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La comparazione

Come accennato, il fenomeno del femminismo sindacale è stato spesso descritto - almeno all’interno del dibattito storiografico italiano - come un esito peculiare di questo contesto nazionale. Ora, sebbene sia possibile - in base alle ricerche svolte - delinearne una diffusione ed un radicamento nel quadro sindacale italiano piuttosto eccezionali, tuttavia limitare il nostro campo di indagine a tale contesto avrebbe comportato - di per sé - l’impossibilità di sostenere simili affermazioni, poiché in assenza di un quadro di riferimento più ampio, la stessa eccezionalità di un evento storico cessa senz’altro di potersi definire tale. L’interesse ad adottare una prospettiva di ricerca maggiormente articolata è dunque motivato in prima istanza dal desiderio di verificare una ipotesi storiografica che, nel corso degli ultimi decenni, è in qualche modo divenuta ‘senso comune’, senza che di fatto essa fosse mai sottoposta rigorosamente al vaglio di una indagine su scala internazionale. In effetti, ad ormai quarant’anni dallo svolgersi degli eventi cui facciamo riferimento, la narrazione stessa dell’esperienza del neofemminismo sta cominciando ad essere posta al centro di una analisi anche discorsiva, utile a ricostruire appunto le persistenze, i ‘luoghi comuni’, le mitologie attraverso le quali la memoria collettiva del movimento delle donne si è andata costruendo. Questo tipo di disamina è ad esempio condotta in maniera assai proficua e documentata da Clare Hemmings che nel suo “Why stories matter”45 scandaglia a fondo la ‘mitopoiesi’ della critica femminista, mettendone in luce i processi di ‘costruzione di senso’ legati a narrazioni di “progresso, perdita, ritorno”. Se da un lato condividiamo la necessità di uno sforzo autoriflessivo volto a svelare i meccanismi della narrazione; dall’altro riteniamo che un impegno per meglio definire lo sviluppo di una delle diverse ‘anime’ del neofemminismo – così da metterne in luce similitudini e discrepanze in un quadro sovranazionale - possa altrettanto utilmente contribuire alla costruzione di una narrazione forse meno ‘epica’ (poiché meno ‘eccezionale’) e tuttavia più interessante da un punto di vista euristico poiché volta a restituire al neofemminismo il suo originale respiro transnazionale. Il tentativo portato avanti da donne sindacaliste per integrare la tradizionale politica delle organizzazioni dei lavoratori con una prospettiva femminista, è certamente riscontrabile in quasi tutti i contesti nazionali occidentali durante la seconda metà del

45 Clare Hemmings, Why Stories Matter. The Political Grammar of Feminist Theory, Duke University Press, Durham,

Novecento. Sarebbe miope immaginare che non fosse così, e tuttavia risultano assai diversificate e perciò interessanti le modalità e le tempistiche con le quali tale contaminazione di pratiche ed obiettivi è andata prendendo forma nei diversi paesi.

Un approccio ‘trans-locale’

E’ da aggiungere che cimentarsi in un mero raffronto tra stati nazionali sarebbe risultato altrettanto riduttivo e superficiale quanto limitarsi ancora un volta alla analisi di un unico paese. Nel mio progetto di ricerca ha infatti preso corpo via via più compiutamente una ipotesi alternativa: quella, cioè, di utilizzare come ‘unità di misura’ di base la dimensione urbana, scegliendo in Italia i casi di Milano, Genova, Torino (il cosiddetto ‘triangolo industriale’) ed in Francia i casi di Parigi e Lione. Dovendo approcciare un segmento di indagine storiografica finora pressoché inesplorato, proponendo altresì una modalità di ricerca originale e complessa in grado di restituire ‘profondità’ all’esperienza in questione, si è deciso di soffermarsi prioritariamente sulle principali realtà nelle quali si è manifestato il femminismo sindacale all’interno dei paesi considerati.46 Sebbene tale selezione si sia rivelata utile anche per minimizzare le difficoltà dovute al reperimento delle fonti (che dal punto di vista dell’ordinamento archivistico, come riportato nel paragrafo relativo, risultano di non semplicissimo accesso), essa fondamentalmente si inserisce in una innovativa prospettiva di ricerca che, a livello globale, tende a promuovere l’importanza del piano locale nell’analisi dei movimenti delle donne. Un approccio ‘trans-locale’, come lo definiamo, ci consente infatti di dare pienamente conto delle importanti sfumature e declinazioni che l’attivismo femminile, notoriamente assai più policentrico ed antigerarchico rispetto a quello misto, fu capace di esprimere nel corso degli anni Settanta. Inoltre, il proposito di ricostruire in prima battuta le realtà dei centri principali è legata alla modalità di circolazione delle informazioni tra i Coordinamenti che - pure se fortemente orizzontale - evidenzia come le città prese in considerazione da un lato fossero in stretta relazione tra loro, e dall’altro producessero elaborazioni che erano poi veicolate e fatte circolare ai livelli provinciali. Mi sono proposta di privilegiare questa unità di misura ‘cittadina’ (seppure per centri importanti) anche alla luce delle numerose critiche sollevate nell’ambito del dibattito relativo alla metodologia storiografica riguardo all’analisi

