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2. CONTESTI

3.4. La fase investigativa

La realizzazione delle interviste, sulla base della traccia di cui sopra, ha costituito una parte assai consistente del lavoro di ricerca, dipanandosi principalmente da maggio 2011 a marzo 2012 (con l'aggiunta di pochi ulteriori colloqui che si è potuto ottenere solo in seguito). La rilettura e l'analisi di gruppi di testi ha permesso in due diversi momenti la revisione della 181 Lo Sportello Stranieri della Caritas è frequentato da persone rom di tutta l'area che comprende i centri urbani di

Sassari, Alghero e Porto Torres per motivi legati all'assistenza materiale (pasti, abiti, cure mediche) ma soprattutto per problematiche legate al soggiorno e alla cittadinanza.

182 Si veda di nuovo Langer Alexander, Dieci punti per una convivenza interetnica, in La scelta della convivenza,

cit. Langer si riferisce ai “saltatori di muri” come a quelle persone che, pur cresciute all'interno di una certa cultura, ne esplorano altre, a costo di affrontare il risentimento degli altri membri del proprio gruppo identitario.

183 Si veda come testo di riferimento Montesperelli Paolo, L'intervista ermeneutica, Milano, FrancoAngeli, 1998. 184 Si vedano Bertaux Daniel, Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Milano, FrancoAngeli, 1998?; Bichi

Rita, L'intervista biografica. Una proposta metodologica, Milano, Vita e pensiero, 2002.

185 In totale, sono stati realizzati 18 colloqui, di cui 5 a volontarie/i, 5 a insegnanti, 4 a figure professionali in ambito

socioeducativo, 4 ad altre/i testimoni. In pochi casi, le stesse persone sono state poi intervistate in profondità

traccia186. Sono state intervistate 72 persone, di cui 40 a Sassari, 14 a Porto Torres, 14 ad Alghero

e 4 sempre a Sassari, ma all'interno di servizi di ambito provinciale. Di queste, 15 erano (e/o sono) insegnanti, 14 volontarie/i, 11 assistenti sociali, 4 amministratrici/tori locali, 15 operano professionalmente a vario titolo nel campo dei servizi socio-assistenziali o giudiziari. L'intrecciarsi complesso di tutte queste voci è analizzato nel capitolo 5.

Si è cercato di garantire un certo livello di varietà per quanto riguardava le istituzioni coinvolte (amministrazioni locali, scuola, associazionismo, servizi giudiziari) e gli approcci professionali e non (educativa professionale, assistenza sociale, insegnamento, volontariato, impegno politico, amministrazione), e di mantenere proporzioni simili nei tre ambiti territoriali (Sassari, Alghero, PortoTorres). Non sempre questo è stato possibile: in particolare, nonostante le ripetute richieste formali e non, non è stato possibile intervistare alcune persone operanti presso la Questura, i consultori pubblici e il mondo della stampa. In tutti e tre i casi, la promessa informale di concedere un appuntamento non è stata poi mantenuta. Ciononostante, è stato possibile esplorare in modo consistente la rete formata dalle principali agenzie della rete di sostegno: servizi socioeducativi, socioassistenziali e giudiziari, scuola, volontariato.

La numerosità delle interviste ha permesso, in più occasioni, il confronto tra narrazioni diverse circa gli stessi eventi e fenomeni, consentendo un certo grado di valutazione della conformità narrativa187. E' stato possibile rilevare e ricomporre inesattezze dovute a confusioni di

nomi, tempi e avvenimenti, confrontare interpretazioni e rappresentazioni diverse di episodi e fenomeni comuni, collegare tra loro narrazioni e personaggi apparentemente non in relazione. Il lavoro di intreccio e confronto non ha reso meno valide le interpretazioni, ma ha anzi permesso di rilevare la ricchezza e complessità delle situazioni vissute dalle persone narranti e di evidenziare come certi aspetti della realtà e della cultura rom vengano facilmente confusi e generalizzati dalle persone gagé188.

