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Donne e sindacato in Francia: dalle origini del movimento operaio al Secondo Dopoguerra

E’ estremamente interessante gettare uno sguardo diacronicamente dilatato alla complessa relazione instaurata in Francia tra donne e movimento dei lavoratori: “E’ noto che in Francia è stato necessario attendere il 1884 perché l’esistenza di sindacati professionali divenisse legale. Prima di questa data dei raggruppamenti professionali, spesso sotto forma di società mutualiste, avevano organizzato la difesa dei lavoratori essendo anche molto attive”270. Si tratta di un progressivo ma assai lento avvicinamento, reso difficile da una tendenza particolarmente spiccata ad arroccamenti ideologici che segnano profondamente le dinamiche socio-politiche delle quali ci occupiamo271. Se per quanto riguarda l’Italia si è assunto come snodo d’origine il momento dell’unificazione nazionale, nel caso francese la scelta di un elemento chiaramente periodizzante risulta forse più aleatoria. Marie-Hélène Zylberberg-Hocquard, autrice di due opere fondanti relative appunto al rapporto donne-sindacati e donne-movimento operaio, segnala la rivoluzione del 1848 come prima esplicita affermazione pubblica di quanto è possibile considerare come classe operaia francese, ma la descrive altresì come ‘fuoco di paglia’ dal punto di vista di un suo consolidamento: ‘fuoco’ destinato infatti ad affievolirsi notevolmente durante il Secondo Impero e capace di riprendere vigore solo a distanza di una dozzina d’anni: “A partire dal 1860 il regime comincia a liberalizzarsi e possiamo datare in questo periodo la nascita del movimento operaio francese”272 .

Successivamente, sono le eccezionali e drammatiche vicende della Comune di Parigi (1871) a costituire un ulteriore momento determinante per la formazione di una coscienza di classe e di forme organizzative via via più delineate. E’ necessario altresì tener conto del fatto che l’industrializzazione del paese, i fenomeni di inurbamento, lo sviluppo delle grandi concentrazioni manifatturiere e contemporaneamente la formazione dei quartieri operai si realizzano in Francia alcuni decenni dopo rispetto al contesto anglosassone e così anche, di conseguenza, il consolidarsi

270 Marie- Hélène Zylberberg-Hocquard, Féminisme et syndicalisme, Editions Anthropos, Paris, 1978, p. 11. “On sait

qu’en France il fallut attendre 1884 pour que l’existence de syndicats professionnels devint légale. Avant cette date des groupements professionnels, souvent sous couvert du mutualisme, avaient organisé la défense des travailleurs, certains étaient même très actifs. ”

271 Jean-Daniel Reynaud, Les syndicats en France, Colin, Paris 1963.

272 Marie- Hélène Zylberberg-Hocquard, Féminisme et mouvement ouvrier, Editions Ouvrières, Paris, 1981, p. 13. “A

partir de 1860 le régime commence à se libéraliser et l’on peut dater de cette période la naissance du mouvement ouvrier français”.

di dinamiche solidaristiche più o meno strutturate in seno alla classe lavoratrice. Come abbiamo avuto modo di precisare, la ricerca relativa ai decenni più recenti, che è al centro del nostro lavoro, ha cominciato ad articolarsi anche in Francia soltanto in anni piuttosto recenti, tuttavia esiste invece un certa mole di lavoro dedicata agli albori del sindacalismo ed all’integrazione delle donne al suo interno. Interrogandosi circa lo stato dell’arte in materia, Laura L. Frader, evidenzia:

Nel fare un bilancio, si nota innanzitutto che questo lavoro ha riguardato soprattutto il periodo anteriore alla Prima Guerra Mondiale. […] Il XIX secolo è infatti il periodo di espansione del capitalismo industriale in Francia ed anche della proletarizzazione per molti operai ed operaie. E’ anche l’epoca eroica dell’avvio delle rivendicazioni operaie, del socialismo e del sindacalismo.273

Vi sono in effetti diverse opere, propriamente storiografiche o di sociologia storica, attraverso le quali alcune studiose - tra gli anni settanta e novanta - si sono impegnate per restituire visibilità alla presenza femminile nell’ambito dei movimenti solidaristici operai francesi274. Sino ad allora infatti, analogamente al caso italiano, la narrazione relativa al movimento dei lavoratori in Francia è risultava gravemente deficitaria tanto riguardo alla effettiva partecipazione femminile quanto anche ad un’analisi più sottile volta a dar conto delle impostazioni di genere di tante strategie politiche e discorsi programmatici adottati in ambito sindacale. Ancora Zylberberg-Hocquard annota molto esplicitamente:

