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La musicalità della struttura psichica

IV. LA MUSICA NEL CORPO E NELL’ANIMA

IV.2. La musicalità della struttura psichica

L’anima, armonia di elementi corporei. “E dunque, carissimo, a noi in nessun modo può andare bene dire che l’anima è un’armonia” (Phaed. 94e 8-95a 1: Oujk a[ra, w\ a[riste, hJmi'n oujdamh/' kalw'ı e[cei yuch;n aJrmonivan tina; favnai ei\nai): con queste parole, nel Fedone, Socrate conclude un lungo e deciso rifiuto della proposta di Simmia di interpretare in termini musicali la natura dell’anima; avviene così, in maniera non proprio felice, la prima apparizione nell’opera platonica dell’immagine di un’anima-armonia, ma si tratta di una nozione destinata ad essere riabilitata nelle successive analisi platoniche della psiche.368 E proprio un’analisi dei passi del Fedone in cui Socrate nega che l’anima possa dirsi armonia aiuta a comprendere il recupero e il reimpiego che Platone farà di questo concetto in altri dialoghi.

366Come mostra Barker (1989, p. 35 n. 29), i “simili” corrispondono a quegli impatti che, nel

movimento di propagazione dei due suoni, coincidono, mentre i “dissimili” sono quelli che non coincidono, guastando la percezione unitaria dei due suoni.

367

Una riflessione analoga a quella di Porph. In Harm. 107,15 compare in Probl. XIX, 39, dove l’autore, cercando di capire perché l’ottava è più piacevole dell’unisono, stabilisce una classifica delle consonanze che vede l’ottava ricoprire un posto speciale, in virtù del rapporto che si stabilisce tra i movimenti dei suoni che la compongono; nel caso delle altre consonanze, le chiuse di una nota o dell’altra sono incomplete, finendo sulla metà: così una differenza si presenta alla sensazione (diafora; th'/ aijsqhvsei); nel caso dell’ottava, invece, la chiusa è comune, perché il secondo impatto sull’aria della nete è una hypate. Il concetto di differenza può essere accostato a quello di dissomiglianza di Tim. 80 e del passo di Porfirio, cf. Barker 1989, p. 95 n. 64.

368

Cf. Timpanaro Cardini (1958-1964, p. 107): “D’altra parte, se nel Fedone Platone demolisce con tanto ardore dialettico l’anima-armonia, non crediamogli troppo! Essa doveva piacere al suo talento d’artista; assurta ad anima del mondo e divenuta immortale, si esprimerà nell’eterna armonia della scala del Timeo”. Come si vedrà, il concetto di anima-armonia sembra ricorrere anche in contesti diversi dalla psicogonia del Timeo.

La teoria che Socrate rifiuta nel Fedone ha i contorni ben precisi di una dottrina, di provenienza pitagorica,369 che interpreta l’anima come armonia degli elementi corporei. Seriamente preoccupati di non riuscire a vincere il timore che la morte spazzi via l’anima, prossimi a separarsi da Socrate, incantatore capace di allontanare la paura della morte, Simmia e Cebete esprimono i propri dubbi – persistenti anche dopo la batteria di argomenti dispiegata da Socrate (quello dei contrari 70c-72e, quello della reminiscenza 72e-76e, quello della somiglianza 78b-81a) – circa l’idea che l’anima sopravviva al corpo. Simmia obietta, prendendo le mosse dall’ultimo argomento socratico basato sull’assimilazione dell’anima al divino, che anche dell’armonia si può dire qualcosa di analogo – che è “invisibile, incorporea, assolutamente bella e divina” (85e 4-86a 1: hJ me;n aJrmoniva ajovraton kai; ajswvmaton kai; pavgkalovn ti kai; qei'ovn ejstin) – eppure non si può certo dire che sopravviva alla lira e alle corde che l’hanno prodotta. L’operazione di assimilare l’anima all’armonia sulla base di un’equazione del genere – l’anima sta al corpo, come l’armonia sta alla lira – non può certo incontrare il consenso di Socrate; dall’argomento della somiglianza, la teoria di Simmia ricalca l’opposizione dell’anima al corpo e l’assimilazione dell’anima al divino, ma manca di conformarsi per quanto riguarda l’indipendenza dell’anima dal corpo: l’incorporeità dell’anima non è solo essere altro dal corpo, ma anche essere indipendente da esso.370 E’ evidente che, nella teoria di Simmia, la definizione dell’armonia in termini analoghi a quelli impiegati da Socrate per descrivere l’anima, mediante caratteristiche quali invisibilità,371

