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2. CONTESTI

2.2. Italia e Sardegna

In Italia, gruppi di famiglie rom giungono già nel Quattrocento, con quella che viene detta "prima ondata" di rom verso l'Europa occidentale, a seguito della penetrazione turca nell'area greco-balcanica. Vengono chiamati, nelle cronache, "egiziani" e il loro inserimento all'interno della nascente società post-feudale, ad economia mercantile, è fonte di numerosi conflitti152. In molti casi, le azioni persecutorie messe in atto dalle autorità verso le famiglie

migranti hanno probabilmente l'effetto di acutizzarne la separazione e l'isolamento rispetto alle comunità autoctone, mentre in altre situazioni, come si è detto, i rom vanno a inserirsi in nicchie di attività scoperte, compreso il combattimento al servizio di nobili o in eserciti di ventura153, e

si integrano nel tessuto sociale e produttivo.

Per diversi secoli i gruppi di rom si spostano all'interno dei due blocchi in cui l'Europa è divisa, l'impero ottomano e l'Europa occidentale, stabilendosi spesso nelle regioni di confine, ad esempio l'Alsazia-Lorena e i Paesi Baschi, o i Carpazi settentrionali. In Italia, sono ben documentati nel Settecento gli insediamenti dei "cingari" lungo il confine tra lo Stato della Chiesa e il Ducato di Modena154. La penisola viene interessata da arrivi di famiglie rom nel

centro-sud, via mare dalla Grecia, e di famiglie sinte a settentrione dal Sacro Romano Impero. Nella seconda metà dell'Ottocento, a seguito della fine della schiavitù nei principati romeni, si verifica la cosiddetta "seconda ondata" di rom verso l'Europa occidentale, di cui fanno parte anche alcune famiglie di romá addestratori di orsi, di cui però non sembra siano rimaste tracce in Italia, mentre la "terza ondata", ancora in corso, ha portato a partire dagli anni Sessanta-Settanta del Novecento un numero senza precedenti di romá balcanici e rumeni a stabilirsi nel nostro Paese. Scrive Piasere:

"I rom del Kosovo, della Bosnia, della Serbia meridionale, della Macedonia, dell'Albania, della Romania abitano oggi i campi profughi, le bidonville e, quando va bene, i quartieri popolari delle grandi città dell'Europa occidentale. [...] Molti sono rifugiati in Italia, la maggior parte in modo irregolare, e si sono sparpagliati per il Paese, concentrandosi soprattutto nelle grandi città, nella zona di Roma in modo massiccio, ma anche nei piccoli centri e occupando regioni che da tempo conoscevano una presenza rom solo saltuaria (Val d'Aosta, Sardegna, Sicilia)"155.

152 Piasere Leonardo, I rom d'Europa, cit., pp. 47-50.

153 Cfr. Zanardo Andrea, “La mia habitazione non è luogo fermo”. Gli zingari nei documenti dell'Inquisizione

modenese (secolo XVII), in Aresu Massimo, Piasere Leonardo (a cura di), Italia romaní vol. 5, Roma, CISU,

2008.

154 Piasere Leonardo, I rom d'Europa, cit., p. 63. 155 Ivi, p. 66.

In varie regioni del sud Italia si trovano ancora oggi gruppi rom di antico insediamento156,

mentre al nord prevalgono le comunità sinte. Si tratta di famiglie i cui membri sono cittadini italiani, variamente inseriti all'interno delle comunità di residenza, il cui totale in Italia è stimato in circa 70.000 unità157. In Sardegna invece, come appena riportato, la presenza rom non è stata

mai particolarmente consistente nè costante nel tempo. Le ricerche svolte da Massimo Aresu mostrano una significativa presenza di griegos, gitans, gitanos o zinganos, come venivano chiamati, nei villaggi e città della Sardegna nel XVI e XVII secolo. Non mancano negli archivi disposizioni di stampo repressivo, volte a contrastare il fenomeno del vagabondaggio che era considerato un elemento di instabilità e insicurezza nella precaria situazione sociale ed economica della Sardegna di antico regime158, ma sono anche reperibili documenti che

