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Fatica nelle pavimentazioni stradali in conglomerato bituminoso

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 70-73)

5 Danneggiamento delle pavimentazioni stradali per fatica

5.2 Fatica nelle pavimentazioni stradali in conglomerato bituminoso

Una delle prime definizioni di fatica associate alle pavimentazioni stradali in conglomerate bituminoso fu data da P. S. Pell nel 1962: “accumulo di danno dovuto all’applicazione di carichi ripetuti”. Successivamente, nel 1969, Carl L. Monismith, attuale professore presso l’Università della California a Berkley, ne diede una più accurata: “fenomeno di fessurazione del materiale soggetto a tensioni cicliche o ripetute aventi un valore massimo in genere inferiore alla resistenza a trazione del materiale stesso”. I pionieri dello studio del fenomeno della fatica di pavimenta-zioni stradali in conglomerato bituminoso sono i già citati P. S. Pell e Carl L. Monismith ma an-che T. Doan e W. Van Dijk.

Il danneggiamento per fatica in una pavimentazione stradale si manifesta nel lungo periodo in seguito all’applicazione ripetuta di carichi derivanti principalmente dal passaggio di traffico veicolare. Questo, nelle pavimentazioni in conglomerato bituminoso, si traduce nella formazione e successivo accrescimento di fratture locali con conseguente decadimento delle proprietà mec-caniche della sovrastruttura stradale e impossibilità di adempiere ai compiti per la quale è stata progettata. Concorrono ad accelerare il processo di degrado della pavimentazione e quindi con-tribuiscono ad un peggioramento del comportamento a fatica del materiale le variazioni cicliche di temperatura a cui è usualmente sottoposta una pavimentazione. Il gradiente termico stagionale induce dilatazioni e contrazioni del materiale che, se contrastate, comportano la nascita di stati tensionali interni aggiuntivi. Inoltre, il gradiente termico giornaliero può causare movimenti

dif-63 ferenziali tra i diversi strati con conseguente nascita di ulteriori stati di coazione. Altri fattori re-sponsabili di un peggioramento delle prestazioni a fatica della pavimentazione in conglomerato bituminoso sono: il deterioramento chimico del bitume nel tempo ed eventuali errori nelle proce-dure di realizzazione e posa in opera del materiale.

Il fenomeno della fatica nei conglomerati bituminosi risulta fortemente condizionato anche dalla composizione della miscela bituminosa. Rivestono, infatti, un ruolo fondamentale nel com-portamento a fatica la tipologia e la quantità di legante bituminoso, la tipologia e la forma degli aggregati, il contenuto dei vuoti della miscela. Per quanto concerne il bitume si ritiene che ci sia un incremento della vita a fatica della struttura adottando un bitume modificato con polimeri ela-stomeri e aumentando il quantitativo di bitume in quanto conferiscono maggior elasticità al con-glomerato. Tuttavia esiste un limite superiore al quantitativo di bitume poiché un eccesso dello stesso comporterebbe eccessivi ormaiamenti. Il giusto compromesso viene chiamato in letteratu-ra quantitativo ottimo di bitume. La tipologia di aggregato influisce sul fenomeno della fatica dal momento che per avere un buon comportamento complessivo deve manifestarsi un’ottima affini-tà chimica tra aggregato e bitume. L’aggregato dovrà essere basico per legarsi con il bitume aci-do. Non si hanno riscontri di influenza diretta tra forma dell’aggregato e comportamento a fatica sebbene si sia evidenziata una relazione tra forma e compattazione del conglomerato. Una mi-glior compattazione del conglomerato assicura un mimi-glior comportamento a fatica della struttura. Infine, si deve ricercare una miscela che abbia il giusto quantitativo di vuoti (attorno al 4%): un basso contenuto di vuoti migliora il comportamento a fatica ma un’eccessiva riduzione del quan-titativo lo peggiora.

Alcuni ricercatori ritengono che la miglior soluzione per contrastare il decadimento presta-zionale dovuto a fatica di pavimentazioni di spessore elevato (almeno 150 mm) sia quella di con-fezionare un conglomerato bituminoso compatto, resistente e rigido. In pavimentazioni sottili (circa 50 mm) suggeriscono, invece, di adottare un conglomerato bituminoso non troppo rigido al fine di ottenere un comportamento più deformabile della struttura sotto il carico dettato dal passaggio di veicoli.

In generale, il danneggiamento per fatica si compone di due fasi principali: l’innesco e la

propagazione delle fratture. La fase di innesco consiste nella formazione di microfratture locali

che portano ad una diminuzione generale della rigidezza del materiale mentre la propagazione è la fase in cui, per coalescenza, le microfratture diventano macrofratture. I meccanismi di innesco della frattura nelle pavimentazioni in conglomerato bituminoso sono schematizzabili secondo due tipologie: bottom-up e top-down. Il bottom-up è lo schema secondo il quale le fratture na-scono alla base della pavimentazione in conglomerato bituminoso (nella zona di interfaccia tra lo

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strato di base e lo strato di fondazione) per poi propagarsi verso la superficie. Il passaggio dei veicoli comporta una ripetuta sollecitazione flessionale della pavimentazione (trazione nelle fibre inferiori, compressione in quelle superiori) che nel tempo sfocia in una microfrattura per trazione nella parte inferiore. La sezione si parzializza e l’area resistente diminuisce. In breve tempo le microfratture per coalescenza diventano macrofratture e si propagano verso la superficie con successiva diminuzione della rigidezza complessiva della pavimentazione.

Figura 5.1 Meccanismo di innesco della frattura di tipo Bottom-Up

Il top-down è lo scherma secondo il quale le fratture nascono sulla superficie della pavimen-tazione di conglomerato bituminoso per poi propagarsi verso la base. Il passaggio dei veicoli comporta un continuo punzonamento della lastra inducendo uno stato di sollecitazione di com-pressione al di sotto del sentiero di rotolamento dello pneumatico. Ai lati del sentiero di rotola-mento si ha, quindi, uno stato tensionale di trazione che può sfociare in microfratturazione per effetto di applicazione ripetuta dei carichi. Tali microfratture per coalescenza diventano macro-fratture e si propagano verso gli strati inferiori.

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Figura 5.2 Meccanismo di innesco della frattura di tipo Top-Down

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 70-73)