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UN FIORE DI SERRA Gli studi universitari e l’esperienza nella Fuc

La mia “carica psichica” è stata tutta concentrata verso la formazione della intelligenza, per via intellettuale soprattutto, senza deviazioni né dispersioni. Un fiore di serra, concimato a dovere, deve irrefrenabilmente crescere e vigoreggiare nel senso voluto dal col-

tivatore, per poco che il seme non sia marcio.

(Diario, 23 marzo 1941)

Paronetto si trasferì a Roma il 16 ottobre 1928. Il suo futuro era un’incognita: la malattia del padre si era rapidamente aggravata, la famiglia versava in serie difficoltà economiche, ad Ivrea aveva lasciato pochi ma faticosamente ricercati amici. Qualche giorno dopo scrisse sul diario:

Restava da risolvere il gran problema che deve definitivamente decidere la mia carriera futura. […] Ero partito da Ivrea con la propensione per le scienze (medicina o chimica); non sapevo far tacere una certa voce che si dichiarava insoddisfatta. Papà mi propose le scienze politiche: dapprima accolsi con una certa diffidenza la sua proposta. Poi m’accorsi dello sbaglio che avrei fatto dedicandomi alle scienze. Scribacchino come sono, il lasciar del tutto le lettere era per me una cosa spiacevole. Ecco quindi una via di mezzo. Non è da dire che anche qui mi trovi del tutto soddisfatto, ma ho cercato e ricercato e non trovo di meglio. Vedremo1.

Roma fu, sin dai primi giorni, una «rivelazione». Dalla casa «nuova, elegantuccia, che costa maledettamente»2 dove si erano sistemati i genitori, nei pressi di Porta

Cavalleggeri, Paronetto cominciò ad esplorare la Capitale in lunghe passeggiate a piedi o in bicicletta, fissandone le impressioni con dettagliati e suggestivi tratti. Come nelle escursioni alpine, anche tra le rovine della Città Eterna la solitudine non suscitò in lui

1 Diario, III, 25 ottobre 1928. 2 Ibid.

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visioni solamente romantiche ma sentimenti rinnovati di dominio della mente, di autoconsapevolezza, di confronto con la grandezza della storia:

Anche il foro e il Palatino erano oggi stupendi, specialmente verso la parte delle terrazze grandiose fatte costruire oltre l’ippodromo da Domiziano. I colori marcati dello sfondo immediato, quelli più vaghi dello sfondo lontano eccitano magnificamente la briciola estetica della mia anima. Quel senso strano di isolamento che si prova passando fra quegli archi che pur nella loro nudità – senza pregiudiziali storiche – danno il senso del grandioso, è gradito perché risveglia quel po’ dell’avventuriero che ho anch’io. Comincio a capire come campo di sensazioni di bellezza non sia solo la montagna o Michelangelo. Non parlo di poesia romantica dei ruderi, o della nuova rigogliosa vita della flora innestata sulla morte feconda delle rovine; sarebbe artificiale e non sincero. Invece mettendomi a tu per tu, per esempio, con quelle splendide terrazze del belvedere, con la precisa sensazione di avere sotto i piedi cinquanta metri di archi e di mura, sentivo il senso del dominio della mia mente sulle cose, come un re persiano dall’alto della sua reggia3.

1. «Una via di mezzo»: nella Facoltà di Scienze Politiche

La scelta della Facoltà di Scienze Politiche maturata all’arrivo a Roma fu qualcosa di più della semplice «via di mezzo» da lui indicata nell’appunto sopra citato4. Da un lato

essa rendeva possibile usufruire di borse di studio – che otterrà in due anni accademici consecutivi5 – in un momento in cui «le condizioni della famiglia non permettono tante

3 Diario, IV, 12 gennaio 1929.

4 Paronetto si immatricolò agli inizi di novembre: AI, FSP, sc. 3, fald. 19, cart. 41, Tesserino della Regia Università di Roma, Facoltà di Scienze Politiche, n. 458, di Sergio Paronetto, [rilasciato il] 3 novembre 1928.

