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4.1

Trasposizione ovarica

I tumori che richiedono la trasposizione ovarica nelle pazienti adulte sono il tumore della cervice e del retto, pertanto nella maggior parte dei casi le ovaie devono esser spostate lateralmente ed in alto.

A causa di una possibile “migrazione” delle ovaie precedentemente trasposte, questa procedura dovrebbe essere eseguita quanto più possibile vicino nel tempo al trattamento radiante stesso. Il tasso di successo di questa tecnica varia dal 33% al 91% nelle varie casistiche. I principali motivi del fallimento di questa tecnica sono rappresentati dalla possibile dispersione di radiazioni al tessuto gonadico e da una possibile alterazione della perfusione ovarica; inoltre, parametri importanti sono rappresentati dalla dose totale di radiazioni somministrate e dalla quota di esse effettivamente ricevute dall’ovaio. Anche l’età della paziente influenza il successo della metodica: non è indicato eseguire la trasposizione ovarica dopo i 38 anni [191], [192].

Per quanto riguarda la preservazione della funzione riproduttiva, esistono piccole serie di casi in letteratura che dimostrano gravidanze dopo trasposizione ovarica. I risultati migliori, con 14 gravidanze e 12 nascite su 11 pazienti trattate sono riportati in uno studio italiano [193]. In questo studio però, le ovaie erano state spostate medialmente, dietro l’utero prima di una irradiazione a Y invertita per linfoma Hodgkin e l’età media al trattamento era 13 anni (range 9-22). Le gravidanze riportate dopo trasposizione ovarica laterale in pazienti adulte sono poche. Una revisione di 8 studi con un follow-up a lungo termine di 347 donne adulte sottoposte a trasposizione ovarica per varie indicazioni, quali cancro della cervice uterina, cancro del retto, linfoma di Hodgkin, ependimoma e cancro della vagina, segnala solo 9 gravidanze [194]. Non c’è accordo sulla necessità di eseguire un intervento per riposizionare le ovaie alla fine dei trattamenti. In caso si debba ricorrere a tecniche di riproduzione assistita dopo trasposizione ovarica, il riposizionamento delle ovaie potrebbe essere indicato per facilitare il recupero degli ovociti per via transvaginale poiché il prelievo ovocitario risulterebbe più complicato per via percutanea trans-addominale. Una possibile

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complicanza della trasposizione ovarica è una disfunzione ovarica dovuta allo sviluppo di cisti con una incidenza del 14%. Le raccomandazioni AIOM alla trasposizione ovarica sono riportate nella Tabella 2.

Tabella 2: Raccomandazione clinica trasposizione ovarica [107]

Qualità globale dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D

La trasposizione ovarica deve essere proposta a tutte le giovani donne candidate a irradiazione pelvica: il tasso

di successo di questa tecnica, valutato come preservazione della funzione mestruale a breve termine,

varia dal 33% al 91% a seconda delle casistiche.

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4.2

Crioconservazione del tessuto ovarico

Il rischio di fallimento ovarico prematuro post-chemioterapia dipende in larga parte dall'interazione tra due fattori: tipo e dose di farmaco ricevuto ed età della paziente al momento del trattamento. La stima del rischio paziente-specifico può essere fatta valutando questi due fattori; tuttavia, a causa della variabilità inter-individuale, è consigliabile proporre tecniche di preservazione della fertilità anche quando il rischio calcolato risulterebbe moderato o basso (ad esempio in pazienti molto giovani).

Il trapianto di tessuto ovarico è una delle procedure che mirano a preservare la fertilità di queste pazienti, che può ripristinare anche la funzione endocrina dell'ovaio [264-267]. In alcune situazioni cliniche in cui la chemioterapia deve essere iniziata il prima possibile, la criopreservazione del tessuto ovarico è l'unica strategia attuabile per la tutela della fertilità. Pur persistendo l'etichetta di procedura sperimentale, è stato raccomandato di implementare questa strategia nei centri oncologici per la preservazione della fertilità, specialmente nelle pazienti prepubere o in quelle che devono sottoporsi immediatamente alla chemioterapia [268].

Per la criopreservazione del tessuto ovarico non è stato stabilito un limite superiore di età riconosciuto che garantisca un outcome di successo. La maggior parte dei clinici ritiene non utile criopreservare il tessuto oltre i 35 anni, considerando che la maggior parte delle gravidanze in letteratura sono state descritte in pazienti giovani. Tuttavia, nonostante i tassi di successo siano maggiori in pazienti più giovani di 35 anni, essendo state descritte gravidanze e nascite anche tra 35 e 39 anni, non si dovrebbe porre un limite d'età troppo stretto ma si dovrebbero valutare nella decisione anche gli altri markers di riserva ovarica.

Per quanto riguarda i pazienti oncologici pediatrici, si è assistito negli ultimi anni a un aumento della sopravvivenza a 5 anni dal 58% registrato negli anni 70' all'83% (dati 2002-2008). Nelle pazienti sopravvissute al cancro, il tasso di insufficienza ovarica (POI) acuta successiva ai

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trattamenti oncologici è del 6,3%, mentre nell'8% dei casi la POI insorge negli anni successivi. [269] Il rischio di POI iatrogena dipende in larga parte dallo schema terapeutico utilizzato, e i trattamenti con rischio superiore all'80% danno indicazione alla preservazione della fertilità a prescindere dall'età della paziente. [270] Per le pazienti pediatriche la criopreservazione di tessuto ovarico rappresenta l'unica strategia attuabile per la tutela della fertilità e in diversi centri è stata effettuata anche in bambine di età inferiore all'anno di vita. L'accesso a tale tecnica è tuttavia ancora limitato, in parte per l'etichetta sperimentale, in parte per la riluttanza a sottoporre bambine molto giovani a un ulteriore intervento chirurgico. Inoltre non sono ancora disponibili i dati sulle gravidanze ottenute da tessuto ovarico prelevato in bambine prepubere, essendo tale tecnica relativamente “giovane”. [271]

Non è ancora chiaro se il tessuto ovarico possa essere criopreservato con successo dopo la chemioterapia. Nel 2008 Abir et al. hanno dimostrato che il numero di follicoli preantrali risultava ancora alto nel tessuto dopo la chemioterapia, ma solo nelle pazienti al di sotto di 20 anni. La criopreservazione potrebbe pertanto essere proposta a pazienti giovani anche dopo la chemioterapia, ma sono ancora attesi dati clinici sui tassi di gravidanza.[272] In uno studio del 2011 di Fabbri et al. sono state analizzate la densità e qualità follicolare in biopsie ovariche pre e post chemioterapia in pazienti pediatriche: la correlazione inversa tra età e densità follicolare risultava particolarmente evidente in entrambi i gruppi di pazienti, e nonostante la ridotta qualità follicolare nelle pazienti postchemioterapia (aumentata vacuolizzazione ovocitaria e distacco dell'ovocita dalle cellule della granulosa) la densità dei follicoli risultava ancora alta, spingendo gli autori a concludere che la preservazione del tessuto ovarico andrebbe proposta anche dopo la chemioterapia in pazienti molto giovani che non abbiano avuto accesso alla tecnica prima del trattamento oncologico [273].

Il trapianto di tessuto ovarico può essere classificato come trapianto di tessuto corticale o dell'intero ovaio. Per quanto riguarda il sito di reimpianto invece, può essere definito ortotopico (nella pelvi

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stessa sull’ovaio residuo, sulla fossetta ovarica o sul legamento largo) o eterotopico (siti extrapelvici come il tessuto sottocutaneo della parete addominale o dell'avambraccio). La procedura può essere autologa (con tessuto dello stesso paziente), allogenica (da donatore), o uno xeno-trapianto (con tessuti di altre specie) [274, 275]. Attualmente nelle pazienti oncologiche viene eseguito il prelievo autologo del tessuto ovarico prima di chemio o radioterapie, con lo scopo di criopreservare tessuto ovarico normofunzionante. Al termine delle terapie antineoplastiche, il tessuto ovarico viene reimpiantato nella paziente per ripristinare sia le funzioni riproduttive che endocrine [276].

