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Fenomeni acustici e meccanismi percett

IV. LA MUSICA NEL CORPO E NELL’ANIMA

IV.1. Fenomeni acustici e meccanismi percett

Suoni e voci nei dialoghi. Al ‘silenzio’ nel quale si consumano gli studi di armonia dei futuri dialettici si contrappone la sonorità di molti passi in cui Platone si mostra attento osservatore dei fenomeni acustici e della loro ricezione. Dal silenzio dell’armonia soprasensibile ai suoni del divenire il passo è breve: basta spostarsi, nel settimo libro della

Repubblica, dall’elaborazione del curriculum propedeutico alla dialettica all’illustrazione del

mito della caverna; un passo a ritroso, perché bisogna rimettere piede in quella caverna da cui chi si affanna intorno alla scienza dell’armonia tenta di evadere, ma la presenza del motivo del suono e dell’ascolto nell’opera platonica sembra tanto rilevante, e non solo in relazione alla dimensione del divenire, da autorizzare certo una discesa alla ricerca di quell’interazione tra suono e sensi che lo studio della scienza armonica invita a superare.

L’inquietante scenario dell’antro sotterraneo, evocato per descrivere lo stato di un’umanità prigioniera dell’ignoranza, non è avvolto nel silenzio: alcuni dei portatori di oggetti parlano (515a 2-3) e le loro voci, catturate dall’eco della parete verso cui i prigionieri sono rivolti, diventano le voci delle ombre che su quella parete sono proiettate (515b 7-9). L’inganno nel quale si consuma la vita dei prigionieri – equivoco gnoseologico di credere dotata di realtà l’apparenza – investe anche esplicitamente la dimensione degli stimoli acustici

e della loro percezione.300 I suoni della caverna del settimo libro della Repubblica sono solo un esempio di quella “sonorità” che pervade i dialoghi e testimonia di una certa attenzione che Platone esibisce per i fenomeni del rumore, del suono, della voce e per la facoltà di coglierli. In una scena ben distante, per clima e contenuti, da quella della caverna, il banchetto del

Simposio, un passo sembra dare la misura dell’interesse che Platone ha per l’universo uditivo;

nel baccano (212c 7: polu;n yovfon) che accompagna, al termine del dialogo, l’irruzione sulla scena dell’esagitato Alcibiade, spiccano due suoni in rapida successione: il suono dell’auleta (212c 8: aujlhtrivdoı fwnh;n ajkouvein) e la voce di Alcibiade (212d 3: jAlkibiavdou th;n fwnh;n ajkouvein); la somiglianza delle espressioni, con la ripetizione del termine fwnhv ad indicare una volta il suono, l’altra la voce, sembra suggerire un accostamento, sottile e pregno di significati, tra il suono dell’aulos e la voce di Alcibiade ubriaco.301 E la stessa attenzione all’universo dei suoni, riscontrabile nel tessuto drammatico dei dialoghi, trapela nel termine musicale con cui Socrate, nel Fedone, descrive i pianti delle donne in vista della sua morte: “stonature” (117e 1: plhmmeloi'en) che egli non gradisce ascoltare.

Si è già visto come nel Fedone trovi spazio una valorizzazione della sensibilità anche acustica (supra, pp. 64-65); ma l’udito non è solo, nella dimensione del divenire, il mezzo con cui nell’anima può essere sollecitato il ricordo delle realtà immutabili. Assieme al senso più nobile, la vista, e alla facoltà intellettiva (111b 3-4: o[yei kai; ajkoh/' kai; fronhvsei), la percezione acustica compare tra quelle facoltà assai più sviluppate in una dimensione caratterizzata da maggiore autenticità, qual è la “vera terra”.302

Fuori del mito e della dimensione ideale della vera terra, e là dove l’udito non intrattiene con l’intelletto una relazione di semplice accostamento, il motivo del suono e dell’ascolto reca la complessa problematica del rapporto tra sensibilità acustica e anima, e l’ascolto non si rivela quasi mai un atto innocente.

