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FISIONOMIA E STRUTTURA DELLA DIFFERENZA ANTROPOLOGICA

«Credi forse che non si possa insegnare la stoltezza?

Certo è difficile insegnarla ad un vecchio irrigidito, ma nei teneri anni, al pari di molle cera,

l’individuo prenderà qualsiasi forma, sia buona che cattiva»110.

2.1) Hobbes e Tucidide: le motivazioni della traduzione delle ΙΣΤΟΡΙΑΙ La prima opera pubblicata da Hobbes fu – come è noto – una traduzione integrale della Guerra del Peloponneso. Al testo tucidideo il filosofo antepose – oltre all’Epistola dedicatoria – una premessa rivolta ai lettori e lo scritto Of the

life and history of Thucydides. L’importanza di queste pagine, tuttavia, è ben

maggiore di quella che si potrebbe attribuire a una sobria sezione introduttiva consistente in una prefazione e in una nota meramente biografica. L’attenzione che alcuni illustri studiosi del filosofo diressero sull’apparato introduttivo della

Peloponnesian Warre – testimoniando la rilevanza di questa sezione – fu guidata

da molteplici intenti argomentativi: l’analisi di queste pagine servì, talvolta, a delineare la sfera degli interessi di un Hobbes che – pur avendo pubblicato solo la

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sua prima opera – era già maturo, talaltra, a ricostruire la fisionomia della sua fede monarchica nel dibattito politico del tempo111. Il proposito comune a molti interpreti, tuttavia, consisteva nel tentativo di comprendere le ragioni che motivarono la traduzione di Tucidide. Ferdinand Tönnies, ad esempio, scorge, dietro la scelta dell’opera dello storiografo greco, un impegno eminentemente pedagogico-politico: la narrazione tucididea, infatti, avrebbe chiaramente espresso i pericoli del regime democratico112. Questa tesi, del resto, sembra trovar

conferma nei versi autobiografici del filosofo:

Vertor ego ad nostras, ad Graecas, atque Latinas Historias ; etiam carmina saepe lego.

Flaccus, Virgilius, fuit et mihi notus Homerus, Euripides, Sophocles, Plautus, Aristophanes, Pluresque , et multi Scriptores Historiarum : Sed mihi prae reliquis Thucydides placuit.

Is Democratia ostendit mihi quam sit inepta, Et quantum coetu plus sapit unus homo113.

Risolvere la questione della scelta dell’opera tucididea appellandosi a motivazioni di carattere politico114, tuttavia, appare riduttivo e poco convincente.

La descrizione – evidentemente faziosa – delle tendenze monarchiche di Tucidide sembra essere, infatti, più che la ragione effettiva della predilezione per lo

111 Leo Strauss, dopo aver descritto la traduzione dell’opera tucididea come il coronamento e la

fine del periodo umanistico del filosofo, scrive: «se si vuol caratterizzare gli studi umanistici di Hobbes in relazione al loro soggetto favorito, si deve perciò affermare che la forma peculiare di questo umanismo è costituita dall’interesse per la storia che deriva da un interesse per la politica» (L. Strauss, The Political Philosophy of Hobbes, 1936; trad. it. P. F. Taboni , La filosofia politica

di Hobbes, in Che cos’è la filosofia politica, Urbino 1977, p. 189). Il commentatore tedesco

propone poi il ritratto di un Hobbes che – pur sostenendo con convinzione il regime monarchico – sarebbe stato, in questo periodo umanistico-letterario dei suoi studi, «aperto alle idee democratiche molto di più di quanto non lo fosse successivamente» (Ivi, p. 215).

112 «Auch die angeschlossene Abhandlung über des Thukydides Leben und Werke enthält

merkwürdige Stellen, die schon die gereiften Ansichten des künftigen Moral- und Staatsphilosophen verraten und zu bestätigen scheinen, was er später sagt, daß er die Übersetzung publiziert habe, damit seinen Mitbürgern die Torheiten der atheniensischen Demokraten offenbar würden, oder, wie es in den Distichen der Autobiographie heißt, damit sie vor den Rednern sich hüten möchten» (F. Tönnies, Thomas Hobbes. Leben und Lehre, Friedrich Frommann Verlag, Stuttgart 1971, p. 8(Ristampa della terza edizione del 1925; prima edizione 1896)).