Nelle pazienti pediatriche il trapianto di tessuto ovarico crioconservato prima dei trattamenti oncologici permette inoltre, tramite la ristorazione della funzione steroidogenica, l'induzione della pubertà. In letteratura sono riportati diversi casi di induzione della pubertà tramite trapianto di tessuto ovarico. [277] In alternativa, queste pazienti possono essere sottoposte a terapia ormonale sostitutiva e induzione medica della pubertà fino al desiderio di maternità. [275].

La criopreservazione di tessuto ovarico (OTC) è attualmente considerata sperimentale da gruppi di lavoro internazionali. Tra i centri che per primi hanno riportato esperienze di OTC per la preservazione della fertilità sono da ricordare l'Università Cattolica di Louvain in Belgio nel 1995, il Groupe Hospitalier Pitie-Salpetriere di Parigi, che ha introdotto l'OCT per pazienti adulte nel 1998 e nelle ragazze prepubere nel 2000, nonché la Libera Università di Brussels nel 1999. Tutti questi centri hanno iniziato i loro programmi di OCT con il protocollo di slow freezing sviluppato da Godsen et al. [278]

Per quanto riguarda la scelta dei siti di reimpianto, essa costituisce un fattore essenziale, coinvolto sia nella longevità del trapianto che nella competenza ovocitaria. Il tessuto ovarico può essere trapiantato nel sito originario (ortotopico) o in siti alternativi (eterotopici). Il primo trapianto ortotopico di tessuto ovarico criopreservato è stato descritto da Oktay nel 2000 [280]. Per quanto riguarda i siti eterotopici, si sceglie il tessuto sottocutaneo (della parete addominale o

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dell'avambraccio) per la ridotta invasività e la facilità dell'accesso chirurgico; da alcuni autori è stato descritto un trapianto eterotopico associato a un trapianto ortotopico, come da Callejo nel 2001 [281], Oktay nel 2001, 2003 e nel 2006 [282-284], Wolner-Hanssen nel 2005 [285] e Demeestere nel 2006 [286]. Sono stati testati anche altri siti eterotopici, come l'utero, il muscolo retto dell'addome, lo spazio tra il tessuto mammario e la fascia superficiale del muscolo pettorale, il tessuto sottoperitoneale tra la fascia addominale nell'area tra l'ombelico e l'osso pubico. [275]

Con una grande variabilità interindividuale, dopo l'autotrapianto ortotopico di corticale ovarica criopreservata, la funzione ovarica può ristabilirsi entro 2-9 mesi e persistere fino a sette anni.

Nel 2015 è stata riportata la prima nascita dopo trapianto di corticale ovarica criopreservata durante l'infanzia [287]. La sopravvivenza del tessuto trapiantato è influenzato da una serie di fattori, come l'età della paziente al momento del prelievo di tessuto, dal tipo di terapia gonadotossica e al volume di tessuto ovarico trapiantato, tuttavia non è sempre facile stabilire una correlazione tra questi fattori e la durata del tessuto trapiantato. Sia la chemioterapia precedente alla criopreservazione sia il sito di reimpianto possono interagire con il processo di rivascolarizzazione del tessuto trapiantato. Inoltre, la procedura di criopreservazione in sé, come anche la chemioterapia pregressa, possono interferire con la neovascolarizzazione attraverso un meccanismo di danno corticale, che induce un aumentato tasso di fibrosi nel trapianto [275].

Nelle pazienti sottoposte al trapianto di tessuto ovarico, nonostante il ripristino del ciclo mestruale, si osservano spesso alti livelli basali di FSH, il che rifletterebbe la scarsa riserva ovarica [279]. La persistenza di livelli elevati di FSH è legata probabilmente alla scarsa qualità ovocitaria e a un inadeguato stadio maturativo degli ovociti [275].

