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Legenda Regioni: LO = Lombardia; LA = Lazio; EM = Emilia Romagna; VE = Veneto; TO = Toscana; PI = Piemonte; MA = Marche; UM = Umbria; LI = Liguria; AB = Abruzzo; MO = Molise; BA = Basilicata; CA = Campania; CL = Calabria; PU = Puglia.

Fonte: Elaborazioni su dati ISSIRFA

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 LO LA PI EM VE MA TO UM LI AB MO BA CA CL PU

Valori pro capite in euro

3.5 Il futuro del sistema perequativo

La precedente discussione ha messo in evidenza che gran parte della fun- zione di chiusura degli squilibri verticali è attualmente svolta dalla com- partecipazione IVA, che si configura quindi più come un trasferimento che come una vera e propria compartecipazione. Tuttavia, la recente ri- forma costituzionale preclude l’impiego di trasferimenti per il finanzia- mento regionale, ammettendo che l’unico fondo istituibile sia proprio il fondo perequativo. Ci si deve allora chiedere, in questa prospettiva, in che modo si intrecceranno le sorti del fondo perequativo e della com- partecipazione IVA.

Il d.lgs. 56/00 prevedeva in realtà che lo strumento (la compartecipazio- ne) servisse un fine (quello perequativo) attraverso un meccanismo di di- stribuzione basato sulla popolazione, sulla capacità fiscale pro capite, sul fabbisogno sanitario pro capite e sul fabbisogno di spesa non sanitaria pro capite.

La possibilità di attuazione di questo sistema è stata messa in discussione da due fatti: il primo, che tale perequazione non consentiva la copertura dei fabbisogni sanitari (la ragione della sospensione della sua applicazione di cui sopra); il secondo, che l’art. 119 della Costituzione prevede ora che il meccanismo perequativo sia basato sulla capacità fiscale per abitante, e non (almeno apparentemente) su un insieme di elementi come previsto dal 56/2000. A ciò si aggiunga che, originariamente, molte delle grandezze presenti nel sistema perequativo dovevano essere calcolate ai loro valori standard, caratteristica che nell’attuazione pratica del 56/2000 è stata sa- crificata in favore di grandezze effettive.

Poiché le possibilità di organizzare un sistema perequativo, in termini di scelta degli indicatori, sono pressoché infinite, sarebbe opportuno partire da ciò che l’art. 119 sottintende. Se il riferimento alla capacità fiscale per abitante dell’art. 119 lasci presumere un meccanismo perequativo di tipo verticale o orizzontale è arduo da definire. In astratto i modelli di perequa- zione possibile sono due. Il primo, verticale, consiste nello stanziamento di un fondo perequativo con cui sopperire alle carenze finanziarie degli enti locali più poveri (è il sistema adottato fino ad ora per i comuni). Il secondo, orizzontale, si fonda invece su un meccanismo più complesso e trova con- creta applicazione in Germania. Questo schema individua un soggetto istituzionale formato dall’insieme degli enti federati al quale spetta il com- pito di individuare un livello minimo di risorse da far raggiungere, con va- rie modalità, a ciascun ente aderente.

Pur se la pratica applicazione può essere molto simile, la filosofia dei modelli è significativamente diversa: nel primo il garante del processo ridi- stribuivo è lo Stato, nel secondo è il sistema degli enti federati.

Il modello prescelto nel nuovo testo costituzionale sembra appartenere al primo tipo, che meglio si addice ad un paese come l’Italia, contrasse- gnato da forti squilibri territoriali.

In questo ambito, si porrebbe la necessità di distinguere tra funzioni di spesa che coinvolgono la fornitura di livelli essenziali e altre funzioni di spesa. Per le funzioni di spesa che coinvolgono livelli essenziali (le funzioni nelle quali il fabbisogno di spesa è predeterminato a livello centrale per garanti- re la fornitura di livelli essenziali), si dovrebbe immaginare un finanzia- mento integrale dei fabbisogni regionali con risorse prevalentemente de- volute (in ragione dell’assenza di trasferimenti).

Ciò risolverebbe due problemi. Il primo, quello di imputare – in sede di determinazione del fabbisogno sanitario – tributi propri a copertura – tipi- camente l’IRAP e l’addizionale IRPEF almeno per i loro gettiti calcolati ad aliquota base. Tale meccanismo consentirebbe di separare nettamente la sorte dei tributi propri dal finanziamento di spese da garantire obbligato- riamente, con un miglioramento della trasparenza del sistema complessivo di finanziamento.

Il secondo, cadrebbe l’esigenza di un meccanismo perequativo vero e proprio, dato che la perequazione sarebbe implicita nel fatto che ogni re- gione avrebbe a disposizione esattamente quanto necessita per la fornitura dei livelli essenziali. Se ogni regione, per ipotesi, ottenesse fondi sufficienti alla copertura dei LEA in campo sanitario, le ragioni di una «ulteriore» pe- requazione verrebbero dunque meno.

