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Syfr

Ma la nostra piu' grande invenzione fu syfr.

Syfr, che divenne poi zaphirus e poi zero.

Noi inventammo il numero che indica il vuoto, il nulla.

Un numero pauroso, nel cui segno circolare la mente si può smarrire.

Stefano Benni

Non mi arresi e andai a trovare Eco, che insegnava al Dams di Bologna, e nel percorso da via Guerrazzi alla stazione, unico tempo che Eco aveva da dedicarmi, gli parlai del mio lavoro e ottenni il suo intervento presso la Bompiani.

Gli pseudonimi esotici hanno caratterizzato il giallo spaghetti degli anni Quaranta, ma Jules Quicher è legato a testi come Funerale dopo Ustica del 1990, e Strage dell’anno precedente. Anticonformismo o semplice divertimento?

Funerale dopo Ustica e Strage, assieme a un terzo romanzo, Un triangolo a quattro lati (pubblicato poi in seguito da Mondadori), fanno parte di un preciso progetto editoriale che studiai assieme all’allora editor della Rizzoli Edmondo Araldi (detto Pallino). È, allo stesso tempo, un omaggio che volevo fare a tre avvenimenti drammatici della storia italiana. Non a caso Strage è uscito nel decimo anniversario della tragedia alla stazione di Bologna.

Erano i tempi nei quali gli scrittori italiani non erano in grado, a sentire i critici e gli editori, di scrivere romanzi gialli e tanto meno romanzi di spionaggio. Io ero e sono convinto del contrario e proposi all’editor di dimostrare la falsità di quelle affermazioni scrivendo tre romanzi con pseudonimo straniero. Quando i romanzi avessero avuto successo, cosa di cui non dubitavo, avremmo comunicato alla stampa il progetto sbugiardando così i detrattori degli scrittori italiani di genere. Pallino perfezionò l’idea costruendo un autore fantasma, Jules Quicher, (c’è anche una sua foto nella quarta di copertina) e dotandolo di un passato di uomo dei servizi di sicurezza di una multinazionale, al corrente di molte verità che rivelava attraverso i suoi romanzi.

Strage dopo Ustica ottenne un successo travolgente. Strage, che si occupava del massacro del 2 agosto ’80 alla stazione di Bologna, fu sequestrato dal tribunale di Milano due giorni dopo l’uscita su denuncia di Picciafuoco, personaggio coinvolto nelle indagini e al tempo sotto processo per i fatti collegati alla strage, che si era riconosciuto nel romanzo e che si riteneva per questo diffamato.

I giorni che precedettero la sentenza del tribunale (che mi mandò assolto per diritto-dovere di cronaca) sono stati i peggiori della mia vita di scrittore per le minacce telefoniche che ricevevo e per il terrore di dover sborsare, se condannato, alcuni miliardi di lire come risarcimento danni. Miliardi che non avrei mai avuto nemmeno vendendo casa, moglie, figlia e me stesso.

Come vedete, il divertimento non c’è stato, ma la soddisfazione e l’impegno civile, sì.

Anche se, dopo l’assoluzione, la Rizzoli non ritenne di rimettere in libreria il romanzo dissequestrato. Per paura? Per convinzione? Aspetto ancora una risposta.

Nel 1992 ha vinto con Partita con il ladro il Premio di Letteratura per l’infanzia. Come si è dovuto adattare il suo stile?

Io ho sempre ritenuto, e ritengo tutt’ora, che scrivere per ragazzi sia esattamente come scrive per un lettore qualsiasi. D’altra parte i ragazzi non partecipano alla nostra vita come persone qualsiasi? Non vedono gli orrori che vediamo noi ogni giorno? Non sentono le stesse nostre vergogne? Non leggono (o non ascoltano) quotidianamente le stesse tragiche notizie?

L’unico adattamento che mi sono imposto, è stato un controllo del linguaggio. Nel senso che di parolacce (ma sono poi parolacce? Non sono peggiori quelle che dicono certi politici?) i ragazzi ne dicono abbastanza fra di loro senza doverle sentire anche dal sottoscritto.

Lei è sempre stato molto attivo, l’associazione Sigma, poi il Gruppo 13. Pare che in Italia il "gruppo" sia una scelta vincente. Ma le svalutazioni e le diffidenze snobistiche sono davvero estinte? Cosa pensa della rifioritura della crime novel nostrana?

