• Non ci sono risultati.

I felici anni sessanta

Gli anni sessanta sono caratterizzati in Italia dal cosiddetto «miracolo econo- mico»: la ricostruzione del paese, lo slancio industriale e in generale economico cambiano in pochi anni, in modo anche radicale, l’aspetto dell’Italia e la vita degli abitanti mettendo fine al suo cronico «ritardo» e innalzandola al livello delle nazioni piú industrializzate. È un progresso troppo rapido per lo sviluppo della struttura istituzionale esistente che, perciò, alla fine del decennio, conoscerà (e non solo in Italia) turbamenti sociali di grande portata. In letteratura sono gli anni

del rinnovamento portato dagli sperimentalisti e dalla Neoavanguardia. Quest’ul- tima nasce a Palermo, quindi molto vicino a Sciascia, con la costituzione del «Gruppo ’63», staccandosi dalla tradizione italiana del secolo precedente per unirsi all’avanguardia europea del XX secolo e, piú precisamente, al surrealismo, al futurismo, al romanzo «opera aperta» di Joyce. Sciascia, però, sceglie un’altra strada.

Nel 1961 la casa editrice Einaudi pubblica Il giorno della civetta, il suo primo vero romanzo. Questo libro riscuote un ampio successo di pubblico, è tradotto in numerose lingue, venduto in oltre un milione di copie e adattato per il teatro e per il cinema. È il primo connubio realizzato da Sciascia fra la forma letteraria del romanzo poliziesco e un soggetto politico preciso, la mafia, connubio che esige un particolare tipo di pubblico, il lettore-cittadino. Lo schema del romanzo polizie- sco, soggetto che interessava la critica del tempo, soprattutto quella di origine strutturalista, era ben noto a Sciascia. Lettore appassionato delle grandi opere anglosassoni e francesi del genere, oltre che attento decodificatore dei loro mec- canismi, il nostro autore aveva già pubblicato una serie di articoli su questo tema44. Non si può dire la stessa cosa della mafia che, in quegli anni, era quasi sco-

nosciuta alla stragrande maggioranza degli italiani peninsulari, anche perché era un argomento di cui si parlava troppo poco e, quando se ne parlava, appariva piú come un tratto tipico della mentalità siciliana che un’organizzazione criminale. In un dibattito pubblico su questo tema, svoltosi a Palermo nel 1965, Sciascia si rife- rirà cosí al suo primo romanzo:

Indubbiamente la mafia è un problema nostro. Io ne ho fatto un’esemplificazione narra- tiva; fino a quel momento sulla mafia esistevano degli studi, studi molto interessanti, clas- sici addirittura; esisteva una commedia di un autore siciliano che era un’apologia della mafia, e nessuno che avesse messo l’accento su questo problema in un’opera narrativa di largo consumo. Io l’ho fatto45.

Torneremo ancora su questa dichiarazione, ma vogliamo precisare fin da ora che essa contiene almeno due idee essenziali per comprendere la strada aperta dal

Giorno della civetta: una riguarda l’intenzione dell’autore di parlare della Sicilia

trattando un problema tipicamente siciliano, la mafia. Naturalmente Sciascia non è uno «scopritore» della mafia, ma è il primo che ne ha fatto un problema nazio- nale, proprio nel momento in cui il fenomeno si estendeva dalla campagna alla città, analizzandone con acume la mentalità, il meccanismo, la complicità con il mondo politico ed ecclesiastico siciliano e le ramificazioni che raggiungevano già da allora il governo centrale. Tutto questo accade proprio quando le autorità poli- tiche e religiose ne negano l’esistenza. Come una sorta di appendice al romanzo,

44V. cap. V.

scrive successivamente la novella Filologia, inclusa poi nel volume Il mare colore del

vino46, del 1963, cioè subito dopo l’istituzione della prima commissione parlamen-

tare d’inchiesta sulla mafia – in parte effetto dell’impressione provocata dal suo romanzo. L’altra idea riguarda l’uso della letteratura come strumento per sensibiliz- zare un vasto pubblico e, conseguentemente, la scelta di una forma letteraria di «largo consumo». Sono queste opzioni importanti e di lunga durata che rispondono entrambe alla temperatura culturale del tempo, di cui abbiamo già parlato.