Va però sottolineato che, sotto questo profilo, il recente disegno di legge si sta orientando in una direzione diversa.

Per le funzioni di spesa che non coinvolgono la fornitura di livelli essenziali, la perequazione dovrebbe invece esercitare un ruolo di riequilibrio delle ri- sorse potenziali a disposizione delle diverse Regioni. Ciò sia nel caso in cui i relativi fabbisogni di spesa venissero coperti solo parzialmente, lasciando all’autonomia tributaria delle Regioni l’onere di coprire (o non coprire) il differenziale; sia nel caso in cui sia lasciata alle Regioni autonomia di de- terminazione dei livelli forniti e quindi autonomia tributaria sulle risorse destinabili a tali funzioni. In questo caso, infatti, un uguale sforzo fiscale (ad esempio, una stessa aliquota) in Regioni diverse avrebbe l’effetto di ge- nerare gettiti diversi e quindi livelli di servizi potenzialmente diversi indi- pendentemente dalle preferenze dei residenti nelle rispettive Regioni.

Risolvere il nodo della appropriata corrispondenza tra funzioni di spesa e forme di finanziamento sarà quindi un elemento che potrà contribuire a far chiarezza sul modo in cui in futuro i tributi propri potranno essere im- piegati e manovrati.

Il recente disegno di legge sul federalismo fiscale contiene alcune novità in merito. La prima, riguarda il fatto che esso accoglie la distinzione – pre- sente nel titolo V – tra funzioni che coinvolgono livelli essenziali e funzioni autonome delle Regioni.

La seconda, in parte conseguente, è la predisposizione di un regime di finanziamento «differenziato» per le due tipologie di spesa che tuttavia si distacca dal modello sopra delineato. Per le funzioni «essenziali», si preve- de una copertura a valere su quote di IRAP e addizionale IRPEF, nonché su compartecipazioni e su un fondo perequativo. Per le funzioni autonome, si prevede invece una copertura attraverso tributi propri con contestuale perequazione delle capacità fiscali.

Sotto questo profilo, il disegno di legge non appare particolarmente in- novativo rispetto al passato, soprattutto nella misura in cui – nel finanzia- mento dei livelli essenziali – include sia quote di tributi propri sia quote di fondo perequativo con l’unico obiettivo di garantire il finanziamento inte- grale della spesa. In una certa misura, la struttura di questo finanziamento risente della «mancanza», nel titolo V, della possibilità di far ricorso a tra- sferimenti specifici per coprire le esigenze derivanti da livelli di spesa ga- rantiti costituzionalmente.

4.1 Introduzione

Con il termine Patto di Stabilità Interno si definisce l’insieme di norme adottate, a partire dal 1999, dal Parlamento italiano in occasione dell’ap- provazione delle Leggi finanziarie e dei Bilanci annuali, con l’obiettivo di rendere le amministrazioni periferiche responsabili, nelle loro scelte di spesa e di finanziamento della stessa, rispetto agli impegni di finanza pub- blica sottoscritti dall’Italia con il Patto di Stabilità e Crescita europeo.

La necessità di una regola di bilancio per le amministrazioni periferiche deriva dal fatto che il vincolo europeo annuo sul saldo di bilancio è definito rispetto ad un aggregato, l’indebitamento netto del conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni1, alla cui definizione finale concorrono molti

comparti dell’Amministrazione e non solo lo Stato con il Bilancio delle Amministrazioni Centrali. In particolare, Comuni, Province e Regioni sono – dopo le Amministrazioni Centrali – gli enti più importanti nella definizione del conto consolidato.

Questo capitolo presenta un’analisi critica dell’esperienza del Patto di Stabilità Interno in Italia, con particolare riferimento alle regole adottate in occasione delle Leggi finanziarie per il 2007 e il 2008 e ai risultati ottenuti dalle amministrazioni locali del Lazio. Il capitolo si compone di tre parti. Nella prima sono illustrate le norme susseguitesi in Italia dal 1999 al 2007

1 Il Patto di Stabilità e Crescita impone che annualmente l’indebitamento netto della

Pubblica Amministrazione (un saldo consuntivo calcolato dall’ISTAT) risulti inferiore al 3 per cento del PIL e che il rapporto tra il debito pubblico ed il PIL sia inferiore al 60 per cento o manifesti una stabile tendenza a ridursi verso tale valore. Il Patto europeo impone inoltre un obiettivo di medio termine relativamente al saldo di bilancio struttu- rale, cioè depurato degli effetti del ciclo economico, che dovrebbe presentare un avanzo o almeno un pareggio.

Il Patto di Stabilità Interno in Italia: