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Celine Curiol, ULTIMA CHIAMATA, ed. orig. 2005, trad. dal francese di Laura Barile, pp. 292, €16, nottetempo, Roma 2008
Ultima chiamata è il romanzo d'esordio di
Céline Curiol, giovane scrittrice e giornalista francese, da anni trasferitasi a New York. La figura centrale del romanzo è una giovane donna senza nome, trentenne, che lavora come annunciatrice dei treni alla Gare du Nord, affollato crocevia di Parigi in cui la sua voce risuona sicura e affidabile. Nel suo passato c'è un trauma oscuro che riemerge gradualmente e nel suo presente un dram-ma, o forse una piccola commedia senti-mentale: è innamorata di un amico, purtrop-po già legato ad Ange, bella, esuberante e soprattutto impeccabile. A differenza di An-ge, la protagonista del romanzo è goffa, im-prevedibile e la sua condotta è spesso inde-cifrabile: quando abbandona
l'abito professionale alterna stati d'afasia a dichiarazioni menzognere che provocano sconcerto nei suoi interlocu-tori. Eppure chi la incontra avverte al fondo del suo si-lenzio e del suo turbamento una forza autonoma e vigoro-sa. Associando il racconto in terza persona al punto di vi-sta del personaggio, Curiol tratteggia con efficacia l'opa-cità apparente e lo spessore nascosto della sua protago-nista che in uno slancio con-clusivo di "disperata vitalità" perviene a liberare la propria voce. Il finale energico e
l'affondo nella coscienza del personaggio sono i principali aspetti di originalità di que-sta storia dall'apparenza banale che ha su-scitato il plauso di Paul Auster, entusiasta lettore del manoscritto e autore di un lusin-ghiero articolo apparso su "Lire" all'uscita del volume in Francia. Il romanzo ha inoltre il pregio di condurci, grazie ai numerosi vaga-bondaggi della protagonista, in una grade-vole passeggiata attraverso le strade, le piazze e i caffé della Parigi di oggi, frivola e vivace, ma anche solitaria e malinconica.
ANNALISA BERTONI
za deludente per l'eccessiva dose di fanta-sia che esaspera il tocco di mistero dato al-l'opera. Non c'è di che spaventarsi di fronte alla mole del romanzo, poiché il linguaggio adottato rende accessibile ogni tematica af-frontata, spiegandola con vocaboli sempre comprensibili e periodi lineari. In tal modo si rende l'opera più facilmente assimilabile, ma, a tratti, superficiale e sbrigativa nell'e-lencare in modo troppo rapido azioni effera-te e drammatiche.
ANNA ZIZOLA J o n a t h a n Coe, QUESTA NOTTE MI HA APERTO GLI OCCHI, ed. orig. 1990-1998, trad. dall'inglese di Mariagiulia Castagnone, pp. 206, € 14, Feltrinelli, Milano 2008
This night has opened my eyes è una
can-zone di Morrissey e proprio gli Smiths, con le loro sonorità anni ottanta, fanno da
colon-Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell'angelo, ed. orig.
2008, trad. dallo spagnolo di Bruno Arpaia, pp. 676, € 22, Mondadori, Milano 2008
Che cosa rievoca normalmente una città come Barcellona? Sole, mare, arte, diverti-mento. Si pensa a una città dove passare il tempo immersi nell'entusiasmo e nella spen-sieratezza tipici della movida spagnola. Tut-tavia, non è questo il ritratto che ci offre Car-los Ruiz Zafón, bensì quello di una città ma-ledetta, ricca di segreti e di fantasmi che rie-mergono dal passato per sconvolgere il pre-sente, dove si consumano delitti inspiegabi-li e tutto si muove al inspiegabi-limite tra la realtà e la fantasia. Un giovane scrittore, impegnato nella stesura di una serie di romanzi noir per una casa editrice di dubbia fama, viene av-vicinato da un misterioso editore francese, il quale promette di risolvere tutti i suoi pro-blemi economici e di salute in cambio di un'opera, non una qualunque, ma di caratte-re caratte-religioso. I fatti che seguiranno questo in-contro trascineranno lo scrittore in una rete di incongruenze, imbrogli, sotterfugi, anime riapparse come per incanto da un passato poco chiaro. Riprendendo alcuni luoghi e personaggi del suo precedente successo,
