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Taaji e gli ha sussurrato in un orecchio che gliel'avrebbe fatta pagare. Ha detto proprio così: te la farò pagare, lituano di merda; poi se n'è andato."

Il sassofonista voleva aggiungere qualcos’altro, ma venne fermato dal telefonino del commissario che aveva cominciato a squillare.

Il funzionario di polizia diede un’occhiata al display a cristalli liquidi del cellulare che gli rimandò il numero chiamante. Prima di rispondere voleva sapere se ne valeva la pena.

“Pronto?… sì, sono io… tutto a posto… bene… ho capito… arrivederci.”

BIP!

Si rimise l’apparecchio nella tasca interna della giacca, diede un'occhiata all'agente che stava in piedi appoggiato alla parete e disse: "Portami via questo e mandami quell'altro, il batterista."

Dopo pochi minuti quel contadino che si credeva un artista, almeno stando al giudizio del miglior trombettista europeo, era davanti a lui: "Che sai dirmi di quello che è successo stasera?" gli chiese.

"È stato il pianista!" disse con sicurezza il ragazzo.

"L'hai visto?"

"Mentre suonavamo era davanti a me, leggermente spostato sulla destra. Il palco era illuminato, ma la batteria stava nella penombra; è per questo che quando è andata via la luce io avevo le pupille già abituate al buio. Ho visto la sua ombra alzarsi da dietro il pianoforte e lanciarsi contro il Taaji. Ho visto la sagoma del coltello fendere l'aria e affondare nella sua schiena. Quello che è successo dopo lo sapete anche voi."

"Già, lo sappiamo. La lama gli ha trapassato il cuore, e il trombettista è morto sul colpo senza accorgersi di nulla.

Però in tutto questo manca una cosa: il movente. Che ragioni aveva per ucciderlo?"

"Donne, signor commissario, donne. In particolare una donna, la cantante. Il pianista era innamorato di lei da molto tempo, le faceva una corte serrata; solo che già dopo la prima prova di gruppo la ragazza ha chiesto al Taaji se l'accompagnava a casa. Il giorno dopo sono arrivati insieme, il trombettista e la cantante intendo, ed io ho visto chiaramente l'odio farsi strada nel viso del pianista. Quel pomeriggio non ha suonato il pianoforte: ha preso a pugni i tasti. Ce ne siamo accorti tutti ma nessuno ha detto nulla. Più tardi l'ho sentito mentre minacciava Andris. Lo intimava di lasciar stare la cantante perché lei era sua, o qualcosa del genere. Lì per lì non gli ho dato molta importanza, se solo avessi saputo come sarebbe andata a finire..."

"Okay, puoi andare a casa, ma non lasciare la città.

Agente, togligli le manette e portami il pianista. Già che ci sei, togli le manette a tutti. Ormai siamo in Centrale, nessuno sarà così pazzo da tentare qualcosa."

"Arrivederci commissario", disse il batterista.

"Sì, ciao", gli rispose il funzionario di polizia congedandolo con un cenno della mano.

L'arrivo del pianista fu annunciato da una serie di urletti isterici che parevano quelli di una gallina: "È stato il contrabbassista, è stato il contrabbassista!" urlò il ragazzo in faccia al commissario non appena gli fu di fronte.

"Sta calmo, siediti e comincia dall'inizio."

"Ho già finito, ho già finito! È stato lui!"

"L'hai visto."

"Mi è sembrato di vederlo quando sul palco è diventato tutto buio, comunque è l'unico che può aver fatto una cosa del genere."

"Perché?"

"Perché è pazzo, e i pazzi non hanno bisogno di una ragione per fare qualcosa: la fanno e basta."

"Un po' poco come motivazione, non ti pare?"

"È tutto quello che so! Allora? Che aspettate ad interrogarlo?"

Il commissario si alzò in piedi sbattendo i pugni sul tavolo:

"Ragazzo", disse, "se non vuoi passare dei guai non usare mai più quel tono di voce con me."