300Vale la pena di sottolineare quanto il fenomeno dell’eco contribuisca a creare quel clima di illusorietà

che è il tratto distintivo della caverna: inganno acustico dal forte potere suggestivo, l’eco si inserisce perfettamente in quella fiction che è la vita proiettata sulla parete, divenendo voce delle ombre. Ancora sul fenomeno dell’eco nella Repubblica, cf. infra, p. 128. In Phaedr. 255c 4-7 Socrate, evocando il fenomeno dell’eco per descrivere il ritorno della bellezza dagli occhi dell’amante a quelli dell’amato, fa anche riferimento ad aspetti fisici del fenomeno: l’eco ritorna indietro, rimbalzando su corpi lisci e solidi. Il legame tra eco e solidità del corpo che rifrange il suono si trova già in Empedocle (31 A 86, Theophr. De sens. 9; in Arist. De an. 419b 7, durezza e levigatezza dei corpi sono le qualità che producono il suono in atto). Per alcune descrizioni del fenomeno dell’eco, cf. Arist. De an. 419b-420a; Ps.-Arist. Probl. XI, 6, 7, 8, 9, 23, 25, 51; XIX, 11.

301

Si pensi solo al legame tra musica auletica ed ebbrezza, chiamato a caratterizzare, tra le altre cose, la figura del democratico nell’ottavo libro della Repubblica (561c 7-8: tote; me;n mequvwn kai; kataulouvmenoı).

302

Lo stesso trinomio – vista, udito, intelletto – compare in Resp. (367c 7-d 1: oJra'n, ajkouvein, fronei'n) ad indicare quei beni che vale la pena di possedere per se stessi; cf. 357c 2-3, dove, però, l’udito non compare.

Un’altra eco - oltre a quella che, nella caverna, crea l’inganno di ombre parlanti - risuona nelle pagine della Repubblica: è l’onda sonora che restituisce, amplificato (ejphcou'nteı diplavsion qovrubon), il notevole chiasso (pollw'/ qoruvbw/) creato dai politici agitatori di folle (492b 5-c 2); l’“inquinamento acustico”303

prodotto da costoro contribuisce a creare un ambiente che pare l’esatta antitesi di quell’uJgieino;ı tovpoı, permeato di stimoli visivi e acustici positivi, che Socrate prova a costruire, almeno sulla carta, per i giovani di uno Stato ideale (401c 4-d 3). Dalla lettura di questi passi emergono temi come la passività della percezione uditiva,304 il rapporto dell’udito con l’anima - chiamata o impossibilitata a gestire i contenuti immessi dalla sensazione acustica -, l’importanza dei contenuti affidati ad un messaggio “sonoro”, siano essi verbali o strettamente musicali. Quelle orecchie che, nella trattazione dell’armonia del settimo libro, trovano un rapporto preciso, seppur complesso, con un intelletto ben operativo sono altrove, in assenza di una psiche adeguata a raccoglierne e ad elaborarne i messaggi, un forte motivo di apprensione. “Le orecchie in affitto” (ajpomemisqwkovteı ta; w\ta) dei filhvkooi (475d 1-e 1) e le orecchie che, “come un imbuto” (dia; cwvnhı), lasciano filtrare harmoniai auletiche dolci, molli e lamentose (411a 5-8) sono canali aperti di accesso all’anima, punto di avvio di quel rischioso e coinvolgente atto psicofisico che è l’ascolto.305

Fisica, fisiologia e psicologia: il suono e la percezione. Il dialogo nel quale, come si è visto (supra, II), gli effetti della musica sono valutati con grande attenzione ai rapporti tra anima e corpo, è anche il dialogo che ospita la definizione più chiara ed elaborata del suono e dei meccanismi della percezione uditiva. In Tim. 67 a 7-c 3, nell’ambito di una trattazione

303

La rumorosità dell’azione esercitata da tali politici è evocata, pure in poche battute, in maniera molto efficace: i luoghi nei quali si esibiscono prevedono sempre la presenza di una folla consistente (assemblee, tribunali, teatri, accampamenti); i politici fanno un “gran chiasso”, perché si esprimono “sempre esagerando, gridando e facendo rumore” (uJperballovntwı eJkavtera, kai; ejkbow'nteı kai; krotou'nteı); inoltre “le rocce e il luogo” raddoppiano il chiasso con l’eco. Altro vivido esempio di una rumorosità molesta è quella prodotta dall’assemblea di fronte alla quale Socrate pronuncia la propria autodifesa, cf. Apol. 21a 5, 30c 2-3.