L'ombra del vento, Zafón intesse un
intrec-cio che parte seguendo un ritmo moderato, per poi incalzare improvvisamente verso la metà della storia e macinare a velocità ec-cessiva un concentrato di violenze, ingiusti-zie, magia, a tratti difficile da digerire, anche se non manca mai di tenere viva la curiosità e l'attenzione del lettore, per poi ricadere in un finale inatteso e originale, ma
abbastan-disegni di Franco Matticchio
na musicale a questo romanzo sul disagio giovanile pieno di ironia e dai sapore molto inglese. William, il protagonista, è un musi-cista che sogna di sfondare nel mondo del pop e nel frattempo sbarca il lunario lavo-rando in un negozio di dischi; ai suoi occhi di provinciale, Londra non è altro che una città insopportabilmente mediocre dove ten-tare la fortuna, dopo essersi lasciato alle spalle un'abortita carriera universitaria, e magari sposare la ragazza con cui esce, la bella e inespressiva Madeline. Una totale in-capacità di decodificare la realtà che lo cir-conda unita a una certa tendenza a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, tuttavia, lo trascinano in vicende da genere noir, con tanto di omicidi e atmosfere sur-reali. Fino al colpo di scena finale, geniale parodia della tanto attesa risoluzione degli eventi. Il bel romanzo, scritto nel 1990, vie-ne ora pubblicato da Feltrivie-nelli con una cor-nice: un'introduzione autobiografica, in cui l'autore stesso parla del proprio rapporto con la musica, e un racconto posto in ap-pendice, V.O., in cui ritroviamo William a cinque anni di distanza, quando è ormai un affermato compositore di colonne sonore al-le prese con una goffa relazione extraconiu-gale. Qui Coe sceglie di abbandonare la Londra delle suggestioni romantiche per il jet set del cinema, che però sembra, in fon-do, sentire davvero poco, con il risultato che il racconto risulta sottotono rispetto al ro-manzo. Fa riflettere, comunque, l'amaro
sense of humour implicito nella
trasforma-zione del "sogno pop" in colonna sonora da film di serie B.
SERENA CORALLINI
rantenne e dichiaratamente poco avvenen-te (ben diversa dalla bella ragazza della co-pertina), per alcuni aspetti alter ego dell'au-trice, si è trasferita da Berlino Est a Berlino Ovest, vive del sussidio di disoccupazione e di lavoretti saltuari in nero, incontra un at-traente tossico sieropositivo appena uscito di galera, cerca di aiutarlo a disintossicarsi, fallisce e anni dopo riceve dall'hosp/ce dov'era morto i suoi effetti personali, fra cui un quaderno di appunti. Li trascrive, in-frammezzati al racconto degli anni passati insieme e ad alcuni flashback di Berlino Est (interessante il confronto/scontro con la po-lizia nelle due metà della città, in fondo ugualmente brutale), ma non si sa capaci-tare che il suo nome non vi compaia mai, come se non fosse esistita, nonostante la vita con Harry sia stata per lei una "felicità incantevolmente dimessa". Il curioso titolo, nell'originale "Pecorelle cattive", si riferisce alle rimostranze di Harry al suo sponsor nel percorso di disintossicazione, che ha
appe-na rivelato al gruppo di so-stegno la sua sieropositività: "Joe, brutta spia (...) riusci-resti a far diventare cattivo anche un agnello" e allude all'intrinseca innocenza dei protagonisti nonostante l'e-marginazione e la trasgres-sione. Katja Lange-Muller è stata insignita dei premi Ba-chmann e Dóblin per i suoi racconti; questo è il suo pri-mo romanzo, finalista al Deutscher Buchpreis del 2007, che non manca di fre-schezza nel descrivere una relazione sbilanciata ma te-nerissima fra due esseri umani diversamente emargi-nati, in cui la donna ama, accudisce e so-stiene, mentre l'uomo si ritrae in tutti i sen-si, a partire da quello erotico.
