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2. Claudio Magris e la traduzione

2.4 La poetica della traduzione di Magris

2.4.1 Fedeltà

Il primo concerne la cosiddetta fedeltà nella traduzione, che ricorre con frequenza nelle indicazioni per i traduttori e che l’autore, in un suo saggio sul rapporto con i propri traduttori, così definisce:

Sono giunto sempre più alla convinzione che nel tradurre la fedeltà, come ogni fedeltà, deve essere assolutamente libera. Infatti la fedeltà nella traduzione si realizza nell’appropriarsi di tutti gli eventi, di tutte le sfumature che riguardano un testo, anche delle manie dell’autore; alla fine il traduttore, per essere veramente fedele, dovrebbe compiere tutte le infrazioni che ritiene necessarie. Egli deve farlo proprio per esprimere realmente nella lingua di arrivo la realtà del testo originale e del suo rapporto con la sua lingua […] (Magris 2007b: 48)

Il concetto di fedeltà è dunque inscindibile da quello di libertà ed entrambi sono a loro volta il presupposto e allo stesso tempo il risultato della capacità (e del coraggio) del traduttore di muoversi nello spazio della lingua in cui traduce, di percorrerlo tutto alla ricerca delle possibili soluzioni e di anche di oltrepassarne all’occorrenza i confini – di natura sintattica, lessicale, stilistica – che la norma pone. Dietro a questo concetto di libertà si intravede, dal punto di vista traduttologico, una presa di posizione a favore della cosiddetta “Verfremdung”, come nella letteratura specialistica tedesca si è soliti definire quell’atteggiamento traduttivo che rimane vicino al testo e alla cultura di partenza, provocando così sensazioni di straniamento (Verfremdung, appunto) nel lettore, in contrapposizione a quell’atteggiamento che, per evitare questo effetto sul lettore, avvicina il testo il più possibile ai canoni linguistici, stilistici e culturali della lingua e cultura di arrivo (ted. “Einbürgerung”, ‘adattamento’).25

Abbiamo visto come l’imperativo della fedeltà si traduca, sul piano del dialogo tra Magris e i traduttori, in frequenti esortazioni da parte dell’autore a soluzioni traduttive audaci

25 Per un approfondimento, cfr. Albrecht (2005: 40-43), Schneider (1985) e Schreiber (2003). In italiano si

distingue tra straniamento e naturalizzazione o anche tra “straniamento e addomesticamento” (Eco 2003: 172, corsivo nel testo), opposizione che ricalca quella tra “foreignizing translation” e “domesticating translation”, con cui Venuti (1998) descrive i due atteggiamenti traduttivi.

o anche azzardate, nonché alla riduzione di interventi di tipo esplicativo e chiarificatore. Da questo punto di vista Magris tocca, più o meno direttamente, una problematica ben nota in seno agli studi traduttologici ossia la tendenza alla semplificazione e alla normalizzazione da parte di chi traduce. Vi si intendono tutte quelle soluzioni traduttive che riducono le marcature del testo di partenza, a qualsiasi livello linguistico queste si collochino (morfosintattico piuttosto che lessicale o pragmatico e così via). Che il fenomeno sia riconosciuto, lo dimostra il fatto che nella ricerca sui cosiddetti translation universals, che caratterizza gli studi sulla traduzione negli ultimi decenni, esso venga spesso etichettato come un tratto universalmente valido della traduzione.26 Van den Broeck (1995: 6) ricorda come le origini di tale tendenza siano da ricercare nel ruolo di interprete che il traduttore si trova ad assumere: “A natural concomitant of the interpeter’s effort to make a text understandable, or better understood for someone else, is in initial and even latent tendency toward explanation and/or commentary.” Lo studioso distingue inoltre tra quei casi in cui tali interventi rappresentano delle “conscious operations of the translators as a secondary text producer” e quelli in cui sono invece piuttosto “the result, rather unconsciously, of his initial intermediary endeavour at making the text easier to understand for its prospective receptors” (van den Broeck 1995: 6). Di quest’ultimo caso si è occupato molto, come ricorda lo stesso van den Broeck, Levý, il quale lo spiega adducendo motivazioni psicologiche:

