Cercare di dare una definizione di cultura non è semplice, poiché questa parola racchiude tanti significati e ogni studioso aggiunge o toglie elementi identificativi in base alla cultura che indaga in quel preciso momento. Bisognerebbe capire se cultura è riferita a un villaggio ben identificato e circoscritto, oppure a una comunità affollata da altre culture che si mescolano dando vita a una cultura altra. In ogni caso se prendiamo per buona la definizione di Clifford Geertz, la cultura
[…] è una struttura di significati trasmessa storicamente, incarnati in simboli, un sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita90.
In questa definizione di cultura, però, la mia riflessione si ferma sulla trasmissione storica dei simboli, sull’interpretazione degli atteggiamenti che nella formazione e nella convivenza di più culture diventa difficile stabilire e riconoscere, per ogni gruppo umano, la capacità di elaborare forme culturali dotate di pari dignità e per le quali diventa impossibile stabilire gerarchie di valori91. Cesare Pitto così definisce la cultura: “conoscere la cultura dell’altro vuol dire comprendere la cognizione del suo pensiero e tradurlo nella propria cultura conservandone la cogenza della propria identità”. Ma se nel proporsi del rapporto noi/altri questo elemento rende palese il senso del valore della morte, questa consapevolezza che investe il senso dell’essere apre il racconto del senso
90 C.G
EERTZ, Interpretazione di culture, cit., p. 141.
91 Cfr. M. C
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della vita nella diversità, per cui il valore simbolico della morte c’insegna a conoscere il significato universale della vita. Ma affrontare il significato della vita vuol dire possedere, verso questa sensibilità dell’umano, una carica di conoscenza che si pone come elemento esterno al semplice divenire umano.
La conoscenza sgorga dal suo essere sociale per collegare le implicazioni di fatti che sono la risultanza della capacità dell’uomo di costruire insiemi che siano contemporaneamente pensiero e azione. In un certo senso, si può affermare che l’uomo da solo non può esistere e la sua individualità non può che scaturire da un’identità che è sempre il frutto di una solidarietà (incontro/scontro) di numerosi esseri umani. La solidarietà è la costruzione particolare e irripetibile di un modello senza confini disegnati, cioè di una specificità che trova il suo equilibrio nella relazione stessa che elabora una costante e vicendevole mutazione in quel luogo indefinito che ci piace chiamare “frontiera”. Da questa relazione che si espande e che noi chiamiamo “cultura”, le scienze antropologiche tendono a trarre la definizione del loro statuto epistemologico, spostando il punto d’osservazione dello “spazio umano” dall’interno verso l’esterno. Come descrizione delle diversità degli esseri umani, si può affermare che l’antropologia si strutturi come scienza dell’educazione (o delle educazioni), laddove per educazione intendiamo la capacità di esprimere il senso delle altre culture e diventare, perciò, antropologia culturale92.
Il lavoro dell’antropologo, d’altra parte, consiste nel cogliere i cambiamenti, nel rilevare dati attraverso la pratica dei propri strumenti di lavoro, attraverso l’antropologia applicata, per definire le identità sociali, etniche e culturali in modo da difendere e valorizzare le peculiarità dei
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gruppi minoritari, anche se tutto sembra un po’ anacronistico visto che siamo in una fase temporale che guarda a una totale globalizzazione delle culture.
Pertanto è giusto attuare più forme della relazione
inculturazione/acculturazione, così come processi di passaggio di tipo
globale per la formazione del cittadino, che rappresenta uno degli aspetti fondamentali dell’istruzione, senza eludere la particolare attenzione
[…] nell’interazione con il diverso la comprensione del noi è data dalla conoscenza dell’altro nella sua entità di individuo, che verrà trasformato legittimamente nella misura in cui anche noi verremo sostanzialmente trasformati, com-prendendoci per la prima volta ed ogni volta, che sarà sempre la prima volta93.
Per comprendere qual è il motore per elaborare sistemi di rappresentazione di una comunità si deve comprendere come la formazione umana, sia una questione collegata alla storia dei singoli soggetti, ma posta anche come meccanismo fondamentale per trasmettere cultura e per sviluppare strutture di rappresentazione attraverso cui creare collettività e rafforzare rapporti sociali.