incorporeità, bellezza, divinità che dovrebbero legarsi all’incorrruttibilità, è solo funzionale a creare i presupposti per l’assimilazione dell’anima all’armonia, ma lascia ben presto il posto ad una definizione materialistica dell’armonia, nel momento in cui si tratta di mostrare che essa non sopravvive agli elementi fisici da cui dipende. La teoria di Simmia poggia, dunque, su un’oscillazione, non priva di conseguenza, tra due sfumature ben diverse del termine armonia (Moutsopoulos 1959, p. 344), ma dipende decisamente da una nozione materialistica di accordo.

Ad essere inconciliabile con l’immortalità dell’anima è una teoria che intende l’armonia dell’anima come accordo degli elementi corporei (86b 6-c 2)372

ed è questa

369

Forse riconducibile a Filolao, del quale Simmia e Cebete sono stati allievi (61d 6-7); si veda inoltre nel dialogo il fascino che la teoria esercita su Echecrate (88d 3-6). Cf. Macrob. in Somn. Scip. I 14, 19: “Pythagoras et Philolaus harmoniam (scil. animam esse dixerunt)”. Cf. Barker 2005, pp. 72-73.

370Indipendenza che peraltro poi Simmia riconoscerà, quando chiamato a decidere tra l’idea dell’anima-

accordo e l’argomento della reminiscenza, rinnegherà la propria teoria (91e-92e).

371

Cf. Eraclito, 22 B 54: aJrmonivh ajfanh;ı fanerh'ı kreivttwn.

372

Si tratta di un aspetto che, non a caso, Socrate sottolinea, riassumendo la teoria di Simmia (92a 7-9: to; aJrmonivan me;n ei\nai suvnqeton pra'gma, yuch;n de; aJrmonivan tina; ejk tw'n kata; to; sw'ma ejntetamevnwn sugkei'sqai). Cf. Leg. 891c, dove l’idea che l’anima derivi da elementi fisici è ricondotta all’ateismo.

immagine che Socrate rifiuta nel Fedone. Si tratta di una teoria accostabile alle riflessioni elaborate in termini fisico-medici e riscontrabili in Empedocle, Alcmeone e nei trattati ippocratici.373 Il fatto che Simmia definisca quell’armonia “divinissima” (86c 6: qeiotavthn) non serve ad affrancarla dal suo coinvolgimento con la materia, come dimostrano le parole dello stesso Simmia: essa è divinissima come lo è qualsiasi armonia che si trova nelle opere dei musicisti (86c 6-7: w{sper kai; aiJ a[llai aJrmonivai ai{ t’ ejn toi'ı fqovggoiı kai; ejn toi'ı tw'n dhmiourgw'n e[rgoiı pa'si). E’ chiaro che, così intesa, l’armonia è ben lontana dall’essere rappresentativa dell’anima per Platone, che mette in bocca a Socrate un’incalzante confutazione. Essa consiste di due argomenti: l’armonia segue374

gli elementi da cui è composta, mentre l’anima si oppone e domina gli elementi corporei (92e 4-93a 10, 94b 4-95a 3);375 se l’anima è armonia, allora virtù e vizio sono rispettivamente accordatura e scordatura dell’anima, come se vi fosse un’armonia (quella morale) nell’armonia (quella fisica degli elementi corporei) e l’anima virtuosa risultasse più armonica; ma ciò corrisponderebbe ad affermare che l’anima buona è più anima della cattiva e, poiché ciò non è possibile, bisogna ammettere che la teoria dell’anima-armonia di Simmia conduce all’assurdo di ritenere che non può esistere un’anima cattiva (93b 8-94b 3).376