304Sul fatto che nelle riflessioni antiche, a partire da quelle presocratiche, l’accento sia posto sulla

particolare passività dell’udito, maggiore, ad esempio, di quella della vista, cf. Bonadeo 2003, p. 27.

305

Sul rischio per l’anima di venire toccata da contenuti nocivi attraverso le orecchie, si veda Soph. 234c 2-d 1, dove lo Straniero denuncia il pericolo di un uso cattivo della parola, teso ad “ammaliare con le parole attraverso le orecchie, mostrando immagini verbali di tutte le cose” (dia; tw'n w[twn toi'ı lovgoiı gohteuvein, deiknuvntaı ei[dwla levgomena peri; pavntwn). Interessanti quei passi in cui l’effetto psicologico negativo dei discorsi, penetrati attraverso le orecchie, è descritto nei termini fisici di un effetto sull’apparato uditivo: in Resp. 358c 7, Glaucone si sente “rintronare le orecchie” dai discorsi di Trasimaco (diateqrulhmevnoı ta; w\ta ajkouvwn qrasumavcou), mentre in Phaedr. 243d 3-5, certi discorsi sull’amore danno a Socrate la sensazione di avere l’udito incrostato di salsedine, così che sente l’esigenza di detergerlo con discorsi di acqua dolce (ejpiqumw' potivmw/ lovgw/ oi\on aJlmura;n ajkoh;n ajpokluvsasqai).

complessiva dei pathemata prodotti dai corpi, compare una descrizione del sensibile, oggetto dell’udito, e dei meccanismi percettivi legati alla sfera acustica. Il passo presenta alcune questioni sintattiche e interpretative che meritano di essere discusse: se ne fornisce pertanto di seguito il testo e la traduzione, prima di analizzarne i contenuti.

Trivton de; aijsqhtiko;n ejn hJmi'n mevroı ejpiskopou'sin to; peri; thn ajkohvn, di’ a]ı aijtivaı ta; peri; aujto; sumbaivnei paqhvmata, lektevon. o{lwı me;n ou\n fwnh;n qw'men th;n di’ w[twn uJp’ ajevroı ejgkefavlou te kai; ai{matoı mevcri yuch'ı plhgh;n diadidomevnhn, th;n de; uJp’ aujth'ı kivnhsin, ajpo; th'ı kefalh'ı me;n ajrcomevnhn, teleutw'san de; peri; th;n tou' h{patoı e{dran, ajkohvn: o{sh d’ aujth'ı tacei'a, ojxei'an, o{sh de; bradutevra, barutevran: th;n de; oJmoivan oJ oJmalhvn te kai; leivan, th;n de; ejnantivan tracei'an: megavlhn de; th;n pollhvn, o{sh de; ejnantiva, smikravn. ta; de; peri; sumfwnivaı aujtw'n ejn toi'ı u{sterno lecqhsomevnoiı ajnavgkh rJhqh'nai.

(Tim. 67a 7-c 3)

Considerando il terzo nostro organo di senso, quello relativo all’udito, bisogna dire per quali cause si verificano le impressioni che lo riguardano. Stabiliamo in generale che il suono è l’urto, dato dall’aria, attraverso le orecchie, al cervello e al sangue e trasmesso fino all’anima; e che il movimento che deriva da questo, movimento che parte dalla testa e finisce nella zona del fegato è l’udito. Il movimento veloce è acuto, quello più lento è più grave; quello uniforme, è uniforme e dolce, quello contrario è aspro; il grande è di volume alto, il contrario di volume basso. Degli argomenti relativi alla consonanza dei suoni bisogna parlare nel seguito del nostro discorso.

Le definizioni generali, presenti nelle righe centrali del passo, sono due, apparentemente chiare e ben distinguibili,306 ma è impressione, come si vedrà, destinata ad essere in qualche misura smentita: in 67b 2-4 è definito il sensibile dell’aijsqhtikovn udito, il suono,307 in 67b 4-5 il processo della stessa percezione acustica. In Tim. 67b 2-5 si trovano diversi elementi ricorrenti nelle antiche teorie sulla produzione, la diffusione e la percezione del suono. Il termine con cui Platone definisce il suono – plhghv – è presente in quasi tutte le riflessioni antiche sul suono, ma è interessante notare come l’identificazione del

306

Dal punto di vista formale la distinzione tra le due definizioni è sottolineata dall’impiego della correlazione tra i due enunciati mediante le particelle mevn (b 2) e de; (b 4).

