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5.1 Da Clodio a Cesare

L'uccisione di Clodio e i violenti disordini che ne seguirono costrinsero il senato a proclamare lo stato di emergenza e ad affidare pieni poteri a Pompeo; da questa situazione scaturiscono le premesse per lo scoppio della guerra civile tra Cesare e Pompeo. Il movimento popolare clodiano venne così stroncato, anche se più tardi alcuni estremisti del partito cesariano cercheranno di raccoglierne l'eredità. Con la morte di Clodio, il partito popolare vero e proprio cessa di esistere; pochi anni dopo scoppiò la guerra civile tra Cesare e Pompeo, e alla lotta di partiti nel senso tradizionale si sostituisce la lotta per la conquista di un potere personale preminente nello stato.

Tuttavia non bisogna credere che di colpo vengano a cadere le cause sociali ed economiche che erano alla base del conflitto tra ottimati e popolari; non si può ridurre la motivazione della guerra che Cesare condusse contro Pompeo e l'oligarchia senatoria al semplice desiderio di salvare la dignitas personale offesa edi conservare una posizione di supremazia; Cesare si presentava come il sostenitore di ceti e di gruppi sociali che in gran parte erano stati ed erano favorevoli al partito popolare.

Le fonti antiche giudicano la parte cesariana come erede e continuatrice del partito popolare: Cicerone, parlando del tribuno Curione, che nel 50 da difensore degli ottimati passa dalla parte di Cesare, dice che Curione transfugit ad populum482.

Sempre Cicerone ci dice quali erano i timori dei boni, degli ottimati, in caso di vittoria di Cesare: oltre alla proscrizione degli avversari e alla confisca dei beni dei ricchi, essi temevano l'annullamento dei debiti, il richiamo degli esiliati allontanati da Pompeo nel 52, l'instaurazione di una tirannide che avrebbe posto fine al regime senatoriale; Cicerone dunque teme che la vittoria di Cesare porti una rivoluzione sociale di carattere popolare.

Se queste prospettive catastrofiche in parte erano artificiose deformazioni della propaganda degli ottimati, altri punti del programama di Cesare erano visti con preoccupazione dall'oligarchia, tra cui l'assegnazione di nuove terre ai veterani e la concessione della cittadinanza ai Transpadani, provvedimenti che rientravano nella linea dei popolari e che erano destinati ad accrescere la popolarità del futuro dittatore.

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Ancora Cicerone fornisce una prima indicazione sui gruppi sociali che stavano dalla parte di Cesare; secondo l'oratore ci sono i Transpadani, la plebe urbana, i tribuni della plebe e quasi tutti i giovani nobili; ovviamente egli aggiunge gli indebitati e i delinquenti di ogni sorta, tracciando un quadro molto simile a quello dei seguaci di Catilina483. Dunque la base di Cesare coincide per larga parte con quella tradizionale dei popolari. L'opinione die moderni è che la nobiltà non fosse tutta schierata con Pompeo, ma divisa in parti quasi uguali tra i due rivali, e quindi il carattere popolare del partito di Cesare sarebbe una leggenda484. La grande maggioranza dei senatori più elevati, degli ex consoli ed ex pretori, i princeps senatus, si schierarono dalla parte di Pompeo, mentre Cesare raccolse attorno a sé ex tribuni e senatori di rango inferiore. La parte pompeiana rappresentava la difesa della vecchia oligarchia e della posizione dominante del senato, mentre la parte cesariana si opponeva alla factio paucorum (uno dei motivi che Cesare addusse il passaggio del Rubicone era la violazione dei diritti dei tribuni da parte del senato).

È difficile definire l'atteggimento dei pubblicani e degli uomini d'affare in genere; Cicerone parla dei pubblicani come Caesari amicissimi485, ma forse è la solita esagerazione, dettata dal suo desiderio che tutti si schierino dalla parte degli ottimati. Forse inizialmente gli uomini d'affari e i possidenti non implicati direttamente nella lotta politica avessero cercato di evitare los coppio della guerra civile, che avrebbe danneggiato i loro interessi; poi molti di loro si saranno spaventati dalle voci messi in atto dalla propaganda oligarchica circa le intenzioni eversive di Cesare e specialmente circa la sua presunta intenzione di annullare i debiti, ma successivamente l'atteggiamento moderato del vincitore li rassicurò e fece svanire le più gravi apprensioni.