113 T. Hobbes, Vita Carmine expressa, in Thomae Hobbes Malmesburiensis Opera philosophica,

quae Latine scripsit, omnia, ed. G. Molesworth, London 1839-1845, Vol. I, p. XXXVIII.

114 Per un’interpretazione dell’impiego di Tucidide, da parte del filosofo inglese, per finalità

politiche e apologetiche vedi A. Bersano, Per le fonti di Hobbes, in «Rivista di filosofia e scienze affini», X (1908), nn. 3-4, 5-6, pp. 197-213, 384-391.

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storiografo greco, una giustificazione addotta a posteriori115. Lo stesso Hobbes, peraltro, nella sezione introduttiva della Peloponnesian Warre, esibisce numerose prove del valore dello storico ateniese, che – prescindendo da un’eventuale vicinanza di vedute politiche – giustificano la scelta di tradurre la sua opera. La scelta dell’opera tucididea viene posta in relazione, fin dall’Epistola dedicatoria, alla difficoltà di decifrare una prassi umana che, nell’epoca presente, è intimamente camuffata:

Infatti nella storia le azioni di onore e disonore si presentano chiaramente e distintamente tali quali sono; ma nell’epoca

presente sono così mascherate che pochi, cioè solo quelli che

sono molto accorti, non si lasciano trarre in errore in modo grossolano. [Epistola dedicatoria G.P., p.47, corsivo mio]

Il ricorso allo storiografo greco, dunque, allude preliminarmente a un intento di analisi e comprensione di una condotta umana che, non essendo immediatamente riconducibile alle categorie tradizionali di onore e disonore, può facilmente trarre in inganno l’osservatore esterno116. Nell’Introduzione della

Peloponnesian Warre viene così a delinearsi quel progetto di lettura dell’essere

umano che troverà nel Leviatano la sua più completa realizzazione. Questo – lungi dal subordinare l’intera produzione scientifica del filosofo a un piano di ricerca monolitico e unitario – può farci comprendere il significato della traduzione della Guerra del Peloponneso: il confronto con Tucidide – e con il suo metodo storiografico – rappresenta il momento iniziale di un percorso volto al perseguimento della conoscenza degli uomini e del loro agire. Negli anni di studio e traduzione dell’opera tucididea, Hobbes si interrogò sulla specifica possibilità di pervenire, in una realtà fortemente mascherata, a un sapere storico delle vicende umane. La metodologia dell’indagine storica, dunque, veniva considerata nella

115 «Per quanto riguarda il suo giudizio circa le forme di governo di uno stato, risulta evidente che

di tutte quelle che meno apprezzava fosse la democrazia[…]. Mostra di approvare il governo di Atene quando esso consisteva della mescolanza dei pochi e dei molti; ma ancora di più mostra di apprezzarlo quando regnava Pisistrato (non considerando che si trattava di potere usurpato), e quando agli inizi di questa guerra il governo sotto Pericle era democratico di nome, ma in effetti monarchico. Cosicché sembra che essendo di discendenza reale, abbia meglio apprezzato il governo monarchico» (Della vita, pp. 59-60).

116 Vedi G. Borrelli, Evidenza, verità e storia: Hobbes interprete di Tucidide, in Introduzione a

“La guerra del Peloponneso” di Tucidide, a cura di G. Borrelli, Bibliopolis, Napoli 1984, pp. 16 e

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sua potenziale adeguatezza al raggiungimento di una conoscenza della prassi umana. Il filosofo di Malmesbury intendeva vagliare l’efficacia euristica del metodo storiografico tucidideo nella descrizione delle azioni umane e nel discernimento delle loro reali cause.