307Fwnhv in b 2 sembra indicare in generale il suono (Taylor 1928, p. 476), ma l’analisi delle sue

sensibile dell’udito con l’impatto non sia l’unica possibilità, e anzi in alcuni casi le alternative siano materia di discussione.

Nella teoria acustica cui si è soliti fare riferimento per interpretare Tim. 67a-c - la dottrina di Archita, quale emerge dal frammento 1 – l’impatto non si identifica con il suono, ma è la condizione necessaria perché questo si generi (dunatovn ejstin h\men yovfon mh; genhqeivsaı plhga'ı tinwn pot’ a[llala). Nel resoconto che delle riflessioni musicali pitagoriche fa Eraclide – resoconto riportato da Porfirio - emerge con chiarezza la distinzione tra l’impatto e il suono, assieme al ruolo che alla plhghv è riconosciuto nella nascita dello stimolo acustico e del processo percettivo: quando si genera un impatto all’esterno, un suono si mette in movimento dall’impatto fino all’organo dell’udito (Porph. In Harm. 30,16-18: plhgh'ı ga;r e[xwqen prosgenomevnhı ajpo; th'ı plhgh'ı fwnh; fevretaiv tiı, mevcriı a]n eijı to; th'ı ajkoh'ı ajfivkhtai aijsqhthvrion): benché l’idea di qualcosa in movimento, generato da un impatto e destinato a colpire l’udito, rievochi Tim. 67b 2-4, non si può fare a meno di notare che quel qualcosa non ha la stessa fisionomia nelle due teorie.

Grazie alla distinzione tra un suono in potenza e uno in atto, Aristotele può formulare in maniera precisa il ruolo causale dell’impatto: la plhghv è ciò che produce effettivamente il suono (De an. 419b 9-11: plhgh; gavr ejstin hJ poiou'sa). Analoga considerazione causale ricorre in un lavoro di scuola peripatetica, il trattato De audibilibus (800a: dia; ta;ı tou' pneuvmatoı kai; tw'n cwrdw'n ginomevnaı plhgavı), mentre la Sectio Canonis euclidea si apre con un’espressione che ricorda da presso la riflessione di Archita, individuando nella plhghv - qui accostata al movimento - la condizione necessaria perché si produca un oggetto dell’udito (148,5-6: eij a[ra mevllei ti ajkousqhvsesqai, plhgh;n kai; kivnhsin provteron dei' genevsqai). In alcune riflessioni il suono è identificato con l’aria, alla quale è riferita la nozione dell’impatto: si tratta delle definizioni date da Diogene di Babilonia (ap. Diog. Laert. VII 55: e[sti de; fwnh; ajh;r peplhgmevnoı) e da Eliano (ap. Porph. In Harm. 33,21-22: ei[te ga;r ejsti fwnh; ajh;r peplhgmevnoı, hJ plh'xiı kivnhsivı ejstin). Una definizione di questo genere è anche riportata da Aristide Quintiliano, assieme ad un’altra alla quale egli accorda maggiori simpatie: all’opinione di quanti definiscono la fwnhv “aria che ha ricevuto un impatto” (ajevra peplhgmevnon), egli preferisce quella di chi la considera “un impatto d’aria” (ajevroı plhgh;n), perché la prima definizione considera suono il corpo stesso che ha subito una

certa modificazione (aujto; to; sw'ma to; peponqo;ı h\con), mentre la seconda, in maniera più corretta, l’affezione che il corpo ha avuto (to; touvtou pavqoı). Si tratta della stessa critica che muove Simplicio (In Arist. Phys. 426,1 Diels) ad una delle più celebri definizioni del suono come aria percossa, quella di Diogene di Babilonia: il vizio di quella definizione consiste nello scambiare ciò che subisce una modificazione (to; peponqo;ı) – cioè l’aria che riceve l’impatto (toutevsti to;n peplhgmevnon) – con l’affezione, cioè l’impatto stesso (ajnti; tou' pavqouı, o{per ejsti;n hJ plhghv).308