Se, da oltre quarant’anni, gli storici, militanti o accademici, analizzano, esaminano, fanno parlare gli archivi della classe operaia, si tratta ancora troppo spesso di una classe operaia asessuata, il ché sottintende generalmente una classe operaia maschile. Senza dubbio perché si tratta, più spesso, di una storia del movimento operaio piuttosto che della classe operaia.275

Tra coloro che in maniera più originale si sono cimentate in un’opera che potremmo davvero definire di ri-semantizzazione del concetto stesso di classe operaia, ci limitiamo a citare: Marie-

273 Laura L. Frader, «Femmes, genre et mouvement ouvrier en France aux XIXe et XXe siècles : bilan et perspectives

de recherche», Clio. Histoire, femmes et sociétés [En ligne], 3/1996. “A faire le bilan on remarque d’abord que ce travail a surtout porté sur la période de l’avant Première Guerre mondiale. […] Le XIXe siècle est bel et bien la période de l’essor du capitalisme industriel en France et aussi de la prolétarisation pour de nombreux ouvriers et ouvrières. C’est aussi l’âge héroïque du commencement de la revendication ouvrière, du socialisme et du syndicalisme”.

274 Louise-Marie Compain, Les femmes dans les organisations syndicales, V. Giard & E. Brière, Paris 1910.

275 Ivi, p. 8. “Si, depuis plus de quarante ans, les historiens, militants ou universitaires, analysent, examinent, font parler

les archives de la classe ouvrière, très souvent encore il s’agit d’une classe ouvrière asexuée, ce qui sous-entend généralement une classe ouvrière masculine. Sans doute parce qu’il s’agit, plus souvent, d’une histoire du mouvement ouvrier que de la classe ouvrière”.

Hélène Zylberberg-Hocquard276, Madeleine Guilbert277, Michelle Perrot278, e più recentemente Laura Lee Downs279. Utilizziamo un termine tanto ‘forte’, come ri-semantizzazione, non a caso ma poiché davvero riteniamo che la costellazione di significati esplicitamente ed implicitamente connessi al termine ‘classe’ sia stato per lungo tempo mutilata in base ad una prospettiva di genere limitata e limitante che ha teso, come in innumerevoli altri campi, a far coincidere questo termine con una sua versione circoscritta alla presenza e alla rappresentazione del maschile. Lo stesso, d’altro canto, vale per termini ancor più basilari come ‘lavoro’ e ‘produttività’, la cui interpretazione ha inciso tanto sulla costruzione del discorso economico liberale quanto sull’elaborazione marxista. La reductio ad unum operata sino in tempi molto recenti dalla storiografia sul movimento operaio, reitera chiusure ideologiche ben presenti all’interno di questo. Il caso del sindacalismo francese, nello specifico, è stato notoriamente influenzato dal pensiero drasticamente misogino di Pierre-Joseph Proudhon, filosofo ed anarchico - padre del sindacalismo rivoluzionario.

Nell’ambito dell’imponente opera del Dictionnaire Proudhon, François Fourn ammette come: “Eludere la questione della donna nel pensiero di Proudhon potrebbe essere assai invitante – e dichiara – Egli fu un antifemminista di primo piano, un teorico aggressivo della fallocrazia, un misogino odioso o perfino patetico”280. Sebbene Fourn precisi come tali attitudini del pensatore non possano essere giustificate in base ad una presunta acquiescenza rispetto a canoni diffusi all’epoca, sottolineando come Proudhon si scagli innanzitutto contro pensatori socialisti come Fourier e Considérant, ci pare doveroso dar conto - almeno brevemente - delle sue posizioni poiché esse vengono spesso richiamate dalle studiose che si sono occupate del rapporto tra donne e sindacato nel XIX secolo dal momento che queste si diffusero in maniera assai pervasiva specie nel contesto di professioni che molto peso avevano nel quadro dei rapporti di forza tra le diverse organizzazioni sindacali. Fourn ci ricorda come per Proudhon:

La donna non è nulla senza l’uomo. Ella non può essere sua compagna, sua pari, tanto meno può reclamare la propria emancipazione né il più elementare diritto individuale. Non si tratta di un rapporto d’inferiorità come quello che distingue i proletari dalla borghesia […] non si tratta

276 Si vedano le due opere già citate: Féminisme et syndicalisme, Féminisme et mouvement ouvrier. 277 Madeleine Guilbert, Les femmes dans l’organisation syndicale avant 1914, CNRS, Parigi, 1966. 278 Michelle Perrot, Les ouvriers en grève, La Haye : Mouton, Paris, 1973.