La storia, in questa prospettiva, appare subordinata a quella disciplina che studia l’agire umano e ne ricerca le cause: l’antropologia. Questo rapporto di subordinazione – o se si preferisce di affinità – che intercorre tra i due saperi indica non solo l’oggetto dell’indagine storiografica, ma anche il suo carattere eminentemente scientifico: essa, nella concezione hobbesiana, procede attraverso l’imparziale osservazione dei fatti, la loro diligente registrazione e la disincantata ricerca delle loro cause. La vocazione dello storico, lontana da quella del retore che, camuffando alcuni avvenimenti e occultandone altri, insegue il consenso dei suoi uditori, si concilia con quella dell’uomo di scienza che, dedito all’osservazione e allo studio dei fenomeni, tende alla verità. Hobbes, infatti, servendosi di una metafora organicistica, individua nella verità una delle componenti fondamentali della ricerca storiografica: «[…] nella verità consiste l’anima e nell’elocuzione il corpo dell’opera storica. La seconda senza la prima è solo un’immagine della storia; e la prima senza la seconda è incapace ad istruire»117. Lo studio avalutativo e disincantato degli avvenimenti, dunque, deve tradursi in una narrazione che possa soddisfare la finalità didattica della disciplina storica, «Poiché il lavoro principale e proprio della storia è quello di rendere gli uomini istruiti e, grazie alla conoscenza delle azioni passate, capaci di comportarsi con prudenza nel presente e con previdenza rispetto al futuro»118.Vocazione scientifica e impegno pedagogico devono guidare congiuntamente l’operato dello storico: egli, poiché tende a una verità di cui riconosce l’utilità pratica, non può astenersi dall’istruire gli uomini e, poiché deve istruire gli uomini, non può che ricercare il vero.

È sulla base di questa peculiare concezione della storia che la scelta dell’opera tucididea trova giustificazione. Tucidide, infatti, disinteressandosi dell’approvazione dei suoi uditori, dedicò tutte le sue forze alla scrupolosa e

117 Della vita, p. 63. 118 Ai lettori, p. 50.

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imparziale descrizione della guerra tra ateniesi e peloponnesi119: egli, lungi dal sacrificare l’obiettività della narrazione per dar voce a passioni o rivendicazioni personali, operò «alla maniera […] di chi ama la verità»120. Il suo impegno verso l’assoluta imparzialità – testimoniato innanzitutto dalla scelta di raccontare una serie di avvenimenti che visse in prima persona o di cui si sarebbe potuto facilmente informare121 – fu così evidente che mai nessuno, come afferma Hobbes, poté dubitare della veridicità della sua narrazione122. L’obiettività de La

guerra del Peloponneso è indiscutibile, poiché il suo autore – per dirla con le

parole di Hegel – «vive immediatamente nello spirito della cosa»123.

Lo storiografo ateniese, inoltre, impiegò altrettanta diligenza nella ricerca delle cause degli eventi che stava descrivendo: «Egli considera le ragioni e le motivazioni di ciascuna azione prima dell’azione stessa, o in forma narrativa, o anche le espone sotto forma di orazioni deliberative che fa pronunciare ai personaggi che di epoca in epoca esercitano influenza sulla comunità politica»124. Nel primo libro delle Storie, ad esempio, Tucidide, distinguendo tra cause reali e apparenti, indica la vera ragione che condusse allo scoppio della guerra:

Ho scritto prima della narrazione della guerra anche le ragioni e le contese che determinarono questa rottura, perché uno non dovesse, un giorno, cercare da dove sorse per i Greci una guerra simile. Il motivo più vero, ma meno dichiarato

apertamente, penso che fosse il crescere della potenza ateniese

119 Sulla mentalità scientifica di Tucidide, vedi W. Jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen

Menschen, Walter de Gruyter & Co., Berlin u. Leipzig, 19362, 19543; trad. it. L. Emery, Paideia –

la formazione dell’uomo greco. Vol. I: L’età arcaica. Apogeo e crisi dello spirito attico, La Nuova

Italia, Bologna 1967, pp. 650-651.