5 All’inizio del 1930 riuscì ad ottenere una prima borsa di studio, pari a cinquemila lire, grazie all’interessamento di Alberto De Stefani: AI, FSP, sc. 5, fald. 16, cart. 8, lettera ds. con ann. ms. di Alberto De Stefani a Sergio Paronetto, 25 gennaio 1930. Lo stesso giorno annotò sul diario: «Ho imparato un altro pezzo di vita. A che serve avere un appoggio in qualche professore e come si fa a conquistarselo»: Diario, IV, 25 gennaio 1930. La morte del padre, nel luglio 1930, rese la borsa di studio indispensabile: AI, FSP, sc. 3, fald. 14, cart. 51, ds. certificato di «Stato di famiglia per il conseguimento di un assegno dalla Cassa scolastica della R. Università di Roma», novembre 1930. Così, stavolta grazie al prof. Giorgio Del Vecchio, ottenne un altro sussidio alla fine dell’anno: AI, FSP, sc. 3, fald. 14, cartt. 7 e 11, lettere ds. di Giorgio Del Vecchio a Giovanni Battista Cervellini, 23 dicembre 1930 e 1° gennaio 1931. Per i «buoni requisiti

77 indecisioni»6. Dall’altro, il piano di studi, lasciando ampia libertà nella scelta dei corsi e

nella programmazione del percorso didattico, si rivelò congeniale alle sue attitudini e gli permise di conciliare la passione per gli studi umanistici e filosofici con le materie scientifiche, nelle quali eccelleva.

Il regime fascista aveva incoraggiato la creazione della Facoltà «per preparare funzionari competenti per la pubblica amministrazione di uno Stato in via di trasformazione e di modernizzazione, ed anche per contribuire alla formazione della nuova classe dirigente fascista»7. Come recitava la legge istitutiva, la nuova facoltà di

Scienze politiche intendeva infatti «promuovere l'alta cultura politica ed economica e fornire la preparazione scientifica per le carriere amministrativa, diplomatica, consolare e coloniale»8. Il prestigio dell’Ateneo cui apparteneva ed il valore dei suoi docenti

avrebbero dovuto fare della Facoltà romana di Scienze politiche la migliore in Italia. Tuttavia, la confluenza in essa del progetto liberale di formazione della classe dirigente alla scienza dell’amministrazione e quello militante del nascente regime9 aveva acceso

una vivace polemica da parte della stampa fascista più intransigente già all’indomani dell’apertura dei corsi10. Si rimproverava cioè alla nuova Facoltà di essere una sorta di

scolastici» Paronetto meritò anche la nomina a membro della Società nazionale “Dante Alighieri” per l’anno 1931: AI, FSP, sc. 3, fald. 14, cart. 46, lettera ds. di Pietro De Francisci a Sergio Paronetto, 11 aprile 1930.

6 Diario, III, 25 ottobre 1928.

7 E. GENTILE, La facoltà di Scienze politiche nel periodo fascista, in F. LANCHESTER (a cura di), Passato e

presente della facoltà di Scienze Politiche, Giuffrè, Milano 2003, p. 46; cfr. anche M. D’ADDIO, Le origini della

Facoltà romana di Scienze politiche, ibid., pp. 25-44.

8 R.D.L. 4 settembre 1925, n. 1604, art. 35. Sulla costituzione della facoltà cfr. M.CARAVALE,Per una storia

delle facoltà di Scienze politiche in Italia: il caso di Roma, in «Le Carte e la Storia», 1995, I, 2, pp. 17-28.

9 Emblematica di queste frizioni fu la sostituzione di Gaetano Mosca con il giovane studioso di tendenze nazionaliste Rodolfo De Mattei e la diluizione dell’azione di Panunzio, nonostante il suo indubbio peso intellettuale e politico: F. LANCHESTER, Origini e sviluppi della Facoltà romana di Scienze Politiche, in V.I.

