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I N D I A N A

NEL CUORE DELLA DEMOCRAZIA PIÙ COMPLICATA DEL MONDO

pp. VI-216, € 16, Donzelli, Roma 2008

Q

uesto libro, piccolo ma

molto denso, è il diario di una persona che per pro-fessione e per atteggiamento politico/esistenziale guarda, vede, interpreta e classifica le realtà grandi e piccole che l'hanno circondata nell'anno trascorso in India come coope-rante di Progetto sviluppo, una ong della Cgil. È stata un'occa-sione per lavorare in un conte-sto di solidarietà e cooperazio-ne, ma anche per riprendere forza dopo un periodo di impe-gno politico amministrativo nel comune di Roma e rispondere a un bisogno di "libertà, di "ossi-geno" e a quello "di

cercare nuovi bandoli per capire il mondo", e "buoni occhiali" per guardare meglio l'Italia.

Il contenuto è di-stribuito su venti ca-pitoli che descrivono situazioni, ambienti, percezioni o semplici deduzioni. È una sin-tesi, più o meno

bi-lanciata, fra osservazione parte-cipata e letture. Si va dalla de-scrizione di come l'autrice, as-similata al ceto medio indiano, ha concretamente vissuto in una casa ad Ahmedabad, Guja-rat, aiutata per l'organizzazione materiale da una schiera di do-mestici, alla descrizione della vita negli slums di Ahmedabad in Gujarat; dalla storia e natura dell'organizzazione presso cui lavora, la Sewa (Self Employed Women Association), alla tra-gedia delle bambine che non possono nascere; dalla piaga del lavoro minorile alle variega-te e molvariega-teplici espressioni di religiosità (induisti, buddisti, jainisti...); dai problemi dei se-guaci delle religioni del libro (islam e cristianesimo) fino a un quasi peana per Sonia Gandhi, "l'italiana più amata del mondo".

A

ll'inizio, come è buona abitudine per chi non è solo giornalista, ma è stata im-pegnata nella politica locale e nazionale, chiarisce bene l'an-golo di prospettiva da cui avrebbe guardato questa realtà così complessa e molteplice della quale, come recita il pro-verbio indiano citato nel risvol-to di copertina, "qualunque co-sa tu dica, è sempre vero anche il suo contrario".

Mariella Gramaglia non vuo-le cadere nella tentazione di rinchiudere tante complessità e differenze in uno dei molti ste-reotipi utilizzati da noi occi-dentali; pertanto rifiuta con forza anche gli ultimi cliché ap-parsi nella pubblicistica italiana e internazionale. Afferma, e il libro ne è testimonianza

con-creta, che l'India che ha per-corso con occhi molto attenti, intelligenza e cuore, non è quella descritta e esaltata da Federico Rampini, "la Shining India", né quella disperata di Arundhati Roy, che già intrave-de una guerra civile.

Nel posizionarsi, Gramaglia afferma che le interpretazioni dei due, che pur sottolineano fatti concreti e innegabili, pecca-no di ideologia: sopecca-no chiavi in-terpretative diverse e possibili, ma troppo unilaterali e costrette a vedere solo "lungo una pro-spettiva colta da un unico punto di fuga". Cerca di trovare rispo-ste, puntigliosamente facendosi domande e avanzando risposte per sé e per noi, rifuggendo da queste due ideologie, da lei rite-nute speculari, guardando e par-tecipando alla vita che i suoi im-pegni, come cooperante nell'am-bito di Sewa e di Progetto svi-luppo, le impongono. Nel de-scriverci i suoi percorsi e itinera-ri, fisici e mentali, ci offre uno spaccato della vita e dei grandi problemi dell'India di oggi.

Tratta di molte co-se, l'autrice, ma poco delle lotte con cui i più deboli fra la po-polazione rurale, i braccianti, i contadini poveri, gli adivasi, i

dalit, cercano di di-fendere i propri diritti: i diritti sulle terre, le foreste, l'acqua ecc. Gramaglia sa che non c'è compensazione possibile quan-do si espropria con la violenza di chi porta il cosiddetto "pro-gresso"; simpatizza con le "dai", le levatrici, organizzate e sponsorizzate dalla Sewa, ma allo stesso tempo non trova niente da dire sulla paternalisti-ca visione di Madre Teresa di Calcutta. Parla con simpatia e partecipazione dei pur limitati risultati dell'azione di ricostru-zione in alcune zone devastate dallo tsunami, ma non ci docu-menta sul perché e come le protezioni naturali delle man-grovie siano state eliminate da imprese di allevamento intensi-vo dei gamberetti. Eppure era in visita in una zona (Nagappa-tinam, sulla strada per raggiun-gere il tempio di Shiva a Tanja-vur) in cui da anni una coppia di seguaci di Vinoba e Gandhi Krishnammal e suo marito Ja-gannathan lottano per la terra accanto ai dalit (letteralmente gli "oppressi") e contro le im-prese di allevamento dei gam-beretti.