Nella definizione di Tim. 67b 2-4 il suono non è “aria percossa” (ajh;r peplhgmevnoı), ma nemmeno propriamente uno “spostamento d’aria”, definizione che si trova in Aristotele (De an. 420b 11: ajevroı kivnhsivı tivı ejstin oJ yovfoı),309

e che si può attribuire, secondo la testimonianza di Teofrasto (De sens. 59: pro;ı touvtoiı periv te fwnh'ı o{ti kivnhsiı tou' ajevroı), alla maggior parte dei Presocratici,310 ma come una plhgh; diadidomevnh uJp’ ajevroı; all’aria – altro elemento fondamentale nelle antiche riflessioni sul suono e sull’udito – Platone sembra attribuire la funzione di mezzo di trasmissione dell’impatto che si sprigiona dal corpo sonoro. Accanto all’aria, nella definizione platonica, entrano in gioco elementi corporei come il cervello e il sangue, nella valutazione dei quali ci si imbatte nella questione sintattica più rilevante dell’espressione con cui è definito il suono.

I genitivi ejgkefavlou e ai{matoı possono dipendere da dia; o essere genitivi oggettivi di plhghvn; nel primo caso, il ruolo del cervello e del sangue nella trasmissione del suono è analogo a quello delle orecchie: essi costituiscono mezzi di passaggio di un urto destinato a colpire l’anima; nel secondo caso, cervello e sangue sono gli elementi su cui si abbatte l’impatto, prima che questo arrivi all’anima. Nel primo senso sembra intendere la

308

Esente da questo errore è la definizione di Tolomeo, grazie ad una piccola ma sostanziale variazione rispetto all’idea che il suono sia aria colpita: in Harm. 3,2 egli definisce il suono come una modificazione dell’aria che ha subito un impatto (yovfoı de; pavqoı ajevroı plhssomevnou); e corrette, ancora, secondo il ragionamento presente nel De musica di Aristide Quintiliano, sono la definizione di Nicomaco (Ench. 242-20-21) del suono come “impatto dell’aria che è ininterrotta fino all’udito” (yovfon me;n ei\nai plh'xin ajevroı a[qrupton mevcri ajkoh'ı) e quella di Adrasto che, espressamente riportando le teorie pitagoriche, definisce il suono in maniera non dissimile da Nicomaco: plh'xiı ajevroı kekwlumevnou qruvptesqai (ap. Theon Sm. 50,6-7).

309

Cf. De sensu 446b 30-447a 1, dove non è specificato se a spostarsi sia l’aria e il suono è definito, in maniera più generica, “il movimento di qualcosa che si sposta” (dokei' d’ oJ yovfoı ei\nai feromevnou tino;ı kivnhsiı).

310L’idea è presente anche nel libro XI dei Problemi pseudoaristotelici, dove il suono è considerato

prodotto dall’aria che si muove (6, 899a 34-35: oJ ajh;r oJ ferovmenoı poiei' to;n yovfon), mentre nella questione 35a del libro XIX, è presentato un ragionamento per assurdo teso a dimostrare che il suono non è movimento di aria o d’altro: se così fosse, sarebbe più acuto a metà del tragitto che percorre.

teoria Aezio (IV, 19, 1, Doxogr. Graec. 407-408) – plhgh;n uJpo; ajevroı di’ w[twn kai; ejgkefavlou kai; ai{matoı mevcri yuch'ı -, nel secondo Teofrasto (De sens. 6; cf. De sens. 85) – fwnh;n ga;r ei\nai plhgh;n uJp’ ajevroı ejgkefavlou kai; ai{matoı di’ w[twn mevcri yuch'ı.311

Tuttavia, esiste forse una terza possibilità, compatibile con l’interpretazione di Teofrasto: considerare i due genitivi dipendenti da uJpov, attribuendo così a cervello e sangue un ruolo analogo a quello dell’aria, di mezzo di trasmissione dell’impatto.312