COMPARATO,R.LUPI,G.E.MONTANARI (a cura di), Le scienze politiche. Modelli contemporanei, Franco Angeli,

Milano 2011, pp. 106-112, pp. 110-111.

10 Oltre le vicende di singole realtà universitarie in età contemporanea, manca una ricostruzione globale dei rapporti intercorsi tra élite accademica e regime fascista, cfr. S. SALUSTRI, Un ateneo in camicia nera. L’Università di Bologna negli anni del fascismo, Carocci, Roma 2010, pp. 11-15. Va però ricordata l’acuta

analisi della strategia politica fascista nei confronti dell’Università svolta in M. C. GIUNTELLA, Autonomia e nazionalizzazione dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli Atenei, Studium, Roma 1992; sulla

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doppione di Giurisprudenza, si tacciavano alcuni docenti di antifascismo e così, proprio mentre Paronetto ne varcava la soglia, il regime ne inasprì la fascistizzazione: a presiederla era stato chiamato Alberto De Stefani, «sincero fascista, alieno da retorica e da estremismo»11; in cattedra sedevano uomini come Alfredo Rocco, l’architetto dello

Stato fascista, Giuseppe Bottai, l’intellettuale organizzatore di cultura e ministro dell’Educazione nazionale, Sergio Panunzio, teorico dello stato totalitario, che intendeva fare della Facoltà il «centro propulsore della politicizzazione integrale della scuola e della cultura fascista»12. Nei primi anni della dittatura “a viso aperto” Scienze Politiche

fu, dunque, pioniera della strategia non aggressiva né perentoria di penetrazione fascista nell’ambiente universitario, dove l’intreccio e la coincidenza di importanti segmenti del ceto accademico con le élites politiche dirigenti dell’Italia postunitaria aveva nel tempo saputo costruire per i professori uno status socio-professionale prestigioso e un’orgogliosa coscienza di valori condivisi difficili da scalfire, ma dove furono comunque assunte iniziative eversive della secolare tradizione accademica, «premessa esplicita di successive, ulteriori svolte coercitive»13.

Paronetto si inserì velocemente e con grande disinvoltura in questo contesto ricco di personalità ed in rapida evoluzione. Sin dalle prime settimane dei corsi, gli studi di economia incontrarono il suo interesse14 ma non tardò ad avvertire, ancora una volta,

il richiamo all’azione, il desiderio, certo suscitato anche dalle necessità familiari, «di far qualcosa nel campo puramente pratico, come per esempio impiegarmi, lavorare»,

Facoltà romana di Scienze Politiche cfr. le pp. 91-94; cfr. anche J. CHARNITZKY, Fascismo e scuola. La politica

scolastica del regime 1922-1943, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 317-324, in particolare p. 317, n. 117; e

L. MANGONI, Scienze politiche e architettura: nuovi profili professionali nell’Università italiana durante il fascismo, in I. PORCIANI (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, Jovene, Napoli 1994, pp. 381-398.

11 E. GENTILE, La facoltà di Scienze politiche nel periodo fascista, cit., p. 57

12 Ibid., p. 72. Cfr. anche S.PANUNZIO,L’insegnamento politico in Italia e le facoltà di Scienze Politiche, in «Nuova Antologia», LXVII (1932), vol. 361, pp. 475-490. Per un elenco degli insegnamenti e dei docenti cfr. M. C. GIUNTELLA, Autonomia e nazionalizzazione delle Università, cit., p. 91, n. 8 e 9.

13 E. SIGNORI, Università e fascismo, in G.P.BRIZZI,P.DEL NEGRO,A.ROMANO, Storia delle Università in Italia, vol. I, Sicania, Messina 2007, pp. 397-398.

14 Diario, IV, 27 gennaio 1929. Come aveva fatto al liceo, anche all’Università egli compilò una lista di tutti i nomi dei compagni di classe: AI, FSP, sc. 3, fald. 14, cart. 78, appunto ms. «Inscritti al I° Anno della Facoltà di Scienze Politiche 1928-29» di Sergio Paronetto, s.d.

79 dimostrando di non «essere un uomo senza fantasia e fatto solo a base di concetti»15.