testimoniano di "un quadro di rapporti ambivalente e non pregiudizialmente ostile tra zingari e sedentari"159. Inoltre, i riferimenti a matrimoni misti come ad eventi ordinari, nonchè a matrimoni

tra gitanos a cui presiedono elementi dell'élite locale, sembrano confermare la presenza nell'isola già alla fine del Cinquecento, accanto a "nuclei di zingari refrattari tanto all'espulsione quanto alla sedentarizzazione"160, di "gitanos sedentarizzati e perfettamente inseriti nei meccanismi della

vita associata, accolti dal resto del corpo sociale"161. L'attribuzione ad alcuni gitani, citati in un

atto matrimoniale in qualità di testimoni, della qualifica di mestre, ovvero maestro artigiano, fa pensare inoltre a un loro ruolo di spicco nell'attività della trasformazione dei metalli, in linea con le attività in cui gli zingari erano largamente considerati all'epoca come maestri del settore162.

Conflitti con l'autorità ecclesiastica si verificavano invece a causa della pratica di tecniche di guarigione legate alla medicina popolare e all'esercizio di attività divinatorie163.

Aresu riporta la provenienza dei nuclei presenti in Sardegna nei secoli XVI e XVII sia 156 Per una rassegna di saggi sui gruppi rom di antico insediamento nell'Italia centro-meridionale, cfr. Pontrandolfo

Stefania, Piasere Leonardo (a cura di), Italia romaní vol. 3, Roma, CISU, 2002.

157 Dati del Ministero dell'Interno (2006) riportati in Senato della Repubblica-Commissione straordinaria per la

tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e

Camminanti in Italia, Roma, 2010.

158 Come puntualizza Massimo Aresu nel saggio Zingari tra società e istituzioni in Sardegna nella prima età

moderna (secoli XVI-XVII), in Pontrandolfo Stefania, Piasere Leonardo (a cura di), Italia romaní vol. 3, cit., la

situazione della Sardegna di antico regime è quella di una società estremamente conflittuale, segnata dall'eccesso di forza lavoro nelle campagne e dalla conseguente mobilità di disperati verso le città, a cui vanno aggiunte le forme di mobilità legate alla transumanza dei pastori e agli spostamenti di ambulanti e lavoratori stagionali. Questa massiccia presenza di individui “senza radici” destava la preoccupazione delle pubbliche autorità, “che in tale presenza ravvisavano una minaccia per i legami di vincolo e di soggezione su cui si fondava il fragile equilibrio di potere delle élites isolane” (ivi, pp. 240-241).

159 Ivi, p. 250. 160 Ivi, p. 249. 161 Ivi, p. 251. 162 Ivi, p. 252. 163 Ibidem.

dall'area iberica che dall'Italia meridionale, e problematizza il loro grado di inserimento sociale ipotizzando un quadro di "organicità conflittuale", "in cui atteggiamenti di paura e di sospetto si alternano a comportamenti di sostanziale accettazione", mentre

"più burrascose appaiono le relazioni tra zingari e autorità laiche e religiose operanti nell'isola che, tese nel continuo sforzo di contenimento dei fenomeni di possibile devianza, non potevano non individuare nella loro specificità culturale, etnica, linguistica e nella condotta di vita 'irregolare' un elemento disfunzionale rispetto alle nuove esigenze di uniformità dei nuovi apparati statuali e religiosi in formazione. D'altro canto, l'accanimento persecutorio nei confronti degli zingari non raggiunse mai in Sardegna i picchi di violenza che in molti stati europei contraddistinse l'azione repressiva dei pubblici poteri"164.

In un quadro così variegato, trovarono posto anche fenomeni di assimilazione che non si configurano come un'anomalia in ambito mediterraneo (Italia meridionale e Andalusia)165.

