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Parte I. INTRODUZIONE

5. Manipolazione dei trigliceridi

5.4. Fibrati

I fibrati, tra cui il bezafibrato, il clofibrato, il gemfibrato ed il fenofibrato, sono farmaci attivatori del recettore attivato dai proliferatori perossisomiali PPAR α, membro della superfamiglia dei recettori degli ormoni steroidei224, di cui sono stati descritti tre tipi nei roditori e nell’uomo: α, δ e γ. PPAR α è espresso in primis nel fegato e regola aspetti del metabolismo lipoproteico225;

PPAR γ è il bersaglio dei tiazolidinedioni, che hanno mostrato di incrementare il consumo muscolare di glucosio, ridurre la sua produzione a livello epatico e migliorare l’insulinoresistenza226,227. Isoforme di PPAR sono espresse anche nelle isole pancreatiche228,

anche se il loro ruolo in questa sede non è del tutto conosciuto.

Il bezafibrato è stato clinicamente utilizzato per migliorare il metabolismo lipidico, specialmente riducendo i livelli di trigliceridi, ma si è osservato che esso è anche in grado di ridurre i livelli glicemici in pazienti con DM2229, e sembra che i fibrati in generale abbiano effetti anche sull’insulinosensibilità230,231.

Tra gli studi in vitro a questo proposito è molto importante quello di Yoshikawa del 2001, finalizzato ad indagare gli effetti del bezafibrato sul rilascio di insulina e sull’espressione dei geni coinvolti nella sintesi dell’ormone e nel metabolismo lipidico, utilizzando isole pancreatiche di ratto139. Le molecole individuate come fattori chiave per l’effetto del farmaco sulla funzione β- cellulare, sono state Pdx-1 e PPAR α. Dopo un periodo di incubazione di un’ora o 48 ore, variabilmente con bezafibrato o un altro attivatore del PPAR α, WY14643, in concentrazioni variabili, di 0, 3, 30, 300 o 3000 µM, le isole venivano esposte ad una soluzione contenente 3,3 mM di glucosio e dopo un’ora, si andava a valutare il contenuto insulinico attraverso il saggio radio-immuno-enzimatico e l’espressione di particolari mRNA, sia di PPAR α, del GLUT 2, pre-pro-insulina, Pdx-1 ed altri enzimi chiave per il metabolismo glucidico e lipidico, attraverso la PCR. Alla fine si è osservato che, il bezafibrato a concentrazioni di molto superiori a quelle utilizzate nella pratica clinica, aumentava il rilascio insulinico, attraverso l’attivazione dell’espressione genica di PPAR α durante brevi periodi di coltura; mentre un’esposizione più protratta, riduceva l’espressione dei geni codificanti per GLUT-2 e Pdx-1 e portava alla disfunzione β-cellulare, probabilmente attraverso un meccanismo di eccessiva stimolazione.

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5.4.1. Somministrazione di fibrati negli animali

Nei ratti C57BL/6J, un trattamento di breve durata (15 giorni) con fenofibrato, ha mostrato di ribaltare lo stato di iperglicemia ed il peggioramento della tolleranza glucidica indotti da una dieta ad alto contenuto di fruttosio, ed allo stesso tempo di ridurre significativamente i trigliceridi plasmatici e la concentrazione intraepatica di lipidi, includendo trigliceridi, diacilglicerolo e ceramidi232. Risultati simili sono stati osservati nello stesso modello

sperimentale dopo 14 settimane di trattamento con fenofibrato233.

In ratti db/db, è stato ottenuto un importante miglioramento del controllo glucidico tramite trattamento con bezofibrato insieme a sitagliptin per 15 giorni, mentre, da notare che nessuno dei due presidi usato da solo risultava efficace136. Questo intervento riduceva in maniera simile i trigliceridi plasmatici ed i NEFA e preservava la normale architettura delle isole pancreatiche, come mostrato da esperimenti ex vivo. Per contro, nella stessa razza di ratti, un’attenuazione della lipotossicità di breve durata (una settimana) tramite bezafibrato, non risultava efficace sulla tolleranza glucidica, né potenziava l’effetto dell’empaglifozin234.

Questi due studi combinati, suggeriscono che una volta che l’iperglicemia si è sviluppata, i trigliceridi o i NEFA siano meno rilevanti, anche se potrebbero comunque interferire positivamente con l’azione del GLP-1.

Inoltre, in ratti Zucker obesi e più anziani, nutriti con dieta ricca di grassi, un trattamento di 9-21 giorni con ciprofibrato o con l’agonista più selettivo sul PPAR-α, GW9578, esercitava un effetto positivo, quasi normalizzando l’iperglicemia basale senza influenzare il peso corporeo233.