373

Cf. Moutsopoulos 1959, pp. 322 n. 9, 325, 344; Lippman 1964, pp. 34-35, 169 n. 32. Un riferimento all’armonia del corpo compare in De victu I, 8; mentre spiccate sono le analogie tra l’anima-armonia di Simmia e l’armonia fisiologica – l’ijsonomiva – in cui consiste per Alcmeone la salute (cf. 24 B 4); sulle differenze tra l’armonia platonica, che può generarsi anche a partire da elementi disuguali, e il concetto alcmeonico di

isonomia, che presuppone l’uguaglianza, cf. Cambiano 1982, pp. 224-226. Nel suo recupero della teoria

dell’anima-armonia, almeno in quello presente nel Timeo, Platone si mostrerà per certi aspetti più pitagorico di Simmia, intendendo l’anima non armonia di elementi corporei, ma di numeri. Al filone che intende l’armonia dell’anima come armonia di elementi fisici, bisogna ricondurre anche le teorie peripatiche di Dicearco, frr. 5-12 Wehrli (aJrmonivan tw'n tessavrwn stoiceivwn) e di Aristosseno, frr. 118-121 Wehrli (l’anima come meloi hJrmosmevnon), cf. Bélis 1985; sulle due interpretazioni dell’anima-armonia, cf. Lami 242 n. 116.

374

Sulla modalità di relazione tra anima e corpo epressa dal verbo e{pesqai, cf. Sorabji 2003, 153- 155.

375

Cf. 79e 8-80a 5, dove Socrate mostra, durante l’esposizione dell’argomento della somiglianza, che è l’anima ad avere il comando sul corpo.

376

Come mostra Lovibond (1991, pp. 44-45), l’argomento non sembra del tutto convincente, perché, se da un lato è indubbio che l’essenza dell’anima non costituisce una questione di gradi (quindi non ci può essere un’anima che è più anima di un’altra), dall’altro è sempre possibile intendere in due significati il termine armonia, uno dei quali prevede diversi gradi. Con la teoria dell’anima-armonia si confronta anche Aristotele nel primo libro del De anima (407b-408a), respingendola, in considerazione del fatto che si può parlare di armonia in due accezioni – composizione o proporzione di elementi – ma in nessuno dei due significati è assimilabile all’anima; inoltre all’armonia manca quella qualità propria dell’anima: la facoltà di imprimere movimento. Evocando l’ambito fisiologico dal quale tale teoria deriva, Aristotele nota che è appropriato parlare di armonia riguardo alla salute e in generale riguardo alle virtù del corpo, ma non riguardo all’anima. L’idea, poi, che l’anima sia armonia delle parti del corpo è respinta con decisione ancora maggiore: se l’anima è armonia in quanto composizione delle parti del corpo, poiché vi sono diverse composizioni corporee, non si comprende di quale parte sia composizione l’anima; se l’anima è armonia in quanto proporzione, allora bisogna ipotizzare la presenza di molte anime nel corpo, giacché tutte le parti cono composte di elementi mescolati secondo proporzione.

Nel Fedone Socrate sembra assecondare, confutando la possibilità che l’anima sia armonia, lo scivolamento presente in quella teoria da un senso intelligibile ad uno materiale del termine armonia; ma altrove egli sarà portato a riconsiderare la possibilità di vedere nell’anima un accordo, indicando con precisione il senso da dare al termine armonia. Dispiegate lungo l’arco dell’intera produzione platonica, le teorie e le suggestioni sull’assetto armonico dell’anima suonano come una risposta diversa, rispetto a quella di Socrate nel

Fedone, all’obiezione di Simmia: una risposta che mostra come possano convivere una

rappresentazione armonica dell’anima e la convinzione nella sua immortalità, come, nel suo significato più profondo, quella rappresentazione armonica dell’anima sia espressione della sua immortalità.