Nei secoli successivi, pur non essendo al momento disponibili studi estesi sulle fonti archivistiche e storiche, è presumibile che gruppi rom provenienti dalla penisola percorressero l'isola esercitando mestieri itineranti, ancora fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando i cambiamenti della realtà produttiva resero antieconomici tali spostamenti. Un anziano signore di Bonorva, intervistato durante questa ricerca, ricordava vividamente l'arrivo delle carovane zingare che, durante la sua adolescenza, giungevano periodicamente in paese con carri e tende e si accampavano appena fuori dal centro abitato, venivano accolti dalle autorità con benevolenza ma anche con preventiva severità ("li si ammoniva di rigare dritto, c'era un capo che si assumeva la responsabilità del gruppo"), gli uomini giravano per il paese e le campagne a riparare utensili, in particolare i recipienti di rame in cui si faceva il formaggio ma anche ombrelli e attrezzi da cucina, e le donne leggevano la mano e chiedevano in cambio o in dono cibo o denaro, ma prevalentemente si occupavano del campo. "La sera – narra il testimone intervistato – noi ragazzi andavamo a curiosare vicino al campo. Bevevano, quanto bevevano! [...] Questo è durato almeno fino agli anni Sessanta, poi sono arrivati i recipienti che non valeva la pena di riparare, [gli artigiani zingari] non servivano più, non si sono più visti".

Elena Abbinante nella sua tesi di laurea ricostruisce invece la presenza delle famiglie sinte legate ai mestieri dell'intrattenimento, in particolare i "lunaparkisti". Secondo l'autrice:

“I Sinti che popolano la Sardegna costituiscono una propaggine di alcune famiglie che abitano nell'Italia settentrionale, più precisamente si definiscono discendenti da una famiglia di Sinti Lombardi, i Dell' (o Delli) Innocenti da parte di madre e da una famiglia di Sinti o forse Manush Francesi da parte di padre, i Duville. [...]

164 Ivi, p. 259. 165 Ibidem.

In Sardegna le famiglie di Sinti presenti ormai da più di cento anni vivono solo ed esclusivamente dei proventi di quello che viene chiamato lo «spettacolo viaggiante», nonostante una crisi che ha sì colpito il settore ma che ancora permette loro di vivere del mestiere dei loro padri. […] In Sardegna [...] in genere i Sinti sardi passano l'inverno nell'ultimo paese in cui hanno lavorato e nel resto dell'anno tengono le carovane vicino ai loro mestieri. [...]

Le famiglie sinte tendono per la maggior parte a continuare a vivere come facevano i loro antenati, tranne poche eccezioni la loro unica unità abitativa è costituita dalla carovana, sia nel periodo delle piazze sia nella stagione morta. Solo alcuni all'interno delle due famiglie di origine sinta presenti in Sardegna, i Duville e gli Steinhaus, posseggono una casa. Ciò avviene o perché un membro di tali famiglie ha sposato un fermo166 oppure, nel caso dei discendenti di Vincenzo Steinhaus ed Olga Duville,

perché proprietari di un luna park stabile, tra l'altro unico in Sardegna, quello cagliaritano del Poetto. I Sinti tendono inoltre a differenziare e distaccare se stessi dagli altri gruppi zingari; alla base di questo distacco pongono il differente modo di vivere, i Sinti odierni basano la loro vita su un tipo di lavoro che esclude ogni ricorso a mezzi "poco onesti" per vivere, poco importa che anche tra le loro donne in passato fosse presente la tradizione di andare ad indovinare (leggere la mano) di casa in casa o di taroccare (indovinare con le carte), tradizioni che sono oggi presenti in vari gruppi zingari ma che sono ormai state abbandonate dalle donne sinte che stanno in Sardegna”167.