"Mi scusi, mi scusi, mi scusi", balbettò il pianista, "non lo faccio più, glielo giuro".

"Vattene via prima che perda la pazienza, e tieniti a disposizione, potrei aver bisogno di parlare di nuovo con te."

"Sì, sì, certo, arrivederci, buona notte."

'Deficiente', pensò mentre il ragazzo lasciava la stanza.

"Fra quelli ascoltati finora questo mi sembra il meno credibile", disse l'agente che stava di guardia.

"Fai il tuo lavoro e lasciami fare il mio", fece brusco il superiore, "il mio compito è quello di interrogare, il tuo quello di eseguire i miei ordini. Sono stato abbastanza chiaro?"

"Signorsì, signor commissario", gli rispose l'agente sbattendo i tacchi.

In quel momento un altro agente bussò alla porta.

“Avanti.”

“Mi scusi commissario, hanno consegnato questa busta per lei.”

“Grazie.”

L’ufficiale tirò fuori da una tasca dei pantaloni una chiave con la quale aprì un cassetto della scrivania. Ci infilò dentro la busta e richiuse: "Fate entrare il contrabbassista."

La persona che arrivò nella stanza degli interrogatori era vistosamente la più anziana del gruppo. Il suo sguardo aveva un che di strano, una sorta di lucida follia, e la sua presenza era carica di pathos. Forse quel demente del pianista aveva ragione quando diceva che era questo l'assassino di Andris Taaji.

Suggestionato da quell'individuo, il commissario decise di cambiare metodo adottando una tecnica affabile e compiacente: "Si accomodi. Mi parli del suo strumento, il contrabbasso", disse dandogli del lei.

"È uno strumento umile, condannato a vivere nell'ombra, eppure suonarlo richiede una grande energia. È la spina dorsale di un gruppo, il punto di riferimento per gli altri musicisti, il metronomo, l'unica certezza contro le improvvisazioni e i controtempi dei batteristi."

"E come mai ha deciso di dedicarsi a questo strumento?

Cosa l'ha spinta a optare per questa scelta?"

"Cosa spinge un uomo a farsi frate?"

"La vocazione, penso", rispose il commissario.

"Appunto, la vocazione. L'amore per Dio è così forte da spingerlo a rinunciare ai piaceri offerti dalla vita. Eppure anche in questa scelta, talvolta, l'uomo pecca di superbia.

Decide di nascondersi in un monastero per porsi al disopra di tutto ciò che disprezza."

"Sta cercando di dirmi che lei disprezza gli altri strumenti musicali e che quindi ha imbracciato il contrabbasso?"

Il musicista tacque. Tirò indietro il capo e guardò il commissario dalla sottile fessura lasciata aperta dalle palpebre.

"Non importa", disse il poliziotto, "magari in un'altra occasione ci dilungheremo di più a parlare di musica, ma adesso vorrei sapere da lei cosa ha visto questa sera."

"Niente, ma so chi è stato."

"Chi?"

"La cantante."

"E perché avrebbe dovuto farlo?"

"Poco prima che iniziasse lo spettacolo ho assistito a una scena. Loro credevano di essere soli, ma io ero lì al buio a pochi metri da loro a recitare la mia preghiera."

"Lei è cattolico?" l'interruppe il commissario.

"Sono buddista, e prima di ogni concerto mi chiudo in me stesso a pregare; ma questo non c'entra. Comunque ho visto bene cosa è accaduto tra il trombettista lituano e la cantante, e ho sentito tutto quello che si sono detti."

"Mi racconti quello che sa."