Fino ad ora, la maggior parte delle gravidanze descritte in letteratura sono state ottenute dopo trapianti ortotopici, sia da concepimento spontaneo (Donnez et al. 2004; Demeestere et al. 2007; Silber et al. 2008) che da tecniche di procreazione in vitro (Meirow et al. 2005; Andersen et al.

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2008). Nel 2005 Meirow et al. hanno descritto la prima nascita dopo PMA in una paziente sottoposta a trapianto ortotopico di tessuto ovarico per insufficienza ovarica precoce dopo chemioterpia. In un ciclo naturale modificato è stato recuperato un singolo ovocita maturo, nove mesi dopo il reimpianto del tessuto, con la formazione di un embrione di 4 cellule traferito in utero in seconda giornata [266].

Dopo il trapianto eterotopico di tessuto ovarico criopreservato, è mandatorio ricorrere alla fecondazione in vitro. Nel 2014 si è ottenuta la prima gravidanza da questa tecnica, con la nascita di due gemelli [288].

Sulla base dei dati della letteratura, i tassi di reimpianto di tessuto ovarico dopo criopreservazione sono piuttosto bassi, oscillando tra il 3 e il 5%. Ciò nonostante, il 30% delle pazienti che si sottopongono al trapianto di tessuto ottengono una gravidanza, con una pregnancy rate del 27-33% riportata nei tre principali centri europei di preservazione della fertilità. Questo ha portato, nel mondo, alla nascita di più di 130 bambini da questa tecnica. [289-292]

La tecnica standard di prelievo di tessuto ovarico prevede, per via laparoscopica, l'asportazione con forbici a freddo di una striscia di corticale ovarica per ciascun ovaio, lungo una linea che connette il legamento infundibolo pelvico con il legamento utero-ovarico.

Nelle bambine, a causa delle dimensioni ridotte delle ovaie, la tecnica chirurgica raccomandata è l'ovariectomia con successiva decorticazione ovarica e non l'asportazione bilaterale di ampie porzioni di corticale, per evitare esiti aderenziali a carico di entrambe le ovaie [293]. In uno studio del 2019 su 64 pazienti tra i 5 mesi e i 23 anni, infatti, l'ovariectomia monolaterale è stata la tecnica scelta nel 84% dei pazienti [270] Inoltre, nelle pazienti pediatriche la laparoscopia per il prelievo di tessuto ovarico viene spesso associata ad altre procedure che richiedono l'anestesia generale (es. prelievo di midollo osseo), con brevissimo tempo di intervento (media di 30 minuti) e di recupero delle pazienti (dimissione entro 24 ore nel 96% dei casi) [270].

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Figura 13 : Crioconservazione e OCT del tessuto ovarico

Il tessuto ovarico può essere criopreservato con tecnica di slow freezing o con vitrificazione; tuttavia, ma i dati sulla comparabilità dell’efficacia delle due tecniche sono ancora conflittuali. Nel 2015, Klocke et al. hanno confrontato i risultati della preservazione di tessuto su 23 pazienti in età premenopausale, divise tra slow freezing e vitrificazione. I risultati dello studio mostravano integrità morfologica tissutale simile dopo la criopreservazione, così come livelli simili di estradiolo rilasciato in coltura e tassi paragonabili di proliferazione follicolare e apoptosi dopo la coltura [294].

Ad oggi, il metodo standard per la criopreservazione di tessuto ovarico è lo slow freezing con medium contenente albumina sierica umana, propandiolo, dimetilsulfossido o glicole etilenico come crioprotettore, combinati con sucrosio. Sebbene sembri che la tecnica di vitrificazione abbia dei vantaggi, gli studi di confronto tra i risultati della vitrificazione rispetto alla slow freezing hanno prodotto negli anni risultati contrastanti. In una recente metanalisi del 2016 però, Zhou e colleghi hanno comparato la proporzione di follicoli primordiali intatti nel tessuto ovarico criopreservato con lo slow freezing convenzionale o con la vitrificazione. Sono stati inclusi sei studi e i risultati hanno mostrato assenza di differenze significative nella proporzione di follicoli primordiali, portando gli autori a concludere che nel tessuto ovarico umano le due tecniche producono risultati equivalenti rispetto al numero di follicoli primordiali intatti, ma che servono ulteriori studi per stabilire quale tecnica sia il gold standard. [295]