In alcuni casi, le stesse persone che generosamente si erano prestate a collaborare hanno poi manifestato gratitudine per aver avuto occasione di riflettere, durante l'intervista, sulle esperienze vissute, specie quando il coinvolgimento personale era stato forte e parlarne aveva dato loro modo di rielaborare alcune emozioni contrastanti. In molti casi, poi, è stata espressa, al termine dell'intervista, la speranza di aver collaborato ad una iniziativa utile ad una migliore 186 Si tratta di un lavoro che idealmente andrebbe svolto con l'ausilio di altre persone, per confrontare interpretazioni

e osservazioni, ma che la dottoranda di ricerca deve spesso affrontare da sola, non potendo talvolta domandare a colleghe e colleghi una disponibilità che non sarebbe forse in seguito in grado di ricambiare.

187 Diana Paolo, Montesperelli Paolo, Analizzare le interviste ermeneutiche, Roma, Carocci, 2005.

188 È comune, per esempio, la confusione tra le diverse cittadinanze (in particolare la difficoltà a distinguere tra

conoscenza delle realtà oggetto di studio e a rendere più efficace il lavoro con le comunità. È opportuno tenere presente che, all'interno delle istituzioni contattate, sono state spesso le persone maggiormente accoglienti e disponibili nei confronti del lavoro con le persone rom a venire intervistate, e questo perché la necessaria mediazione dei responsabili delle istituzioni coinvolte ha portato all'affidamento della ricercatrice alle figure che all'interno dell'istituzione si dedicavano con maggiore attenzione alle attività rivolte alle persone rom. In queste occasioni, si è cercato con discrezione di indagare sugli atteggiamenti meno positivi presenti nell'istituzione nei loro confronti, ma per quanto le risposte – anche non verbali – abbiano lasciato capire in alcune occasioni la presenza di posizioni e anche comportamenti più o meno pregiudizievoli e ostili, la lealtà nei confronti delle colleghe e dei colleghi ha probabilmente in certi casi attenuato la dimensione del fenomeno189.

La durata delle interviste è stata piuttosto variabile, tra mezz'ora e tre ore, con una media di circa un'ora e dieci minuti. Alcune delle interviste sono state effettuate a due o tre persone contemporaneamente (che lavoravano nella stessa classe, ufficio o associazione). Solo in un paio di casi le informazioni ottenute sono state poco significative, mentre in una buona parte dei casi ha favorevolmente sorpreso la grande ricchezza di temi trattati, considerazioni e talvolta rilevanti stimoli di approfondimento e riflessione per la ricerca.

La domanda finale, “Qual è il momento della giornata in cui si sente/ti senti più soddisfatta/o?” (vedi traccia in Appendice), era stata in origine concepita per concludere la conversazione, spesso incentrata su narrazioni relative a situazioni problematiche e difficili, in modo piacevole, al fine di lasciare un'impressione positiva dell'interazione avvenuta. Si è invece rivelata essere uno stimolo per considerazioni espresse d'impulso, talvolta sofferte, specie da parte di insegnanti e assistenti sociali, sulla fatica psicologica legata al proprio lavoro, che magari non era venuta fuori – se non in termini blandi – nel corso dell'intervista.

Nello stesso periodo in cui si portava avanti il lavoro di intervista, è proseguita l'analisi documentale, in particolare ricostruendo la storia delle comunità in esame sia tramite la testimonianza, per via diretta o indiretta, dei primi membri delle comunità, sia attraverso l'esame degli articoli di giornale comparsi nei decenni passati sul quotidiano locale e di una tesi di laurea190 redatta nei primi anni di residenza di una delle comunità, e si sono approfondite alcune

189 Per esempio, durante l'osservazione nella scuola è stato possibile venire a conoscenza di, o riscontrare di

persona, episodi, atti verbali e non di ostilità o pregiudizio da parte di alcune docenti che non erano venuti fuori, se non molto velatamente, durante le interviste alle colleghe.

190 Littarru Teresa, L'esperienza di scolarizzazione di un gruppo di bambini rom nel I Circolo Didattico di Porto

tematiche particolari, come il problema del soggiorno e della cittadinanza.