Non solo Sigma e Gruppo 13. Ci sono stati altri tentativi di associazione di scrittori di giallo, come il Gruppo degli otto, al quale aderivano gli scrittori Perria, Olivieri, Veraldi, Anselmi, Enna, Russo, Signoroni, oltre al sottoscritto. E poi tentativi di avere uno spazio in riviste e giornali, fondare una rivista, fare proposte collettive agli editori… Tentativi sempre falliti, tranne il Gruppo 13 e la rivista Delitti di Carta. Sì, io credo che le diffidenze (ma si trattava solo di diffidenza?) siano finite. A fare giustizia hanno provveduto i lettori scegliendo gli autori italiani. Basta scorrere le classifiche e vedere come gli editori pubblichino gli autori italiani.

Non c’è mai stato un momento favorevole come questo, quindi niente rifioritura, ma vera e propria scoperta da parte dei lettori. Anche se sul futuro io sono preoccupato. Ci sono segnali che i miei colleghi, specie i più influenti, dovrebbero tenere d’occhio.

Perché non si sta a galla in eterno fidando solo sul salvagente. Bisogna anche imparare a nuotare e nuotare bene.

Bologna è una grande protagonista nelle sue storie, ombrosa, notturna. Ne ha illuminato le contraddizioni con grande sarcasmo e deformazione ironica. Una scelta indubbiamente efficace, che asseconda il suo gusto. Come Lei stesso ha scritto, Bologna è tutto un mistero! Ci potrebbe offrire qualche riflessione su questo rapporto?

Io e Bologna non ci siamo mai capiti… O meglio, Bologna non mi ha capito fin dall’inizio. Tant’è vero che mi sono affermato prima all’estero e solo dopo sono stato accettato. Ma non del tutto. Oggi i nostri rapporti si sono addirittura rotti e non ci parliamo più.

Forse mettere in evidenza (o cercare di farlo) i guai della propria città, fa male, non piace, disturba, non è consolatorio. Ma non so che farci: quella che descrivo è la Bibliografia

Le piste dell'attentato, Campironi 1974;

Garzanti 1978.

Fiori alla memoria, Garzanti 1975.

Ombre sotto i portici, Giallo Garzanti 1976.

Sui colli all'alba, Giallo Garzanti 1976 Sequenze di memoria, Giallo Garzanti 1976

Passato, presente e chissà, Giallo Garzanti 1978

Sarti Antonio, un questurino, una città, Garzanti-Vallardi 1979.

Sarti Antonio: un diavolo per capello, Giallo Mondadori n.1642, 1980 Sarti Antonio: caccia tragica, Giallo Mondadori n.1677, 1981

L'archivista, Giallo Mondadori n. 1717, 1981

La stage dei centauri, Vallardi 1981 Sarti Antonio e l'amico americano, Garzanti- Vallardi 1983

La balla delle scarpe di ferro, Rizzoli 1983

Stop per Sarti Antonio, Cappelli 1987 La rosa e il suo doppio, Cappelli 1987 Sarti Antonio e il malato immaginario, Cappelli 1988

Funerale dopo Ustica (sotto lo pseudonimo di Jules Quicher) Rizzoli 1990

Strage (sotto lo pseudonimo di Jules Quicher) Rizzoli 1989

Un poliziotto, una città , Rizzoli 1991 Un triangolo a quattro lati, Rizzoli 1992 Partita con il ladro, Sonda 1992 Sospiri, lamenti e ali di pipistrello, Sonda 1992

Sarti Antonio, un poliziotto, una città, supplemento a Giallo Mondadori 1994.

Sarti Antonio e il diamante insanguinato, Sonda 1994.

Sarti Antonio e la ballata per chitarra e coltello, Sonda 1994

Sarti Antonio e il mistero cinese, Sonda 1994

Coscienza sporca, Mondadori 1995 Macaroni, in collaborazione con Francesco Guccini. Mondadori 1997 Sgumbéi, le porte della città nascosta, Mondadori 1998

Un disco dei Platters, in collaborazione con Francesco Guccini, Mondadori 1998

Bologna che io credo di vedere e di conoscere. E spesso ho avuto ragione io.

Ci racconti qualcosa della Sua collaborazione con Francesco Guccini.

I quattro, per ora, libri scritti con Francesco, hanno un’origine ormai lontana e per raccontarla ci vorrebbe un’intera intervista. Diciamo che ha funzionato forse perché siamo tutti e due dei montanari, che abbiamo ascoltato le stesse storie, che abbiamo respirato la stessa aria…

Insomma, che abbiamo le medesime radici e quindi ci intendiamo.

Passiamo al cinema. Le sue esperienze da sceneggiatore ma anche da spettatore.

Passalacqua, Ferrarini, Rotondi, Questi, il suo background...

