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L’espressione “4 Maggio 1919” si riferisce innanzitutto agli eventi che accaddero a Pechino, e per la precisione in piazza Tiananmen e nel quartiere delle Legazioni straniere ad essa vicino, il 4 maggio di cento anni fa. Le proteste studentesche scoppiate nel primo pomeriggio di quella domenica, tuttavia, pur avendo rappresentato una svolta fondamentale in termini di fatti storici, costituirono in realtà il culmine, l’acme, il punto di esplosione di un processo molto più lungo ed articolato, che non può in alcun modo essere limitato ai fatti che si svolsero in quell’unico giorno. Proprio per tale motivo, solitamente si fa riferimento al “Movimento del 4 Maggio 1919”, espressione che abbraccia un arco di tempo più ampio e pone l’accento sulla natura composita e aggregativa che caratterizzò il clima intellettualmente vivace sviluppatosi intorno all’Università di Pechino e alle diverse riviste innovative nate a partire del 1915. L’espressione “Movimento del 4 Maggio” sottolinea, inoltre, la stretta connessione tra le proteste studentesche e il Movimento Nuova Cultura, fiorito intorno alla rivista rivoluzionaria

Nuova Gioventù, fondata a Shanghai nel 1915 da Chen Duxiu; gli studenti del 4 Maggio, ovvero

la gioventù intellettuale che si espose in prima persona nelle strade di Pechino in quella domenica di cento anni fa, costituivano, infatti, i diretti eredi di coloro che avevano avviato - negli anni precedenti – l’elaborazione di un pensiero innovativo e di forte critica alla realtà del tempo, e tra i quali si distinguevano Lu Xun 鲁迅, Qian Xuantong 钱玄通, Gao Yihan 高一涵, Hu Shi 胡适, Li Dazhao 李大钊 e Shen Yinmo 沈尹默. Gli storici, a seconda del periodo in cui si è riflettuto sugli eventi e sul Movimento del 4 Maggio, hanno messo in luce e posto l’attenzione su elementi diversi che contribuirono, nell’insieme, a formare quella composita esperienza culminata nelle proteste studentesche. Alcuni studiosi hanno enfatizzato l’importanza dell’attivismo politico e nazionalista degli studenti, altri la funzione imprescindibile svolta dagli intellettuali della generazione precedente, ovvero quella del Movimento Nuova Cultura, leaders del cosiddetto “Illuminismo cinese”. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli studiosi concordano che entrambe le componenti, sia quella dell’attivismo studentesco sia quella della critica culturale, svolsero un ruolo fondamentale nell’esperienza del 4 Maggio. Quanto alle modalità con cui il 4 Maggio è stato interpretato e ricordato nel corso

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della storia, esistono diverse posizioni: gli storici più conservatori e tradizionalisti63 hanno

accusato il Movimento Nuova Cultura e il Movimento del 4 Maggio di aver distrutto la tradizione cinese, in un momento in cui gli intellettuali confuciani stavano tentando di conservare quanto necessario e opportuno della tradizione per rispondere ai profondi cambiamenti sociali e culturali che la Cina si trovava ad affrontare dopo la Rivoluzione del 1911, in una fase caratterizzata da continui e spesso difficili contatti con le potenze occidentali. Gli storici di matrice comunista (e Mao Zedong stesso), invece, hanno più volte definito il periodo del 4 Maggio come una fase necessaria per l’avvento della rivoluzione proletaria; si sarebbe trattato di una rivoluzione di carattere borghese destinata a lasciare il posto al proletariato, il quale avrebbe poi trionfato con la grande rivoluzione comunista. Sebbene il Partito Comunista Cinese sia nato soltanto nel 1921, il 4 Maggio è spesso stato ricollegato, nella Repubblica Popolare, all’azione del proletariato cinese, in un’ottica di reinterpretazione storica che ne ha distorto numerose componenti. Lo storico comunista Fan Wenlan, ad esempio, in un suo contributo all’opera del 1949 sugli eventi del 4 Maggio curata da Chen Boda, vicepreside dell’Istituto marxista-leninista, la più importante scuola del partito comunista, scrisse:

Senza dubbio, la gloria, la grandezza e il ruolo pionieristico svolto dal 4 Maggio sono merito del Partito Comunista, del proletariato cinese, e della popolazione della Cina. Gli intellettuali borghesi... Hanno tradito il 4 Maggio e sono diventati dei vergognosi contro- rivoluzionari.64