Il contrabbassista si sistemò meglio sulla scomoda sedia di legno tirandosi la giacca verso il basso e sedendocisi sopra; poi cominciò a parlare: "Andris Taaji e la ragazza avevano una storia, ma non è questa la cosa importante;

ciò che conta è che lei era dedita all'uso della droga. Non mi chieda di che genere, non me ne intendo. Conoscevo Andris da molto tempo, avevamo già suonato insieme, e so che se c'è una cosa che non sopporta sono le persone che si drogano prima di uno spettacolo. La cantante stava per spararsi qualcosa nelle vene, o tirare su col naso, non so; e lui l'ha beccata. Si è arrabbiato tantissimo e le ha gettato via la droga. Allora lei si è messa a urlare che quella era l'ultima dose che aveva, e che sarebbe certamente andata in crisi d'astinenza. Il Taaji però non ha sentito ragioni, l'ha colpita con un manrovescio, poi l'ha afferrata per i capelli e le ha detto che se per caso avesse fatto qualche sciocchezza durante il concerto l'avrebbe ammazzata di botte. Lei gli ha risposto che il concerto non ci sarebbe stato perché l'avrebbe ucciso prima. In quel momento è arrivato il padrone del locale a chiamarci, così quei due hanno smesso di litigare e hanno cominciato a far finta di niente. Andris ci ha chiamati a raccolta per darci le ultime istruzioni, poi noi cinque siamo saliti sul palco mentre lui, come suo solito, sarebbe arrivato a metà del primo brano. Ciò che è accaduto dopo lo sa anche lei."

"Mi è stato di grande aiuto", disse il funzionario di polizia tendendogli la mano, "adesso può andare a casa. Mi scusi se l'abbiamo trattenuta e, per cortesia, non lasci la città.

Dovremo parlare di nuovo nei prossimi giorni."

Rimaneva da interrogare la cantante.

La ragazza fece la sua entrata da prima donna. Arrivò ancheggiando e muovendo la testa con fare da civetta, mentre esibiva un sorriso ammiccante. Portava un foulard al collo che trastullava vezzosamente tra le dita. Quando si sedette accavallò le gambe in maniera plateale: "Sono a tua disposizione, bel commissario. Chiedimi qualunque cosa e io la farò."

"Comincia col darmi del lei", fece il poliziotto con autorità,

"potrei essere tuo padre."

"Potresti proprio esserlo", replicò la ragazza, "visto che io mio padre non l'ho nemmeno conosciuto."

"Ti ho detto di darmi del lei, e aggiungo che per te sono il signor commissario. Ficcatelo in testa, altrimenti ti faccio rimettere i ferri ai polsi e ti sbatto in una cella fino a domattina."

"Va bene", mormorò la cantante, "come vuole lei."

"Brava bambina. E adesso dimmi cosa hai visto."

"Era buio, inoltre avevo anche gli occhiali da sole; sa, Andris voleva così. Comunque è stato il sassofonista, era l'unico ad avere un motivo per farlo."

"E quale sarebbe questo motivo?"

"La vendetta. Quattro anni fa, l'ultima volta che il trombettista lituano è venuto in Italia, è successo un incidente d'auto dove un ragazzo ha perso la vita. La macchina viaggiava a velocità sostenuta quando è scoppiata una gomma. Ha sbandato ed è andata a schiantarsi contro un muro. Alla guida c'era Andris Taaji.

La vittima era il fratello del sassofonista. Da quel giorno ha giurato che prima o poi gliel'avrebbe fatta pagare. Ha atteso quattro anni, e oggi l'ha fatto fuori. Tra le altre cose durante le prove ho visto che teneva un coltello a scatto nascosto nella custodia del sassofono."

"Ma l'arma del delitto non è stata trovata", disse il poliziotto, "nemmeno tra i vostri effetti personali."

"Appunto. Ha ammazzato il Taaji e l'ha gettato via.

Quando ritroverete quel coltello, io sarò in grado di riconoscerlo."

"Va bene ragazza, può bastare. Probabilmente avremo ancora bisogno di parlare con te, ma per stasera te ne puoi andare."