Al contrario, la somministrazione di fenofibrato per 15 giorni in una razza differente di ratti, inclini all’obesità (PD/Club) nutriti con cibo di laboratorio standard, deteriorava la tolleranza glucidica sia nel gruppo di controllo, sia nei ratti trattati con l’isotretinoina, un agonista del recettore dell’acido retinoico che aumentava i trigliceridi del 20%235.

Anche nei ratti obesi trattati con monosodio glutammato (MSG), un altro modello animale insulino-resistente, 12 settimane di fenofibrato avevano un effetto negativo sulla tolleranza glucidica, associato ad una considerevole riduzione dell’insulino-sensibilità ed alla perdita della prima fase della secrezione insulinica236.

Il trattamento con bezafibrato viceversa, ritardava di 8 settimane il progressivo incremento della glicemia a digiuno che si osservava spontaneamente in un modello di ratti con T2D (ratti OLETF)237.

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Nella stessa razza di ratti i livelli di glicemia tendevano esclusivamente ad essere più bassi se trattati con rosiglitazone, mentre erano significativamente ridotti dal fenofibrato, ed inoltre il trattamento preveniva l’insorgenza del diabete di tipo 2238.

Specie Durata Trattamento Tg (mM)

(variazione) NEFA (mM) (variazione) Effetto Ref Topi C57BL/6J Topi C57BL/6J Topi Zucker Topi db/db Topi db/db Topi PD/Club Topi MSG Topi OLETF Topi OLETF 2 settimane 14 settimane 3 settimane 2 settimane 1 settimana 2 settimane 12 settimane 16 settimane 28 settimane Feno 100 mg/Kg/die Feno 0,05% w/w Cipro 0,005% w/w Beza 100 mg/Kg/die Beza 100 mg/Kg/die Feno 100 mg/Kg/die Feno 100 mg/Kg/die Beza 150 mg/100 g CD Beza 0,5% w/w 0,3 (0,6) NA (NA) NA (NA) 1,2 (0,5) 2,8 (0,5) 1,0 (0,5) 1,6 (0,5) 1,2 (0,7) 0,4 (0,1) NA (NA) NA (NA) NA (NA) 0,4 (0,5) 0,8 (0,8) 0,2 (0,5) NA (NA) 0,1 (0,5) 0,5 (0,6) ↓50%PG ↓30% Glu (120′) ↓20% PG ↓50% PG =PG =PG =PG ↑Glu (120′) ↑20% PG ↑30% Glu (120′) ↓20% PG ↓20% AUC Glu (60′) ↓16%PG 232 233 233 136 234 235 236 237 238

Beza: bezafibrato; Cipro: ciprofibrato; Feno: fenofibrato

Tabella 7. Sintesi dei risultati del trattamento con fibrati negli animali

Complessivamente, i risultati negli animali indicano che una riduzione cronica dei trigliceridi tramite fibrati, risulti particolarmente protettiva in modelli che presentino un assetto genetico pro-diabetico od esposti a manipolazioni dietetiche, nel momento in cui non abbiano ancora sviluppato l’iperglicemia. Tra i fibrati, il fenofibrato sembra essere il meno efficace su questo fronte, probabilmente a causa di un’azione più selettiva sul PPAR α, anche se risulta essere anche parzialmente attivo su PPAR γ.

Dato che nei precedenti studi, l’organizzazione sperimentale ed i modelli erano differenti, e dato che i risultati inerenti trigliceridi e NEFA non erano sempre disponibili, è impossibile differenziare il contributo relativo di ogni singolo substrato. Comunque è interessante notare che i cambiamenti nei trigliceridi plasmatici erano simili, in termini relativi, ai cambiamenti nei NEFA, senza considerare l’intervento sperimentale, così che la manipolazione di uno ed entrambi i substrati può potenzialmente spiegare le modifiche metaboliche rilevate.

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Bisogna comunque essere cauti nell’estrapolare questi dati nell’uomo, a causa della differenza tra le specie nella funzione del PPAR; gli epatociti umani infatti esprimono il PPAR α solo per un 5-10% dei livelli trovati nei roditori.

5.4.2. Somministrazione di fibrati nell’uomo

In un vasto campione di pazienti obesi non diabetici, il trattamento con bezafibrato a confronto con placebo, in un periodo medio di osservazione di 6,3 anni, abbassava i livelli di glicemia a digiuno del 7% e riduceva l’incidenza di diabete di tipo 2, ritardando l’insorgenza della malattia di 2 anni239. Similmente, in pazienti non diabetici con

ipertrigliceridemia240,241, il trattamento con bezafibrato da 6 settimane a 3 mesi, era associato

con un lieve miglioramento della tolleranza glucidica.