Il destino delle famiglie incontrate da Abbinante sembra all'autrice quello di essere assimilate dalla società non sinta in cui si muovono, per via dei matrimoni misti e della tendenza all'abbandono della lingua sinta, considerata il principale elemento di identificazione delle persone sinte rispetto ai “gaggi” (non sinti):

“La perdita della lingua è altresì l'elemento che però sta portando lentamente alla scomparsa delle tradizioni proprie delle famiglie sinte di lunaparkisti e alla loro lenta assimilazione ai dritti. I giovani delle famiglie sinte posseggono ormai una competenza della lingua molto scarsa, solo alcuni la parlano e la maggior parte la capisce solo in parte. Ritengo che la perdita della lingua sia dovuta a diversi fattori. Il primo di essi è l'isolamento delle famiglie sinte presenti in Sardegna, isolamento che se da una parte ha probabilmente fatto sì che la lingua si conservasse senza contaminazioni non ha d'altra parte permesso che queste famiglie potessero restare in contatto con altre famiglie di Sinti.

Un altro fattore che sta portando lentamente alla perdita del sinto è legato ai matrimoni misti, tra Sinti e gaggi e tra Sinti e dritti, che fanno sì che i bambini, specie se è la madre ad essere gaggia o dritta, non apprendano il sinto nel corso dell'infanzia. Anche la frequentazione della scuola fa sì che si abbandoni il sinto a favore dell'italiano. Nel momento in cui verrà a mancare la generazione più anziana delle famiglie sinte presenti in Sardegna, si perderà un grande patrimonio linguistico ma anche di tradizioni che permette alle famiglie di Sinti di distinguere se stesse 166 Come spiega Abbinante, le persone a cui fa riferimento nella sua tesi che praticano mestieri circensi itineranti, tra

cui si trovano sinti, ma anche non sinti nomadi (chiamati dai sinti “dritti”), dividono il mondo in due categorie: “viaggiatori” e “fermi” (Abbinante Elena, Storie di vita delle famiglie del viaggio in Sardegna, Tesi di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in Lettere, a.a. 2001-2002, p. 2).

dalle famiglie di dritti. Allora e solo allora si potrà affermare che ci si trova in presenza di famiglie di origine sinta e non più di famiglie di Sinti, e con la perdita della lingua in realtà mancherà l'ultimo elemento evidente che ci permette di distinguere senza dubbi una famiglia sinta da una dritta.168"

La Sardegna, come accennato in precedenza, è stata infine interessata dall'ultima ondata migratoria169 proveniente da quella che oggi è detta ex Jugoslavia. Si tratta di gruppi familiari

che, "come molti altri immigranti [...] arrivano grazie a quel "travaso" inevitabile che ha luogo ogniqualvolta esista uno squilibrio economico marcato tra aree geografiche vicine: attratti e accecati dall'abbondanza dell'Ovest, essi si lasciano alle spalle la povertà del sud-est europeo"170.

Di solito sono arrivati in Sardegna dopo aver girovagato per alcuni anni nella penisola, come testimoniano anche i luoghi di nascita di figlie e figli: in molti nuclei familiari, le prime nascite sono state registrate in Bosnia o Serbia, le successive in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio o Campania, le ultime in Sardegna.

Al 2002 risiedevano in Sardegna circa 750 persone rom, tutte provenienti dalla ex Jugoslavia, distribuite in 15 comuni171. Ad oggi il numero di persone residenti nei campi di

Sassari, Alghero e Porto Torres è quasi raddoppiato, e ad esse bisogna aggiungere diverse famiglie rom provenienti dalla Romania, poco conosciute in quanto tendono a evitare i contatti con istituzioni e associazioni. Si rimanda al par. 4 per una storia dettagliata delle quattro comunità protagoniste del presente lavoro.

Il principale testo normativo di riferimento per quanto riguarda le comunità rom in Sardegna è la Legge Regionale n. 9 del 9 marzo 1988, intitolata “Tutela dell'etnia e della cultura dei nomadi”172. Essa è costituita da quattordici articoli, ed è conosciuta come “Legge Tiziana” in

quanto fu emanata a seguito di una imponente mobilitazione sociale e politica seguita alla terribile morte, alla fine degli anni '80, di una bambina di nome Tiziana in un campo alla periferia di Cagliari.