279 Laura Lee Downs, L’inégalité à la chaîne : la division sexuée du travail dans l'industrie métallurgique en France et

en Angleterre, 1914-1939, A. Michel, Paris, 2001 (ed. originale 1995).

280 François Fourn, Femme (pp.293-304), in Chantal Gaillard et Georges Navet (a cura di), Dictionnaire Proudhon,

Edictions Aden, Brussels, 2011, p. 293. “Éluder la question de femme dans la pensée de Proudhon pourrait être assez tentant - e dichiara - Il fut un antiféministe de premier rang, un théoricien agressif de la phallocratie, un misogyne odieux ou pathétique même”.

di una realtà suscettibile di evoluzione storica. […] La differenza dei sessi, la disuguaglianza tra l’uomo e la donna è secondo Proudhon un fatto immutabile della natura, impossibile da modificare.281

Quest’analisi mette in luce tutta la contraddizione presente in chi professi di battersi per l’eliminazione delle diseguaglianze - giustamente individuate come prodotti storico-sociali - e si ostini, allo stesso tempo, a considerare quelle tra uomini e donne come dettate e giustificate da una natura immutabile. Proudhon era infatti propugnatore di idee anarchiche, anti-gerarchiche e libertarie: ciononostante, non esiterà a scrivere: “Delicatezza del corpo, mollezza della carne, grandezza dei seni, dei fianchi, del bacino; in compenso, limitatezza e compressione del cervello”282. (Justice, VI, 183). Il pensiero di Proudhon al riguardo andrà nel corso della sua vita esacerbandosi piuttosto che mitigandosi: ingaggerà sui giornali una furibonda polemica contro la possibilità che una donna, Jeanne Deroin, potesse proporre la propria candidatura in occasione delle elezioni legislative nel 1849 e nel 1875 pubblicherà un aberrante pamphlet intitolato La Pornocratie

ou Les Femmes dans les temps modernes. Daniel Guérin, accademico ed attivista del movimento

omosessuale, riportando passi dei Carnets del filosofo, sottolinea come:

Per Proudhon, la donna è una creatura inferiore, ‘subalterna’. La sua ‘inferiorità’ si manifesta attraverso ‘le cose più vergognose’. In altri termini, ‘nella copula, l’uomo è l’agente, la donna l’essere passivo’. […] Fa seguito una aberrante diatriba fallocratica, come diremmo oggi, che non fa certo onore al padre dell’anarchismo. “La donna non è la metà del genere umano; quest’espressione non potrebbe essere più sbagliata. Da ciò consegue che il diritto della donna nei rapporti con l’uomo non ha per principio l’uguaglianza. […] E’ assurdo dire che la società possa essere riformata dalle donne; poiché la donna non è altro che ciò che l’uomo la fa essere”.283

281 Ivi, p. 298. “La femme n’est rien que par l’homme. Elle ne peut être son associé, son égale, encore moins réclamer

son émancipation, pas le moindre droit particulier. In ne s’agit pas d’un rapport d’infériorité comme celui qui distingue les prolétaires de la bourgeoisie […] il ne s’agit pas d’une réalité susceptible d’évolution historique. […] La distinction des sexes, l’inégalité entre les hommes et les femmes est selon Proudhon un fait de la nature immuable, impossible à modifier”.

282 Ivi, p. 295. “Délicatesse du corps, tendresse des chairs, ampleur des mamelles, des anches, du bassin; en revanche,

étroitesse et compression du cerveau”.

283 Daniel Guérin, Proudhon Oui et Non, Gallimard, Parigi, 1978, pp. 218-219. “Pour Proudhon, la femme est-elle une

creature inférieure, ‘subalterne’. Son ‘infériorité’ se manifeste par ‘les choses les plus honteuses’. En d’autre termes, ‘dans la copulation, l’homme est l’agent, la femme est l’être passif’. […] Suit une aberrante diatribe phallocratique, comme on dit aujourd’hui, qui n’est certes pas à l’honneur du père de l’anarchisme. “La femme n’est pas la moitié du genre humaine; cette expression est on ne peut plus fausse. D’ou suit que le droit de la femme dans les rapports avec l’homme n’a pas pour principe l’égalité. […] Il est absurde de dire que la société puisse être reformée par les femmes; parce-que la femme n’est elle-même que ce que l’homme la fait être”.