Se i ceti affaristici allo scoppio della guerra civile tennero un contegno passivo di attesa, una parte notevole nel determinare l'esito della lotta dovettero avere gli Italici. Può sembrare improprio includere gli Italici tra le componenti del movimento popolare, perché

483 Cic., Att., VIII, 3, 5, 7, 6: Octobres in aede Apollinis scrib. affuerunt L. Domitius Cn. f. Fab. Ahenobarbus, Q.

Caecilius Q. f. Fab. Metellus Pius Scipio, L. Villius L. F. Pom. Annalis, C. Septimius T. f. Quirina, C. Lucilius C. f. Pup. Hirrus, C. Scribonius C. f. Pop. Curio, L. Ateius L. f. An. Capito, M. Eppius M. f. Ter. Quod M. Marcellus cos. v.[erba] f.[ecit] de provinciis consularibus, d. e. r. i. c., uti L. Paullus C. Marcellus coss., cum magistratum inissent, ex Kal. Mart., Sulpicius M. Marcellus coss., praetores tribunique pl., quibus eorum videretur, ad populum plebemve ferrent; quod ii non tulissent, uti, quicumque deinceps essent, ad populum plebemve ferrent. I.N. [Intercessit nemo.]. Pr. Kal. Octobres in aede Apollinis scrib. affuerunt L. Domitius Cn. f. Fab. Ahenobarbus, Q. Caecilius Q. f. Fab. Metellus Pius Scipio, L. Villius L. f. Pom. Annalis, C. Septimius T. f. Quirina, C. Lucilius C. f. Pup. Hirrus, C. Scribonius C. f. Pop. Curio, L. Ateius L. f. An. Capito, M. Eppius M. f. Terentina. Quod M. Marcellus cos. v. f. de provinciis, d. e. r. i. c., Huic s. c. intercessit C. Caelius, L. Vinicius, P. Cornelius, C. Vibius Pansa, tribuni pl. Item senatui placere de militibus, qui in exercitu C. Caesaris sunt, qui eorum stipendia emerita aut causas, quibus de causis missi fieri debeant, habeant, ad hunc ordinem referri, ut eorum ratio habeatur causaeque cognoscantur.

484

D. R. Shackleton Bailey, The Roman Nobility in the Second Civil War, «CQ» 1960, pp. 253-267.

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non si tratta di un guppo sociale omogeneo, ma di un gruppo che racchiude nel suo interno forti differenze di interessi economici e sociali tra le classi alte e quelle basse. Tuttavia i ceti intermedi italici, salvo le grandi famiglie legate a singoli membri della nobiltà, non avevano troppa simpatia per il governo dell'oligarchia, che per lungo tempo si era opposto al riconoscimento dei loro diritti. Pertanto essi non avevano difficoltà a dare l'adesione a un partito democratico moderatamente riformista e rispettoso del diritto di proprietà che promettesse loro maggior peso politico e più larga partecipazione al governo.

Secondo Syme il favore degli Italici per Cesare è dimostrato dalla prontezza con cui numerose città apriprono le porte agli eserciti del generale nella sua marcia verso sud486. In altre occasioni invece, al tempo della guerra civile tra mariani e sillani, molte città italiche avevano resistito a Silla anche quando la sproporzione delle forze era evidente. In questo caso chiaramente mancava agli Italici ogni ragione di interesse e di ideale che li spingesse a rimaner fedeli al governo dell'oligarchia.

Allo scoppio della guerra civile, dunque, Cesare era sostenuto dalle forze che tradizionalmente appoggiavano i popolari; ma è giudizio diffuso che Cesare abbia successivamente deluso le speranze di chi si aspettava da lui una rivoluzione sociale e la difesa della causa dei poveri e degli oppressi, perché al contrario si preoccupò di tutelare gli interessi dei ceti abbienti487.

Uno dei punti chiave per la valutazione dell'atteggiamento di Cesare verso le rivendicazioni della plebe è costituito dalle sue misure circa la questione dei debiti. Cicerone aveva detto di temere che Cesare annullasse i debiti, ma questo timore non era fondato su esplicite dichiarazioni del condottiero. In realtà tra i popolari solo Catilina aveva promesso la cancellazione dei debiti. Nel 49 Cesare prese le misure per alleviare la questione, che era aggravata dalla scarsezza di moneta circolante prodotta dalle conseguenze economiche e psicologiche della guerra civile. Cesare ordinò che i debitori insolventi potessero pagare anziché in denaro con la cessione dei fondi o dei beni di loro proprietà. Questa misura in realtà li favoriva, visto che i prezzi dei beni immobili erano fortemente diminuiti dopo la guerra civile; inoltre abitualmente il creditore insolvente era costretto dal pretore a vendere i suoi beni all'asta a prezzi rovinosi. Il giudizio sul comportamento di Cesare nella questione dei debiti non va inquadrato in base ad un metro attuale, ma considerando il suo atteggiamento in rapporto alla prassi di quel tempo. Cicerone è indignato per le misure di

486 Syme, La rivoluzione romana, cit., p. 92. 487

Syme, La rivoluzione romana, cit., pp. 54-55; La Penna, Sallustio, cit., pp. 108-113; De Martino, Storia della

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Cesare sul condono dei debiti e degli affitti, che egli riconduce alla peggiore tradizone dei popolari488. Le richieste del catilinario Manlio a favore della plebe indebitata, che voleva fosse garantita la libertà dei debitori, erano finalmente accolte.