MARINA GHEDINI
K a t j a L a n g e - M u l l e r , L'AGNELLO CATTIVO, ed.
orig. 2007, trad. dal tedesco di Riccardo Graverò, pp. 189, € 15, Neri Pozza, Vicenza 2009
Confesso di essere irritata dai numerosi errori dei risvolti di copertina, che vanno dalle imprecisioni nella trama del romanzo e nella biografia dell'autrice, figlia ribelle di un'importante funzionarla di partito della Rdt, non fuggita ma emigrata ufficialmente a Berlino Ovest, a un errore di grammatica come "gli" al posto di "le". Soja, quasi
qua-Leila G u e r r i e r o , SUICIDI IN CAPO AL MONDO. CRONACA DI UN PAESE DELLA PATAGONIA, ed.
orig. 1998, trad. dallo spagnolo di Barbara Bertoni, pp. 198, € 14,50, Marcos y Marcos, Milano 2007
Las Heras è una piccola città della Pata-gonia, un insignificante villaggio di pastori che negli anni sessanta si trasformò in un centro umano brulicante. La crescita im-provvisa fu causata dalla scoperta che il sot-tosuolo della zona era ricco di petrolio. A
partire da quel momento molti argentini an-darono a cercarvi fortuna, una scelta data dalla necessità e vissuta sempre come prov-visoria. La crisi del 1993, dovuta alla priva-tizzazione della Ypf, l'azienda petrolifera statale, provocò la disoccupazione di mi-gliaia di lavoratori, molti dei quali partirono per lasciare i pochi rimasti nel bel mezzo di una pianura fredda e sconfinata, senza uno straccio di futuro. È in questo desolante pa-norama che un triste fenomeno assume di-mensioni allarmanti. Leila Guerriero, giorna-lista, racconta la sua esperienza di inviata con l'incarico di scrivere un reportage sulla lunga serie di suicidi che coinvolgono la parte più giovane della popolazione di Las Heras agli esordi del nuovo millennio. Guer-riero non propone soluzioni né analisi, ma denuncia situazioni che altrimenti restereb-bero ai margini. Coordina l'insieme delle vo-ci che ascolta e riporta con fedeltà e rispet-to, riuscendo a definire con sensibilità l'am-biente in cui si svolge la tragedia e che con-tribuisce a causarla. Il reportage si situa nel-l'ambito di una recente e fitta produzione di opere documentarie che manifestano l'esi-genza di una revisione della storia argenti-na. L'autrice ha ie idee chiare: gli eventi che si svolgono alla periferia del mondo, per quanto gravi, non saranno mai oggetto di at-tenzione, ma la parola scritta è capace di fa-re bfa-reccia e denunciafa-re la necessità che certe storie vadano raccontate. Operazione riuscita.
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Bernard Cooper, IL CONTO DI MIO PADRE, ed.
orig. 2006, trad. dall'inglese di Luca Caddia, pp. 245, € 15, Playground, Roma 2008
Bernard Cooper, il più giovane di quat-tro figli, è nato nel 1951 in California, fami-glia ebrea, i nonni emigrati dall'Europa in America, il padre avvocato. Dopo un cor-so di studi e un inizio di professione nel campo delle arti visive, si dedica alla scrittura, esordendo con Maps to
Anywhere nel 1990, raccolta di pezzi
di-versi, a cavallo fra memorie, saggi, e an-che favole. Il conto di mio padre è il suo quinto libro, un memoire, come dal titolo originale. È il tentativo di capire in pubbli-co la figura del proprio padre; Cooper parla in prima persona, si rivolge a un voi che è prossimo al pubblico di un cabaret, in un'alternanza di tasti melanconici e di-vertenti, lunghe diversioni, playback, salti temporali. Tre fratelli e la madre sono mor-ti, in una lunga e slegata successione di lutti, che lasciano superstiti Cooper padre e figlio, l'ultimo a portare il cognome che i nonni assunsero sbarcati in America da immigrati al posto di quello originario, che solo il padre ormai conosce, e non lo rive-lerà al figlio. Il racconto è cosi anche la costruzione di una transizione fra due fa-miglie, quella originaria, in dissoluzione, e quella formata dal narratore e dal suo compagno, Brian, psicoterapeuta della cui presenza e voce Cooper ci dà rare te-stimonianze, ad accennarne una funzione stabilizzatrice e rasserenante in opposi-zione alla personalità del padre, eccentri-ca e sfuggente, vicino alla follia e infine perduta nella demenza senile e nella mor-te. Avvocato divorzista a Los Angeles, fa-moso negli anni sessanta e settanta, il pa-dre è per il figlio un enigma irrisolto, al quale tutta la vita sarà legato da un rap-porto ossessivo, continuamente interro-gante, che mina alla radice la percezione di sé. E tale resta anche consegnato a chi legge. Qui sta l'abilità, persino irritante, del testo. L'affastellarsi discontinuo degli