Proudhon nega dunque alle donne ogni soggettività ed autonomia. Come accennato, il pensiero di questo autore - sebbene non costituisse l’unica voce nel panorama del socialismo e del sindacalismo dell’epoca - ebbe notevole risonanza all’interno del movimento operaio francese, specie presso alcune categorie professionali come quella dei lavoratori ‘del Libro’, operai qualificati impiegati nelle tipografie, tra i più sindacalizzati ed insieme tra i maggiori oppositori all’accesso femminile al lavoro salariato. La loro federazione si mosse ad esempio in maniera decisa per sostenere il divieto al lavoro notturno per le lavoratrici (legge del 1892), in modo tale da escluderle dagli atelier di stampa dei giornali. E’ poi molto noto, in anni ben più tardi, il caso di madame Couriau - tipografa e moglie di un tipografo - che nel 1913 chiese l’iscrizione al sindacato del libro di Lione: questa le venne rifiutata ed inoltre suo marito venne radiato dall’organizzazione in quanto ‘reo’ di averle consentito di esercitare la professione. La Couriou si rivolse allora ad un sindacato femminile che, non avendo avuto riscontro a fronte di alcuni tentativi di mediazione con la controparte maschile, decise quanto meno di dare visibilità a tale vicenda ottenendone alcune cronache giornalistiche che scatenarono un vivace dibattito nell’opinione pubblica. Simili controversie danno conto non soltanto del nodo relativo al diritto delle donne a forme di tutela e sindacalizzazione, ma anche di quello - ancor più fondamentale - del diritto delle donne sposate al lavoro salariato extra-domestico. Che le donne potessero invece dedicarsi a forme di lavoro a domicilio, precarie e sottopagate, era infatti considerato generalmente ammissibile dai lavoratori maschi: il confine tra pubblico e privato era in qualche (seppur perverso) modo preservato e nessuna minaccia era portata all’occupazione più stabile e meglio remunerata che tradizionalmente spettava loro.

Abbiamo accennato alle prese di posizione della federazione del Libro, poiché le autrici che abbiamo citato sopra ci restituiscono un’immagine sfaccettata del rapporto tra donne e sindacato che s’innesta di volta in volta sulle specificità delle diverse categorie professionali e che s’intreccia con il dipanarsi delle vicende del primo femminismo francese, nonché con eventi storici come ad esempio i conflitti mondiali. Zylberberg-Hocquard, precisa:

Come, in tali condizioni, si può affermare se il sindacato francese fosse favorevole o contrario al lavoro delle donne? Ci sono risposte molteplici che a volte non riguardano che il loro autore o una federazione isolata. […] Le donne non esprimono che raramente la loro opinione sul fatto di

esercitare un lavoro retribuito. Non sono che poche di loro ad assistere ai congressi e spesso rimangono in silenzio.284

Se attingere alle voci delle donne è risultato spesso complesso, è proprio attraverso il vaglio dei documenti congressuali delle organizzazioni sindacali che un’altra studiosa, Madeleine Guilbert (sociologa che non a caso, nel corso degli anni Settanta, collaborerà a più riprese con la CGT per condurre indagini relative appunto alle donne lavoratrici), è in grado di restituirci un catalogo delle diverse reazioni dei lavoratori maschi al progressivo ingresso delle donne nel mondo del lavoro salariato e in particolare nel contesto di professioni di tradizionale appannaggio maschile. Tra le misure prese in considerazioni, troviamo:

-

dichiarare sciopero tutte le volte che delle donne vengano assunte per rimpiazzare degli uomini, o assunte a salari inferiori

-

imporre a tutti gli iscritti al sindacato di impedire alle loro mogli e figlie di farsi assumere

-

convocare un congresso che coinvolga tutti i settori industriali dove si verifichino tali fenomeni

-

proibire alle donne certi lavori

-

riservare loro alcuni lavori, eccetto quelli in cui sono in concorrenza con gli uomini

-

esigere il rispetto delle norme sui limiti dell’impiego femminile (es. turni di notte)

-

potenziare i poteri degli ispettori del lavoro

-

intensificare la sindacalizzazione delle donne

-

esigere stesso salario per uno stesso lavoro285

E’ possibile, dunque, delineare una gamma molto varia di approcci relativi da un lato all’accesso al lavoro, dall’altro alle pratiche militanti e alla sindacalizzazione femminile: in via generale, emerge una tendenza prevalentemente ‘protezionistica’ che tende a smussarsi soltanto di fronte al proprio fallimento e dunque all’impossibilità di arginare simili fenomeni. Nel momento in cui si comincia a prendere atto del fatto che le lavoratrici salariate siano una realtà con la quale è inevitabile misurarsi, si comincia a riflettere su strategie alternative che consentano di evitare fenomeni di ‘dumping’ salariale o di diretta concorrenza. Data la chiusura di molti sindacati alla partecipazione femminile, sin dalla metà dell’Ottocento vanno infatti creandosi sindacati femminili separati i quali, promuovendo l’occupazione delle proprie iscritte, in alcuni casi si rendono responsabili dell’invio