Scrisse: «La vita universitaria per quanto ora mi si presenti densa di studio anche fecondo non pare mi soddisfi appieno: io ho bisogno di svolgere un’attività che mi porti un utile immediato materiale. Dunque la necessità sorge che io trovi un impiego»16.

L’impressione «che si potrebbe veramente imparare con coscienza solo seguendo attentamente, anche con appunti, i professori» e che lo studio universitario, per quanto amato, fosse in sé «solo un inconscio habitus mentis»17, fu impressione temporanea,

destinata a mutare – lo si vedrà – dopo l’incontro con la Fuci.

Tra le carte personali di Paronetto gli anni dell’Università rivivono in un numero ingente di documenti e di appunti presi a lezione. Da essi si evince un metodo di ragionamento ordinato, con un frequente ricorso a puntualizzazioni, a gerarchie di voci, a diagrammi manoscritti. Lo schema delle nozioni recepite nell’insegnamento si arricchisce sempre di successive elaborazioni, sintesi e chiose personali a latere. Gli appunti forniscono inoltre conferma di come Paronetto non trascurasse mai lo studio diretto delle fonti, attitudine emersa già negli studi liceali. Ad esempio, accanto agli appunti di politica economica e finanziaria, specificò i riferimenti a tutti i principali documenti della ragioneria e della contabilità di Stato, dal conto riassuntivo del Tesoro al prospetto analitico del gettito delle dogane, dimostrandosi attento alle pubblicazioni scientifiche e divulgative internazionali in materia di finanza pubblica e di legislazione

15 Oltre ad aiutare il padre nelle trasferte di lavoro, nel febbraio 1929 trovò anche un primo impiego come correttore di bozze: «Ho cominciato ieri quella che sarà (me l’aspetto e sono preparato) la mia odissea: avrei un posticino per correggere delle bozze in una tipografia qui sotto a casa. Non è ancora certo e sono pronto a veder sfumare ogni cosa. Non è certo troppo allegro, ma sono allegro io per ora. L’importante è che ho rotto il ghiaccio, poi potrò sempre migliorare. Mi son quindi lasciato trasportare dai famosi castelli in aria, e son contento anche di questo, perché era gran tempo che credevo di essere un uomo senza fantasia e fatto solo a base di concetti. […] Intanto sento sorgere in me un altro bernoccolo che non sospettavo: lo spirito commerciale»: Diario, IV, 10 febbraio 1929.

16 Diario, IV, 12 gennaio 1929. La nota del diario proseguiva: «Penso alla carriera e vedo talvolta una via deserta piena di desolazione e di difficoltà. Penso alla mia timidezza e mi vedo sfuggire mille favorevoli occasioni. Mi sforzo di pensare al mio valore, ai miei studi, alla mia intelligenza e alla mia riuscita e talvolta mi trovo oppresso dalla più debilitante e antifattiva sfiducia».

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finanziaria18. Alcune esercitazioni scritte meritano attenzione più specifica, non

solamente per la loro ampiezza ed il loro grado di definizione, ma anche perché permettono di cogliere sia alcune sfumature del suo percorso di studi, dei suoi interessi, dell’influenza dei docenti, sia la metodologia di studi impostata in quei primi anni di attività della Facoltà di Scienze Politiche.

Gli appunti di una Relazione sulla legge contro le associazioni segrete che egli svolse durante il corso di Dottrina generale dello Stato tenuto da Sergio Panunzio (1886- 1944) – insegnamento dal quale nasceranno opere come La Teoria generale dello Stato del 1936 o, più tardi, Appunti di dottrina dello Stato del 1940 – testimoniano, ad esempio, la prospettiva esplicitamente politica adottata dalla nuova Facoltà e non più limitata al campo delle sole dottrine del diritto nello studio dello Stato, in chiara distinzione rispetto a Giurisprudenza. Lo scritto di Paronetto esordiva: «Occorre ricordare che scopo di queste nostre esercitazioni, più che commento di singole leggi, più che esegesi giuridica di provvedimenti legislativi, è piuttosto estensione e chiarificazione e approfondimento del corso di Dottrina generale dello Stato o meglio di dottrina dello Stato fascista. Per fare questo è quindi necessario che noi ci poniamo da un punto di vista più politico che giuridico»19.