Inoltre questo romanzo dimostra che l’autore si è creato anche un metodo di lavoro che si potrebbe definire fin da ora cosí: individuare un fatto concreto ed esaminarlo in profondità sulla base di una documentazione attenta e di un’analisi personale dei dati, completata, se possibile, da testimonianze dirette; poi, riempire di finzione e consistenza psicologica gli interstizi di questa realtà e costruire un «tessuto narrativo». Nel caso in questione, il fatto concreto è l’assassinio da parte della mafia del sindacalista comunista Accursio Miraglia nel 1947. In un articolo del 1957 Sciascia, impegnato nello studio del fenomeno mafioso, ne offre una caratterizzazione esemplare come associazione delittuosa47, destinata a diventarne

una sorta di definizione ufficiale, oltre che a procurargli la fama riduttiva di «mafiologo».

Subito dopo la pubblicazione del Giorno della civetta, come se volesse evitare l’appiattimento della sua fisionomia di scrittore, Sciascia cambia interessi e stile. Adesso esplora zone nuove, scoperte dalla sua inesauribile curiosità intellettuale e stilistica, e mira a un’eleganza classica, ora intessuta di giochi intertestuali ora asciutta e solenne. La prima caratterizza il romanzo storico Il Consiglio d’Egitto, pubblicato nel 1963 da Laterza, la seconda, Morte dell’inquisitore, inchiesta sto- rica costruita interamente su documenti d’archivio. Sciascia racconta la loro genesi in questi termini:

Volevo fare la cronaca del massacro dei presunti giacobini, avvenuto a Caltagirone alla fine del XVIII secolo, e avevo cominciato a documentarmi sull’argomento. Scorrendo la Sto-

ria letteraria della Sicilia di Domenico Scinà, raccogliendo il materiale rimasto negli

archivi, e poi leggendo le cronache del marchese di Villabianca, mi si è imposta la figura dell’abate Vella. Poi, negli stessi documenti che mi servirono per Il Consiglio d’Egitto ho incontrato quell’altro personaggio che non doveva piú lasciarmi, Fra Diego La Matina, che mi forní lo spunto per la Morte dell’inquisitore, dei miei libri quello che preferisco.48 Il primo di questi due libri fu salutato con superficialità da alcuni cronisti come una risposta polemica al Gattopardo di Lampedusa, caratterizzazione che a quel momento non dispiacque all’autore, anche se non regge a una lettura piú attenta.

46Si tratta del volume Il mare colore del vino, Einaudi, Torino, 1973, e della novella Filologia. 47V. cap. V.

Il secondo libro, a causa della figura monumentale dell’eretico racalmutese Diego La Matina, eserciterà un fascino eterno piú che sul pubblico sull’autore stesso che ci ritornerà in piú occasioni senza considerarlo mai concluso. La spiegazione di questo fascino, come dichiarerà in un’intervista del 1979, sta nella sua convin- zione che l’inquisizione, contrariamente alle apparenze, è tutt’altro che scomparsa dal mondo.

Sono anni piú sereni e pieni di intensi contatti culturali. Sciascia si può consi- derare uno scrittore già affermato, il che gli dà ora la possibilità di contribuire al lancio di romanzieri giovani e promettenti, come Vincenzo Consolo o Sebastiano Addamo, a stringere amicizia con scrittori apprezzati come Giuseppe Bonaviri, con specialisti di altri settori come lo scrittore sociologo Danilo Dolci, l’antropo- logo Giuseppe Cocchiara, il poeta dialettale Ignazio Buttitta, l’etnologo Antonino Uccello, gli studiosi della mafia Michele Pantaleone e Simone Gatto, il grande filologo e critico letterario Salvatore Battaglia, i fotografi Enzo Sellerio e Giuseppe Leone. Si incontra con gli amici pittori o scultori, nessuno di loro astrattista, con loro discute a lungo di arte e ne presenta le mostre. Sono Renato Guttuso, Emilio Greco, Fabrizio Clerici, Mino Maccari e altri a cui dedicherà saggi critici di rilievo come quelli pubblicati nel volume La corda pazza49che appare alla fine degli anni

sessanta e che impone definitivamente nel mondo delle lettere lo Sciascia saggista. Su questa etichetta ci dobbiamo fermare un momento: già dai primi studi e arti- coli Sciascia aveva fatto vedere un tono e una visuale personalissimi. Adesso invece diventa ovvio che i suoi saggi si situano, stilisticamente e compositiva- mente, in un no man’s land che fa da pendent alla sua eresia nei confronti dei generi letterari canonici. Si è detto giustamente che Sciascia è «saggista nel rac- conto e narratore nel saggio»50, che da un certo momento la sua scrittura si scar-