L'art. 1 recita: “Per la tutela del patrimonio etnico e culturale degli zingari la Regione sarda promuove interventi diretti ad evitare impedimenti al nomadismo ed alla sosta nel territorio 168 Ivi, pp. 13-14.

169 Tale ondata è stata denominata "diaspora" per le sue dimensioni: si stima ad esempio che la popolazione romá

del Kosovo sia passata, dopo la guerra contro i serbi, da 250.000 a 20-25.000 unità (Piasere Leonardo, I rom

d'Europa, cit, p. 66). Si veda inoltre, per una rassegna di saggi sulle comunità rom immigrate in Italia dalla ex

Jugoslavia, Saletti Salza Carlotta, Piasere Leonardo, Italia romaní vol. 4: La diaspora rom dalla ex Jugoslavia, Roma, CISU, 2004.

170 Piasere Leonardo, Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom, cit., p. 87.

171 Rilevazione effettuata da Loredana Pireddu e Marco Zurru e inserita nella comunicazione al convegno “Il

viaggio dei rom. Una storia di difficile scrittura”, tenutosi a Monserrato (CA) il 21 ottobre 2002.

della Sardegna ed a garantire la disponibilità e l' utilizzazione di strutture a difesa della salute e della convivenza e benessere sociale”. L'art. 2 prevede che l'assessorato regionale competente mantenga contatti con gli enti locali e le “organizzazioni dei nomadi” per mantenere l'aggiornamento sulle problematiche del nomadismo e adeguare i provvedimenti ad esse relativi.

L'art. 3 prevede che le finalità esposte all'art. 1 siano perseguite attraverso l'erogazione di contributi ad enti locali, enti pubblici ed enti privati costituiti con atto pubblico per favorire la conoscenza della cultura “nomade”, facilitare l'istruzione dei bambini nel rispetto della loro

identità culturale e realizzazione, gestione e manutenzione da parte di Comuni e Province di

“campi di sosta e transito appositamente attrezzati”, nonché tramite l'organizzazione di corsi di formazione professionale per favorire l'inserimento lavorativo dei “nomadi”, la “valorizzazione delle loro attività artigianali tipiche” e “forme adeguate di riconversione professionale”. L'art. 4 prevede che le iniziative finalizzate a favorire la conoscenza della cultura “nomade” possano consistere in “convegni, conferenze, pubblicazioni, studi ed indagini conoscitive su vari aspetti della cultura delle popolazioni nomadi, intese a diffonderne la conoscenza, nonchè nell' organizzazione di mostre e rassegne di materiale artistico, folkloristico ed artigianale, finalizzate alla divulgazione ed allo sviluppo delle attività e delle produzioni tipiche di tali popolazioni”.

L'art. 5 stabilisce i requisiti dei campi sosta (maggiormente strutturati), e l'art. 6 quelle dei campi transito (provvisti di dotazioni più essenziali). All'art. 7 è previsto che i Comuni adottino “opportune iniziative atte a favorire l'accesso alla casa delle famiglie nomadi che facciano la scelta della vita sedentaria”, anche utilizzando le agevolazioni previste dal Fondo Sociale Europeo. Seguono poi disposizioni relative alle modalità di richiesta ed erogazione dei contributi.

Si rimanda ai paragrafi 5.1.6 e 6.3 per una disamina più approfondita, nell'ambito delle finalità del presente lavoro, della “Legge Tiziana”, del contesto in cui è stata elaborata e applicata e degli esiti che la sua attuazione ha generato.

3. IL PROCESSO DELLA RICERCA

“La conoscenza non comincia con percezioni o osservazioni o con una raccolta di dati, ma comincia con problemi... ciò significa che essa comincia con la tensione fra sapere e ignoranza... perché ogni problema nasce dalla scoperta che c'è qualcosa che non va, in quella scienza che riteniamo di avere... o in termini un po' più esatti, dalla scoperta di un'apparente contraddizione fra quello che riteniamo nostro sapere e quelli che riteniamo i fatti”.

(Karl Popper, Congetture e confutazioni)

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