Cominciamo dal background: ho una lunga esperienza di lavoro nella Cineteca del comune di Bologna che mi ha fatto entrare nel vivo della storia del cinema, incontrare gente che di cinema si è occupata per anni, scrutare, non visto, le reazioni degli spettatori… Insomma, in passato ho passato molto tempo in compagnia del cinema, così come ho fatto con il teatro.

Per la mia esperienza televisiva, come per il rapporto con Guccini, ci vorrebbe un sacco di tempo. Le delusioni nella scoperta del mondo televisivo, le amarezze per la stupidità di certe idee che per la televisione sono considerate normali, l’impossibilità di un dialogo dinanzi a motivazioni economiche o di compromesso, la certezza che solo rinunciando a certi principi si trova spazio sul teleschermo e un sacco di altre faccende, mi hanno fatto fare una scelta drastica: io scrivo i miei romanzi e sono responsabile di quelli.

Ho incontrato il regista Maurizio Rotondi e ho apprezzato la sua passione per il lavoro che faceva e l’ho capito, quando è stato costretto a fare delle scelte che non condivideva, ma che la Tv pretende dai suoi operatori.

Di Luigi Questi, un grande vecchio del nostro cinema, ho un ricordo straordinario:

il suo modo di usare la macchina da presa, di trattare con gli attori, di preparare le immagini… Nei sei film per la Tv (tratti dai miei romanzi) che ha diretto, ci sono alcune sequenze da manuale del cinema.

La mia esperienza cinematografica diretta, cioè come soggettista e sceneggiatore, si limita a L’archivista, per la regia di Guido Ferrarini. Per una serie di motivi e coincidenze disgraziate, siamo stati costretti a farlo con niente in tasca. In compenso, poi, è intervenuta la Tv e ce lo ha massacrato.

Ci sono libri che vorrebbe consigliare ai lettori di Progetto Babele?

Sì, tutti. E poi scartare quelli che non piacciono.

Grazie ancora, per la disponibilità e la cordialità!!! Speriamo di trovare presto altre sue narrazioni sugli scaffali!

© Roberta Mochi (23 Ottobre 2003)

B O O K R E V I E W

LA STRAGE DI STATO E L’INFERNO CARCERI SECONDO EVELINO LOI Di Giovanna Mulas

Le isolane dicerie pettegole, di Evelino Loi, offrono un’immagine sin troppo suggestiva, forse aggressiva, senz’altro sincopata: è lui il fiero militante dei sessanta di ribellione di massa,l’ ex detenuto e quindi presidente dell’associazione detenuti non violenti.

Trovo l’opera del Loi concreta e asciutta,essenziale di chi ha vissuto e sviluppato l’animo in un brodo germinale selvatico,ha sentito e visto in un ansia continua d’emergere, nel bene e nel male, dal gregge; di chi ha sofferto, da don Chisciotte ha osato e, contro gli altrui mulini; ha perso. La metrica è compresa tra due poli; uno è quello meridionalista della mia stessa Sardegna rabbiosa, claustra e potente di bronzi nuragici, MaterMatroni rigogliosi seni, capri nei pascoli arsi di un Dio dimentico d’umana pena; l’altro è quello delle cerve, vergini eppure Baccanti smeraldine, antiche spiagge regalate, loro malgrado ingabbiate dal migliore offerente. Mi domando con quali mezzi prosodici s’avvia un testo, come quello del Loi, dove i mezzi retorici, la stessa parola è liberata della priorità dell’affascinare, dagli eccessi ellittici di stupire il lettore ma semplicemente è guidante lungo il percorso di un Ego dai contenuti fondamentalmente buonisti, eticamente sovversivi ché logorati da anni di solitudine orgogliosa e fiera, sarda e disperata. La scrittura è al limite del calligrafismo e non esente, nonostante di biografia si tratti, di influenze romantico veriste ove, da un certo momento in poi come anche il lettore più distratto avverte; cala il sipario nella prima esistenza della Fenice protagonista, sulla stagione di vita dedicata ai moti studenteschi in quel della capitale, e cambia la scena; (… di quanto spesso cambia la scena il lettore s’avezzerà facilmente) l’ouverture fugge all’esperienza del naufragio tra un carcere e l’altro, alle riforme sociali e politiche fondamentali. Non è forse vero che se un uomo non ha scoperto nulla per cui vorrebbe morire, non è adatto a vivere? La vita qui, è visitata nella cruda semplicità del suo fervore,la sostanza affidata ad una penna sofferta, a tratti incosciente o infantile, sensibile ad ogni sfaccettatura della medaglia ed è per preservare sé stesso, per sotterrare il dolore che Evelino Loi scrive del passato, attinge al presente, spera, pungente, nel futuro. E’ il ritratto poco politically correct di un’epoca dunque,un’Italia satura di contraddizioni ed eccessi, dicotomia tra Sardegna e continente e ben venga a mio parere l’aspetto sovente icastico nella narrazione dei fatti, la geografia dell’immaginario che, forse, parrà azzardato nella turbolenza esistenziale del Loi.