L’anima, armonia di elementi psichici: scissione della psiche e ricomposizione musicale. L’anima che Socrate, nel Fedone, rifiuta di considerare una sorta di armonia è la psiche razionale immortale, quella psiche che, come si vedrà, nel Timeo sarà costruita addirittura attraverso procedimenti musicali; ma il percorso per arrivare a quella rappresentazione musicale dell’anima razionale è lungo e si sviluppa in parallelo a quel percorso di approfondimento della natura dell’anima, segnato soprattutto dalle riflessioni del

Fedone, della Repubblica e del Timeo. Analizzare le principali rappresentazioni platoniche

dell’anima in termini musicali significa confrontarsi con alcune tra le principali riflessioni sulla psiche presenti nei dialoghi.

La Repubblica, tradizionalmente considerata uno snodo fondamentale in questo percorso di analisi delle funzioni psichiche, presenta – come si è avuto modo già di intravedere – pregnanti metafore musicali per descrivere l’assetto dell’anima. E’ interessante notare che la prima occorrenza di una descrizione in termini musicali dell’equilibrio intrapsichico presenta quegli stessi concetti di tensione e allentamento evocati da Simmia (86b 7: ejntetamevnou, c 3-4: o{tan calasqh/' to; sw'ma hJmw'n ajmevtrwı h] ejpitaqh/', 92a 9: ejntetamevnwn), qui tuttavia interiorizzati, a caratterizzare gli elementi psichici anziché quelli corporei. In 411e 4-412a 2, Socrate spiega che il dono divino di musica e ginnastica ha lo scopo di aiutare l’uomo ad armonizzare tra loro i due elementi diversi della psiche – l’animoso e il filosofico –, tendendoli e allentandoli

nella giusta misura (o{pwı a]n ajllhvloin sunarmosqh'ton

ejpiteinomevnw kai; ajniemevnw mevcri tou proshvkontoı).377

377Cf. 410d 8, dove si parla di una tensione dell’animoso oltre il dovuto (ma'llon d’ ejpitaqe;n

L’“anima-monocordo” del Fedone si scopre dotata al suo interno di una dualità che rende possibile concepire in termini musicali il suo equilibrio: il lavoro di musica e ginnastica sull’anima è concepito come un lavoro di accordatura reciproca, mediante tensione e allentamento, di due corde, l’animoso e il filosofico. La metafora musicale, ma anche la differenza tra un’armonia materiale e una psichica, sono pienamente espresse nella battuta successiva di Socrate (412a 4-7), in cui egli afferma che la qualifica di musico e armonioso (mousikwvtaton kai; eujarmostovtaton) spetta di più a chi applica musica e ginnastica all’anima che a chi accorda materialmente le corde tra loro.378

Come si è visto, si tratta di dosare con sapienza musica e ginnastica per portare le corde dell’animoso e del filosofico al giusto grado di tensione reciproca, tale per cui l’anima assuma un assetto armonico. La descrizione dell’intervento della musica sembra particolarmente interessante; in 411a 5-b 4, un passo in cui, in maniera molto significativa, Socrate non sembra preoccupato del fatto che le orecchie, come imbuti, lascino passare harmoniai dolci molli e lamentose, ma del fatto che ciò avvenga oltre il dovuto, l’effetto di certa musica sull’elemento animoso è descritto come capace di renderlo molle quasi si trattasse di ferro (w{sper sivdhron ejmavlaxen) e di renderlo utile, da inutile e duro qual era, temperandolo; ma l’eccessiva esposizione a questo effetto è intesa determinare una “fusione” e una “liquefazione” (thvkei kai; leivbei) dell’animoso. Al di là della descrizione in termini materialistici dell’intervento della musica sulla psiche – già più volte rilevata (supra, I.1.), e qui enfatizzata dalla metafora del metallo – pare interessante notare come la costruzione di un’armonia (ma'llon me;n ajneqevnto"); cf. 410e 8, sul concetto di armonizzazione tra i due elementi, Oujkou'n hJrmovsqai dei' aujta;ı pro;ı ajllhvlaı.

