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La fattispecie penale

Nel documento Il reato a concorso necessario improprio (pagine 79-81)

Il primo elemento che compare nella definizione è quello di fattispecie. Ma che cosa si intende con quest’espressione in ambito penalistico?

La fattispecie legale altro non è che un fatto tipizzato all’interno di un modello astratto271.

Quest’affermazione chiama direttamente in causa il concetto di fatto (tipico), sul quale è bene dunque aver contezza272. L’enucleazione del fatto quale categoria sistematica del reato è stata profondamente influenzata dalla dottrina del Tatbestand. Con quest’ultimo termine veniva originariamente definito il cosiddetto “corpo del reato”, ossia l’insieme di quei segni esteriori di un delitto il cui accertamento costituiva indispensabile presupposto per espletare le indagini relative all’autore del fatto. Passando da un’ottica processuale ad una sostanziale, il Tatbestand cominciò ad assumere il significato d’insieme degli elementi contenuti nel modello legislativo di un determinato tipo di azioni illecite. Solo a partire dai primi anni dello scorso secolo venne elaborata una definizione più raffinata grazie alla teoria formulata dal Beling273. Difatti, a quest’Autore è riconducibile il merito di aver enucleato, in sede di scomposizione analitica dell’illecito penale, un concetto di Tatbestand quale elemento costitutivo autonomo del reato, precedente l’antigiuridicità e la colpevolezza. Precisamente, il

Beling ha definito il fatto tipico quale somma dei tratti specifici di una singola figura

criminosa, caratterizzato da una struttura obiettiva che prescinde dal dolo o dalla colpa e che coincide, in buona sostanza, con gli elementi materiali del reato.

Dalla teoria del Beling prende spunto G. Delitala274, erigendo, quasi un trentennio dopo, la teoria del fatto nell’ambito della dottrina generale del reato. Secondo l’impostazione dell’Autore, il concetto di fatto ricomprende la somma degli elementi materiali attribuibili all’agente, che in quanto tali variano al mutare delle diverse figure criminose.

271 Cfr. MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 13 ss.

272 La poliedricità semantica del termine “fatto” è ben evidenziata da FIANDACA G., Voce Fatto nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., vol. V, Utet, Torino, 1991, p. 153: «è proprio affrancandosi da un astratto concettualismo, che riesce meglio cogliere la polivalenza funzionale posseduta dal «fatto» quale categoria penalistica. Come dimostra lo stesso sviluppo dell’elaborazione dogmatica, il concetto di fatto (o di Tatbestand secondo una terminologia invalsa anche presso di noi) è invero suscettivo di assumere significati e/o funzioni che – a ben guardare – mutano in rapporto all’angolazione prospettica prescelta e all’obiettivo di volta in volta preso di mira».

273 BELING E., Die Lehre vom Verbrechen, Tübingen, 1906.

Ad ogni modo, questa teoria, alla quale va riconosciuto il pregio di aver apportato semplificazioni dal punto di vista dogmatico – in quanto ribadisce che esiste qualcosa di indipendente rispetto al dolo ed alla colpa, da accertare autonomamente ed antecedentemente ad essi – è ormai superata. La dottrina, infatti, non ha mancato di evidenziare l’importanza delle componenti subiettive che giocano un ruolo fondamentale proprio ai fini dell’individuazione del fatto tipico275.

Peraltro, la considerazione per cui il fatto non possa ricomprendere i soli elementi oggettivi, è stata ricavata anche da una lettura dell’art. 25 comma II Cost., il quale, fra l’altro, costituzionalizza espressamente il principio di irretroattività: se quest’articolo si riferisse al fatto esclusivamente con riguardo agli elementi oggettivi della fattispecie, allora significherebbe che soltanto per questi varrebbe la regola dell’irretroattività, conclusione che non può ragionevolmente accettarsi276. Da ciò deriva che il termine «fatto» contenuto nell’art. 25 comma II Cost. va inteso come complesso di tutti gli elementi oggettivi ed anche soggettivi della fattispecie criminosa277.