E comunque al di là dei fatti,delle ragioni, delle critiche moralmente lecite o illecite da muovere all’autore; C’est priser sa vie justement ce qu’elle est, de l’abbandonner pour un songer*. Quanti uomini hanno il coraggio o l’incoscienza di vivere, combattere e volare per quel sogno?

© Giovanna Mulas mulasgiovanna@tiscali.it

“STRAGE DI STATO E INFERNO CARCERI” di E. Loi, Prefazione di Giovanna Mulas, note di Virgilio Nonnis e Serafino Vanni Lai

Poligrafica Roma, Roma 2003, Euro 6.15

Chi è Giovanna Mulas?

GIOVANNA MULAS ha 34 anni, e da venti scrive per vita e per passione. Ha pubblicato nove libri e vinto numeorsissimi premi letterari. Tra i riconoscimenti ottenuti può vantare una Nomination all'Accademia dei Nobel per la letteratur, ed ancora: Premio alla Carriera, Base NATO, Napoli 2001, Premio alla Cultura, Roma, 2002. Premio alla Cultura, New York, 2003.

Premio alla Cultura, Roma, 2003.

Pluriaccademica al merito, delegata, socio, presidente onorario di varie Associazioni della Cultura nazionali ed internazionali, Socio dell' Istituto Italiano di Cultura.

Dal 1998 ad oggi ha pubblicato:

Passaggi per l'anima (romanzo), La Musa* (novella), Barchette di Carta*

(raccolta racconti), Canticum Praesagum* (silloge Poesia), Le lettere e le Arti*

(saggio), La stanza degli specchi* (romanzo), Dei Versi* (silloge Poesia), Come le Foglie* (silloge Poesia), Il tempo di un'estate* (romanzo) e Il rumore degli alberi.

*Lasciare la propria vita per un sogno è apprezzarla per quanto vale. (M. De Montaigne)

L’intervista

TREDICI DOMANDE A... NICOLETTA VALLORANI

Per prima cosa Ti ringrazio per il tempo che mi stai dedicando. Il Tuo esordio è datato 1981, anno della Tua tesi sulla fantascienza americana femminile. Di lì a poco le collaborazioni con Mondadori e i primi racconti, fino al Premio Urania del 1992, con Il cuore finto di DR. Quello che proponi ai lettori è una narrativa atipica, ricca di linguaggi diversi.

Pensi che le contaminazioni offrano molteplici possibilità di comprensione, livelli diversi da analizzare e quindi adatti a un pubblico quanto mai eterogeneo?

No, non è esattamente così. Credo semplicemente che le contaminazioni siano inevitabili.

La purezza che si poteva tentare di sostenere una volta, nella vita come nella letteratura e nella cultura, è un anacronismo che richiederebbe una forzatura, e non è questo che penso debbano fare gli scrittori. Occorre essere capaci di leggere la realtà, il presente assoluto, e farne qualcosa di narrativo, un esperimento interessante. Questo in assoluta libertà creativa e con l'intenzione di comunicare qualcosa che ci preme. Almeno, è la mia idea di scrittura, e concepita così non può che essere contaminata, nei temi come negli stili. E c'è un altro dato: sono una lettrice appassionata e onnivora, e mi innamoro di cose diverse, spesso difficilmente catalogabili. Molto di quello che leggo, o meglio delle 'sensazioni' di queste letture tornano in quello che scrivo: è un modo di presentare un omaggio a un testo/autore che mi ha regalato un'emozione o più d'una. Non metto paletti, non definisco in anticipo i percorsi, non voglio avere altre regole a parte il rispetto per l'intelligenza e il tempo del lettore. Quindi, come vedi, alla fine non posso non contaminare:

non per scelta ma perché sforzarmi di evitare di farlo non mi interessa.

Anche in Le sorelle sciacallo c'è uno studio molto sottile sul linguaggio, ad esempio quello del rap. Si tratta di un esercizio stilistico, di un gioco o di una reale immedesimazione?

Le sorelle sciacallo sono state il romanzo per me meno 'pilotato', il più 'bastardo' come genesi e realizzazione, il mio figlio preferito. Se qualcuno dovesse mai chiedermi com'è il processo della scrittura per me - la fase immediata e magmatica, quella fuori controllo - non potrei che dargli quell'esempio. E' stato scritto d'un fiato, in tre settimane, ed è forse l'unico in cui non mi sono mai preoccupata di aiutare il lettore a capire. Credo che si veda.