nifica, arrivando alla parola «limpida e affilatissima» in cui narrativa e saggio ten- dono «sempre piú a coincidere nello spessore quasi immateriale e perciò terribil- mente tagliente d’una parola “piena”: di forza espressiva, di dilemmatica mora- lità», come si esprime Antonio Di Grado51. Infatti, in Sciascia narrativa e saggi-

stica, come si vedrà nei seguenti capitoli, tendono a confondersi in quanto entrambi sono sentiti dall’autore principalmente come «strumenti diversi d’inqui-

49La corda pazza, Einaudi, Torino, 1970. Il volume, che appare nella collana di saggistica della

prestigiosa casa editrice torinese, raccoglie ventotto studi scritti fra il 1963 e il 1970 e ha come sot- totitolo: Scrittori e cose della Sicilia. Alcuni studi sono dedicati alla Sicilia dal punto di vista antro- pologico, altri sono rivolti a opere di artisti plastici, a scrittori siciliani importanti per Sciascia, come Brancati e, di nuovo, Pirandello, e altri ancora sono «cronachette» ante litteram che gettano luce su alcuni personaggi minori della storia siciliana, che destano la curiosità e la fantasia del nostro autore.

50Erika Monforte, I teatri di Leonardo Sciascia, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma,

2001, p. 35.

sizione del reale», modalità di «catturare “altre verità”, imprevedibili, scomode, irritanti: cioè altri dubbi, nuove e infinite serie di congetture e confutazioni».52

Continuando però con i felici anni ’60, dobbiamo ricordare che in quel periodo Sciascia trova anche il tempo di viaggiare in tutta la Sicilia alla ricerca di luoghi, consuetudini, racconti e ricordi; in paesi sperduti nel cuore dell’isola sco- pre, in chiesette dimenticate, dipinti di Antonello da Messina o di Francesco Lau- rana. Da tali esperienze nasce, nel 1965, il volume Feste religiose in Sicilia, pub- blicato dalla casa editrice Leonardo da Vinci di Bari. Il volume è accompagnato dalle fotografie del giovane Ferdinando Scianna, che poi diventerà uno dei piú famosi fotoreporter italiani.

Nel frattempo lavora insieme a Salvatore Guglielmino a un’ Antologia di Nar-

ratori di Sicilia che uscirà presso la casa editrice milanese Mursia nel 1967, e

comincia ad adoperarsi quale membro della commissione scientifica creata dal- l’amministrazione regionale per la pubblicazione delle opere siciliane inedite scritte nei secoli XVIII e XIX. Sempre nel 1967 si trasferisce a Palermo. Si stabi- lisce nel capoluogo siciliano, come un tempo i suoi genitori a Caltanissetta, per permettere alle figlie di frequentare l’università. La grande capitale del vecchio regno non diventerà mai la «sua città», anzi, abitando lí, spesse volte sognerà delle metropoli, secondo lui, veramente vivibili, Milano e soprattutto Parigi. Eppure la città gli fa un ben prezioso regalo: gli apre le sue biblioteche e, soprattutto, gli archivi, in cui compie ricerche frenetiche e di grande utilità. È il periodo in cui Sciascia diventa una sorta di specialista delle «cose di Sicilia» e intorno a lui si forma una cerchia eletta di scrittori e artisti con interessanti iniziative culturali come, per esempio, le gallerie d’arte «La Tavolozza» e «Arte al Borgo» e, soprat- tutto, la fondazione della casa editrice Sellerio, anche oggi una delle piú attive della Sicilia. Intanto collabora a piú quotidiani, di vario colore politico, come «L’Ora» di Palermo, «bandiera della sinistra comunista di Sicilia», come lo chiama Matteo Collura53mentre, su invito del direttore Giovanni Spadolini, ini-

zia una lunga collaborazione con il quotidiano milanese «Il Corriere della Sera» in cui pubblicherà articoli importanti, raccolti sia nel volume La corda pazza, sia, piú tardi, in A futura memoria.

