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3 1 Premesse storiche

3.5 Film da festival

La massiccia proliferazione dei festival ha creato un circuito alternativo in cui le rassegne cinematografiche hanno assunto il ruolo di mercati ed eventi mediatici e ha permesso al cinema indipendente cinese di fare il suo ingresso nel sistema di produzione e consumo globale. Il sistema festivaliero non solo ha contribuito a svecchiare il cinema europeo ma ha anche avuto un ruolo fondamentale nel controbilanciare l’ascendente hollywoodiano, scostandosi orgogliosamente dalle megaproduzioni americane e prediligendo nuove tendenze e filmografie provenienti dai Pesi emergenti, come ad esempio le cinematografie asiatiche a Rotterdam.

Nonostante il circuito festivaliero funzioni come una zona esclusiva al di fuori della quale i film spesso non vengono considerati commerciabili, le manifestazioni cinematografiche riconoscono alle opere una sorta di prestigio culturale, che si traduce in valore economico attraverso i premi. In realtà i premi hanno di per sé un valore intrinseco relativamente basso: sono gli agenti di vendite, i distributori, i critici e l’intero sistema festivaliero a creare un’economia intorno ai partecipanti e soprattutto ai vincitori dei festival, trasformando l’opera cinematografica in un bene di consumo, la cui circolazione è giustificata e sostenuta dai riconoscimenti delle rassegne.

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La scelta dei film per i festival tende a basarsi su criteri come il multiculturalismo e la correttezza politica, spesso però le motivazioni di una selezione o di un rifiuto non sono puramente estetiche o artistiche ma vengono complicate dalla politica e dalle ideologie. Questa prassi risulta piuttosto evidente quando si arriva alle decisioni finali delle giurie, come nel caso della premiazione dei tre film sinofoni a Venezia nel 1994; l’estetica e la politica possono creare quindi diversi livelli di significato nello stesso circuito cinematografico.

Molti dei film d’autore e di nicchia, non realizzati dalle grandi case di produzione, sono spesso etichettati come “festival film” o “film da festival”. Questo appellativo si riferiva inizialmente ad opere destinate agli esperti di cinema, ai critici e agli specialisti e non al grande pubblico, interessato al cinema come mezzo di intrattenimento. Con l’aumento del numero delle manifestazioni internazionali legate al cinema, oggi il pubblico dei film da festival si è moltiplicato, ma è ancora perlopiù limitato ad una platea occidentale.

Nel caso dei cineasti indipendenti cinesi, il loro distacco dal mercato e dal pubblico della madrepatria rende la loro marginalità una posizione politica alternativa che determina la simpatia della critica internazionale. A questo proposito un esempio interessante per comprendere un po’ meglio il mercato cinese è Sanxia haoren, Leone d’oro a Venezia 2006 e distribuito in Cina da Warner. Il film di Jia Zhangke, che tratta di temi poco graditi alla censura, era stato distribuito in madrepatria solo in un numero limitato di copie. Dopo la vittoria a Venezia e la riabilitazione da parte dell’autorità (che fa di Jia una sorta di beniamino nazionale), l’opera riscuote un ottimo successo di pubblico al momento della distribuzione video, nonostante la concorrenza della pirateria.

Il fatto che fino a qualche decina d’anni fa il cinema cinese fosse quasi completamente sconosciuto in Occidente e vi abbia iniziato a circolare grazie ai festival europei ha innescato un circolo virtuoso e vizioso al tempo stesso, poiché da una parte ha permesso al cinema cinese una maggiore visibilità internazionale e dall’altra fa sorgere il dubbio che questi film vengano realizzati ad hoc per un pubblico straniero. Per di più, trattandosi spesso di coproduzioni internazionali, molti dei film che partecipano ai concorsi diventano opere non completamente cinesi ed il fatto che il film di Jia sia stato distribuito da Warner ne è la conferma. L’appoggio di uno dei maggiori festival cinematografici, tra l’altro, contribuisce alla legittimazione del lavoro del regista e scatena l’interesse mediatico nazionale che dà alla vittoria veneziana un tono patriottico. La glorificazione di Jia in patria ha, secondo alcuni, compromesso il valore dell’autentica rappresentazione cinematografica della realtà cinese e

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ha contribuito a far perdere all’etichetta di “indipendente” parte della sua connotazione anti-

establishment.

Nel momento in cui si viene vincolati nella scelta del soggetto, i vantaggi di realizzare “film da festival” possono trasformarsi in limitazioni della propria libertà artistica; viene da chiedersi, quindi, se la Generazione urbana seguirà o meno una parabola simile a quella della Quinta generazione: dalla sperimentazione, al manierismo, al cinema commerciale. Il rischio d’incappare in una traiettoria analoga non è da escludere, in quanto il cinema indipendente (nonostante sia nato come alternativa al mercato statale) assieme al successo deve anche far fronte alle nuove regole statali e alla libera circolazione di capitali, che mettono a disposizione una maggiore quantità di finanziamenti. Alcuni registi cinesi, seguendo l’esempio di Zhang Yimou, hanno già ceduto alle lusinghe del mercato: Zhang Yang, visto a Venezia con Zuotian, è passato al Nuovo cinema mainstream, moderno filone d’intrattenimento che racconta lo stile di vita e le storie d’amore cittadine, soggetti che interessano non soltanto il pubblico cinese, ma anche quello estero.

È un dato di fatto che senza l’eco mediatica dei festival internazionali il cinema cinese (in particolar modo quello indipendente) non avrebbe probabilmente mai potuto essere popolare a livello internazionale. La scelta di “contrabbandare” le copie dei film ha aiutato ad aprire un mercato per i film cinesi indipendenti e a guadagnare nuovi spettatori. Se si pensa al fatto che la maggior parte delle opere cinesi arrivate sul mercato occidentale sono da una parte grandi produzioni epiche in costume e dall’altra lungometraggi legati al cinema d’autore, risulta chiaro che la legittimazione statale del cinema indipendente non sia stata altro che una scelta dettata dalle forze di mercato.

I cambiamenti avvenuti negli ultimi anni possono in buona parte essere attribuiti all’entrata della Cina nel WTO. Il cinema, stimolato dalla nuova circolazione di capitali e dal successo nel circuito festivaliero internazionale, continua a mutare e a rinnovarsi: le sue trasformazioni vanno di pari passo con i cambiamenti del mercato internazionale; allo stesso modo il manierismo dei cineasti della Generazione urbana non è altro che un sintomo della loro ansia da prestazione di fronte al potere nel mercato post-socialista. Il circuito cinematografico ha contribuito a rigenerare la scena cinematografica cinese, attraendo nuovi talenti e offrendo ai giovani cineasti la possibilità di presentare i loro lavori, oltre a fornire una piattaforma attraverso cui poter entrare nel mercato globale.

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Il dubbio che rimane è che i registi cinesi si siano arresi all’egemonia culturale occidentale. Il loro successo nelle rassegne cinematografiche internazionali era inizialmente dovuto alla loro originalità, al loro rappresentare l’essenza di “film da festival”; del resto i festival erano l’unico luogo dove la loro voce potesse essere ascoltata e compresa. La ricezione del cinema cinese è cambiata con gli anni, ma il rischio è che le loro “verità” possano presto diventare prodotti di consumo del mercato internazionale.