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4. Le ulteriori fattispecie del codice penale suscettibili di integrazione

4.1. Le fattispecie di disastro

La grave e incontrollata diffusione del virus SARS-CoV-2 e il conseguente inarrestabile propagarsi del contagio all’interno del Trivulzio integrano, a parere di chi scrive, un evento di disastro sanitario sussumibile in plurime fattispecie criminose previste dal codice penale e poste a tutela della pubblica incolumità.

La propagazione del virus all’interno della Struttura, peraltro, non si è tradotta in un pericolo per la salute dei soli lavoratori e dei pazienti del Trivulzio ma, a ben vedere, ha interessato indistintamente tutti coloro che, nel corso degli ultimi mesi, sono venuti in vario modo a contatto con gli operatori sanitari e i degenti ivi ricoverati: si pensi, in primo luogo, ai familiari dei sanitari e a tutti i soggetti entrati in contatto con gli stessi al di fuori del luogo di lavoro, nonché ai pazienti e al personale medico delle altre strutture ospedaliere in cui i degenti del Trivulzio sono stati trasferiti a fronte dell’aggravarsi delle relative condizioni di salute.

In questo modo, il pericolo connesso all’evento disastroso verificatosi non è rimasto confinato entro le mura della Struttura, la quale anzi ha avuto un vero e proprio effetto catalizzatore e moltiplicatore del contagio anche verso l’esterno, così concorrendo ad aggravare ulteriormente il pericolo per la salute pubblica discendente dall’emergenza sanitaria in atto.

Con riferimento alle fattispecie di reato suscettibili di integrazione nel caso di specie, ci si riferisce, segnatamente: al delitto di disastro cd. “innominato” aggravato, di cui all’art. 434 co. 2 c.p.; al reato di “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, aggravato dalla verificazione di un disastro, previsto dall’art. 437 c. 2 c.p.; nonché, infine, al nuovo delitto di “Disastro ambientale”, nell’ipotesi prevista dall’art. 452 quater co. 2 n. 3 c.p.

a) Il delitto di disastro innominato di cui all’art. 434 c.p.

1. La prima fattispecie criminosa a venire in rilievo nel caso di specie è il delitto di disastro c.d. “innominato” aggravato dalla verificazione dell’evento, di cui all’art. 434 co. 2 c.p., e punibile, a mente dell’art. 449 c.p., anche a titolo di colpa.

Pare utile prendere le mosse da questa ipotesi di reato poiché dotata di una portata certamente più ampia rispetto a quelle che saranno analizzate di seguito: il disastro innominato, in quanto reato a forma libera, è infatti idoneo ad attrarre nel proprio ambito di

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applicazione tutte e indistintamente le condotte eventualmente addebitabili alla Direzione del Trivulzio, causalmente rilevanti ai fini del prodursi dell’evento disastroso occorso all’interno della Struttura, anche (e in particolar modo) con riguardo a quelle che si sono tradotte in un grave danno alla salute e alla integrità fisica dei sanitari impiegati presso la Struttura, dei numerosi pazienti ivi ricoverati e, addirittura, come detto, dei soggetti esterni al Trivulzio.

2.La fattispecie in esame punisce chiunque commetta atti diretti a cagionare un disastro, alla condizione che dal fatto derivi un pericolo per la pubblica incolumità, e prevede un aggravamento della pena (comma 2) nei casi in cui l’evento disastroso si verifichi.

Ebbene, secondo quando chiarito dalla Consulta nella nota sentenza n. 327/2008 è possibile identificare un’omogeneità, sul piano delle caratteristiche strutturali, di tutti i disastri ricompresi nel novero dei delitti di comune pericolo mediante violenza, che consente di delineare una nozione unitaria di disastro, valevole, dunque, anche per l’“altro disastro”

di cui all’art. 434 c.p., i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo.

In primo luogo, sul piano dimensionale, deve trattarsi di un evento di proporzioni straordinarie, anche se non immani – in proposito la giurisprudenza di legittimità ammette ormai pacificamente che non occorre, necessariamente, essere al cospetto di un vero e proprio

“macroevento”, immediatamente percepibile, di immediata e dirompente forza distruttiva50 – , ma che sia comunque idoneo a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi (a tal riguardo, i giudici di legittimità hanno più volte precisato come il requisito dimensionale vada apprezzato alla luce della potenza espansiva del nocumento correlato all’evento disastroso)51. In secondo luogo, sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, mentre non è richiesta l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti52.