120 Della vita, p. 69.

121 «I fatti concreti degli avvenimenti di guerra non ho considerato opportuno raccontarli

informandomi dal primo che capitava, né come pareva a me, ma ho raccontato quelli a cui io stesso fui presente e su ciascuno dei quali mi informai dagli altri con la maggior esattezza possibile» (Tucidide, ΙΣΤΟΡΙΑΙ; trad. it. F. Ferrari, La guerra del Peloponneso, BUR, Milano 1985, p. 109).

122 Ivi, pp. 63-64.

123 G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, hrsg. von K. Hegel, 1840;

trad. it. di G. Bonacina e L. Sichirollo, Lezioni sulla filosofia della storia, Laterza, Bari 2003, p. 4.

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e il suo incutere timore ai Lacedemoni, sì da provocare la guerra125.

Werner Jaeger, commentando il passo appena citato, affianca l’attitudine scientifica di Tucidide alla diagnosi medica: lo stesso termine πρόφασις, usato dallo storico per esprimere il concetto di causa, deriva dal linguaggio della medicina, che aveva istituito la distinzione tra la causa vera di una malattia e i suoi sintomi126. Tucidide, dunque, lontano da ogni moralismo, si impegnò in un’indagine storiografica che, per rigore e meticolosità, era affine a quella medica. Il testo tucidideo appare emblematico anche del metodo espositivo che deve adottare la narrazione storica. Del resto, la questione dell’elocuzione è – come abbiamo mostrato precedentemente – di fondamentale importanza: il nudo resoconto degli avvenimenti, senza un adeguato stile narrativo, non può istruire gli uomini. Per questa ragione, Hobbes elogia la capacità espressiva dello storiografo ateniese, estremamente efficace nel fornire una rappresentazione visiva dei fatti che vengono descritti. Tucidide, attraverso uno stile perspicace e impetuoso, realizzò la vocazione pedagogica della disciplina storica, «Poiché egli fa sedere il suo lettore nelle assemblee del popolo e nel senato, durante i loro dibattimenti; nelle strade, in mezzo alle loro rivolte; e sui campi, durante le loro battaglie»127. La lettura dell’opera tucididea, dunque, permette un’esperienza diretta delle vicende che vi sono narrate: il lettore, in questo modo, può conoscere quegli avvenimenti come se li avesse vissuti in prima persona128.

Il connubio, che caratterizza la narrazione tucididea, tra sguardo realista e intento pedagogico trova sintetica ed efficace espressione in un celebre passo del primo libro delle Storie:

125 Tucidide, ΙΣΤΟΡΙΑΙ; trad. it. F. Ferrari, La guerra del Peloponneso, BUR, Milano 1985, p. 111,

corsivo mio.

126 Vedi W. Jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, Walter de Gruyter & Co.,

Berlin u. Leipzig, 19362, 19543; trad. it. L. Emery, Paideia – la formazione dell’uomo greco. Vol.

I: L’età arcaica. Apogeo e crisi dello spirito attico, La Nuova Italia, Bologna 1967, pp. 658-659.

127 Ai lettori, pp. 50-51.

128 Come affermò Hegel, riferendosi a Tucidide: «[…] il fine è quello di presentare

all’immaginazione dei posteri una figura tanto nitida quanto quella che lo storico aveva davanti a sé nell’intuizione» (G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, hrsg. von K. Hegel, 1840; trad. it. di G. Bonacina e L. Sichirollo, Lezioni sulla filosofia della storia, Laterza, Bari 2003, p. 4).

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La mancanza del favoloso in questi fatti li farà apparire,

forse, meno piacevoli all’ascolto, ma se quelli che vorranno

investigare la realtà degli avvenimenti passati e di quelli futuri

(i quali, secondo il carattere dell’uomo, saranno uguali o simili a questi), considereranno utile la mia opera, tanto basta. Essa è

un possesso che vale per l’eternità più che un pezzo di bravura,

da essere ascoltato momentaneamente129.