18 AI, FSP, sc. 3, faldone 19, cart. 12, fasc. 1, appunti ds. «Esami di politica economica e finanziaria per l’anno 1929-1930» di Sergio Paronetto, s.d. La cartella conserva materiale relativo agli insegnamenti di Alberto De Stefani negli anni 1930-1931. I fascc. 22-25 contengono voluminosi appunti sui testi Vie

maestre, Colpi di vaglio, La restaurazione finanziaria, uno schema con i dati riassuntivi della bonifica

integrale ed il resoconto di alcuni discorsi di De Stefani. Altra corposa raccolta di appunti delle lezioni universitarie ibid., cart. 14: le carte si riferiscono agli appunti dei corsi di Diritto romano di Pietro De Francisci, di Istituzioni di diritto romano di Pietro Bonfante, del corso Appunti sulle leggi costituzionali per

le esercitazioni di dottrina generale dello Stato tenuto da Agostino Origone, di Diritto costituzionale

italiano tenuto da Pietro Chimienti e di Fisica economica di Luigi Amoroso. Per un ulteriore esempio del rigore metodologico di Paronetto si veda l’articolazione data agli appunti del corso di Diritto privato di Roberto De Ruggiero: AI, FSP, sc. 3, fald. 19, cart. 23, quaderno di appunti ms. di Sergio Paronetto sulle lezioni di Istituzioni di diritto privato italiano del prof. Roberto De Ruggiero, s.d.

19 AI, FSP, sc. 5, fald. 2, appunti ms. «Relazione sulla legge contro le associazioni segrete»; la copertina del faldone reca l’ann. ms. di Maria Luisa Paronetto Valier «Libertà civili e associazioni segrete. Appunti esercitazioni universitarie». Vi si conservano anche gli appunti delle lezioni di Santi Romano sui Principi

generali delle libertà civili e di Vittorio Emanuele Orlando sulla Teoria della libertà e rapporti tra lo Stato e l’individuo.

81 Alla luce di questa premessa, pur sviscerando l’iter di composizione, di discussione parlamentare ed il dettato giuridico della legge del 25 novembre 1925, l’analisi si concentrava sulla natura politica di quell’atto normativo, tutt’altro che un «semplice provvedimento di polizia», e ne interpretava lo spirito nel contesto del nuovo Stato fascista. Ciò permetteva proprio di segnalare le «differenze che corrono tra lo stato liberale agnostico, vuoto di contenuto, estraneo alle forze vive operanti nel paese e lo stato fascista, che socialmente ha fini superiori e giuridicamente ha la supremazia necessaria per attuare questi fini»20. Obiettivo dello studio era, dunque, la comprensione

dei motivi politici di una «vera trasformazione dello Stato». Si trattava di una mutazione sia interiore, innescata dal nuovo ordinamento scolastico, dai codici, dalla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, sia esteriore, finalizzata cioè a «restituire ad esso la pienezza della sua sovranità inceppata nello stato demoliberale dalle forze sociali non controllate, che agivano tumultuosamente e senza essere coordinate, ognuna per proprio conto»21. In questi appunti c’è, dunque, traccia della diffidenza nei confronti

della tradizione del costituzionalismo liberale che connotò gli insegnamenti della Facoltà. La scuola giuspubblicistica, e Panunzio in essa, si confrontava infatti, da un lato, con il problema dei limiti del potere statuale e della compatibilità fra la sua assoluta sovranità ed il fondamento dei diritti pubblici soggettivi; dall’altro, con il rapporto tra la sovranità statuale e l’ordine giuridico che da esso promanava dando una forma giuridicamente rigorosa alle sue scelte; forma nella quale, come dimostrò il saggio di Panunzio sui Caratteri dello Stato fascista del 1929, solo il regime aveva saputo mettere a sintesi stato e società. Tuttavia, basando la sua successiva riflessione economica quasi interamente sul rapporto tra lo Stato e gli individui – più correttamente, le persone – Paronetto avrebbe presto ignorato, quando non contraddetto, questa lezione22.