50 Secondo i giudici di legittimità costituiscono eventi disastrosi riconducibili al perimetro applicativo dell’art. 434 c.p. anche fenomeni diffusivi e silenti non immediatamente percepibili e non caratterizzati da una causa violenta, sempre che gli stessi producano una compromissione imponente delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività e che presentino caratteristiche di gravità e diffusività tali da integrare la potenza espansiva del nocumento che è propria dell’evento disastroso (Cass. Pen.

n. 4675/2006; Cass. Pen. n. 7941/2014; Cass. Pen. n. 5273/2016 e Cass. Pen. n. 2209/2018).

51Secondo quanto osservato dai giudici di legittimità, ai fini della configurabilità del disastro “è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente immane. È necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone e che l'eccezionalità della dimensione dell'evento desti un esteso senso di allarme”. Cfr. Cass. Pen. n. 12675/2016; Cass. Pen.

46189/2011; Cass. Pen. n. 9418/2008; Cass. Pen. n. 18974/2009; Cass. Pen. n. 40330/2006; Cass. Pen. n. 45836/2017.

52 Con riferimento al requisito del pericolo per la pubblica incolumità, lo stesso è definito dalla giurisprudenza di legittimità, in ossequio agli insegnamenti della Corte Costituzionale, nella sentenza del 2008 già sopra citata, come

“la messa a repentaglio di un numero non preventivamente individuabile di persone, in correlazione alla capacità diffusiva propria degli effetti dannosi dell’evento qualificabile come disastro”; più in particolare, “ciò che caratterizza il pericolo per la pubblica incolumità è semplicemente la tipica, qualificata possibilità che le persone si trovino coinvolte nella sfera d'azione dell'evento disastroso descritto dalla fattispecie, esposte alla sua forza distruttiva” e il suo accertamento in concreto si

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Ciò che si richiede è, in altri termini, che una pluralità indistinta di persone sia stata esposta a un fattore di rischio e che, a fronte di questa esposizione, abbia corso il pericolo di contrarre una malattia o di morire.

Alla luce di entrambi i suddetti requisiti, dunque, è possibile concludere che i connotati che attribuiscono all’evento il carattere della disastrosità sono, per un verso, la gravità, l’estensione, la complessità, diffusività e difficoltà di contenimento dell’evento di danno e, per altro verso, la circostanza che tale diffusività del danno materiale rappresenti un concreto pericolo per l’incolumità di più persone.

Nell’ambito della categoria del disastro innominato sono state fatte inoltre confluire, da una parte della dottrina e della giurisprudenza, anche le ipotesi di c.d. disastro sanitario, ovverosia i casi in cui dalla condotta dell’agente non sia scaturito alcun danno alle cose, ma sia derivato un danno grave alla salute di una moltitudine di persone53.

sostanzia in un “giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti” (cfr. Cass. Pen. n. 35542/2015; Cass.

Pen. n. 4480/2015; Cass. Pen. n. 35684/2018).

Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, il requisito del pericolo deve ritenersi sussistente “anche quando ad essere esposta sia una cerchia indeterminata di persone, indeterminata anche solo per la fungibilità dei suoi componenti, e senza che sia necessario un loro rilevante numero” (Cass. Pen. n. 5273/2016).

53Celebri sono, in tal senso, i casi dei processi Eternit, Porto Tolle, Tirreno Power e Ilva. In particolare, l’idea che il concetto di disastro possa ricomprendere anche i danni alla salute è stata inaugurata in ambito giurisprudenziale nel noto caso Eternit, in cui la Pubblica Accusa aveva contestato agli imputati il delitto di delitto di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.) e il delitto di disastro (art. 434 c.p.) per avere omesso di adottare una serie di provvedimenti necessari a contenere l’esposizione ad amianto dei lavoratori, in questo modo

“danneggiando la vita e l 'integrità fisica sia di un numero indeterminato di lavoratori sia di popolazioni e causando il decesso di un elevato numero di lavoratori e di cittadini”. Più nello specifico, la Corte d’appello di Torino aveva fatto ricorso alla locuzione di disastro sanitario per ricondurre nel concetto di “altro disastro” ex art. 434 c.p. gli incrementi di mortalità per patologie asbesto-correlate registrati dalle indagini epidemiologiche condotte sui lavoratori e sulla popolazione del territorio circostante agli stabilimenti industriali della Eternit, riconducibili, in ipotesi d’accusa, all’inalazione di fibre di amianto disperse nell’ambiente. Secondo i giudici di Torino, l’evento disastroso sarebbe consistito proprio nel “fenomeno epidemico innescato dalla diffusione delle polveri di amianto” e provato dalle predette indagini epidemiologiche condotte dai consulenti della Procura.