La maggior parte degli storici non comunisti in Cina e in Occidente, invece, ha definito il Movimento Nuova Cultura e il Movimento del 4 Maggio come la massima espressione dell’“Illuminismo cinese”65. In particolar modo a partire dagli anni ’80 del 1900, numerosi

ricercatori cinesi hanno sviluppato un’interpretazione critica dei fatti del 1919 profondamente diversa da quella comunista diffusa durante il Maoismo. A differenza di quanto era accaduto nei decenni precedenti, venne sottolineata l’importanza primaria che gli intellettuali del 4 Maggio e della generazione precedente avevano assegnato alla “Scienza” e alla “Democrazia”, volontariamente ignorate in epoca comunista. A partire dagli anni ’90 del 1900, infine, è stato

63 Wang Zheng, Women in the Chinese Enlightenment, Berkeley, University of California Press, 1999, p. 4. 64 Fan Wenlan 范文澜, “Jiqi zhizhui canjia geming jianshe gongzuo” 急起直追参加革命建设工作 (Affrettarsi

per raggiungere e partecipare al lavoro di costruzione della Rivoluzione), in Chen Boda 陈伯达, “Mao Zedong tongzhi lun wusi yundong” 毛泽东同志论五四运动 (Il compagno Mao Zedong racconta del Movimento del 4 Maggio) in Wusi sa zhounian jinian zhuanji, Shanghai, 1949, in Schwartz, Vera, The Chinese Enlightenment, Berkeley, University of California Press, 1986, p. 252.

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più volte ripreso in considerazione il significato e l’importanza della ricerca intellettuale individuale, altro tema portato avanti durante il 4 Maggio. La dimensione dell’individualismo, estranea alla Cina tradizionale di inizio 1900 e importata dall’Occidente attraverso l’opera di molti tra gli intellettuali riformatori del 4 Maggio, è stata ripresa a fine ventesimo secolo per cercare di ampliare la limitata libertà di pensiero percepita da numerosi intellettuali cinesi.

Alle una e mezzo del pomeriggio del 4 Maggio 1919, circa tremila studenti provenienti da tredici istituti scolastici e universitari si riunirono in piazza Tiananmen per manifestare contro il trattamento riservato alla Cina durante la Conferenza di pace iniziata a Parigi nel gennaio del 1919. La pace di Versailles, che poneva ufficialmente fine alla Prima Guerra Mondiale, vedeva vincitrici le potenze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia, ritiratasi dal conflitto nel 1917 a causa della Rivoluzione d’Ottobre), le quali si erano opposte nel conflitto mondiale alle potenze della Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia, che tuttavia in un secondo momento si sarebbe definita neutrale, per poi schierarsi a favore dell’Intesa). Nel 1914, il Giappone, che aveva precedentemente preso accordi con la Gran Bretagna, entrò in guerra contro la Germania, invadendone i possedimenti in Oriente. Tra i territori attaccati vi furono anche quelli tedeschi nella provincia dello Shandong cinese. Il 6 aprile 1917, gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra contro la Triplice Alleanza. Nello stesso mese anche la Cina, dopo un primo periodo di neutralità, dichiarò guerra alla Germania. Duan Qirui, che allora era a capo delle forze armate che governavano la capitale, fortemente influenzato dal Giappone e dagli Stati Uniti, decise, contrariamente al parere di Sun Yat-sen, di entrare in guerra contro la Germania, per riprendersi i territori dello Shandong controllati dalle forze tedesche. Al termine del primo conflitto mondiale, la Cina, pur essendo tra le potenze vincitrici, fu vittima tuttavia di accordi segreti precedentemente stipulati tra le potenze europee e il Giappone, i quali prevedevano la concessione all’Impero del Sol Levante dei possedimenti tedeschi in Oceania e il controllo nipponico sulla provincia dello Shandong. Solo quando la delegazione cinese arrivò a Parigi, nel gennaio 1919, scoprì l’esistenza degli accordi segreti precedentemente firmati dal Giappone con l’Europa, nonché di un trattato, rimasto segreto fino ad allora, che i giapponesi avevano firmato con le autorità di Pechino nel 1918. La Cina si era presentata alla conferenza di pace con l’intenzione di riacquistare il controllo diretto sullo Shandong, nonché con la speranza di ottenere la restituzione dei possedimenti tedeschi in territorio cinese. Il Giappone, invece, sostenendo che la Cina era entrata nel conflitto soltanto nel 1917 e che non aveva quindi contribuito in maniera rilevante alla vittoria della guerra, ribadiva i suoi diritti di controllo diretto sullo Shandong. Gli accordi segreti del Giappone con le potenze vincitrici non erano stati firmati dagli Stati Uniti, i quali, tuttavia, a causa del trattato

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segreto firmato dai giapponesi con la stessa Pechino, non poterono permettere che la Cina riacquisisse il controllo diretto dello Shandong. La delegazione cinese dovette accontentarsi di un controllo “indiretto” sulla provincia: un controllo mediato, chiaramente, dai giapponesi. Alla conclusione della Pace di Versailles la Cina usciva dunque “perdente”, sebbene avesse combattuto a fianco delle potenze vincitrici.