46 Ulteriori sviluppi, più sensibili alle realtà minori della provincia non sono naturalmente esclusi. Per quanto riguarda il

caso italiano, anzi, un tentativo in questo senso è già stato realizzato in occasione della tesi di laurea magistrale: Per una storia del femminismo sindacale: I corsi 150 ore delle donne: il caso di Reggio Emilia. Tesi condotta sotto la supervisione della professoressa Marica Tolomelli e discussa nel luglio 2011 presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Bologna.

comparativa. Ritengo infatti per molti versi fondate, ancorché talvolta ingiustamente tranchants,47 le accuse mosse nei confronti di molti testi comparativi in ragione della eccessiva enfasi posta sul piano nazionale. I cosiddetti ‘jeux d’échelles’48 nei quali il ricercatore è chiamato ad impegnarsi al momento della scelta comparativa, mi hanno indotta a ritenere che, ai fini della valorizzazione dell’autonomia e della specificità dei diversi contesti cittadini che ho scelto di indagare, il fatto di ‘sfumare’ il rilievo del livello nazionale - prevalentemente utile in termini analitici - giovi ad una ricostruzione che si sarebbe altrimenti potuta rivelare una omogeneizzazione semplicistica ed una categorizzazione a priori identificata con le realtà nazionali di Italia e Francia. E’ invece mia intenzione lasciare che le specificità delle diverse città prese in considerazione possano emergere nel corso della ricerca creando di volta in volta geometrie variabili in termini di similitudini e differenze con tutte le altre città, della stessa nazione o meno - senza restrizioni preconcette. E’ chiaro che il quadro nazionale implichi una condivisione di riferimenti importante, ad esempio sul piano legislativo, riguardante il mondo del lavoro o i diritti civili delle donne, e tuttavia la presente ricerca evidenzia l’importanza di tutta una serie di fattori ulteriori che davvero sembrano incardinarsi assai profondamente nel tessuto urbano, sociale e produttivo. Uno fra tutti: il rapporto con i collettivi femministi radicali presenti nei diversi territori. La pratica e lo sviluppo dei gruppi femministi all’interno del sindacato sono stati certamente influenzati dal grado di coinvolgimento delle sindacaliste con il movimento delle donne in generale e data la natura stessa del movimento femminista, acefalo - poiché insofferente alla delega ed intimamente spontaneista - nonché estremamente variegato, davvero sarebbe risultato fuorviante basare la nostra ricerca su una più o meno esplicita assunzione del livello nazionale come prioritariamente determinante. Come ben precisato da Werner e Zimmermann nel loro articolo del 2003: “Affrontare la questione della scala insieme come dimensione intrinseca all’oggetto e come opzione cognitiva o metodologica scelta dal ricercatore implica una rottura con una logica di scale precostituite […] come è sovente il caso per il nazionale o per le grandi date della cronologia politica che si impongono come quadri naturali d’analisi, definiti indipendentemente dall’oggetto”.49

47 Come quando viene stabilita una relazione diretta e consequenziale tra la scelta di una comparazione tra stati

nazionali e la costruzione di una gerarchia di valore tra gli oggetti della ricerca medesima. Si veda ad es., Michel Espagne, Les transferts culturels.