Per questa sua specifica natura, la formazione è processo di crescita, sviluppo, apprendimento del singolo, ma è anche processo sociale di riconoscimento identitario della comunità e, pertanto, si trasmuta in modelli da diffondere attraverso le istituzioni sociali dell’educazione. Discutere di formazione, allora, implica la consapevolezza di dover discernere i due piani di significato e cogliere, nel primo, il forte ancoraggio al
93 C. P
ITTO, come esposto in Dalla progettazione al terreno della ricerca. L’individuazione antropologica: concetti (Capitolo I), in L.FARINA, Dai diari della ricerca a Stromboli,cit.,p. 24.
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mondo della vita e, nel secondo, la notevole rilevanza sociale e culturale94.
Per rimanere al passo con il cambiamento sociale e culturale dovremmo dotarci di concetti teorici utilizzati sul campo, modernizzati e proiettati a indagare nuove e complesse realtà, così come applicare metodologie utilizzate in vari settori scientifici, in questo modo l’antropologia, che di per sé ha un ruolo importante perché continuamente focalizza e individua i problemi di una comunità, avrebbe anche un ruolo indispensabile nel progettare modelli di sviluppo. Come ricorda Appadurai:
Appena le forze innovative provenienti da diverse metropoli sono portate all’interno di nuove società, esse tendono, in un modo o nell'altro, a subire un processo di indigenizzazione. Questo è vero della musica, come degli stili di abitativi, dei procedimenti scientifici, come del terrorismo, degli spettacoli, come delle norme costituzionali. In poche parole le singole culture possono riprodursi, o ricostruire la loro specificità sottoponendo le forme culturali transnazionali ad un processo di indigenizzazione95.
In un continuo mescolarsi di etnie e di culture, si devono predisporre strutture che siano in grado di accettare concretamente la diversità culturale, predisporsi, quindi, ad accogliere questo processo che viene attualmente inteso come un fattore di inclusione, che si contraddistingue
94V.B
URZA,Formazione e società globale. Riflessioni Pedagogiche, Anicia, Roma2008, p. 39.
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come aspetto centrale di una nuova accessione della libertà, intesa come partecipazione democratica.
La democrazia è la realizzazione delle individualità all’interno, però, di un processo di costruzione sociale. Inoltre l’educazione, specialmente quella che si svolge nell’ambito della scuola, non deve essere legata al mercato96.
La capacità di interagire fra diversità deve procedere, quindi, come possibilità di integrare gli “altri” e come esercizio d’apprendimento lungo l’arco di tutta la vita, dove diventa necessario sostenere il valore di un’educazione non formale (per essere padroni degli strumenti che consentono di leggere i cambiamenti, veloci e dirompenti, i quali rischiano di produrre l’esclusione invece dell’inclusione) e, sempre più importante, ri-conoscersi e comprendere.
Spetta alla scuola il compito di dotare gli alunni degli strumenti per affrontare i cambiamenti troppo veloci sia a livello mediatico che tecnologico; solo così si può parlare di sviluppo umano ed economico, strutturarsi per un costante equilibrio della comunità, della società, il che avviene quando si lavora sinergicamente dando rilevanza al momento storico e mettendo in atto tutte le risorse formative allo scopo di affrontare il cambiamento. Per questo motivo bisogna ripensare al modo di fare scuola, attivare progetti e utilizzare metodologie didattiche incentrate sul concetto di “laboratorio” come tecnica didattica che supera lo schema dell’insegnamento trasmissivo tradizionale, così come la visione del processo di insegnamento/apprendimento come un passaggio
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G. SPADAFORA, La relazione filosofia-educazione-politica: il nodo cruciale della filosofia deweyana, in G. SPADAFORA (a cura di), John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, Anicia, Roma 2003, p. 71.
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di conoscenze dal docente al discente, ma mette al centro dell’azione didattica l’allievo che diviene egli stesso protagonista del suo processo di apprendimento. Il docente non è più semplice trasmettitore delle proprie conoscenze e la formazione non è un accumulo di saperi; il buon insegnante deve possedere delle conoscenze, ma anche utilizzare le giuste strategie affinché il gruppo classe, il gruppo di lavoro, se ne appropri in modo naturale. Il docente più che “fare scuola”, “fare lezioni frontali”, deve organizzare situazioni di apprendimento stimolanti che suscitino negli alunni la curiosità, la voglia di fare e di imparare. Il laboratorio, inteso sia come spazio attrezzato, sia come metodo di lavoro che favorisce un apprendimento attivo, risulta essere un potente mezzo per il rinnovamento della didattica.
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