20 Ibid. 21 Ibid.

22 Su questi temi cfr. F. PERFETTI, Introduzione a S. PANUNZIO, Il fondamento giuridico del fascismo, Roma 1987, pp. 7 e ss.; P. RIDOLA, Sulla fondazione teorica della “dottrina dello Stato”. I giuspubblicisti della Facoltà romana di Scienze politiche dalla istituzione della facoltà al 1943, in F. LANCHESTER, Passato e presente della facoltà di Scienze Politiche, cit., pp. 133-138; F. MERCADANTE, I filosofi del diritto (e di materie affini), ibid., pp. 176-177; P. COSTA, Lo «Stato totalitario»: un campo semantico nella giuspubblicistica del Fascismo, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico», n. 28, 1999, Milano 2000, p. 75 e ss.

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Oltre ad indicare una prospettiva più politica che giuridica nello studio dei problemi, gli insegnamenti universitari stimolarono in Paronetto una spiccata sensibilità per la storia. Questo elemento, che diverrà centrale nel suo pensiero, si aggiunse ad un quadro di interessi e di studi – economia, diritto, storia – da lui stesso scelti con quella libertà di iniziativa e spirito autodidatta già messi in luce nel percorso di formazione scolastica e consentiti dall’ordinamento di Scienze Politiche. Nel suo curriculum riuscì ad abbinare le materie giuridiche con quelle storiche e, soprattutto, con quelle economiche, realizzando, così, una serie di integrazioni che apparivano non solo necessarie, ma indispensabili, rispetto al più generale concetto dell’interdisciplinarietà degli studi promosso dalla Facoltà. Lo studio delle lingue straniere, iniziato al Liceo, si rivelò un ulteriore strumento di conoscenza e mezzo di comunicazione e di circolazione culturale tra questi ambiti scientifici diversi.

Tra gli esponenti della scuola storica di Scienze Politiche, guidata da Gioacchino Volpe e proprio in quegli anni impegnata a ripensare gli studi storici come base di «una vera e propria nuova autocoscienza storico-politica della nazione»23, Camillo Manfroni24

fu il primo a suscitare in Paronetto la passione per la storia. Da lui, pur soffrendone l’erudizione e la scarsezza di questioni ed approfondimenti interpretativi proposti negli insegnamenti, egli trasse soprattutto la lezione sull’importanza della raccolta e della catalogazione dei dati, secondo un «indirizzo storiografico inteso anzitutto come ricostruzione precisa della realtà e dunque basato sui fatti, coerentemente con i dettami

Sull’insegnamento di dottrina dello Stato di Panunzio utili spunti in A. TARQUINI, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 253-254.

23 P. SIMONCELLI, Gli storici, in F. LANCHESTER (a cura di), Passato e presente della facoltà di Scienze Politiche, cit., pp. 95-98, p. 95.

24 Camillo Manfroni, ordinario di Storia moderna all’Università di Padova, aveva sostituito Gennaro Mondaini sulla cattedra di Storia politica e coloniale nell’anno accademico 1926-’27. Anziano esponente della scuola positivistico-erudita, l’Annuario dell’Università di Roma, 1926-1927, pp. 239-243 ne elencava le centinaia di pubblicazioni, che spaziavano dall’alto medioevo alle più recenti tecniche militari di marina ed aviazione, tra le quali spiccava la monumentale Storia della marina italiana, pubblicata in tre volumi tra il 1899 ed il 1902: P. SIMONCELLI, Gli storici, cit., pp. 100-101.

83 del metodo positivo da lui prescelto»25. Alla sua scuola egli si esercitò in due impegnativi

elaborati.

Il primo riguardava la politica religiosa in Inghilterra durante l’epoca della

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