Vi sono due provvedimenti che vengono addotti per dimostrare la linea antidemocratica della sua politica. Il primo è la riduzione del numero degli aventi diritto alle frumentazioni, che fu portato da trecentoventimila a centocinquantamila, con la prescrizione che il numero non dovesse venire ulteriormente aumentato. Il provvedimento aveva lo scopo di scoraggiare l'immigrazione nella città e di evitare il formarsi di una massa di disoccupati. Un secondo provvedimento antipopolare fu la soppressione dei collegi, esclusi quelli che erano stati costituiti da antica data489; l'esistenza dei collegi era subordinata all'autorizzazione dello stato. Il provvedimento aveva lo scopo di eliminare agitazioni e disordini e rientra nella nuova concezione dello stato centralizzato che segna il trapasso dalla Repubblica all'Impero. Questo trapasso però non comportava maggiore democraticità; la cura degli interessi del popolo era demandata al governo. I collegi al tempo di Clodio erano stati un'arma per la lotta del popolo contro l'oligarchia; con al fine del governo oligarchico la funzione politica dei collegi era cessata e il nuovo stato esigeva tranquillità sociale.

Altre misure rientrano invece nella tradizionale linea dei popolari. Nuove terre da assegnare ai veterani, nuove occupazioni per il proletariato agricolo e infine la fondazione delle colonie d'oltremare.

Nella linea politica dei popolari rientra la larghezza di Cesare nel concedere la cittadinanza490; le misure per la tutela dei provinciali dagli arbitri di governatori e pubblicani si riallacciano alla politica di Caio Gracco ma non hanno precedenti nelle iniziative dei popolari.

Uno dei provvedimenti più criticati dall'opposizone oligarchica fu l'allargamento del senato a novecento membri. Critiche analoghe erano state mosse a Silla, ma l'apertura di Cesare era molto più ampia e spregiudicata e prescindeva dal requisito primario della nobiltà.

488 Cic., Off., II, 22-24: Male enim se res habet, cum quod virtute effici debet, id temptatur pecunia. Quamvis

enim sint demersae leges alicuius opibus, quamvis timefacta libertas, emergunt tamen haec aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis. Acriores autem morsus sunt intermissae libertatis quam retentae. Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum, sed etiam ad opes et potentiam valet plurimum, id amplectamur, ut metus absit, caritas retineatur. Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et in re publica consequemur.

489 Sulla Lex Iulia relativa ai collegi si veda De Robertis, Il diritto associativo, cit., pp. 169-208.

490 De Martino, Storia della costituzione, cit., III, pp., 267-273, che però pone in rilievo come la misura

dell'estensione della cittadinanza operata da Cesare non sia tale da giustificare le teorie secondo cui Cesare avrebbe voluto annullare ogni differenza tra cittadini romani e sudditi, in nome di una monarchia di tipo ellenistico.

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Accanto all'allargamento del senato si pone l'elezione di quattro homines novi nelle elezioni al consolato pilotate da Cesare stesso, uomini tratti dai suoi collaboratori militari e soprattutto l'istituzione di una specie di gabinetto personale, composto in maggioranza da cavalieri abili nel maneggiare affari ed esperti di amministrazione491.

L'abilità di Cesare risiede nel fatto che egli riuscì a contemperare gli interessi di diversi ceti sociali coalizzandoli contro l'oligarchia senatoria. Egli realizzò una parte notevole del programma sociale del partito popolare, ma accolse il principio delal sovranità popolare e il regime assembleare di Saturnino e di Clodio sostituendolo con un programam di riforme. Se i soldati gli garantirono il successo, dopo la vittoria egli si resse sul consenso popolare e non sulla forza delle armi.

5.2 Libertas: Cicerone, Cesare e Sallustio

Come si è visto, la libertas era comparsa frequentemente negli slogans dei plebei prima e dei populares poi492. Cicerone aveva impiegato molto spesso questa parola. Essa ricorre quasi quattrocento volte nelle sue opere, e ben novantacinque nelle sole Filippiche. Proprio le Filippiche sono molto importanti a questo proposito, sia perché in esso Cicerone fa notevole uso del termine, sia per il carattere fortemente propagandistico di queste orazioni.