Ein Grundzug der Psychologie des Übersetzers ist die Bezogenheit auf den Text. Zum Text aber hat der Übersetzer das Verhältnis eines Dolmetschers, und daraus resultieren die beiden sekundären psychologischen Tendenzen des Übersetzungsprozesses: die Intellektualisierung und die Nivellierung.27 (Levý tr. ted. 1969: 122)

Ne deriva, sempre secondo Levý, una “Abschwächung der ästhetischen Funktion des Ausdrucks zugunsten der Mitteilungsfunktion.”28 (Levý tr. ted. 1969: 122)

Sull’argomento riflette anche Eco, che nel suo Lector in fabula dedica un capitolo all’analisi dell’inizio della traduzione italiana del romanzo The Tooth Merchant di Cyrus A.

26

Sull’argomento, cft. Baker (1993). Tra gli studi che attestano la suddetta tesi, citiamo quello di Schwitalla/Tiittula (2009), in cui si analizza, sulla base di un corpus di romanzi tedeschi e finlandesi, la traduzione delle forme linguistiche atte a creare l’illusione dell’oralità nel testo letterario. Attingendo a ricerche fatte sulla semplificazione quale universale traduttivo, gli autori propongono una classificazione delle forme in cui tale fenomeno si può manifestare; tra queste: l’esplicitazione (sotto forma di precisazione o completamento), la semplificazione intesa come minore variazione nell’uso linguistico, riduzione delle polisemie, sintattiche e lessicali, la convenzionalizzazione ovvero la tendenza a usare espressioni convenzionali piuttosto che inusuali, il conservativismo e la standardizzazione che implica una minore variazione rispetto al testo originale. (cfr. Schwitalla/Tiittula 2009: 36-37).

27 [Un tratto essenziale della psicologia del traduttore consiste nel suo rapportarsi al testo. Nei confronti del testo

il traduttore si pone però come l’interprete, il che implica le due tendenze psicologiche secondarie del processo traduttivo: l’intellettualizzazione e il livellamento.]

28

Sulzberger (cfr. Eco 2004: 186- 194), dimostrando come, benché corretta, la traduzione “‘aggiunge’ qualcosa al testo originale: cioè colloca sotto forma di lessemi nella superficie lineare del testo ciò che l’originale inglese lasciava all’attualizzazione del lettore.” (Eco 2004: 186) In questa sua analisi, Eco prende in esame un testo caratterizzato da quella che egli chiama “narratività ‘piana’” (2004: 186), ovvero di un testo che apparentemente non comporta particolari nodi interpretativi per il traduttore, il che lo porta a concludere come la tendenza ad aggiungere e a semplificare sia un “procedimento tipico di tutte le traduzioni, le quali infatti rappresentano, quando sono riuscite, un esempio di cooperazione interpretativa messo in pubblico.” (Eco 2004: 1986)

È interessante osservare come anche diverse analisi delle traduzioni di Danubio di Magris dimostrino tale tendenza. Rega (1993) si concentra sulla resa delle collocazioni metaforiche nella traduzione tedesca, rilevando come soprattutto nel caso di metafore non usuali, il traduttore opti per soluzioni più neutre. Sempre per quel che riguarda la traduzione tedesca,29 Tonelli (1993) giunge a conclusioni analoghe, esaminando la traduzione delle molte (e varie) combinazioni aggettivali del testo originale. Le conseguenze di tali procedimenti di normalizzazione sono da ricercarsi, come affermano entambe le studiose, sul piano del macrotesto, nella misura in cui essi rafforzano la componente informativa del testo e ne indeboliscono invece la dimensione poetica. Trova dunque conferma la tesi di Levý, riportata poc’anzi. In altre parole, si trasforma Danubio in un testo saggistico sul fiume Danubio, mentre passa in secondo piano l’altra possibile lettura: quella del testo come un viaggio sentimentale e soprattutto come finzione letteraria che non vuole ritrarre la realtà oggettivamente, sicché la sorgente del Danubio potrebbe anche essere un rubinetto. (cfr. D: 16-17).

Insistendo tanto sulla fedeltà e la libertà nella traduzione, concepiti come antidoto contro la semplificazione e la normalizzazione, Magris tocca dunque quello che pare essere un nervo scoperto dei traduttori. Allo stesso tempo è evidente come la poetica della traduzione dell’autore derivi in larga parte dal confronto con la traduzione dei suoi stessi testi.