L’effetto positivo a lungo termine del bezafibrato sull’omeostasi glucidica è stato confermato in una vasta coorte di pazienti diabetici (n=351) in cui il farmaco preveniva l’aumento del 15 % della glicemia a digiuno, che si verificava nel gruppo sottoposto a placebo nel corso di un follow-up di 2 anni242.

Altro risultato degno di nota: un importante studio retrospettivo che comparava differenti fibrati, ha mostrato che individui cronicamente trattati con bezafibrato, avevano un rischio più basso per incidenza di diabete rispetto a chi usava altri fibrati, per lo più comparato con fenofibrato, ed in più quelli che usavano il bezafibrato avevano anche un minor rischio di dover intensificare la terapia243.

In accordo con questa osservazione, nei 204 pazienti diabetici trattati con fenofibrato nel trial DAIS244, non si è osservato alcun miglioramento nell’omeostasi glucidica, stimata tramite variazioni dei livelli di glicoalbumina.

È importante notare che quando i livelli di trigliceridi plasmatici sono ridotti inibendo la lipolisi ed abbattendo i livelli di NEFA, usando derivati dell’acido nicotinico a lunga durata d’azione, l’effetto complessivo sulla tolleranza glucidica è o neutro o lievemente negativo245.

Quindi nell’uomo, l’abbassamento cronico dei trigliceridi plasmatici sembra migliorare l’omeostasi glucidica e prevenire lo sviluppo del diabete anche se anche qui, sembra riconfermarsi la minore efficacia del fenofibrato in questo senso, come già visto negli animali.

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Soggetti Durata Trattamento Tg (mM)

(variazione) NEFA (mM) (variazione) Effetto Ref Non diabetici obesi (n=303)

Non diabetici con o senza iperTg (n=38)

Non diabetici con o senza iperTg (n=27) DM2 (n=351) DM2 (n=204) 6,3 anni 6 settimane 3 mesi 2 anni 3 anni Beza 400 mg (n=156) Placebo (n=147) Beza 400 mg (n=18) Placebo (n=20) Beza 400 mg (n=12) Placebo (n=15) Beza 400 mg (n=168) Placebo (n=183) Feno 200 mg (n=108) Placebo (n=96) 1,5 (0,8) 4,0 (0,4) 1,2 (0,5) 1,3 (0,8) 1,6 (0,7) NA (NA) NA (NA) 0,7 (0,8) NA (NA) NA (NA) ↓7% PG ↓27% incidenza DM2 ↓/= PG ↓10% PG a digiuno ↓14% Glu (120′) ↓15% PG a digiuno = Glicoalbumina 239 240 241 242 243

Tabella 8. Sintesi degli effetti del trattamento con fibrati nell’uomo

Considerando, in termini di entità dell’effetto, il contrasto tra le solide osservazioni epidemiologiche ed i modesti effetti forniti dalla manipolazione nel breve termine nei trial clinici, si può concludere che probabilmente le conseguenze negative dei trigliceridi sull’omeostasi glucidica, anche se minime, possano determinare un deterioramento progressivo della tolleranza glucidica, se applicate nel tempo, nell’arco di anni.

5.4.3. Nuovi fibrati, prevenzione degli eventi cardiovascolari e meccanismi d’azione sul profilo lipidico

L’aumentato rischio di malattia cardiovascolare su base aterosclerotica nei pazienti diabetici è attribuibile sia ad anomalie nel metabolismo glucidico che in quello lipidico, ed un vasto numero di trial clinici ha dimostrato che trattare la dislipidemia, risulta in un’importante riduzione di tale rischio.

Negli studi FIELD (Fenofibrate Intervention and Event Lowering in Diabetes) ed ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes), il trattamento con fenofibrato ha portato ad una riduzione degli eventi cardiovascolari nel sottogruppo di pazienti con elevati

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livelli di Tg e bassi livelli di HDL-c246,247. Ed in più, l’analisi a posteriori del trial VA-HIT (Veterans Affairs High-Density Lipoprotein Intervention Trial), ha mostrato che il trattamento con gemfibrozil risultava in una riduzione degli eventi in un sottogruppo di pazienti con diabete248.

Il pemafibrato (K-877) è un nuovo modulatore selettivo del PPAR α, approvato per il trattamento della dislipidemia. Uno studio di fase 2 sul farmaco, condotto in pazienti con dislipidemia aterogenica, ha rivelato che esso determina una significativa riduzione dei Tg ed un aumento del colesterolo HDL, con tassi di effetti avversi, quali aumento della creatinina sierica e degli enzimi epatici, comparabili a quelli dei pazienti trattati con placebo, a indicare che il pemafibrato possa avere un miglior rapporto rischio/beneficio rispetto ad altri, quali il fenofibrato249.