Tale impostazione è stata ripresa, tra l’altro, nel decreto con il quale il GIP di Savona ha accolto la richiesta di sequestro preventivo della centrale termoelettrica Tirreno Power, nell’ambito del procedimento a carico dei responsabili della società Tirreno Power S.p.A. accusati di aver provocato, attraverso l’emissione in atmosfera dei fumi dei combustibili di alimentazione della centrale Tirreno Power di Savona, oltre al grave inquinamento atmosferico del territorio circostante anche migliaia di ricoveri e centinaia di decessi per patologie respiratorie e cardiache tra la popolazione residente nei comuni limitrofi allo stabilimento.

A detta del GIP il fumus del delitto di disastro innominato si ricaverebbe dagli esiti di un’indagine epidemiologica condotta dai consulenti della procura che avevano consentito di correlare all'aumentare del livello di esposizione ai fumi di carbone emessi dalla Tirreno Power una proporzionale crescita dell'incidenza delle malattie cardio-respiratorie tipicamente correlate a quel tipo di inquinamento, nonché dei decessi da queste derivanti. Un quadro che, a detta del giudice, doveva indurre a “ritenere verificato (…) un danno alla salute (inteso quale significativo aumento della morbilità e della mortalità) nelle aree di ricaduta della centrale, di entità tale da ingenerare senza dubbio la nozione di disastro di cui alla fattispecie prevista dall’art. 434 c.p., nonché un pericolo per la pubblica incolumità da individuarsi nel rischio di incremento di morbilità e mortalità, correlato alla protrazione dell’attività della centrale”. I risultati dell’indagine epidemiologica condotta andavano dunque considerati “quale prova della verificazione dell’evento per il passato e, contestualmente, del pericolo attuale per la pubblica incolumità, ove considerato prospetticamente, in ordine all’incremento delle patologie che si determinerebbero in futuro in correlazione alla prosecuzione dell’attività della centrale”.

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Ebbene, alla luce di tali definizioni, pare potersi concludere che la diffusione celere, grave e incontrollata del virus all’interno del Trivulzio, e il conseguente propagarsi del contagio tra pazienti e sanitari della Struttura, causalmente correlabili alle condotte della Dirigenza sopra descritte, rispondano ai caratteri formanti della nozione di evento disastroso, risultando integrati entrambi i requisiti (dimensionale e offensivo) richiesti dalla giurisprudenza ai fini della sussistenza dell’“altro disastro” di cui all’art. 434 c.p.

Evidente è, anzitutto, come tale evento sia connotato, soprattutto se si ha riguardo alle peculiari caratteristiche del contagio da SARS-CoV-2 – che, come noto, si trasmette con estrema facilità da individuo a individuo – da una potenza diffusiva prorompente che ha assunto, nella specie, caratteri di estensione e complessità tali rendere il fenomeno del tutto incontenibile.

Altrettanto evidente appare, in secondo luogo, anche la sussistenza del requisito del pericolo per la pubblica incolumità: la rapida, grave e incontrollata diffusione del virus all’interno della Struttura ha infatti provocato – e tutt’oggi continua a provocare – un pericolo per la vita e per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, quotidianamente esposte al rischio concreto di contrarre la malattia.

Pericolo che – è bene ribadirlo – non è confinato al pur rilevantissimo numero di soggetti (circa 1.000 degenti e altrettanti operatori sanitari) che, all’interno della Struttura, sono stati esposti continuativamente all’agente virale, ma che, al contrario, si è riversato anche all’esterno, andando a colpire una molteplicità indeterminata di ulteriori soggetti, anche del tutto estranei alla Struttura (come i familiari dei pazienti e dei sanitari stessi, ovvero il personale medico e i pazienti di altre strutture ospedaliere, in cui i degenti del Trivulzio sono stati trasferiti a fronte dell’insorgenza di complicanze).

È infine appena il caso di rilevare che la disastrosità del fenomeno di diffusione incontrollata dell’agente virale all’interno della Struttura pare altresì confermata dal rilevante numero di decessi e di infezioni da virus che, secondo i dati a oggi disponibili, risultano occorsi

Come noto, nel caso Eternit, la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza della Corte d’Appello di Torino in punto di individuazione del tempus commissi delicti. La Corte ha, infatti, dichiarato la prescrizione del reato di disastro rilevando che il protrarsi del pericolo per la pubblica incolumità, a distanza di decenni dalla condotta ascritta agli imputati, rappresenta un mero effetto del disastro già verificatosi, effetto che la Corte non ritiene idoneo a spostare in avanti il dies a quo del termine di prescrizione, in quanto il reato di disastro non può essere ricostruito come fattispecie bifasica che preveda un obbligo secondario di eliminazione degli effetti – il protrarsi del pericolo per la pubblica incolumità – della condotta antigiuridica.

Tuttavia, la vicenda Eternit, nella quale le indagini epidemiologiche avevano evidenziato incrementi di morbilità e mortalità anche a distanza di decenni dalla chiusura degli impianti produttivi, avvenuta nel 1986, presenta caratteri diversi rispetto ai fatti occorsi all’interno del Pio Albergo Trivulzio in cui la diffusione dell’agente patogeno all’interno della struttura sanitaria e il pericolo per la salute e l’incolumità di una pluralità indistinta di persone si sono verificati in un contesto spazio-temporale unitario, in cui la prorompente diffusione del virus ha provocato la contestuale messa in pericolo della salute e della vita di una pluralità indistinta di individui.

28 all’interno del Trivulzio54.

b) L’ipotesi dell’omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro aggravata dalla verificazione di un disastro art. 437 co. 2 c.p.

La verificazione di un disastro, quale diretta conseguenza dei fatti addebitabili al Direttore del Trivulzio parrebbe rilevare anche ai sensi dall'articolo 437 c.p., “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, norma che prevede, al secondo comma, un'ipotesi aggravata nel caso in cui dalla condotta illecita origini, appunto, un disastro.

1. Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, la condotta descritta dalla norma è costituita, tra l’altro, dalla omessa collocazione o rimozione di qualsiasi “impianto, apparecchio o segnale”

destinato a prevenire disastri o infortuni sul lavoro55.

Con specifico riguardo agli “apparecchi”, essi sono tradizionalmente identificati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in quei congegni, non particolarmente articolati, destinati in via generale alla sicurezza56 e aventi specifiche finalità di prevenzione57. Pare pertanto pacifico che debbano ritenersi a tutti gli effetti “apparecchi” ai sensi della norma in esame anche tutti quei dispositivi di protezione individuale – ivi comprese le mascherine filtranti – il cui utilizzo, da parte dei lavoratori in servizio presso le strutture sanitarie, è espressamente finalizzato a

54Cfr., supra, par. 2.

55 Con riferimento all’individuazione delle specifiche cautele la cui mancata adozione integra il delitto in esame, assumono rilevanza, accanto ai singoli dispositivi che il datore di lavoro è tenuto a fornire al personale in virtù di specifici obblighi di legge, anche tutte quelle cautele ulteriori che, in base allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche, risultino le più idonee alla prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, la cui adozione è comunque normativamente imposta in virtù del precetto generale contenuto nell’articolo 2087 c.c., che fissa per il datore di lavoro l’obbligo di adottare, appunto, tutte le misure necessarie a tutela dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro (V., in dottrina, Smuraglia, La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale, Milano, 1974; Alessandri, voce Cautele contro disastri o infortuni sul lavoro, in Digesto delle discipline penalistiche, II, Torino, 1991).

56 Cfr. sul punto, Santoriello, I rapporti fra il delitto di rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro ed i reati di omicidio e lesioni colpose per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Arch. Pen., 1/2011, secondo il quale: “nel complesso di tali nozioni si intendono ricompresi tutti i prodotti della tecnica aventi tale destinazione, escluse quindi, le sostanze naturali e le cautele consistenti in particolari metodi di lavoro. In proposito, la Cassazione ha chiarito che l’imprenditore e i suoi collaboratori sono tenuti ad adottare tutte le misure che risultino in concreto necessarie per prevenire incidenti sul lavoro, indipendentemente dalla circostanza che tali misure siano o no previste dalle leggi in materia di infortuni, fermo restando che le prescrizioni previste dalle predette norme siano il risultato di precise elaborazioni tecniche dei dati dell’esperienza e costituiscano un punto di riferimento necessario per valutare l’adempimento da parte dell’agente dell’obbligo impostogli dalla legge”.

57 C. App. Venezia, 15 dicembre 2004.

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prevenire il rischio di contagio da agenti virali58. Siffatta lettura trova peraltro piena conferma anche nella giurisprudenza di merito59 e di legittimità60.

2. D’altra parte, pare evidente, specie nel contesto sanitario, e a maggior ragione a

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