48 Jacques Revel (a cura di), Jeux d’échelles: la micro-analyse à l’expérience, Gallimard, Paris, 1996.

49 Michel Werner et Bénédicte Zimmermann, Penser l’histoire croisée: entre empire et réflexivité, «Annales. Histoire,

La dimensione transnazionale

E’ esattamente in ragione delle considerazioni stimolate insieme dalla ricerca empirica e dalla conoscenza preliminare degli argomenti oggetto della mia ricerca che il mio interesse si è focalizzato su due poli distanti, eppure evidentemente connessi, sulla scala tra micro e macro indagine: il citato contesto urbano e le relazioni transnazionali. Ci siamo infatti interrogate sulle vicende del femminismo sindacale nelle diverse città delle quali ci occupiamo, italiane e francesi, facendo attenzione anche all’esistenza di legami transnazionali tra le donne coinvolte. Intrinseche al mio stesso oggetto di ricerca sono infatti le reti costituite ‘attraverso le Alpi’ dalle protagoniste di queste vicende: da un lato si tratta di legami istituzionali, dettati dalle rispettive appartenenze sindacali di categoria (Alessandra ad esempio, della Fiom torinese, entrerà poi a far parte dell’Ufficio Internazionale della sua organizzazione), dall’altro sono invece legami amicali e politici intrecciati dalle donne proprio sulla base del loro comune impegno femminista per cambiare il lavoro, modificare gli equilibri tra sfera domestica e lavorativa, incidere sulle politiche sindacali e sulle dinamiche interne al sindacato stesso. Seppure in misura minore rispetto a quella inizialmente ipotizzata, è stato infatti possibile trovare traccia negli archivi, oltre che naturalmente attraverso le interviste realizzate, di alcuni scambi e legami: prima di tutto ci sono le riviste sindacali femministe (Antoinette per le francesi della CGT, L’altra metà della fabbrica per le torinesi impiegate in FIAT, solo per portare un paio di esempi) scambiate a livello internazionale e quindi reciprocamente presenti tra le carte conservate nei due paesi; poi si possono trovare relazioni di convegni internazionali (Produrre e riprodurre del 1983) ed infine missive personali, come quelle di Simone (Paris, CGT) a Pina (Milano, CGIL). Insomma, la dimensione transnazionale – seppure limitata – corrobora la scelta di rivolgere la nostra indagine a due diversi paesi, permettendoci di discostarci dalla mera comparazione tra due oggetti separati, rilevandone invece le importanti - e altamente significanti - interconnessioni. La diffusione complessiva del femminismo negli anni Settanta affonda infatti le sue radici nei legami tra donne di diverse nazioni, nei viaggi e nei ritorni a casa, negli scambi di libri e di riviste, ma non solo…a Genova, solo per portare un esempio tra molti, un gruppo lesbico installato nel centro storico cittadino, in vico S. Marcellino, proiettava in anteprima assoluta - grazie all’aiuto del Goethe Institut - i film della regista femminista tedesca Margaretha Von Trotta realizzando il doppiaggio dal vivo. Il movimento delle donne si è sempre nutrito di linfe provenienti da ambiti extra-nazionali. A livello teorico la critica femminista (oltre naturalmente a quelle anarchica e socialista-internazionalista) è stata in prima linea nella denuncia

dell’autoritarismo e dello sciovinismo insiti nella sclerotizzazione delle appartenenze nazionali.50 In particolare è stato messo in crisi e decostruito il concetto di cittadinanza delineato sul modello del cittadino maschio adulto e libero in armi risalente alla Grecia antica ma giunto pressoché invariato sino all’età moderna. L’appartenenza alla nazione, fondata su tale cittadinanza, ha costantemente escluso le donne ed esse hanno dunque fatto di sovente ricorso ad una concreta - oltreché evidentemente simbolica - sorellanza sovranazionale per portare avanti le proprie istanze di uguaglianza e riconoscimento. 51 Come sottolineano ancora Werner e Zimmermann: “Il transnazionale non può semplicemente essere considerato come un livello d’analisi supplementare che viene ad aggiungersi al locale, regionale o nazionale, secondo una logica di cambiamento di focale. Deve, invece, essere compreso in quanto livello che si costituisce in interazione con i livelli precedenti e che genera logiche proprie, con effetti che ricadono sulle altre logiche di strutturazione dello spazio”.52 Nel mio caso, la scelta di adottare tale prospettiva risponde, come precisato, principalmente a due input: prima di tutto alla necessità di trovare la dimensione di analisi più appropriata all’oggetto delle nostre indagini, ed inoltre al desiderio di ribadire - anche metodologicamente - la critica femminista allo stato nazionale come orizzonte di senso spesso inadeguato ed escludente. Adottando simultaneamente una prospettiva combinata tra piano locale (micro) e transnazionale (macro), con l’elemento nazionale a fare solamente da cornice, intendo realizzare appunto uno scarto epistemologico rispetto a scelte analitiche più tradizionali. Questa operazione, motivata su basi empiriche e politiche, mi induce ad interrogarmi sul quadro interpretativo in cui collocare eventualmente la mia ricerca. Se il vivo interesse che mi suscita il discorso sui ‘transfert culturali’ mi pare tuttavia poco calzante rispetto ad una indagine che punta a ricostruire vicende e legami eminentemente sociali e politici, ritengo invece di potermi maggiormente soffermare sulla prospettiva cosiddetta dell’histoire croisée. Nell’articolo che Zimmermann e Werner hanno dedicato all’argomento, questa viene preliminarmente definita in alternativa ad altre, come la comparazione statica: “Il principio attivo e dinamico del croisement è originario, in contrasto con il quadro statico della comparazione che tende ad irrigidire i suoi oggetti” ed appunto i transfert: “Esso non si limita all’analisi di un punto d’intersezione o di un