Sulla base di questa particolare valutazione dell’opera storiografica e, di conseguenza, de La guerra del Peloponneso, Hobbes poté affermare che in Tucidide «la capacità di scrivere storia è al massimo grado»130. Il confronto con

Tucidide, perciò, fu il modo migliore per vagliare l’efficacia della disciplina storica nell’istruire gli uomini sulla loro natura e sulle reali ragioni della loro condotta. Hobbes, dunque, voleva comprendere fino a che punto lo storico ateniese, fornendo una descrizione della natura umana che potesse essere sempre attuale, avesse consegnato ai suoi lettori «un possesso […] per l’eternità»131. Del resto, Tucidide, sentendosi in diritto di sottrarre la sua opera al divenire storico, credeva di aver raggiunto una conoscenza assoluta della natura umana: anche le generazioni più lontane avrebbero potuto giovare dei risultati delle sue ricerche. La guerra tra ateniesi e peloponnesi, infatti, aveva permesso di giungere alla più profonda comprensione dell’essenza dell’uomo132. Hobbes, dunque, si accostò a

Tucidide non solo poiché quest’ultimo, esprimendo la reale vocazione dello storico, aveva intrapreso una ricerca antropologica, ma anche perché le conclusioni di tale ricerca venivano presentate come perennemente valide. La traduzione delle Storie, in conclusione, più che il punto d’arrivo di una presunta fase umanistico-letteraria133, fu un’impresa motivata da un interesse che Hobbes

129 Tucidide, ΙΣΤΟΡΙΑΙ; trad. it. F. Ferrari, La guerra del Peloponneso, BUR, Milano 1985, p. 109,

corsivo mio.

130 Ai lettori, pp. 49-50.

131 Tucidide, ΙΣΤΟΡΙΑΙ; trad. it. F. Ferrari, La guerra del Peloponneso, BUR, Milano 1985, p. 109. 132 Vedi G. Bonelli, Tucidide: impegno conoscitivo e distanziamento autoriale, in «L’Antiquité

Classique», 71, (2002), p. 51.

133 La tesi straussiana (vedi nota 112) di un’iniziale fase umanistica della formazione intellettuale

del filosofo – che vedrebbe il suo compimento nella pubblicazione della Peloponnesian Warre – è ripresa in studi più recenti: «[…] gli Eight Bookes possono anche essere considerati come lo sbocco (e insieme la piena realizzazione) del cursus studiorum e delle molteplici esperienze maturate dal filosofo durante gli anni trascorsi al servizio di William Cavendish (1608-1628), quando i suoi interessi umanistici non erano ancora stati rimpiazzati – a seguito della ‘scoperta’ di

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sentiva di condividere con lo storico greco134: quello per un’indagine sulle «umane passioni, che o dissimulate o comunemente non trattate hanno nondimeno la più grande influenza sugli uomini nelle loro pubbliche discussioni»135.

Occorre adesso vedere in che misura l’opera tucididea influenzò effettivamente il pensiero di Hobbes e, in particolare, il suo sistema antropologico. Nel paragrafo successivo, mostreremo come l’adesione al realismo politico di stampo tucidideo condurrà il filosofo inglese a tradire, in modo non del tutto consapevole, uno degli assunti costitutivi di questa tradizione di pensiero inaugurata dallo storico ateniese: la costanza della natura umana.

2.2) Realismo politico e natura umana

Giacché posso esprimere in confidenza che, nonostante gli eccellenti esempi e precetti di eroica virtù che avete in casa, questo libro aggiungerà non poco al vostro titolo; specialmente quando perverrete agli anni in cui regolerete la vita in base alla vostra capacità di giudizio. Infatti nella storia le azioni di onore e disonore si presentano chiaramente e distintamente tali quali sono; ma nell’epoca presente sono così mascherate che pochi, cioè solo quelli che sono molto accorti, non si lasciano trarre in errore in modo grossolano. [Epistola dedicatoria G.P., p.47, corsivo mio]