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Recentemente, il trapianto di tessuto ovarico è stato proposto anche in pazienti con insufficienza ovarica prematura (POI). Si potrebbe obiettare che la procedura non sia utile in queste pazienti, in cui le funzione endocrine e riproduttive sono già cessate. Tuttavia, dal 2010 sono stati studiati gli effetti sul tessuto ovarico di inibitori enzimatici di PTEN e attivatori della fosfatdil-inositolo 3 kinasi, in quanto potrebbero attivare la pathway di AKT nei follicoli dormienti, sia in ovaie murine che umane. I dati emersi da questi studi di base hanno suggerito la possibilità di attivare i follicoli residui di pazienti con POI a svilupparsi in follicoli preovulatori per il prelievo ovocitario [296]. Studi seguenti hanno suggerito che la frammentazione ovarica possa interferire con il signaling della pathway Hippo, il che porterebbe a una crescita follicolare. Kawamura et al. [297] hanno descritto un approccio di attivazione in vitro (IVA) per trattare l'infertilità in pazienti con POI, attraverso la combinazione di queste tecniche: dopo l'ovariectomia, i follicoli residui venivano attivati in vitro usando stimolanti di AKT, con successivo trapianto di tessuto ovarico. Tale approccio ha portato alla nascita di due bambini sani [297, 298]. Usando il metodo IVA, nel 2016 anche il gruppo di Zhai ha riportato una nascita da fecondazione in vitro dopo il trapianto di tessuto ovarico in una paziente con POI, un bambino sano partorito a 37 settimane di gravidanza. [299] La criopreservazione di tessuto ovarico è stata proposta anche nelle pazienti con s. di Turner: Borgstrom nel 2009 ha studiato 57 pazienti tra gli 8 e i 20 anni e sono state definite le cinque caratteristiche predittive per la presenza di follicoli nella corticale dopo biopsie ovariche: cariotipo, bassi livelli di FSH, alto AMH, menarca spontaneo e pubertà spontanea. [300]

Per quanto riguarda le peculiarità di stimolazione ovarica e fecondazione in vitro in queste pazienti, dopo trapianto ortotopico di tessuto ovarico criopreservato sono stati riportati sia un aumentato rischio di sindrome del follicolo vuoto, sia un'aumentata incidenza di ovociti anomali o immaturi [301]. Tuttavia, solo una piccola coorte di studi ha investigato la qualità ovocitaria dopo trapianto di tessuto ovarico criopreservato. Nel caso dei trapianti ortotopici, Meirow et al. [302] hanno descritto 4 cicli di tentato prelievo ovocitario in una paziente, di cui 3 non hanno portato a recupero ovocitario e nel quarto ciclo il singolo recupero di un ovocita maturo ha portato allo sviluppo di un

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embrione di 4 cellule, con successiva nascita (la prima dopo fecondazione in vitro). Andersen et al. [303] hanno riportato i risultati di 28 cicli di stimolazione ovarica in 6 pazienti sottoposte a trapianto ortotopico di tessuto ovarico, con il recupero di 25 ovociti e 11 embrioni trasferiti, risultati in due bambini nati sani, un aborto e una gravidanza biochimica. In questa serie, tuttavia, non sono stati specificati il tasso di follicoli vuoti né la qualità ovocitaria ed embrionaria.