In generale, dunque, la dottrina ritiene che la fattispecie legale comprenda non soltanto i contrassegni oggettivi ma anche i criteri di imputazione soggettiva (dolo o colpa) ed ogni altro requisito capace di influire sulle conseguenze giuridico-penali278.

Affermare l’esigenza di tipicità dell’incriminazione significa porre al centro del diritto penale il principio del fatto e proclamare che la responsabilità penale è legata alla realizzazione di un comportamento normativamente individuato nei suoi caratteri fondamentali, oggettivi e soggettivi, in modo che dalla descrizione traspaia chiaramente

275 Si riporta il pensiero di FIANDACA G., Voce Fatto nel diritto penale, op. cit., p. 157, il quale afferma

che «il dolo e la colpa finiscono con l’assumere una doppia rilevanza sistematica: essi cioè

appartengono, rispettivamente, sia alla sfera della tipicità sia a quella della colpevolezza».

276 RONCO M., Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente, Giappichelli,

Torino, 1979, p. 113 ss.

277 RONCO M., Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente, op. cit., p. 117. 278 Per tutti si rinvia a: DONINI M., Voce Teoria del reato, in Dig. Disc. Pen., vol. XIV, Utet, Torino,

1999, p. 263: «alla tipicità compiuta di un’incriminazione appartengono anche il dolo e la colpa. La

distinzione stessa fra elemento oggettivo e soggettivo è quindi ormai interna alla tipicità, al concetto di fatto tipico, superata da tempo la nozione ristretta di tipicità, di Beling e Delitala, che limitava il fatto tipico ai soli aspetti materiale-esterni (…) prima che alla colpevolezza, dolo, colpa e forme miste attengono alla tipicità, a ciò che è «vietato fare». C’è quindi un dolo e c’è una colpa (fattuale, impersonale, comportamentale, estensibile anche al non imputabile) che, in una logica processuale di accertamento, non sono ancora necessariamente colpevoli. Sono questi gli elementi della «tipicità soggettiva» del fatto di reato, bene caratterizzati soprattutto nelle previsioni espresse delle modalità di lesione dei delitti. Ma anche dove l’incriminazione contempla solo un dolo o una colpa generici, o sia causalmente orientata, nondimeno si impone una tipizzazione interpretativa del «fatto» doloso come distinto da quello colposo: essendovi qui una previsione ellittica, ma non meno effettiva, della valenza modale di dolo e colpa».

il suo disvalore sociale. In altre parole, la funzione essenziale di garanzia assolta dal fatto tipico può considerarsi l’apporto del principio nullum crimen nulla poena sine

lege, poiché grazie ad esso si delinea la materia del divieto o del comando penalmente

sanzionati, tracciando un confine tra la sfera del (penalmente) illecito e non.

Passando al piano della realtà concreta, nel momento in cui un fatto storico corrisponde a quanto descritto all’interno di una fattispecie legale di reato, si dice che è tipico perché riflette il tipo di fatto incriminato dall’ordinamento279. Dunque, la tipicità rappresenta al contempo il modo attraverso cui si individuano le condotte penalmente rilevanti a livello normativo e l’esito del giudizio di conformità di un fatto concreto al tipo descritto dal legislatore280.

Ma non è solo questo: la tipicità è anche un principio di rango costituzionale, ricavabile dall’art. 25 comma II 281. Il principio di tipicità non costituisce solamente un semplice corollario della legalità, essendo strettamente connesso con la determinatezza del contenuto dell’incriminazione282 e con la certezza del diritto, intesa quale possibilità oggettiva di individuare il contenuto delle scelte legislative ed i beni giuridici che necessitano di protezione penale.

Nel documento Il reato a concorso necessario improprio (pagine 79-81)