284 Zylberberg-Hocquard, Féminisme et Syndicalisme, p. 152. “Comment dans ces conditions affirmer que les syndicats

français sont pour ou contre le travail des femmes? Il y a des multitudes de réponses, qui parfois, n’engagent que leur auteur, ou une fédération isolée. […] Les femmes ne donnent que très rarement leur opinion sur le fait qu’elles exercent un travail salarié. Elles ne sont que quelques unes à assister aux congrès, et y restent souvent muettes ».

di lavoratrici in sostituzione di lavoratori uomini in sciopero. Non si tratta, tuttavia, di fenomeni massicci e casi come questi sono sovente preceduti da trattative a livello sindacale che mirano a integrare le donne nelle organizzazioni maschili e vengono sabotate proprio dal rifiuto opposto dai loro quadri direttivi. Guilbert sottolinea maliziosamente: “Nemmeno l’idea di coinvolgere le donne nei sindacati è sempre libera da retro-pensieri. […] Non si pensa forse, talvolta, che se le donne sono sindacalizzate, dunque meno docili e più esigenti in merito ai salari, i padroni esiteranno maggiormente a ricorrere a loro?”286. I sindacati separati femminili sono la risposta più immediata alle chiusure delle organizzazioni maschili che rifacendosi a ideali di ‘domesticità femminile’ estremamente simili a quelli propugnati dalla borghesia, mirano a lungo ad escludere le donne dal lavoro salariato tout-court, specie le madri di famiglia. Le organizzazioni di sole donne si sviluppano da un lato nei settori produttivi a più alti tassi di occupazione femminile, come quello dei tabacchi o dell’abbigliamento, dall’altro in quelli tradizionalmente maschili che più fieramente si oppongono ad ogni apertura - come nel già citato caso dei lavoratori delle tipografie - per fornire un’alternativa alle lavoratrici287. Nell’ambito di analisi svolte sui congressi sindacali, troviamo ad esempio il riferimento ad un intervento della delegazione francese al congresso dell’AIT (Association International du Travail) a Londra nel 1865: “Il posto della donna è il focolare domestico…la natura l’ha resa nutrice e casalinga, non distogliamola da queste funzioni sociali per portarla fuori strada”288. D’altro canto, verso la fine del secolo e con la progressiva formalizzazione dell’istituzione sindacale, è possibile ascoltare voci diverse che si levano a sostegno delle donne:

Al primo congresso fondativo della federazione nazionale dei sindacati a Lione (1886), il problema del lavoro femminile è evocato e, per una volta, da una donna, la delegata della corporazione delle dame riunite di Lione. L’oratrice comincia mostrando che, se le donne della borghesia possono essere donne di casa, ciò è invece impossibile per la proletaria che deve, poiché la paga del marito è insufficiente, perché è vedova, nubile, etc… « Far fronte alle spese per le esigenze della famiglia ». Ma aggiunge : « La donna deve lavorare anche senza una necessità assoluta, ella deve lavorare per essere indipendente, per essere libera, per essere pari all’uomo ». Fu, sembra, applaudita vivamente.289

286 Ivi, p. 193. ““L’idée même d’attirer les femmes dans les syndicats n’est pas toujours , semble-t-il, exempte d’arrière-

pensées. […] Ne pense-t-on pas parfois que, si les femmes sont syndiquées, donc moins dociles et plus exigeantes concernant les salaires, les employeurs hésiteront davantage à faire appel à elles?”.

287 Jacques Alary, Le travail de la femme dans l’imprimerie typographique, ses conséquences physiques et morales,

Marpon et Flammarion, Paris 1883.

288 Zylberberg-Hocquard, Féminisme et Syndicalisme, p. 154. “La place de la femme est au foyer domestique…. la

nature l’a fait nourrice et ménagère, ne la retournons pas de ces fonctions sociales pour la jeter hors de sa voi” .

289 Ivi, p. 155. “Des le premier Congres constitutif de la fédération nationale des syndicats à Lyon (1886), le problème

du travail des femmes est évoqué et, por une fois, par une femme, la déléguée de la corporation des dames réunies de

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