378Che cercare l’armonia dell’anima sia un’operazione musicale, anzi il più profondo atto musicale,

emerge già dalle parole che Socrate impiega nel Gorgia (482b 7-c 3), esprimendo il proprio timore di ritrovarsi in disaccordo con se stesso: “Personalmente, amico mio, io preferirei suonare una lira scordata o dirigere un coro stonato o affrontare il dissenso e le obiezioni di un’intera folla, piuttosto che essere in disaccordo (ajsuvmfwnon) e in contraddizione con uno solo, se quell’uno sono io stesso”. Ulteriore esempio della vivace sonorità presente nei dialoghi (supra, p.), il passo evoca, attraverso i termini ajnarmostei'n, diafwnei'n, ajsuvmfwnon, una dimensione acustica sgradevole: fare appello a queste sensazioni acustiche e assimilare l’intimo accordo dell’anima con se stessa alla symphonia è un modo molto efficace per lasciar intendere quanto spiacevoli possano essere le dissonanze e le scordature interiori. Qui la musicalità dell’anima sembra consistere soprattutto nella serena coerenza di chi segue la filosofia, “che esprime sempre gli stessi discorsi” (482a 7-b 1). Nell’opera platonica, il primo ad esprimere l’idea che vero musico non è chi cerca l’armonia degli strumenti, ma chi accorda se stesso non è Socrate, ma Lachete nel dialogo omonimo: vero mousikovı è chi vive accordando, non una lira o strumenti frivoli, ma la propria vita, rendendola consonante nei discorsi rispetto alle azioni (188d); le metafore musicali servono a rendere conto, in tal caso, dell’accordo pieno tra discorsi e azioni. Interessante notare come Lachete sottolinei che quella tra discorsi e azioni non è un’armonia qualsiasi, ma “l’unica armonia greca”, la dorica; riprendendo le parole di Lachete, in 193d 11-e 4, Socrate constata che né lui né il suo interlocutore sono “accordati secondo l’armonia dorica”, perché le loro azioni non “consuonano” con i loro discorsi. Cf. Barker 2005, pp. 61-64 il quale ipotizza che nella metafora musicale impiegata da Lachete discorsi e azioni siano intessuti come le due sottostrutture costituenti un’harmonia e che l’impiego della metafora musicale sia funzionale ad indicare che, oltre alla piena coerenza tra parole e azioni rappresentata dall’harmonia dorica, esistono diverse sfumature.

psichica passi attraverso una modificazione della natura degli elementi, laddove la distruzione dell’armonia passa attraverso la perdita dell’identità di questi: se una certa dose di musica rende malleabile l’animoso, una dose eccessiva ne scioglie l’essenza (ejnthvxh/ to;n qumo;n); tendere e allentare l’animoso e il filosofico per trovare quella giusta altezza reciproca che determina un’armonia significa trovare i giusti toni di questi due elementi. Eppure, spingersi oltre nell’intepretazione musicale dell’armonia psichica non sembra possibile sulla base di questo passo, in cui la metafora delle corde e dell’accordatura non sembra svilupparsi con rigore; se da un lato pare che musica e ginnastica servano rispettivamente ad allentare il filosofico e a tendere l’animoso (410b-e) – che quindi nell’armonia dell’anima il tono basso sia dato dall’elemento filosofico, l’altro dall’animoso –, dall’altro, la musica sortisce il suo effetto “rilassante” anche sull’irascibile, effetto utile e necessario, purché non superi la giusta misura (411a 5-b 4),379 mentre in 411c 9-d 5 l’effetto della musica sul filosofico è descritto nei termini di un rinvigorimento che farebbero pensare ad un aumento della tensione.380 E’ probabile che musica e ginnastica agiscano su entrambi gli elementi – la prima rilassando l’irascibile e tendendo il filosofico, l’altra rilassando il filosofico e tendendo l’irascibile (Barker 1984, p. 138 n. 50) – ma non sembra possibile ricondurre le metafore musicali presenti in questo passo ad una teoria elaborata e coerente dell’anima-armonia (Barker 2005, pp. 50-52).