Questi risultati sono stati confermati recentemente dallo studio di Araki et al250, anche in

pazienti con DM2 ed ipertrigliceridemia.

In questo studio i pazienti sono stati divisi in maniera casuale in tre gruppi e ricevevano placebo (n = 57), 0,2 mg/die di pemafibrato (n = 54) oppure 0,4 mg/die del farmaco (n = 55) per 24 settimane. I gruppi trattati col farmaco hanno mostrato una significativa riduzione dei livelli di trigliceridi del 45%, rispetto ai gruppi trattati con placebo, di lipoproteine non HDL e remnants di lipoproteine contenenti colesterolo, di ApoB100, ApoB48 ed ApoCIII ed un notevole aumento nel colesterolo HDL ed ApoA-I, mentre i livelli di colesterolo LDL non risultavano modificati in maniera importante.

Nel gruppo trattato con la dose più bassa di pemafibrato inoltre, si è osservato un calo notevole dell’insulinoresistenza, valutata con l’indice HOMA-IR (Homeostasis Index of Metabolic Assessment); mentre a confronto col gruppo trattato con placebo, non si sono osservati cambiamenti importanti nella glicemia a digiuno, insulinemia a digiuno, glicoalbumina ed emoglobina glicata.

Il gruppo trattato col farmaco mostrava anche un aumento del fattore di crescita fibroblastico 21 (FGF21). Tutti i gruppi hanno mostrato eventi e reazioni avverse al farmaco, in livelli comparabili, a riconferma che il pemafibrato ha un buon livello di sicurezza. Discutendo questi risultati, in termini di parametri glicemici, anche le analisi a posteriori ANCOVA, mostrano che il pemafibrato riduce la glicemia a digiuno, l’insulinemia e i livelli di insulinoresistenza misurati con l’indice HOMA, mentre i risultati di studi precedenti sugli altri agonisti di PPAR α per quanto riguarda l’insulinoresistenza, erano inconsistenti251-255,

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Quindi sono necessari ulteriori studi a confermare gli effetti del pemafibrato sul metabolismo glucidico.

Però c’è da dire che, l’aumento dei livelli di FGF21 e la riduzione di ApoCIII dati dal trattamento, potrebbero avere un impatto positivo sulla riduzione dell’insulinoresistenza: infatti, si è visto che la somministrazione di un analogo di FGF21 migliorava l’insulinoresistenza e il metabolismo glucidico256 e che ridurre ApoCIII per contro

aumentava la sensibilità insulinica257

Per quanto riguarda invece il profilo lipoproteico, il pemafibrato e gli agonisti del PPAR α, sono ritenuti in grado di aumentare l’uptake epatico di NEFA e la loro betaossidazione, e di ridurre l’aumentata lipogenesi e la produzione di VLDL225.

È stato dimostrato anche che il pemafibrato aumenta, in epatociti umani, murini e in fegati di ratto258,259, l’espressione di geni per la betaossidazione ed il contenuto epatico di Tg259, e

che esso è in grado di inibire l’espressione del mRNA di NPC1L1, di pari passo con un aumento dell’escrezione fecale di colesterolo in topi knock-out per il recettore delle LDL260.

I fibrati, sembrano anche ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo probabilmente tramite una riduzione di NPC1L1, Microsomal Transfer Protein e dell’mRNA di ApoB261,262.

I livelli di ApoB48, principale componente dei chilomicroni, ridotti dal trattamento con pemafibrato, presumibilmente riflettono la riduzione nella produzione di chilomicroni da parte dell’intestino e/o un aumentato catabolismo.

Inoltre, gli agonisti del PPAR α hanno mostrato di incrementare l’espressione di LPL e di inibire quella di ApoCIII, la quale sopprime l’attività lipolitica225. Il pemafibrato riduce in

maniera marcata i livelli di ApoCIII ed è proprio attraverso questi meccanismi, cioè sopprimendo la produzione ed aumentando il catabolismo delle lipoproteine ricche in Tg, che riesce ad incrementare i livelli di HDL-c ed a ridurre i livelli di LDL piccole e dense, che hanno il massimo potere aterogenico263.

Lo studio di Araki non era finalizzato a dimostrare l’efficacia del pemafibrato nel ridurre gli eventi cardiovascolari, tuttavia, i risultati degli altri studi, le evidenze sul suo ruolo e su quello degli altri agonisti del PPAR α nel modulare l’assetto lipoproteico e migliorare la dislipidemia, lasciano ben sperare che questi farmaci possano agire in tal senso, migliorando nettamente l’outcome dei pazienti diabetici.

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