Infine, inaspettatamente, è stato possibile, nell'anno scolastico 2011/12, realizzare un intenso periodo di osservazione all'interno di una scuola primaria frequentata dai bambini di uno dei due gruppi residenti a Sassari, e tramite questa esperienza intensificare i contatti con le famiglie degli alunni. Una volta effettuate le interviste, stabilito un rapporto di reciproca stima e simpatia con alcune insegnanti, chi scrive si è offerta, sollecitata dal rammarico evidente delle docenti, emerso durante i colloqui, di non avere a disposizione maggiori risorse per seguire in modo particolare i bambini rom, di svolgere alcune ore di lavoro volontario presso la scuola. La proposta è stata accolta con favore e gratitudine, e una volta formalizzata la disponibilità c'è stato modo di dedicare alcune ore alla settimana ad attività didattiche integrative con le sei bambine e il bambino (più un'altra bambina a partire da gennaio e un ragazzino tredicenne da marzo) frequentanti le classi della scuola (una bambina in prima, una in seconda, due in quarta e quattro in due quinte). Esperienze e impressioni sono state registrate, fin dal primo giorno, su un taccuino, che immediatamente è diventato un diario di campo: la quantità di stimoli derivanti dall'interazione con i bambini, i gruppi classe, le insegnanti e il resto del personale si è rivelata fonte di una messe ricchissima di annotazioni, sia descrittive che emotive191, e quella che era

stata pensata come un'attivita collaterale alla ricerca di dottorato si è trasformata in una forma di osservazione semicoperta192, durata circa sette mesi, per un totale di circa 130 ore. Oltre a

consentire di osservare dall'interno una quantità di pratiche quotidiane e dinamiche relazionali relative all'interazione scolastica, il periodo trascorso a scuola ha permesso di instaurare un rapporto inaspettatamente stretto ed affettivamente intenso – che prosegue tuttora – con bambine e bambini, di ottenere da loro una quantità di informazioni sulla vita della comunità e sul loro vissuto in proposito, e di accedere al campo khorakhanó che, gradualmente e grazie alla loro mediazione, è stato possibile frequentare con una certa assiduità sperimentando modalità di acquisizione della confidenza e della fiducia delle famiglie. A partire dal mese di gennaio 2011, poi, è stato possibile effettuare alcune ore settimanali di osservazione anche in una classe (seconda) della scuola primaria sassarese che accoglie i bambini dassikané, sotto la supervisione di un'insegnante estremamente capace e motivata con la quale è stato condotto un breve ciclo di 191 Gobo Giampietro, op. cit.

192 Per scrupolo etico, si è trovato appena possibile, e in più occasioni, il modo di informare le docenti che l'attività

a scuola si stava rivelando molto utile anche per la ricerca, e che se ne sarebbe fatto uso. Il disagio iniziale era dato dalla paura che l'offerta di collaborazione potesse essere letta come uno stratagemma per accedere al campo aggirando un precedente diniego. Col tempo, la relazione con le insegnanti si è consolidata e arricchita, stemperando il senso di intrusione e la paura da parte di chi scrive di “usare il proprio prossimo solo come un mezzo e non anche come un fine” (Kant, Critica della ragion pratica, ed. or. 1788).

incontri sulla gestione delle emozioni. È stato così possibile osservare in classe due bambini del campo e conoscerne altri, ottenendo alcuni elementi di confronto tra le due comunità a completamento delle interviste realizzate con le docenti delle due scuole.

L'uscita dal campo non è stata indolore. Semi cita, tra le motivazioni che inducono l'etnografa a lasciare il campo, sia la saturazione teorica193 sia avvenimenti contingenti e

necessità pratiche194. L'approssimarsi della saturazione teorica è segnalata nelle note di campo a

partire dal mese di aprile 2012. Nello stesso periodo si affacciano la stanchezza, il bisogno di dedicare più tempo alla scrittura e alle trascrizioni a seguito del termine delle interviste e dell'approssimarsi della scadenza del periodo di dottorato (e della relativa aspettativa dal lavoro) e l'intensificarsi delle visite alla comunità khorakhaní, a seguito del rapido aumento della confidenza con le famiglie. Su suggerimento del cotutore, viene diradata gradualmente la presenza a scuola in parallelo all'intensificarsi delle visite al campo, processo che consente ai bambini – ma non alle insegnanti – di non avvertire un distacco traumatico. La definitiva uscita dal campo avviene solo col termine delle lezioni, con la festa di fine anno (8 giugno 2012).

Le considerazioni derivanti dall'analisi delle note di campo e dall'intreccio con l'analisi delle interviste sono riportate nel paragrafo 5.4.

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