È il 2 ottobre 2007 che si con-clude a Delhi la marcia per la terra, organizzata da Ekta Pari-shad, a cui hanno partecipato venticinquemila contadini pove-ri e braccianti per lo più prove-nienti da comunità di dalit e

adi-vasi di tutta l'India. Ma anche di questa Gramaglia non ci dice nulla.

Non ci dice nulla dei molte-plici e sempre più frequenti scontri fra polizia, più o meno ufficiale, e popolazioni tribali e contadini poveri minacciati da espropri di terra e risorse

fore-stali a favore delle grandi multi-nazionali indiane e straniere, che hanno fatto dire a Man-mohan Singh che questa è la vera nuova emergenza in India. Su questi conflitti si è rinnova-ta l'attrazione farinnova-tale per molti giovani e meno giovani dei mo-vimenti guerriglieri neo-naxati che non si possono certo li-quidare come "reperto archeo-logico"; basta far mente locale su quanto è avvenuto in Nepal. Gramaglia non approfondi-sce la cause della strisciante guerra civile, né ci documenta sull'addestramento da parte di militari americani sulle tecni-che di antiguerriglia sperimen-tate dagli Stati Uniti in molti paesi, con i disastri che tutti co-nosciamo. Non parla delle cau-se dei suicidi nelle campagne, dello strapotere della polizia, dell'uso di "squadracce" orga-nizzate dai partiti dello stupro contro le più deboli, dell'ero-sione dell'impianto democrati-co da parte della destra indui-sta. Quando ne parla, osserva solo che sono le cose che spie-gano ma non giustificano la rabbia di Arundhati Roy.

Si tratta di un diario molto puntuale, ma che non vede o non vuole vedere una realtà che forse gli avrebbe fatto trattare Arundhati Roy con parole meno dure. Pur condividendo il giudi-zio dell'autrice sui movimenti di guerriglia e le possibili derive della lotta armata del secolo ap-pena concluso, che dovrebbero averci vaccinato dalle tentazioni di scorciatoie nella soluzione di conflitti così complessi, non mi sembra proprio che la visione pessimistica di Arundhati Roy possa essere scartata specular-mente a quella, sì ideologica, di Rampini.

F

orse, da brava giornalista che è, se Gramaglia avesse guardato un po' più da vicino le Sez, le zone economiche spe-ciali, o avesse seguito le vicen-de vicen-dei dalit e vicen-degli adivasi o an-che, semplicemente, si fosse av-vicinata ai disastri socio-am-bientali che la modernizzazio-ne delle tecniche produttive agricole ha già generato nelle zone rurali, ne sarebbe venuto fuori un quadro più completo dell'India contemporanea. Cer-tamente molto di più che de-scrivere un luogo amato dagli hippy ("marziani") per poter incontrare un indiano cono-sciuto anni fa da un amico (or-mai non più hippy) di Grama-glia, o raccontarci di un italia-no capo-progetto in un proget-to impossibile e proget-totalmente marginale alla dinamica della società indiana.

L'autrice va ringraziata per la ricca bibliografia. Sicuramente molte e buone letture hanno permesso a Mariella Gramaglia di districarsi nella complessità delle situazioni sociali e politi-che indiane e aiutano certamen-te il lettore che voglia documen-tarsi su un mondo che ci sarà sempre più vicino e simile nei meccanismi socioeconomici. Un utile glossario e nove splendide foto di Laura Salvinelli

arricchi-scono il testo. •

c i n g o . g ® i n r e t e . i t

G. Cingolani è consulente di progetti di cooperazione in Asia, Africa e America Latina

S C H E R M I I N D I A N I , L I N G U A G G I P L A N E T A R I

a cura di Lidia Curii

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