Egli si era già presentato come il primo e principale difensore della libertà493. Rivolgendosi al popolo, dichiara: Princeps vestrae libertatis defendendae fui494, descrivendo tutta la sua attività come alacremente dedicata alla difesa della libertà dei suoi concittadini e al bene dello stato495. La Quarta filippica, che per buona parte è basata su questo concetto, si conclude con un'affermazione simile a quella con cui era iniziata: Longo intervallo me auctore et principe ad spem libertatis ex arsimus496. Il lungo intervallo è ovviamente lo spazio temporale che divide le due grandi camapagne politiche di Cicerone: quella contro Catilina e quella contro Antonio. In mezzo vi è l'età del primo triunvirato e della dittatura cesariana,

491

A questo proposito Syme, La rivoluzione romana, cit., pp. 72-75.

492 I Romani identificavano la libertas con la fine della monarchia e la costituzione repubblicana dello stato. Si

veda C. Wirzubski, Libertas as a Political Idea at Rome during the Late Republic and Early Principate, Cambridge 1950, pp. 12-14.

493

M. Bellicioni, Cicerone politico nell'ultimo anno di vita, Brescia 1974, pp. 81-83. Inoltre per un'idea dello stato in Cicerone A. Grilli, L'idea si stato dal De re publica al De Legibus, «Ciceroniana» 7, 1990, pp. 249-262.

494 Cic., Phil., IV, 1.

495 Cic., Phil., VI, 17: An ego non provideam meis civibus, non dies noctesque de vestra libertate, de rei publicae

salute cogitem?

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periodo in cui né al senato né a lui stesso fu permesso di esercitare la funzione di auctor libertatis.

A questa affermazione fanno eco due epistole ad familiares nelle quali Cicerone conferma limpegno politico assunto un tempo come difensore della libertà del senato e del popolo romano497. Il richiamo testuale è preciso: tanto nell'orazione, quanto nelle due epistole vi sono riferimento temporali che alludono all'attività di Cicerone come difensore della libertà di un tempo, alla situazione odierna e allo stato temporale. Cicerone tuttavia si presenta nelle epistole come lo stimolatore e il promotore dell'accordo tra il senato e il popolo, mentre nel discorso ufficiale si attribuisce il ruolo di delegato del senato e del popolo romano.

In questa impresa egli non è solo e infatti riconosce anche ad altri il titolo di campione della libertà. A Decimo Bruto, che il senato stesso elogia cum senatus auctoritatem populique Romani libertatem imperiumque defendat498, e per estensione a tutta la stirpe dei Bruti: Est enim quasi deorum immortalium beneficio et munere datum rei publicae Brutorum genus et nomen at libertatem populi Romani vel constituendam vel recipiendam499, con un palese riferimento all'antico Bruto che depose Tarquinio il superbo e un'implicita allusione al cesaricida, che nomina dopo più chiaramente500.

Anche la Quarta legione e la legione Marzia che summo studio optimoque in rem publicam consensu C. Caesare duce et auctore rem publicam, libertatem populi Romani defendant, defenderint. Cicerone rinnova il suo elogio alla legione Marzia perché aveva abbandonato Antonio allo scopo di salvaguardare senatus auc autoritatem, libertatem vestram, universam rem publicam501.

Anche L. Egnatuleio502, Irzio e Pansa sono chiamati in causa come paladini della libertà, gli ultimi due hanno esplicitamente diritto al titolo di urbis liberatores503.

Più di tutti è il giovane erede di Cesare, Ottaviano, a battersi per la libertà della repubblica504 e per questo a lui vanno lodi e onori pro divinis et immortalibus meritis divini

497 Cic., Fam.,XII, 24, 2: Ego tamen, ut primum occasio data est meo pristino more rem publicam defendendi;

me principem senatui populoque Romano professus sum, nec, postea quam suscepi causam libertatis, minimum tempus amisi teundae salutis libertatisque communis; X, 28, 2: Totam rem publicam sum complexus egique acerrime senatumque iam languentem et defessum ad pristinam virtutem consuetudinemque revocavi magis animi quam ingeni viribus. Hic dies meamque contentio atque actio spem primum populo Romano attulit libertatis reciperandae. Nec vero ipse postea tempus ullum intermisi de re publica non cogitandi solum sed etiam agendi. Si veda inoltre D.R. Shackleton Bailey, Cicero: Epistulae ad Familiares, II, Cambridge 1977, pp.

499-504 e L. Rusca, Marco Tullio Cicerone, Tutte le lettere, III, Milano 1978, pp. 281-282.

498 Cic., Phil, III, 37. 499

Cic., Phil, IV, 7.

500 Cic., Phil., XI, 27: Aut Brutus aut Cassius salutem libertatemque patriae legem sanctissimam et morem

optimum iudicavit.

501 Cic., Phil., IV, 5. 502

Cic., Phil., III, 39: Senatus auctoritatem populique Romani libertatem defendat ac defenderint.

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