Nel caso dei trapianti eterotopici, come possiamo immaginare, è obbligatorio ricorrere alla fecondazione in vitro. Il gruppo di Oktay ha riportato i risultati del prelievo ovocitario in 2 pazienti sottoposte a reimpianto del tessuto ovarico nel sottocute della parete addominale: nella prima paziente, durante 8 prelievi ovocitari percutanei sono stati recuperati 20 ovociti, con lo sviluppo di un unico embrione di 4 cellule, che non si è impiantato [304]. La seconda paziente è stata sottoposta a un singolo prelievo ovocitario, con il recupero di un ovocita MII che non si è fertilizzato. [305]. Kim e colleghi [306] hanno riportato il follow up a 27 mesi di due pazienti oncologiche dopo il trapianto eterotopico tra il muscolo retto dell'addome e la fascia. Sono stati recuperati 6 ovociti e fecondati 4 embrioni, ma gli autori dello studio non hanno riportato informazioni sul numero totale di ovociti recuperati, il tasso di follicoli vuoti né la qualità degli ovociti ed embrioni. Va sottolineato che il tasso di ovociti MII ottenuti da prelievo in trapianti eterotopici è significativamente più basso che in quello ortotopico [285].

Nelle pazienti sottoposte a trapianto di tessuto ovarico, Dolmans in uno studio del 2009 ha riportato un tasso di follicoli vuoti del 29%, a differenza dell'incidenza stimata del 0,6-7% nella popolazione generale della PMA [307]. Nello stesso studio veniva analizzata anche la proporzione di ovociti anomali (immaturi o degenerati), risultata molto maggiore nel tessuto trapiantato dopo criopreservazione (38%) che nelle altre pazienti sottoposte a ICSI, nonché il tasso di fertilizzazione, che in queste pazienti risultava del 50%, contro il 70% della popolazione generale sottoposta a ICSI [307]. Per spiegare questi risultati, gli autori hanno ipotizzato una follicologenesi

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disregolata, l'asincronia tra la maturazione delle cellule della granulosa e dell'ovocita o un danno ovocitario legato al congelamento.

Livelli elevati di FSH basale durante la fase follicolare precoce potrebbero portare a una follicologenesi disregolata per via dello sbilanciamento ormonale presente nelle pazienti sottoposte a trapianto. L'asincronia tra maturazione delle cellule della granulosa e ovocita è stata descritta in xenotrapianti di ovaie umane [308]; essa potrebbe essere causata dalla stimolazione della crescita follicolare dopo ischemia tissutale e stress ossidativo legati al trapianto o alla rimozione di alcuni meccanismi inibitori che normalmente sono attivi nell’ovaio “integro”. Tale asincronia potrebbe essere responsabile del riscontro di follicoli vuoti al prelievo ovocitario, in cui si riscontrano cellule della granulosa spesso mature ma ovociti immaturi.

Lo stesso ovocita potrebbe essere danneggiato dal congelamento, dallo scongelamento o al momento del trapianto, portando ad un aumentato tasso di follicoli vuoti o di anomalie ovocitarie, mentre le cellule della granulosa potrebbero essere più resistenti [309]. Le cellule della granulosa potrebbero essere asincrone rispetto agli ovociti durante la maturazione follicolare, o potrebbero reagire in modo diverso ai processi di congelamento, scongelamento e trapianto; la maggiore differenza tra i due comparti sta nel fatto che l'ovocita è una grande cellula unica, mentre le cellule della granulosa sono molteplici e la perdita di alcune di esse sarebbe compensata tramite la mitosi delle cellule sopravvissute. Inoltre, nello studio Dolmans veniva studiato il tasso di fertilizzazione (FR) degli ovociti recuperati dall'autotrapianto di tessuto ovarico criopreservato, con una FR del 50%, di molto inferiore rispetto alla FR della popolazione generale in PMA. L'ipotesi per spiegare il fallimento nella fecondazione dopo ICSI è stata quella di difetti funzionali (e non chiaramente visibili morfologicamente) portati da questi ovociti recuperati da tessuto trapiantato dopo criopreservazione. [301]

Per quanto riguarda il problema dell'efficacia della criopreservazione del tessuto ovarico, nel 2017 Jadoul e colleghi hanno pubblicato una casistica di più di 500 pazienti: in queste, la OCT era stata

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eseguita a un'età media di 22.3 ± 8.8 anni, per indicazioni oncologiche nel 79%, per patologie

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