50 Si vedano ad es: Cynthia Enloe, Bananas, Beaches and Bases: Making Feminist Sense of International Politics,

University of California Press, 1994; Spike Peterson, Gendered states: feminist (re)visions of international relations theory, Boulder, Col. : Lynne Rienner, 1992; Caren Kaplan, Norma Alarcon, and Minoo Moallem (a cura di), Between woman and nation: nationalisms, transnational feminisms, and the state, Duke University press, Durham - London, 1999.

51 Questa enfasi sull’elemento transnazionale - senz’altro cruciale nella formazione del movimento femminista degli

anni Settanta - non intende tuttavia sottostimare in alcun modo il peso delle fratture cui si assistette tra le organizzazioni femminili dei diversi paesi europei, nel corso ad esempio dei due conflitti mondiali.

momento di incontro, ma prende in considerazione più ampiamente i processi che ne risultano”.53 La definizione ‘in positivo’ che viene poi fornita nel corso della analisi compiuta dai due studiosi, mi pare calzante per quanto riguarda la costruzione - empirica e riflessiva - che ho cercato di delineare per l’impianto della mia ricerca: “Considerare dinamiche relazionali attive ed asimmetriche, insieme al carattere instabile ed evolutivo di cose e situazioni […] è una delle ambizioni dell’histoire croisée. […] Il croisement di diverse scale spaziali e temporali, che può di volta in volta risultare intrinseco all’oggetto o frutto di una scelta teorica e metodologica, è un esempio particolarmente rivelatore dell’intreccio tra dimensione empirica e riflessiva”.54 Per quanto ritenga fuorviante attribuire necessariamente una specifica ‘etichetta teorica’ alla mia ricerca, trovo tuttavia rilevante segnalare la pertinenza di questa con molte delle questioni sollevate dall’histoire

croisée: l’importanza riconosciuta ad un esplicito ed autoriflessivo posizionamento dell’autrice in

relazione alla ricerca stessa, la preferenza per un’indagine di tipo induttivo che fondi sulla lettura dei dettagli una eventuale ricostruzione complessiva, la critica alla intangibilità delle categorie d’analisi storica (la classe lavoratrice, il femminismo, il privato, il politico, ecc.), l’attenzione al contesto e al concreto intrecciarsi di scale e dimensioni differenti.55 Tutti questi elementi

risulteranno senz’altro evidenti nel corso della ricerca e saranno dettagliatamente articolati al capitolo V.

Una comparazione asimmetrica: vive la différence!

Come abbiamo precisato, in assenza di un quadro di riferimento già organico di ricerche storiografiche sul femminismo sindacale, abbiamo scelto di occuparci in prima battuta dei centri dove questo fenomeno ha assunto maggior rilievo: i luoghi in cui la pratica sindacale è apparsa più avanzata in termini di progettualità rivendicativa e dove dunque si è rivelata maggiormente disponibile a mettersi in qualche misura in discussione garantendo agibilità alle istanze femminili provenienti dal suo interno; i luoghi - inoltre - in cui il confronto e lo scambio tra donne sindacaliste e movimento femminista ha avuto agio di dispiegarsi e si è dunque dimostrato proficuo. I centri del triangolo industriale, Torino Genova e Milano, si sono prestati immediatamente a questa individuazione nel contesto italiano. Per quanto riguarda il contesto Francese, invece, la nostra scelta è caduta su Parigi e Lione. Pur essendo animato in larga misura da lavoratrici impiegate piuttosto che da operaie, il femminismo sindacale italiano ha infatti trovato un cardine nella categoria professionale-sindacale dei metalmeccanici (anche per via della straordinaria esperienza

53 Ivi, p. 16. 54 Ivi, p. 17.

unitaria della FLM); in Francia invece la realtà più ampiamente coinvolta dal fenomeno è stata quella del lavoro terziario e dunque è evidente come abbia necessariamente attirato il nostro interesse il centro di maggiore concentrazione dei servizi, la capitale. Per quanto riguarda Lione, invece, la scelta è stata dettata in una certa misura dallo stesso criterio (Lione è la terza città di Francia per numero di abitanti, dopo Parigi e Marsiglia), ma anche dalla rilevanza del caso locale in relazione al fenomeno preso in esame: qui infatti si sono dipanate le intense e drammatiche vicende legate all’impegno sindacale di Georgette Vacher, figura eccentrica eppure straordinariamente rappresentativa - a nostro avviso - dell’intreccio, insieme politico e personale, tra sindacato e femminismo, della quale daremo conto nel paragrafo dedicato appunto a Lione. Come è evidente, la selezione dei casi di studio risponde innanzitutto ad una esigenza di ‘rilevanza ed originalità’ piuttosto che ad un’operazione scientificamente circoscritta e limata: con tale selezione non miriamo, infatti, a fornire un quadro esaustivo né omogeneo (tutt’altro!) in relazione all’oggetto della nostra ricerca, bensì ci proponiamo di restituire l’intensità e la complessità dello sviluppo del cosiddetto ‘femminismo sindacale’ privilegiando un’analisi di tipo qualitativo che riesca ad andare in profondità per rendere conto da un lato delle potenzialità analitiche insite in un’esperienza che su un piano molto concreto si è sforzata di coniugare lotta di classe e prospettiva di genere (anche se all’epoca non era certo definita così), dall’altro della sue rilevanza per le politiche sindacali ma soprattutto per le biografie delle donne coinvolte.

Fatte queste precisazioni, è necessaria un’ulteriore premessa riguardo alla natura asimmetrica della nostra indagine comparativa. Scegliere Parigi come caso di studio, infatti, ci ha messo davanti ad una situazione del tutto peculiare rispetto a quella degli altri centri selezionati: nella capitale, inevitabilmente, piano locale e piano nazionale si sovrappongono ed intrecciano molto strettamente, tanto da rendere a nostro avviso vano il tentativo di tenerli separati come è invece stato possibile per quanto riguarda Torino, Milano, Genova e Lione. Abbiamo creduto che fosse impossibile e controproducente negare la centralità di un’analisi su Parigi nel contesto francese e tuttavia è evidente come questa scelta condizioni l’equilibrio complessivo della comparazione che ci siamo proposte di delineare. E’ d’altronde la stessa storia della creazione degli stati nazionali ad assegnare rispettivamente a Parigi e Roma un peso diverso nella ricostruzione delle vicende nazionali da un parte, e della rete di rapporti tra piano nazionale e piano locale dall’altra. Come ironicamente ricorda una delle intervistate parigine: “Ciò che penso è che [anche i movimenti sociali in Francia] riproducano le forme dello stato francese (…voi [italiani] non avete

uno Stato!…)…uno stato centralizzato. La tendenza è che tutto riproduca questo Stato”.56 Si tratta naturalmente di una semplificazione ma credo colga in forma icastica l’essenza di quanto la stessa indagine empirica suggerisce: in Italia una grande autonomia d’azione per quanto riguarda i centri industriali del nord del paese che rende ammissibile la collocazione del quadro nazionale sullo sfondo…a fare da cornice ad una narrazione locale molto specificamente caratterizzata per quanto riguarda la vivacità dell’impegno femminile nel sindacato; in Francia invece un grande peso di Parigi da un lato come centro del lavoro terziario che qui è culla del femminismo sindacale, dall’altro come fulcro dell’azione sindacale che si irradia poi a livello regionale nelle Unions

Départementales. In particolare dalle ricerche in archivio emerge chiaramente come mentre in Italia

le città del triangolo industriale erano centri di elaborazione molto proficui che spesso fungevano da pungolo e costituivano un supporto determinante anche alle prese di posizione delle dirigenti nazionali (Paola Piva, Sesa Tatò, ecc.), in Francia erano invece le dirigenti nazionali (Christiane Gilles per la CGT e Jeannette Laot per la CFDT) a costituire un’avanguardia - a livello di analisi politica e di proposta strategica - che mirava poi a coinvolgere nelle proprie iniziative il livello locale riscontrando un importante seguito tra la base femminile ma anche notevoli resistenze tra i

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