Andrea Bouchard, ACQUA DOLCE, pp. 138,
€ 7,80, Salani, Milano 2008
Acqua Dolce è una bella bambina con gli occhi verdi, una bambina che non par-la. I compagni di scuola la prendono in gi-ro (in effetti perché mamma e papà l'han-no chiamata con un l'han-nome così stral'han-no?). Quando però esagerano, il gabbiano Ver-dicchio, amico inseparabile della bambi-na, entra in classe dalla finestra e li fa scappare sotto i banchi. Poco alla volta i compagni cominciano a incuriosirsi delle cose strambe che lei organizza, come le gare delle tartarughe nei bagni della scuo-la o l'alscuo-lagamento delscuo-la palestra per farne una piscina. Acqua Dolce è una bambina silenziosa legata ai suoi amici delfini piut-tosto che ai giochi elettronici e alla tv. Tut-to deriva dal posTut-to dove è nata: un'isola bellissima in mezzo a un mare verde come i suoi occhi. Un posto incantevole e incan-tato dove chi si ferma più di trenta giorni va incontro a pericoli terribili dalla forma di squali molto particolari. Acqua Dolce ha dovuto lasciare l'isola da piccola, ma il suo destino la porterà di nuovo in quel luogo, questa volta accompagnata dai suoi com-pagni dopo un'incredibile fuga dalla scuo-la. L'autore - maestro in una classe ele-mentare romana - prende per mano il let-tore, bimbo o adulto che sia e lo culla sul-le onde del racconto accarezzandolo con uno stile dolce e lineare, in qualche modo musicale. Tutto sembra accadere come in una canzone, con il vento che propizia un abbraccio o un tuffo che risucchia una bimba dalla pancia facendola nascere. Come se gli elementi naturali aiutassero i personaggi a muoversi e continuassero la storia. La fiaba scorre veloce fuori dai ca-noni del "C'era una volta". Attraversa i te-mi del diverso, dell'incomunicabilità tra bambini e adulti, della ricerca del proprio posto nel mondo, del sogno, dell'amore.
episodi, coerenti nella loro intenzione di essere rivelatori più che nell'equilibrio fra le parti, rende bene l'impotenza decifrato-ria del figlio che è trasmessa intatta al pubblico, nell'aderenza perfetta allo sguardo del narratore, che è parziale, cie-co a molta della sua stessa materia.
FEDERICO NOVARO
Propone tra le righe un percorso per su-perare barriere e incomprensioni e per scovare le tracce della propria felicità. Un racconto originale, spumeggiante e quie-to, da non perdere.
Per tutti.
FEDERICO JAHIER
Haruo Yamashita, LA FAMIGLIA TOPINI VA A
SCUOLA, ili. di Kazuo Iwamura, ed. orig. 1982, trad. dal giapponese di Su Kimura, pp. 36, €11, Babalibri, Milano 2008
Ogni volta che arriva un pacco della Ba-balibri è una gioia, triplice: per l'attesa del-la sorpresa, per del-la bellezza degli albi, per il piacere che si pregusta nei bambini. Co-me per i sette topini che la mamma prepa-ra per andare a scuola, ma che invece non ne vogliono sapere: perché hanno sonno, la scuola è lontana, fa freddo, non cono-scono gli altri bambini e soprattutto per-ché lungo la strada nel bosco ci sono i ser-penti. Mamma Topini, però, con due go-mitoli di lana costruisce due rotaie di filo blu lungo il quale giocheranno a formare un treno tenendosi per la coda i sette fra-tellini, a cui si aggiungeranno via via tutti i topolini del bosco in un treno così lungo da spaventare e far scappare il serpente. Da allora, "per andare a scuola, tutti i polini prendono ogni giorno il treno dei to-pini". La morale è semplice come la storia: l'unione e l'amicizia fanno vincere la paura e fanno diventare ia scuola bella come un gioco. Le illustrazioni sono anch'esse semplici, che non vuol dire semplificazio-ne e banalizzaziosemplificazio-ne del gusto, ma ric-chezza di segni e significati a portata di occhi, di sensibilità e di comprensione da parte dei piccoli; tutto il contrario di una di-scutibile tendenza odierna alla "intellettua-lizzazione dell'illustrazione", alla proposta
Wyndham tanto piacevole. Tra i cinque racconti spicca notevolmente l'ultimo, Al
Ground Hostess, che, grazie ai ripetuti
riferimenti metaletterari, alla genuina co-micità e alla consapevole inverosimi-glianza della struttura, sorprende il letto-re svelandogli senza mezzi termini la na-tura squisitamente fittizia dell'opera let-teraria.