Gli anni ’60 sono anche gli anni di «amoreggiamento» col teatro e col cinema: adesso lavora a un progetto di film documentari e, insieme a Florestano Vancini e Flavio Carpi, anche alla sceneggiatura della controversa pellicola Bronte: cronaca

di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, cui abbiamo già accen-

nato. Nel 1964 si occupa anche di teatro: collabora con Giancarlo Sbragia a un adattamento del romanzo Il giorno della civetta, rappresentato con grande suc-

52Ivi.

cesso al Teatro Stabile di Catania, poi riscrive in italiano la commedia in dialetto

I mafiusi di la Vicaria54. Ma, cosa piú importante, compone, nel 1965, la sua prima

opera teatrale, la commedia L’onorevole, che a suo tempo non fu accolta proprio favorevolmente, ma che poi si rivelerà una grottesca profezia di «Tangentopoli». (Lo stesso valore profetico riveleranno sfortunatamente, piú tardi, anche altre sue opere, come Il Contesto e Todo modo). Italo Calvino legge l’opera restando posi- tivamente impressionato dalla «perfetta disinvoltura» con cui Sciascia usa la tec- nica drammatica. Nel ’67 termina la traduzione del dialogo La veglia a Benincarlò di Manuel Azaña, presidente della repubblica spagnola sconfitto da Franco nella guerra civile, un testo che Sciascia considera: «la piú alta, nobile e solitaria espres- sione dell’angoscia del far politica che ogni uomo politico dovrebbe sentire». Il dialogo è pubblicato da Einaudi, ma il progetto della messinscena al Piccolo Tea- tro di Milano si rivela troppo scomodo per il tempo e non va in porto.55Nel 1969

scrive la sua seconda e ultima opera teatrale, La recitazione della controversia lipa-

ritana (dedicata ad A. D.) che va in scena l’anno seguente a Palermo. Si tratta di

una controversia giuridica fra lo stato laico e l’autorità ecclesiastica nella Sicilia del XVIII secolo, ma, come nel caso del Consiglio d’Egitto, parlando del passato Scia- scia parla non solo delle radici del presente, ma anche del presente stesso: A. D. sono le iniziali di Alexander Dubcˇek, leader della «primavera di Praga», e il dibat- tito riguarda questioni politiche fondamentali che l’invasione della Cecoslovac- chia da parte dei carri armati sovietici aveva ricondotto drammaticamente in primo piano. Partendo dalle caratteristiche letterarie di quel testo, Salvatore Bat- taglia farà un’osservazione di grande importanza in un articolo pubblicato subito nella rivista «Il Dramma»:

Sciascia è oggi uno dei rari scrittori che costruisce l’opera al di là e al di sopra della lette- rarietà, pur essendo intimamente convinto che l’attendibilità e l’attualità della storia e del- l’esistenza sia possibile conseguirle in forme durature mercé il tramite dello stile, nelle strutture del racconto e del teatro, anche nel saggio.56

Tuttavia, il connubio con il teatro e col cinema non durerà. Piú tardi confes- serà che il suo «disamore», specie per il lavoro teatrale, era dovuto a una scoperta dolorosa: la mediazione «devastante» del regista. Dopo, lascerà, quasi con indif- ferenza, ad altri adattare i suoi libri per la scena, per lo schermo.

L’attività frenetica nella capitale dell’isola rallenta, invece, in estate quando lo scrittore ritorna a Racalmuto, dalle zie, nella casa paterna, o, piú tardi, nella casa di campagna che si costruisce nella contrada «Noce». In questi posti nascono tutti i suoi libri e piú tardi ne rivelerà il perché :

54V. cap. VIII. «Vicaria» era il nome di una famosa prigione palermitana. 55V. cap.VIII.

Il migliore osservatorio delle cose siciliane continua ad essere per me il paese in cui sono nato e in cui, anche se spesso ne sono lontano, effettualmente vivo: Racalmuto, in provin- cia di Agrigento.57

E altrove spiega meglio:

Preferisco vivere nel mio paese, dove ci si conosce tutti, dove chiunque può essere se stesso, circondato com’è da gente che non ignora niente d’importante sul suo conto. Credo però anche che la vita di paese sia una fonte incomparabilmente ricca di osserva- zioni. Penso ai «circoli»[…] Questi circoli sono pieni di personaggi che stanno tra Piran- dello e Brancati, con quella loro capacità di organizzare il gioco dell’essere e del parere, e con la sottesa ricerca di un’identità.58

La casa di campagna e l’appartamento pieno di libri a Palermo restano anche nei decenni successivi un polo di attrazione per amici, artisti e scrittori piú giovani. Intorno a Sciascia ronza uno sciame di intellettuali che mirano a trasformare la capitale siciliana in una nuova Atene. Ma alle aspirazioni culturali si oppone la politica dell’isola: gli anni ’60 segnano l’esplosione degli affari e dei delitti della mafia, la selvaggia speculazione edilizia tutelata dalle amministrazioni democri- stiane, dal silenzio delle autorità civili e religiose.

