Federica Rossi P A L L A D I O I N RUSSIA NIKOLAJ L'VOV ARCHITETTO
E INTELLETTUALE RUSSO AL TRAMONTO DEI LUMI
pp. 318, €38, Marsilio, Venezia 2011
U
n'autentica rivelazione. Dalasciare sbalorditi anche i più competenti studiosi d'archi-tettura russi ed europei. Per la ric-chezza dei documenti inediti, per la rarità dei materiali iconografici, per la meticolosità dell'apparato critico, il volume di Federica Ros-si Palladio in RusRos-sia è davvero un'autentica rivelazione.
Un titolo in realtà fuorviarne: è il sottotitolo che spiega l'impor-tanza e la novità del saggio,
Niko-laj L'vov architetto e intellettuale russo al tramonto dei Lumi.
Dicia-mo subito: da noi, e non solo da noi, Nikolaj L'vov è un illustre sconosciuto. Perfino a Pietrobur-go in pochi sanno, pur
vedendola tutti i giorni, che è sua la porta sulla Neva della fortezza di Pietro e Paolo. Un ar-chitetto? Non solo. Pri-ma di tutto un formida-bile personaggio di let-terato e scienziato enci-clopedico come ne po-tevano nascere solo in quel paese in convulsa, febbrile, impaziente trasformazione qual era la Russia nel XVIII secolo, dopo la rivolu-zionaria apertura all'Occidente di Pietro il Grande. Una vita nel complesso breve: nasce nel 1753, muore nel 1803. Riesce tuttavia a conoscere e lavorare per tre zar: Caterina, che lo apprezza ma non lo sostiene (il suo preferito è Qua-renghi), Paolo, che lo rivaluta ma regna solo cinque anni, Alessan-dro I, che riesce a sviluppare una brevissima collaborazione (sale al trono nel 1801, due anni prima della morte di L'vov). "Insignifi-cante per titoli, intelligenza e sta-tura fisica. Ecco il mio epitaffio": così scrive di sé. Niente di più fal-so. Di lui così dice l'amico Michail Murav'èv: "Era uno di quegli uo-mini perfetti e rari, dotato di una sicura sensibilità per la bellezza, colmo di intelligenza e di cono-scenze, amava le arti e le scienze". Nasce a Tver', non lontano da Mosca, trascorre l'infanzia nella tranquilla, patriarcale atmosfera della media nobiltà di provincia: un ragazzino curioso, inquieto, te-stardo ("Se voleva un giocattolo, rompeva quel che gli capitava e se
lo costruiva con le sue mani"), in-sofferente ("Se qualcuno lo sgri-dava per la sua monelleria, era ca-pace di buttargli una seggiola in faccia"), molto industrioso ("Se c'era da far girare una ruota a ven-to, correva sul tetto come fosse sul pavimento e la fissava").
A quindici anni gli muore il pa-dre: unico figlio maschio, è co-stretto a farsi strada da solo. Si tra-sferisce a Pietroburgo, sceglie la carriera militare, entra nel reggi-mento della guardia Preobrazen-skij, uno dei più prestigioso del-l'impero, frequenta la scuola an-nessa, istituita dal generale Bibi-kov (uno dei promotori della
tra-duzione in russo dell 'Encyclopédie) : lingue straniere
(francese, tedesco, spagnolo, italia-no), matematica, fisica, storia, scienze naturali, letteratura. "H suo tratto - ricorda un compagno di studi - aveva un che di magnetico, si faceva sentire inevitabilmente la forza del suo intelletto". Lettore infaticabile, divora Montesquieu, Rousseau, Spinoza, Ra-cine, Corneille, Pascal. Lascia la carriera milita-re, entra in quella buro-cratica: nominato, gra-zie alla conoscenza delle lingue, prima corriere poi funzionario del Col-legio degli Affari esteri, viene mandato in mis-sione (per la consegna agli ambasciatori delle maggiori capitali di dis-pacci, lettere, plichi) in tutta Euro-pa, Francia, Inghilterra, Danimar-ca, Italia. Uno dei più alti burocra-ti del Collegio è Petr Bakunin, che nel suo palazzo ha un teatro e un'orchestra: L'vov si rivela abile drammaturgo (di lui sono rimasti quattro testi), ma soprattutto bril-lante musicista. Oltre a essere compositore, è uno dei primi stu-diosi del folklore musicale popola-re: nel 1790 pubblica una raccolta di canti che è oggi riconosciuta una pietra miliare in questo gene-re. Si impone anche come poeta: ama il genere sentimentale ed ele-giaco, ma affronta talora temi pa-triottici, esaltando le imprese di Caterina in solenni odi classiche. La musica, le lettere non sono gli unici campi in cui eccelle. Si inte-ressa di scienza ed economia. La Russia importa carbon fossile dal-l'Inghilterra a prezzi proibitivi? L'-vov studia il problema, trova giaci-menti non lontano da Novgorod e riesce a far produrre carbone coke e torba con enorme vantaggio per l'economia nazionale (ma non è ascoltato, la pigrizia secolare della burocrazia zarista gli mette mille
