiglia, in- fatti, al “father-as-judge258”. Il padre-giudice è infallibile e i suoi giudizi sono certi e prevedibili. Ma la realtà, spiega Frank, dimostra l’esatto contrario. Il giudice è una persona con normali processi di pensiero; non arriva alla decisione tramite un sillogi- smo, non può essere prevedibile perché la sua scelta non è il frutto di un ragionamen- to, ma di intuizioni che gi permettono di raggiungere la sua conclusione prima ancora di aver tentato di spiegarla259.
255 J. FRANK, Courts on trial, cit. p. 413. 256 J. FRANK, Law and Modern Mind, cit. p. 20. 257 Ivi, p. 21 (trad. mia).
258 Ibidem (trad. mia).
Frank ritiene, dunque, che sia necessario trasformare l’attività di giudizio in una procedura equitativa, che permetta l’individualizzazione delle controversie260. Al diritto raffigurato come un padre rigido e incapace di adattarsi alla realtà, contrappo- ne una madre che simbolizza l’equità e raffigura un giudice consapevole dei suoi po- teri discrezionali e capace di empatia261.
“Law and Modern Mind” suscitò numerose critiche divenendo uno degli stru- menti favoriti per gettare discredito sul realismo giuridico e negli ambienti professio- nali portò, altresì, all’emarginazione di Frank262. Ciò nonostante, il realismo giuridi- co rappresenta il punto culminante dell’attacco al pensiero giuridico ottocentesco e contribuì al suo smantellamento, aprendo un dibattito sui temi quali l’interpretazione e l’argomentazione giuridica che hanno segnato un punto di non ritorno per la teoria del diritto contemporanea263.