Il commissario rimase solo. Anche gli agenti di scorta se ne erano andati. Mise una mano in tasca e le sue dita incontrarono il coltello a scatto sporco del sangue di Andris Taaji: 'Dovrò liberarmene', pensò; poi tirò fuori la chiave del suo cassetto privato. Dentro c'era una fotografia del trombettista lituano, un biglietto con la data, l'ora e il luogo nel quale avrebbe dovuto morire, e la busta che gli era stata consegnata poco prima, e che conteneva uno scontrino col quale avrebbe potuto ritirare al deposito bagagli della stazione una valigetta piena di soldi.

Bruciò la foto e il biglietto, e si mise in tasca lo scontrino.

Quella notte avrebbe deciso quale dei cinque musicisti incriminare per l'omicidio. Una parte di lui aveva voglia di incastrare la persona che gli stava più antipatica, ma era un professionista: avrebbe insistito sull'elemento più debole fino a farlo crollare; fino a quando, per disperazione, non si sarebbe accusato di un delitto non commesso.

Del resto, faceva parte del suo lavoro.

© Filippo mezzetti (phil_mczeth@yahoo.it)

Agatha Christie

di Sabina Marchesi

(continua da pagina 26) Lo stesso Hercule Poirot, singolare e celeberrimo investigatore Belga, potrebbe essere stato ispirato da qualche membro della folta comunità di immigrati francesi con cui entrò in contatto in questo periodo. Ma senza alcun dubbio il personaggio meglio riuscito di Agatha, è e rimane la, soltanto apparentemente indifesa, vecchietta sferruzzante che risponde al nome di Miss. Jean Marple. Esperta conoscitrice di tutte le umane debolezze, capace di applicarne infallibilmente i prototipi a qualsiasi realtà circostante, dal lusso dei transatlantici, agli hotel della Riviera o alle spiagge dei Caraibi, perché come dice: “ La natura umana è sempre la stessa”.

E, senz’altro, la caratteristica dominante di questa maestra dell’intrigo è proprio la caratterizzazione dei personaggi, che balzano vivi dalle pagine, fin dalle prime righe, grazie a poche, sapienti, pennellate. Poi, certo, c’è l’intreccio, lo schema, l’intrigo sempre uguale e pur sempre diverso che ancora una volta spiegano, se mai ce ne fosse bisogno, l’eccezionale successo di pubblico e di critica, di quella che è forse l’autrice di gialli più prolifica, più pubblicata, più tradotta e più letta nel mondo. Alcuni l’hanno accusata di barare, cioè di confondere il lettore seminando false piste, o prospettando i fatti sotto una luce errata, un’angolazione distorta, di celargli elementi fondamentali. Ma in fondo, questo seminare tracce incomplete è proprio il mestiere dello scrittore di gialli. Fu anche una vera maestra del marketing ante litteram. Molti critici e biografi hanno infatti sostenuto che la sua misteriosa sparizione, era l’anno 1926, con relativo battage battage pubblicitario e con nugoli di giornalisti sguinzagliati alla sua ricerca per mezza Inghilterra, non fosse altro che una audace azione di marketing letterario. La scomparsa, durata alcuni giorni, non fu peraltro mai interamente spiegata, complice una opportuna amnesia.

Dotata di un senso dell’umorismo innegabile e tipicamente inglese, la Christie ritrovò la serenità dei primi anni dopo la scomparsa della madre ed il divorzio dal primo marito, a fianco di un bizzarro archeologo incontrato durante un viaggio in Mesopotamia, fu in questo periodo che iniziò la fase più produttiva e fortunata della sua lunga carriera. La consacrano all’immortalità le innumerevoli repliche teatrali di Trappola per Topi, appositamente creato per il compleanno della regina madre nel 1947 e replicato a Broadway ininterrottamente dal 1952 ad oggi, ed il travolgente successo di Dieci Piccoli Indiani, anch’esso felicemente ridotto per la rappresentazione teatrale con innegabile fortuna di pubblico e ampi riconoscimenti.