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bastoni fra le ruote), per primo ri-esce a estrarre lo zolfo dal carbon fossile. Fra tutti i suoi molteplici interessi, quello per l'architettura prende presto il sopravvento, e an-che qui è un precursore. Nei suoi viaggi, soprattutto in Spagna, nota l'uso della terra cruda nella costru-zione degli edifici: non solo lo im-porta, ma organizza una scuola per servi della gleba dove insegna que-sta tecnica e insieme forma com-petenti capomastri, addestra alla realizzazione di ponti, magazzini, •al risanamento di terreni paludosi.
La sua formazione è empirica: le uniche materie attinenti all'archi-tettura sono quelle imparate alla scuola del reggimento. Poi, nei fre-quenti viaggi, osserva, studia, assi-mila: quella è la sua vera scuola. I recessi dell'Escoriai, la galleria di Dresda, il Louvre, Roma con le sue rovine e i suoi mirabili edifici classici, barocchi. Lì impara il sen-so dell'equilibrio, la magnificenza delle forme, la linearità e il senso delle proporzioni. È uno speri-mentatore nell'uso dei materiali: oltre alla terra cruda, introduce la ghisa per i pavimenti e studia nuo-vi sistemi per l'aerazione degli am-bienti (prendendo spunto dalla chiesa di San Simeon Piccolo a Ve-nezia). Ma, soprattutto, il suo mo-dello sommo diventa il Palladio, di cui traduce il primo dei Quattro
li-bri dell'architettura: molti degli
edifici da lui progettati o costruiti sono chiaramente ispirati a proto-tipi palladiani. Come comincia la sua attività di architetto? Poiché nella Russia cateriniana non era una professione ritenta autonoma (come non lo era quella del lettera-to, del resto), le sue prime com-missioni vengono da alti funziona-ri del suo ministero, come Bezbo-rodko, o da aristocratici suoi ami-ci. Così progetta la cattedrale di Mogilev, dove vengono adottate soluzioni d'avanguardia, essenzia-lità della decorazione, accentua-zione delle masse, uso del dorico, diventate usuali un decennio dopo nelle creazioni del "classicismi se-vero" del tempo di Alessandro I; progetta la porta sulla Neva della fortezza di Pietro e Paolo, che ri-spetta, pur rinnovandolo, lo stile preesistente del Trezzini, il Palazzo delle Poste, dove sperimenta il nuovo linguaggio di corte mutuato dal Palladio. Ma soprattutto pro-getta, negli anni ottanta, una serie di piccole ville nobiliari (dace) a Pietroburgo e grandi palazzi sub-urbani (usad'by) di cui nel volume di Rossi vengono raccolti schizzi, rilievi, piante, fotografie di quel che resta (spesso solo rovine o scal-cinati edifici in disfacimento).
Dei quattro capitoli che costi-tuiscono il libro, dopo il primo, biografico, certo il secondo
(L'-vov diventa architetto: formazio-ne e opere) è il più ricco di
mate-riale inedito e documentazione rarissima, il terzo (L'vov e le
an-tichità. Alla ricerca della "verità storica") il più dotto ed erudito,
il quarto (Dall'antico al Palladio.
L'vov e il "dover essere architet-to") il più originale, ricerca
inno-vativa sullo statuto della profes-sione di architetto nella Russia settecentesca e sul palladianesi-mo propugnato da L'vov.
Un libro che rimarrà a lungo insuperato nella storia della
cul-tura settecentesca russa. •
fausto.malcovati@uninii.it
F. Malcovati insegna letteratura e teatro russo all'Università di Milano