Nelle teorie presocratiche sulla percezione uditiva - teorie delle quali in Tim. 67a-c si individuano, come vedremo, diverse tracce313 - il cervello assume in alcuni casi un ruolo di rilievo. Per Anassagora la percezione uditiva è data dal giungere del suono fino al cervello, cadendo nell’osso cavo che lo circonda (Theophr. De sens. 28: to; de; tw'/ diiknei'sqai to;n yovfon a[cri tou' ejgkefavlou: to; ga;r perievcon ojstou'n ei\nai koi'lon, ejiı d’ ejmpivptein to;n yovfon); mentre per Diogene di Apollonia – la cui riflessione sull’udito presenta una certa somiglianza con quella platonica – la percezione uditiva si ha quando il movimento, impresso all’aria contenuta nelle orecchie da quella esterna, è trasmesso al cervello (Theophr. De sens. 40: th;n d’ ajkohvn, o{tan oJ ejn toi'ı wjsi;n ajh;r kinhqei;ı uJpo; tou' e[xw diadw/' pro;ı to;n ejgkevfalon).314

In entrambi i casi il ruolo del cervello non sembra essere

311

Favorevole alla seconda interpretazione è Taylor (1928, pp. 476-477), secondo il quale la lettura di Aezio dipenderebbe da un testo corrotto in cui uJpov prima di ajevroı è caduto; ma la testimonianza di Aezio che Taylor sembra prendere in considerazione è quella sull’udito (IV, 16, 4, Doxogr. Graec. 406: plhvttesqai to;n ejn th/' kefalh/' ajevra) - secondo la quale ad essere colpita è l’aria nella testa - e non quella sul suono di IV, 19, 1. Una scelta della seconda interpretazione emerge dalle traduzioni di Cornford (1937, p. 275: “…the stroke inflicted by air on the brain and blood through the ears and passed on to the soul”), Brisson (1974, p. 445: “Un choc, produit par l’air, sur le cerveau et le sang, à travers les oreilles, parvient jusqu’à l’âme” e, in maniera ancora più chiara, in 1992, p. 178: “…le son est le choc que subissent, par l’action de l’air et par l’intermédiaire des oreilles, le cerveau et le sang, et qui est trasmis jusqu’à l’âme”) e Barker (1989, p. 61: “…an impact of air, coming through the ears and impinging on the brain and the blood, and passed on until it reaches the soul”). Mansfeld (2005, pp. 388-389) sottolinea le analogie tra l’espressione impiegata da Aezio, per riportare la definizione platonica, e quella impiegata da Teofrasto.

312Una traduzione che sembra presupporre un’interpretazione del genere è quella di Fronterotta (2003,

pp. 337-339): “Poniamo dunque, in generale, che il suono sia l’urto che si propaga attraverso le orecchie, per azione dell’aria del cervello e del sangue, fino all’anima”.

313Benché l’influenza più diretta sia senz’altro quella esercitata dalla teoria acustica di Archita (cf. infra,

pp. 139-141), non è trascurabile il peso che sulla teoria di Tim.a-c devono aver esercitato riflessioni più antiche sull’udito e sul suono; la ricorrenza degli stessi elementi e degli stessi meccanismi nelle diverse teorie permette di ipotizzare che vi fosse un modello comune di riferimento, persistente nel tempo, per l’interpretazione dei fenomeni acustici (Moutsopoulos 1959, p. 30). Cf. Brisson (1997, p. 165) che, a proposito della teoria della percezione presente nel Timeo, nota come Platone inserisca aspetti delle teorie fisiologiche di pensatori precedenti, entro le coordinate tracciate dalle proprie acquisizioni psicologiche; riguardo alla considerazione della percezione acustica in particolare, Brisson rileva le analogie con la riflessione di Diogene di Apollonia.

314L’idea che, in ogni atto percettivo, ci sia un passaggio delle sensazioni pro;ı to;n

ejgkevfalon è presente in Alcmeone (Theophr. De sens. 26 = 24 A 5). L’importanza del cervello in alcune teorie antiche è confermata dalla polemica che l’autore del trattato del corpus ippocratico De carnibus (XV) intrattiene con chi ritiene che nella percezione acustica sia il cervello a risuonare: tale condizione non può

quello di mezzo di trasmissione del suono, piuttosto di termine raggiungendo il quale il suono produce la sensazione, funzione che è accostabile a quella che nella teoria platonica ha