Il confronto intellettuale con lo storiografo greco viene innanzitutto motivato – come abbiamo mostrato precedentemente – dal desiderio di volgersi alle cose umane con realismo e disincanto. Nella prospettiva hobbesiana, infatti, la Euclide – dalla risoluta consacrazione alle scienze, in primis a quella politica» (L. Iori, Thucydides

anglicus. Gli Eight Bookes di Thomas Hobbes e la ricezione inglese delle Storie di Tucidide (1450-1642), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2015, p. 111). Questa tesi – pur trovando

conferme nelle ricerche di alcuni illustri studiosi del filosofo (vedi, ad esempio, Q. Skinner,

Reason and rhetoric in the philosophy of Hobbes, Cambridge University Press, Cambridge 1997)

– è stata criticata per il suo carattere parziale e univoco (vedi G. Borrelli, Evidenza, verità e storia:

Hobbes interprete di Tucidide, in Introduzione a “La guerra del Peloponneso” di Tucidide, a cura

di G. Borrelli, Bibliopolis, Napoli 1984).

134 Vedi G. Borrelli, Evidenza, verità e storia: Hobbes interprete di Tucidide, in Introduzione a

“La guerra del Peloponneso” di Tucidide, a cura di G. Borrelli, Bibliopolis, Napoli 1984, pp. 17-

18.

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Guerra del Peloponneso è l’esempio paradigmatico di un’analisi che, libera da

ogni progetto utopistico e consapevole della falsità dietro cui si cela il reale, tende alla verità degli avvenimenti che descrive. Colui che volesse conoscere gli uomini e le reali motivazioni del loro agire ricaverà dalla lettura di Tucidide una lezione fondamentale per la sua indagine: l’uomo è un essere portato a falsificare il reale e a nutrirsi di menzogne136. Gli individui, infatti, celano le loro intenzioni, occultano il loro agire con false parole e, non riuscendo a sostenere il peso della realtà, si muovono in costrutti ideologici. La ricerca antropologica dello storico ateniese, di conseguenza, muove dalla consapevolezza che gli uomini, lungi dal rendere immediatamente evidenti le loro reali intenzioni, siano solitamente predisposti a celarsi dietro l’inganno. In altri termini, il desiderio di conoscere l’essere umano deve – se non vuole tradursi in una pretesa vuota e velleitaria – presupporre uno sguardo allenato al riconoscimento della menzogna. Il cammino verso il raggiungimento di questa conoscenza, tuttavia, non può arrestarsi alla semplice constatazione dell’inganno: occorre avere la forza di opporsi alla mistificazione del reale. Hobbes riconobbe l’espressione più tenace e radicale di questa virtù nell’opera tucididea: il suo autore, infatti, impiegò molte energie nella decostruzione di quelle ideologie che dissimulano i reali rapporti di forza tra uomini e precludono la conoscenza della natura umana137. Il realismo dello storico ateniese esorta, in primis, a dirigere il proprio sguardo non verso ciò che gli uomini, con false parole e comportamenti ambigui, vorrebbero essere, ma a ciò che realmente sono. Di conseguenza, in un mondo dove il perseguimento dell’utile e della gloria personale viene mistificato appellandosi alla giustizia o alla libertà, Tucidide è il classico d’elezione nella lotta contro quelle vuote ideologie che, generate da falsi maestri, guidano gli intenti rivoluzionari di uomini ambiziosi.

L’adesione al realismo tucidideo, perciò, si tradusse, per il filosofo inglese, sia nel tentativo di scrutare in profondità l’essere umano sia nell’impegno di criticare le ideologie del suo tempo: Hobbes, infatti, accompagnò sempre allo

136 Vedi P. P. Portinaro, Sul realismo politico: una sinossi, in Il realismo politico – figure, concetti,

prospettive di ricerca, a cura di A. Campi e S. De Luca, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, p. 32.

137 Le risposte degli ambasciatori ateniesi alle argomentazioni dei Meli, ad esempio, costituiscono

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studio scientifico della vita emotiva dell’uomo e del suo agire lo smascheramento di quelle false dottrine che ostacolano la comprensione del reale. Nel Leviatano,

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