Quando l’immagine di un’armonia dell’anima ricompare, più avanti nel dialogo (441e 4-444a 2), i toni dell’anima da due sono diventati tre e il quadro dei loro rapporti reciproci si presenta più complesso. Ormai è chiaro che con il filosofico, al quale spetta il ruolo di comando, l’animoso intrattiene un rapporto di sudditanza e alleanza (441e 4-6); quella riflessione sull’impiego di musica e ginnastica per creare tra loro armonia – riflessione esplicitamente richiamata (441e 8: w{sper ejlevgomen) – è espressa in una forma che vale la pena di analizzare attentamente (441e 8-442a 2): l’uso congiunto di musica e ginnastica (mousikh'ı kai; gumnastikh'ı kra'siı) “tende e alimenta l’uno con bei discorsi e cognizioni, mentre allenta, calma, addolcisce l’altro mediante armonie e ritmo” (to; me;n ejpiteivnousa kai; trevfousa lovgoiı te kaloi'ı kai; maqhvmasin, to; de; ajniei'sa paramuqoumevnh, hJmerou'sa aJrmoniva/ kai; rJuqmw'/). Ricompaiono i riferimenti alle pratiche musicali di

379

Platone sembra riferirsi qui anche al fatto che il dosaggio di musica e ginnastica dovrà tenere conto delle differenze individuali (411b 6-c 2).

380La mancanza di stimoli musicali rende il filosofico “debole, sordo e cieco” (ajsqenevı te kai;

kwfo;n kai; tuflo;n), “dalle sensazioni non purificate” (oujde; diakaqairomevnwn tw'n aijsqhvsewn aujtou'); è interessante notare con quanta forza sia evocata la dimensione della percezione parlando dell’elemento più razionale dell’anima.

tendere e allentare, qui rivolte rispettivamente al filosofico e all’animoso, ma è evidente che, a dispetto dell’iniziale riferimento a musica e ginnastica, le due operazioni sono ricondotte entrambe all’effetto della sola musica, nelle parti che la compongono, verbale e strumentale. Altro aspetto rilevante del passo, e differenza rispetto a 410b-412a, è il termine impiegato per indicare l’effetto reso dall’azione concomitante di musica e ginnastica; un altro termine dalla forte valenza musicale, che però non è più “armonia”, bensì symphonia: la kra'siı delle due discipline suvmfwna aujta; poihvsei (il filosofico e l’animoso). Non è forse trascurabile il fatto che Socrate impieghi tale concetto, ben connotato musicalmente, subito dopo aver parlato dell’ordine gerarchico tra i due elementi dell’anima;381

in ogni caso la nozione di symphonia è impiegata poco dopo (442c 10-d 1) ad indicare il rapporto che intercorre tra le tre parti dell’anima nell’individuo temperante,382 e l’atmosfera musicale che il termine evoca prelude alla celebre descrizione dell’ordine intrapsichico nei termini di un’armonia tra tre note.

Quando finalmente si arriva a definire la giustizia, virtù a lungo cercata, è al linguaggio musicale che Socrate attinge (443c 9-444a 2): per descrivere quella caratteristica saliente dell’individuo giusto, la capacità di “armonizzare le tre parti” (sunarmovsanta triva o[nta) dell’anima, facendo in modo che ciascun elemento psichico svolga il proprio ruolo e occupi il posto che gli compete, Socrate usa la similitudine “come i tre confini fondamentali dell’armonia – nete, hypate e mese – anche se per caso ve ne sono altre intermedie” (w{sper o{rouı trei'ı aJrmonivaı ajtecnw'ı, neavthı te kai; uJpavthı kai; mevshı, kai; eij a[lla a[tta metaxu; tugcavnei o[nta). Quello “stato psichico” in cui consiste la giustizia (Cooper 1977, pp. 151-152) è assimilabile ad una struttura musicale complessa, in cui i rapporti reciproci tra i suoni rispondono ad un ideale di armonia. Di nuovo ci si trova di fronte ad una metafora musicale, dall’elaborazione in questo caso anche più raffinata, nella difficoltà di cogliere tutti i termini del confronto. Le tre note basilari dell’armonia, con il loro rapporti reciproci ben definiti, possono indicare le tre parti dell’anima, in un passo in cui Platone molto insiste sulla necessità che il posto e il ruolo di ciascuna parte dell’anima siano ben definiti, così come