Il trattamento riservato alla Cina alla fine della Prima Guerra Mondiale provocò lo sdegno e il malcontento nazionalista da parte della gioventù cinese, che decise di organizzare una protesta fissata per il 4 Maggio 1919. La sera del tre maggio, all’Università di Pechino, si tenne un’assemblea a cui parteciparono gli studenti più attivi nel campo delle riforme culturali e del movimento nazionalista; a turno, tennero una serie di discorsi profondamente sentiti, in cui ribadivano l’importanza di agire contro la situazione di vergogna e umiliazione nazionale e internazionale in cui era precipitata la Cina. Molti degli studenti provenivano proprio dallo Shandong, e avevano dunque anche delle motivazioni strettamente personali che li spingevano a parlare e ad agire in segno di protesta per il trattamento riservato alla Cina nella conferenza di Parigi. Il giorno successivo, il 4 maggio, quegli stessi studenti, insieme a molti altri, si riunirono a Tiananmen esibendo il cosiddetto “Manifesto di tutti gli studenti di Pechino”, idealmente indirizzato alle potenze europee dell’Intesa perché prendessero provvedimenti contro le ingiustizie inflitte alla Cina. Il Manifesto invitata la popolazione dell’intero Paese alla protesta:

Questa è l’ultima occasione per la Cina, nella sua battaglia per la sopravvivenza o la distruzione. Quest’oggi, insieme a tutto il popolo cinese, prestiamo due giuramenti solenni: 1) Il territorio della Cina può essere conquistato, ma non può essere ceduto. 2) I cittadini cinesi possono essere massacrati, ma non si arrenderanno. La nostra patria sta per essere distrutta! Avanti, fratelli!66

Dopo essersi riuniti a Tiananmen, gli studenti si diressero verso il quartiere delle Legazioni straniere, con l’intenzione di manifestare il loro malcontento per gli accordi finali della Pace di Versailles. L’accesso ai luoghi in cui vivevano e lavoravano gli occidentali, tuttavia, era allora vietato ai cittadini cinesi; i manifestanti, perciò, vennero bloccati dalla polizia davanti all’entrata dell’ambasciata americana. Tentarono di entrare nelle ambasciate di Inghilterra, Francia e Italia, ma, essendo domenica, le trovarono tutte chiuse. Passate due ore,

66 Schwarcz, op.cit., p. 15.

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decisero allora di dirigersi verso l’abitazione di Cao Ruilin, allora ministro degli affari esteri, considerato uno dei maggiori traditori della patria. Riuscirono a entrare di forza nell’abitazione e distrussero tutta la mobilia all’interno. Cao Ruilin, non appena aveva visto arrivare i manifestanti, era scappato via, andandosi a nascondere nel ristorante occidentale Liuguo. Gli studenti trovarono nell’abitazione Zhang Zongxiang, ambasciatore cinese che si occupava dei rapporti con il Giappone. Zhang venne pestato a sangue e morì prima dell’arrivo della polizia. Alcuni di coloro che erano entrati nella dimora di Cao Ruilin, in preda a un autentico furore distruttivo, diedero infine fuoco all’abitazione. Quando, poco dopo, sopraggiunse la polizia, la maggior parte degli studenti si dileguò. Trentadue persone vennero però arrestate e portate in prigione il giorno stesso. Tra gli studenti arrestati figuravano Yang Zhensheng e Xu Deheng; quest’ultimo era un convinto nazionalista che aveva partecipato in prima persona al pestaggio di Zhang Zongxiang. Nella notte passata in prigione, Xu Deheng mise per iscritto una dichiarazione in cui non recedeva di un passo rispetto alle sue posizioni prima dell’incidente del 4 Maggio:

Noi, trentadue studenti, Xu Deheng e gli altri, dichiariamo che Cao Ruilin e Zhang Zongxiang hanno commesso tradimento, e dovrebbero essere puniti. Sono odiati da tutti coloro che hanno coraggio. L’incidente del 4 Maggio è stato soltanto un’esplosione dell’indignazione di migliaia di studenti e di decine di migliaia di cittadini di Pechino.67

