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Fattori manageriali e ambientali

FORME SUBCLINICHE

3.4. FATTORI DI RISCHIO

3.4.4. Fattori manageriali e ambientali

L’aspetto gestionale svolge senza ombra di dubbio un ruolo fondamentale nel controllo dell’infezione da PCV2 essendo in molti casi possibile ridurre fino ad annullare l’impatto economico di questo patogeno tramite un valido management e l’adozione di adeguate pratiche di igiene (Madec et al., 2008) (tab. 11). Le modalità con cui questa componente può contribuire nella patogenesi sono molteplici e comprendono l’interazione sia con il patogeno che con l’individuo ospite. Procedendo per punti, è evidente che le caratteristiche strutturali, funzionali e gestionali di un allevamento condizionano la circolazione virale, la probabilità e le vie di trasmissione, la pressione infettante e il timing dell’infezione. In secondo luogo può essere condizionata, più o meno direttamente, l’attività del sistema immunitario ed in generale lo stato di salute dell’animale: immunità materna, immunostimolazione ed immunosopressione sono

aspetti che vengono condizionati dalle pratiche di allevamento ed entrano in gioco in modo significativo nel determinare l’esito dell’infezione (Madec et al,. 2000).

Settore Fattore considerato

Effetto sul rischio di PCVD

Elevato numero di scrofe >

Gruppi numerosi nel settore svezzamento e ingrasso > Strutture Vicinanza ad altri allevamenti suini > Mangiatoie separate fra le diverse unità di ingrasso <

Presenza di docce <

Alte percentuali di pareggiementi >

Grande variabilità di età e peso allo svezzamento > Flusso continuo di suini nel reparto svezzamento >

Acquisto di scrofette per rimonta esterne >

Svezzamento precoce (<21gg) >

Divisione dei suini per sesso allo svezzamento <

Maggiore peso allo svezzamento <

Allevamento delle scrofe i gruppo durante la gravidanza <

Management Uso di seme da centri esterni <

Produzione interna di seme >

Valide misure di biosicurezza aziendali <

Livelli di igiene (all-in/all-out) e disinfezioni settore parto e

svezzamento <

Vuoto sanitario < 5 gg >

Titoli elevati di sieropositività materna per PCV2 al parto <

Infezione precoce dei suinetti >

Svezzamneto precoce dei suinetti più pesanti e uso di pre

nursery <

Controllo "pests" <?

Migliore ventilazione <?

Vaccinazione delle scrofe contro PRRS >

Vaccinazione delle scrofe contro E.coli ><

Uso di vaccini separati contro Erysipelas e Parvovirus > Vaccinazioni Scarsa tecnica di iniezione (esita in ascessi e altre lesioni) > Trattamenti Vaccinzione delle scrofe contro la rinite atrofica < Nutrizione Trattamenti regolari contro gli ectoparassiti <

Coinfezoni Uso di ossitocina durante il parto <

Aumento colesterolo e antiossidanti nell alimento <? Somministrazione di fitosteroli immunomodulatori <

Uso di spray dried plasma <

Sieronegatività PRRS e PPV <

Sieroconversione per PPV durante la gravidanza >

Tab 11 ? = Conclusioni ritenute probabili ma che richiederebbero ulteriori approfondimenti.

Tratto e modificato da Madec et al., 2000; Rose et al., 2003; Madec et al., 2008; Misinzo et al., 2009; Verreault et al., 2010; Blunt et al, 2010; Grau-roma et al., 2010.

4.

4.4.

4. DIAGNOSIDIAGNOSI DIAGNOSIDIAGNOSI

La diagnosi di PCVD presenta non poche difficoltà. In primo luogo è necessario ricordare come sebbene PCV2 sia sostanzialmente ubiquitario ed in taluni casi coinvolgente la totalità della popolazione animale, l’insorgenza di malattia è nettamente meno frequente. L’impossibilità di associare con costanza la presenza dell’agente eziologico alla PCVD rappresenta uno dei principali limiti delle metodiche di diagnostica di laboratorio, rendendo potenzialmente non significativi i risultati ai fini della pratica clinica. Parallelamente anche il quadro sintomatologico sovente non si presenta nella sua completezza, venendo spesso alterato nei suoi elementi caratteristici dall’azione di altri patogeni, siano essi implicati nella patogenesi o semplici agenti di irruzione secondaria (Chae et al., 2004). È stato infatti evidenziato come solamente nel 50% circa dei casi riferiti da veterinari, definiti come “esperti”, la diagnosi di PCVD sia stata confermata all’istologia (Opriessnig et al., 2007b). Conseguentemente per la diagnosi di PMWS (Chae et al., 2004) ed in generale PCVD (Gillespie et al., 2009) nel singolo individuo si rendono necessarie: (I) la presenza di segni clinici compatibili, (II) la presenza di caratteristiche lesioni microscopiche, (III) la dimostrazione di PCV2 nella lesione (attualmente le tecniche maggiormente usate in tal senso sono l’ISH e IHC). Le forme sistemiche sono caratterizzate dal riscontro del patogeno a livello di più di un tessuto linfoide o un tessuto linfoide e almeno un organo o di due o più organi. Vice versa se un’elevata presenza di antigene virale è associato solo ad un particolare organo o sistema allora si ricade nell’ambito delle forme localizzate (Opriessnig et al., 2007b). Nella pratica di allevamento il problema clinico riscontrato nel singolo individuo risulta secondario se comparato al contesto generale del gruppo. È nuovamente necessario ricordare come diagnosi di PCVD in singoli animali possa essere fatta in aziende con ottime performances produttive. La distinzione fra la presenza di casi sporadici di PCVD e condizioni che rappresentino un problema a livello di allevamento è quindi necessaria. Nell’ambito del “The Control of Porcine Circovirus Diseases (PCVDs): Towards Improved Food Quality and Safety (Sixth framework programme)” sono stati proposti alcuni criteri per la diagnosi di PMWS a livello di allevamento. In primo luogo deve essere riscontrato un incremento della mortalità, definito come: (I) la presenza di mortalità maggiore uguale ai livelli storici più 1,66 SD, (II) mortalità significativamente maggiore riscontrata tramite Test del chi-quadrato, (III) in assenza di dati storici si può considerare indicativo di PMWS una mortalità superiore del 50% rispetto ai livelli regionali o nazionali. In seguito all’esame anatomo-istopatologico, eseguito su almeno cinque soggetti, l’allevamento è considerato positivo quando sintomi, lesioni macroscopiche e istopatologiche indicative, sono tutte riscontrate in almeno uno

dei soggetti. In altre parole quando la diagnosi di PMWS conseguita usando i criteri individuali è ottenuta in almeno 1/5 dei soggetti. Considerazioni estremamente simili sono state tratte in generale considerando le PCVD nel loro complesso. Fatti salvi i criteri inerenti la mortalità, l’unico elemento di divergenza è rappresentato dalla proporzione di singoli soggetti affetti necessaria a considerare PCVD un problema a livello di allevamento. Sussiste infatti una discrepanza che appare tuttavia logica essendo la PMWS un sottoinsieme delle PCVD. Nello specifico PCVD viene diagnosticato a livello di allevamento qualora risultino positivi il 50% dei soggetti facenti parte di un campione significativo dell’allevamento. Conseguentemente se PCVD vengono diagnosticate in meno del 50% dei soggetti o se non si assiste a significative variazioni nella mortalità aziendale si devono considerare sporadici i casi rilevati (Opriessnig et al., 2007b; Gillespie et al., 2009).

Di seguito viene proposta una breve disamina delle modalità diagnostiche utilizzate.

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