Una volta, Luigi Bernardi ha detto che quel romanzo è un atto di libertà: credo sia la definizione in cui mi riconosco di più. Il che non ne fa di necessità un buon libro, anche se per me lo è. Dunque, per rispondere alla domanda, non ho fatto alcun ragionamento e non vi è alcuna consapevole volontà di sperimentare. Ci sono però tutti i miei amori e le mie paure. Rap compreso.

Parlaci dell'importanza del colore nella tua narrazione. Le figure che descrivi sono leggere come velature eppure il colore si fissa nella memoria del lettore e rimane aggrappato per un tempo molto più lungo della lettura stessa. Forse perché lo spazio che lasci all'immaginazione di chi accetta le tue pagine è molto sì molto ampio ma anche dotato di appigli, ricordi e suggestioni a cui fare riferimento?

Il colore è la vita e il mio aggancio al linguaggio. Dunque sì, lo uso come codice, forse perché non so disegnare, forse perché c'è una nostalgia e una forma di invidia per chi dipinge. E' un codice condiviso e diretto, che funziona, mi pare, nel comunicare le emozioni. O almeno, è così per me, e spero che le cose stiano nello stesso modo per i lettori

Il tempo nelle tue trame è lento, una distensione dell'anima, per dirla alla Sant'Agostino.

Lento come la noia, come la stanchezza, come la resa o lento come una riflessione che procede inesorabilmente in avanti?

Be', spero che questo non risulti nella noia dei lettori! A parte gli scherzi, credo ci voglia tempo a capire le cose, tempo a lasciare che crescano e prendano la loro strada. Le storie sono come le persone, e si sviluppano attraverso la scansione di momenti. E' un processo che sta dentro i personaggi: nel senso che ognuno ha il suo ritmo e il suo modo per vivere.

In parte, poi, c'è anche un aspetto più prosaico. Io sono, credo, una scrittrice di personaggi, e faccio fatica a costruire gli intrecci. A volte, lo sviluppo che costruisco funziona, a volte rallenta troppo e perde tensione. Proprio perché il mio tempo - il tempo della narrazione cioè - è lento e pensato. Di profondità invece che di lunghezza.

Il diverso ti attrae molto. Ma più che come sfogo per la tua grande creatività sembra una carezza di solidarietà, una denuncia passiva... distopia, come la definisci, ma con qualcosa in più...magari una speranza timida e impalpabile?

Siamo tutti diversi, e non è una banalità, credo: è piuttosto qualcosa di cui sono profondamente convinta. Credo di questo abbiano consapevolezza di più le donne, e i diversi di ogni tipo: quelli cioè che sono visibilmente, storicamente e culturalmente alieni.

Capire come funzionano mi aiuta a comprendere qualcosa della vita. La solidarietà è per così dire un effetto collaterale, che mi piace, ma non è primario. Non fraintendermi: è importante, nella vita più che nella narrazione. Ed è importante che sia solidarietà e non tolleranza: dove c'è qualcuno che tollera c'è sempre anche qualcuno che viene tollerato.

Non è una bella cosa.

l tuo rapporto con l'immaginario cinematografico è sicuramente molto profondo e parte dalla nascita dell'arte della celluloide. Ci vuoi illustrare il tuo percorso?

Difficile farlo in poche righe. Posso dire che da questo punto di vista, forse, le mie storie descrivono la trama di un innamoramento, che resta importante nella mia vita, e primario, nel senso che è legato a emozioni di pelle, anche quando il cinema lo studio per mestiere.

Nicoletta Vallorani è nata a S.Benedetto del Tronto nel '59 ma vive a Milano da una quindicina d'anni, ha una laurea in lingue, traduce e insegna inglese. Il primo romanzo è del '93 (Il cuore finto di DR, premio Urania nel '92) e avrà un sequel qualche anno dopo, cioè nel '97, con DReambox.

Nel'95, invece, esce il primo noir per Luigi Bernardi di Granata Press. La fidanzata di Zorro è invece del '96; il sequel di questo giallo, pubblicato dalla Marcos y Marcos, è uscito con il titolo di

“Cuore meticcio”.

Dedicati ai bambini sono i minigialli pubblicati con El (Luca De Luca detto Lince, Pagnotta e i suoi fratelli, Un mistero cirillico), e per ragazzi più cresciuti invece è pensato il Corto Ahab Azul. In progetto, sempre per piccoli, storie terrificanti in combutta con Barbara Garlaschelli.

I suoi testi sono pubblicati in

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