I fatti del 4 Maggio, ovvero tutto ciò che accadde quel giorno tra Tiananmen e l’abitazione di Cao Ruilin, costituirono un episodio così importante nel panorama della storia cinese da definire quell’espressione (Movimento del 4 Maggio) con cui in realtà si fa riferimento ad un’intera stagione culturale molto più ampia e complessa rispetto ai soli eventi di quella giornata. Il Movimento del 4 Maggio, estremamente variegato e articolato al suo interno, costituito per lo più dalla gioventù intellettuale formatasi presso l’Università di Pechino dal 1916, affonda indubbiamente le sue radici nel Movimento Nuova Cultura, i cui protagonisti costituirono in qualche modo i “mentori” dei giovani che sarebbero usciti dalle aule scolastiche per protestare contro la Pace di Versailles.

Sebbene alcune personalità fondamentali per lo sviluppo delle idee riformatrici del 4 Maggio fossero già in azione nell’ultimo decennio del 1800 (nello specifico, Kang Youwei e Liang Qichao), in termini generali, il Movimento Nuova Cultura, pilastro imprescindibile per

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il 4 Maggio, viene fatto risalire al 1915, ovvero all’anno della fondazione, da parte di Chen Duxiu a Shanghai, della rivista Xin Qingnian 新青年, Nuova Gioventù, il cui titolo originario era Il giornale della gioventù. Questa rivista, che venne spostata da Shanghai a Pechino quando Chen Duxiu venne chiamato all’Università di Pechino per assumere il ruolo di direttore del Dipartimento di Letteratura, divenne presto il centro del fermento culturale innovatore sviluppatosi dopo la Rivoluzione, per molti versi fallimentare, del 1911. Dopo la mancata costruzione di un moderno stato nazionale, obiettivo della Rivoluzione Xinhai del 1911, molti intellettuali, tra i quali spiccava indubbiamente Lu Xun (che tuttavia cominciò a scrivere su

Nuova Gioventù solo nel 1917, dopo un periodo di cupo isolamento a Pechino), si convinsero

sempre di più che soltanto una rivoluzione culturale capace di modificare radicalmente le abitudini mentali spesso superstiziose del popolo cinese nonché l’attaccamento viscerale delle masse ai precetti del confucianesimo avrebbe potuto porre le basi per la formazione di uno stato moderno. Convinti sostenitori della necessità di apprendere dall’Occidente tutto ciò che concerneva la scienza, il pensiero critico e la capacità di indagare con la propria capacità di giudizio i fenomeni naturali e sociali, gli intellettuali della generazione precedente a quella dei giovani del 4 Maggio si impegnarono, in particolar modo attraverso articoli scritti e diffusi tramite la rivista Nuova Gioventù, a diffondere idee innovative che spingevano i singoli individui a opporsi criticamente nei confronti del sistema patriarcale e tradizionale della Cina confuciana. Il Confucianesimo, considerato dagli intellettuali riformatori come l’origine dell’arretratezza economica e sociale dei cinesi, costituiva, secondo loro, un sistema da smantellare attraverso la diffusione della conoscenza scientifica, delle lingue straniere, del pensiero critico occidentale, nonché della lingua vernacolare (baihua 白话), che a differenza del wenyan 文言, la lingua letteraria di stampo classico, avrebbe potuto diminuire drasticamente il dilagante analfabetismo presente in Cina. La società confuciana, che ingabbiava i cittadini cinesi in rigidi rapporti gerarchici attraverso le sangang wuchang 三纲五常, le norme secondo le quali occorreva sottomettersi di buon animo ai propri superiori, rappresentava, nell’ottica degli intellettuali del Movimento Nuova Cultura, una struttura che soffocava i cittadini, rendendoli schiavi dell’ordine sociale costituito. Una società che, come arriverà a dire Lu Xun nel suo “Diario di un Pazzo” del 1918, spingeva gli uomini a “mangiarsi” reciprocamente. Le

sangang, ovvero le “tre corde”, avevano stabilito, da Confucio in poi, i doveri del principe verso

i sudditi, del padre verso i figli e del marito verso la moglie. Le cinque virtù (wuchang), invece, delineavano le diverse virtù che contraddistinguevano i cinque rapporti sociali di base: nel rapporto sovrano-suddito doveva prevalere la lealtà, tra padre e figlio l’obbedienza dei figli, tra