ILARIA RIZZATO
Francis Wyndham, MRS H E N D E R S O N E A L -T R E S -T O R I E , ed. orig. 1985, trad. dall'inglese di Maria Baiocchi, pp. 178, € 18,50, Elliot, Roma 2008
Dopo il romanzo L'altro giardino (2007), Elliot ripropone la sobria e paca-ta prosa di Francis Wyndham, che in questa raccolta di racconti sorprende con intrecci e motivi tutt'altro che scon-tati. Ancora una volta la narrazione sem-bra fondarsi sul ricordo, facendo bella mostra di un'indefinibile qualità nostalgi-ca, e le storie paiono seguire, proceden-do in ordine cronologico, le fasi di svi-luppo di un io narrante in formazione, dall'infanzia all'adolescenza e poi alla maturità. Ambienti, personaggi, temi e atmosfere sono tuttavia molto diversi in ciascuno dei racconti. Ogni storia pre-senta personalità insolite e fragili, su cui lo sguardo del narratore si posa ironico ma compassionevole, esaltando i mo-menti di maggiore ilarità in modo davve-ro spassoso. Il quaddavve-ro che ne risulta è quello di un'Inghilterra borghese ed ele-gante colta in momenti diversi (dal pe-riodo prebellico agli anni settanta), che guarda all'America del cinema e del tea-tro con ammirazione e una certa invidia. Su questo sfondo si stagliano dinamiche familiari complesse e anomale, vicende artistiche di scarsa fortuna, storie d'a-more e d'amicizia segnate da una co-stante ambiguità sessuale, il tutto profu-so dell'umana partecipazione e del profu- soa-ve garbo che rendono la lettura di
Patrick Chamoiseau ed Édouard Glissant,
QUANDO CADONO I MURI, ed. orig. 2007, trad. dal francese di Maria Pace Ottieri, pp. 35, € 3, Nottetempo, Roma 2008
L' esile libretto è la prima traduzione ita-liana di un'opera che associa i nomi di Glissant e Chamoiseau, pluripremiati ro-manzieri e pensatori. L'opera, il cui gene-re obbliga all'incisività e alla sagacia, rie-sce comunque a mostrare l'ampiezza di orizzonti di questi scrittori, che, a partire da un articolo pubblicato "a caldo" nel set-tembre 2007 sul quotidiano "L'Humanité" per reagire alle scelte effettuate dal gover-no francese in materia di immigrazione, sviluppano qui un vero e proprio pamph-let. All'epoca, infatti, era stato inaugurato in Francia il ministero dell'Immigrazione, integrazione, identità nazionale e coopera-zione allo sviluppo. A questa inaugurazio-ne Glissant e Chamoiseau hanno reagito puntando il dito contro tutti "i muri" su cui un ministero simile si deve fondare. Come molte opere di entrambi gli autori, anche questa dovrebbe costituire per il lettore un punto di partenza verso personali riflessio-ni e illuminazioriflessio-ni in grado di creare una re-te mondiale, e per questo poco spazio è dedicato all'episodio di cronaca. L'imma-ginario è considerato una chiave di volta dei cambiamenti politici e sociali del mon-do intero. È dunque stimolanmon-do l'immagi-nario e intervenendo su di esso, sulla cul-tura comune e intima delle persone e dei
popoli, che si potranno ottenere ricadute sulla storia del mondo. L'immaginario, co-me si diceva, è comune e intimo al con-tempo, perché è relazionale. In questo senso, anche un concetto esclusivo come quello di identità si trasforma per questi due autori in un luogo di relazione. Pur re-stando fondata su una serie di scelte, l'i-dentità relazionale è ben più complessa di una comunanza data da dati esterni quali il luogo d'origine, la lingua madre, il colore della pelle o la religione. Secondo Cha-moiseau e Glissant l'identità collettiva del presente sarà aperta, e questa identità aperta e relazionale è un'espressione del-la bellezza e un oggetto poetico. Gli auto-ri si appellano ai lettoauto-ri in nome della bel-lezza, contro le leggi inammissibili emana-te dai minisemana-teri. Sulla scorta di un preciso