Chi l’ha conosciuta ne ricorda la dolcezza e la forza, il romanticismo e l’innegabile senso pratico tipicamente inglese che le farà dire del marito: “Sono fortunata ad avere sposato un archeologo, è l’unico genere di uomo che più invecchi e più ti trova interessante…”.

Quando morì, il 12 Gennaio 1976, all’età di 86 anni, poteva vantare il titolo di Dama dell’Impero Britannico, le sue opere erano state tradotte in 103 lingue ed innumerevoli articoli di commiato vibranti di emozione e di rimpianto apparsi su tutta la stampa mondiale ne accompagnarono le esequie. Di lei ci restano oltre 200 romanzi ancora oggi pienamente attuali che ci ricordano, con un brivido, che

“Ogni omicida è probabilmente il migliore amico di qualcuno.”

E’ con un certo orgoglio che vado ad introdurre l’autore “in primo piano” di questo numero di Progetto Babele.

Ovviamente, uso di proposito il termine “introdurre” anzichè

“presentare”, in quanto sono certo della fama che accompagna questo intellettuale che tanto ha fatto e fa per la divulgazione della cultura nel nostro paese.

A quel che già sapete di lui mi permetto soltanto di aggiungere una nota personale sulla cortesia e sulla disponibilità dimostrate nei nostri confronti.

La classe di uno scrittore si misura anche in questo modo.

Marco R. Capelli

Venti domande a.... Corrado Augias

A CURA DI SABINA MARCHESI, ROBERTA MOCHI E MARCO R. CAPELLI

Gentile signor Augias, come prima cosa, la ringrazio a nome della redazione per averci concesso questa intervista.

Giornalista, scrittore, divulgatore, quale di queste definizioni sente più sua?

Scrittore direi; uno scrittore cui piace raccontare ciò che ha visto, fatto, letto. La serie dei libri sulle grandi città (Parigi, New York e ora Londra) proprio questo è.

Televisione e Letteratura appaiono come due mezzi di comunicazione assai lontani tra di loro, ma sono conciliabili?

Oggi, in televisione, è ancora possibile realizzare o proporre trasmissioni culturali?

E’ possibile ma a certe, severe, condizioni. Il pubblico Tv è talmente degradato ormai e viziato da programmi spesso indecenti (in ogni senso) che alzare appena il tiro è diventato molto difficile. Non è tuttavia impossibile. E’ quello che mi sforzo di fare nel mio programma ‘Le storie’ in onda ogni giorno su raitre…ma alle 12,45 – questo è il prezzo da pagare:

un orario molto difficile.

Non dimentichiamo la fortunata conduzione del suo programma sui libri Babele, che ci accomuna sotto un unico denominatore: la cultura come divertimento e un unico grande e sviscerato amore per la letteratura, pochi come lei si sono impegnati tanto per la sua diffusione, ma l’Italia è ancora oggi il paese dove si legge di meno?

Sicuramente si legge molto poco – leggono poco soprattutto i giovani – si calcola che il pubblico dei veri leggenti nel nostro paese non arrivi nemmeno al milione di persone. Alcune iniziative di diffusione del libro da parte dei quotidiani, per esempio, lasciano comunque aperto uno spiraglio per il futuro.

Ci sono moltissimi siti ormai che si occupano della catalogazione e della diffusione gratuita in formato elettronico dei “classici” della letteratura, ovvero di tutti quei testi sui quali il diritto d’autore è scaduto, nelle loro liste si trovano autori come Dumas, Salgari, Verne, Doyle ma anche Dante, Vasari, Boccaccio ed i “contatori” parlano di centinaia quando non migliaia di “download” (termine bruttissimo, ma, forse,

“scaricamenti” è peggio). Come giudica questo fenomeno?

Incoraggiante va nella stessa direzione delle iniziative dei quotidiani e forse ne è una conseguenza.

L’AUTORE

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