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marito e moglie la sottomissione della moglie, tra fratello maggiore e fratello minore l’adeguamento del minore al maggiore, tra amico e amico la fiducia. Le norme confuciane, secondo il Movimento Nuova Cultura, avevano costretto i singoli cittadini cinesi all’adempimento di obblighi che ostacolavano al massimo grado lo sviluppo di una propria coscienza e di una propria individualità, ovvero il totale rispetto verso i genitori attraverso la pietà filiale, l’accettazione di matrimoni combinati, l’adeguarsi al pensiero comune, regolato da tradizioni ormai vecchissime. Tali consuetudini e valori, fossilizzatisi in ciò che veniva definito il “carattere nazionale” (guominxing 国民性) dei cinesi, avevano portato il Paese a rimanere bloccato in uno stadio di profonda arretratezza a livello sociale e scientifico rispetto alle potenze occidentali e al Giappone, le quali avevano messo in luce, sia pure attraverso un imperialismo feroce, tutte le inadeguatezze che la nuova Repubblica aveva accumulato al principio del 1900. Gli intellettuali di inizio secolo, che per la maggior parte avevano sia una formazione classico- confuciana sia esperienze di arricchimento culturale maturate all’estero (in particolar modo in Giappone), erano dunque divenuti presto dei ribelli nei confronti della società tradizionale cinese. La diffusione in Cina di nuove correnti di pensiero occidentali quali il darwinismo sociale, il liberalismo, l’anarchismo, il socialismo, il marxismo, e il femminismo, dovuta in parte ai contatti con gli occidentali presenti in suolo cinese, e in parte alla formazione all’estero e all’opera di traduzione di numerosi intellettuali, aveva presto favorito lo sviluppo di un pensiero più moderno, che si faceva portatore di idee innovative quali l’autonomia, la libertà e l’importanza del singolo individuo nella società.

Tra gli intellettuali che ruotavano intorno alla rivista Nuova Gioventù, si venne presto formando un “culto”, una speranza verso le generazioni successive, considerate le uniche che avrebbero potuto risvegliare la Cina dal profondo letargo in cui si trovava dai tempi di Confucio. Il titolo della rivista, con il suo diretto riferimento alla Gioventù, rimandava chiaramente ai propositi verso le nuove generazioni che Chen Duxiu aveva in mente. Nella prima pagina del primo numero di Nuova Gioventù, uscito nel settembre del 1915, Chen Duxiu scriveva:

In lacrime, porgo la mia supplica di fronte ai giovani floridi e pieni di vita, con la speranza che raggiungano la consapevolezza di sé e comincino a lottare. Cos’è la consapevolezza di sé? Consiste nell’essere consci del valore e delle possibilità che risiedono nella gioventù di una persona.68

68 Chen Duxiu 陈独秀, “Jinggao qingnian” 敬告青年 (Appello ai giovani), in Duxiu wencun, Beijing, vol. 1, pp.

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La generazione degli intellettuali del Movimento Nuova Cultura che, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, aveva assistito al fallimento di due grandi tentativi di rinnovare la Cina e di modificare le abitudini mentali dei cinesi (ovvero la Rivoluzione dei Cento Giorni, operata da Kang Youwei e Liang Qichao nel 1898, e la Rivoluzione Xinhai del 1911), confidava solo nei giovani per cambiare effettivamente la Cina. Come scrisse Lu Xun nel suo “Diario di un pazzo”, bisognava in tutti i modi “salvare i bambini, salvare i bambini”, perché soltanto le generazioni successive alla loro, che ancora sentiva fortemente il peso e l’influenza profonda delle norme confuciane, avrebbero potuto operare in senso critico e innovatore nei confronti della società. Non più costretti ad acquisire una formazione classica improntata al sostenimento degli esami imperiali, che li avrebbero indirizzati verso una carriera burocratica e un posto predefinito nella società, i nati alla fine del 1800 potevano cimentarsi nello studio delle lingue straniere, del pensiero critico-filosofico e scientifico di matrice occidentale, nonché nello studio di discipline del tutto nuove in Cina, quali la psicologia. Per la prima volta nella storia cinese, caratterizzata fino ad allora da un assoluto rispetto dell’anzianità, considerata depositaria di saggezza e dunque necessariamente superiore, i giovani acquisivano un ruolo più importante dei loro predecessori, diventando simbolo delle speranze per il futuro della Cina. In un saggio del 1916, Gao Yihan, uno dei maggiori intellettuali del Movimento Nuova Cultura, pur ponendo l’accento sulle difficoltà dei giovani nati in un Paese “dai cittadini deboli e spesso umiliati” come la Cina,