Nel 1966 Sciascia aveva pubblicato un nuovo romanzo poliziesco di successo,

A ciascuno il suo, in apparenza sempre sulla mafia, ormai inurbata e politicizzata,

ispirato a un altro fatto reale, l’omicidio del commissario di polizia Cataldo Tan- doj. Ma come spiegherà poi l’autore nel libro-intervista La Sicilia come metafora, si tratta solo apparentemente di un romanzo di mafia, perché in essenza esso è l’espressione delle ambiguità che hanno accompagnato la nascita della coalizione di centrosinistra in Italia. Calvino gli scrive subito: «Ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in piú il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l’impossibilità del romanzo giallo nell’ambiente siciliano»59. Il libro è ben accolto tanto dal pub-

blico quanto dai giornalisti di sinistra, nonostante la convinzione dell’autore che il suo bersaglio politico sia la critica rivolta alla sinistra60.

Con questo romanzo e, in generale in questo decennio, diventano palesi alcune caratteristiche nuove e che si riveleranno in seguito definitorie per tutta la produ- zione successiva dello scrittore: la prima, che Sciascia inizia a inventare formule

57Nero su nero, II, 798.

58La Sicilia come metafora, ed. cit., p. 21. 59Cfr. Claude Ambroise, Cronologia, I, LIX.

60Aldo Moro, divenuto nel 1959 segretario del partito al potere, la Democrazia Cristiana, aveva

iniziato un orientamento verso sinistra della politica del governo, attraverso l’alleanza con il Partito Repubblicano e il Partito Socialdemocratico – formula che non riuscirà a risolvere i numerosi pro- blemi sociali e politici con cui si confrontava allora il paese.

letterarie proprie tradendo programmaticamente i generi che sembra adottare; la seconda, che gli argomenti dei suoi libri, chiaramente politici, sembrano avere, anche solo dal punto di vista politico, vari livelli di interpretazione; e infine una terza, legata strettamente alla precedente, che ormai Sciascia, scrivendo della Sici- lia, non scrive piú solo della Sicilia.

E non poteva fare diversamente dato che il felice decennio si conclude con grandi sconvolgimenti: il 1968 inizia in Sicilia con il grande terremoto della Valle del Belice, catastrofe mal gestita dalle autorità; seguono la «primavera di Praga», l’esplosione delle contestazioni studentesche in molti paesi dell’Europa (molto vio- lente in Italia) e «l’autunno caldo» (1969) del movimento sindacale. Si tratta, in gran parte, di vecchi malcontenti riacutizzati dall’inefficienza della classe politica, sia essa al potere o all’opposizione, e dal fallimento del suaccennato compromesso con una parte della sinistra parlamentare. I protestatari contestano, nella maggior parte dei casi, non solo elementi puntuali della politica del governo, ma anche, in generale, la stessa autorità e le stesse istituzioni dello stato e propongono forme di organizzazione democratica «dal basso», partendo da strutture nuove come le assemblee studentesche o i comizi di fabbrica61. Queste agitazioni porranno fine,

per il momento, agli esperimenti letterari neoavanguardisti determinando un bru- sco ritorno della cultura alla politica, una svolta che avviene non solo nella lettera- tura, ma anche nel cinema, nel teatro, nel giornalismo. Paradossalmente, Sciascia e Pasolini, due scrittori per cui la letteratura aveva sempre avuto un legame organico con la politica, guardano con riserva e scetticismo le manifestazioni chiassose e l’i- deologia schematica dei contestatori. E ora, con il senno di poi, potremmo dire che avevano ragione e avevano anche torto. Avevano ragione, perché per entrambi a

61Le cose sono in realtà piú complesse e piú ampie: oltre alle formazioni degli studenti e degli

operai, piú o meno spontanee, oltre agli scontri di strada in cui muoiono alcuni carabinieri, a par- tire dal 1968 nascono aggressive formazioni extraparlamentari di sinistra («Potere operaio», «Lotta continua», «Movimento studentesco», «Avanguardia operaia», «Servire il popolo») e di destra