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Valori e modelli di una società convivono e si differenziano in uno spazio dove gli uomini, con il passare delle epoche e delle generazioni, stringono un legame con forti connotazioni simboliche e di significati. L’insieme di comportamenti e linguaggi, di usi e costumi, di credenze e religioni che una comunità veicola in un determinato terreno, condiziona gli aspetti della vita sociale, generando analisi interpretative il cui fulcro è nella presenza di relazioni instaurate, lontane dalla catalogazione fissa di generi. La cultura, con tutte le sue molteplici trasformazioni, richiede da parte dell’antropologo infatti continui riscontri teorici e metodologici, che tengano in considerazione il processo evolutivo, le dinamiche e le differenze in atto all’interno di ogni collettività.

La ricerca empirica, volta alla descrizione accurata del definito campo d’indagine, con rilevanza prestata a determinati aspetti funzionali alla conoscenza delle culture prese in esame – fermo restando la mobilità e la continua evoluzione delle stesse – parte dall’analisi del terreno, mediante l’acquisizione di dati, con la successiva adozione di strumenti atti a pervenire alla conoscenza di particolari aspetti della comunità presa in esame. Dati provenienti soprattutto dalle fonti orali, determinanti nel cogliere, per poi analizzare, i modelli comportamentali di un gruppo territoriale, sia quelli del presente sia quelli radicati nel passato con ricadute attuali. L’oggetto di indagine dell’antropologo si inserisce nell’attività sociale di una comunità costituita da uomini e donne, osservati nei loro comportamenti distinti e particolari. L’elemento “sociale” e “umano” pertanto comporta delle limitazioni per il ricercatore che spera di poter approdare a risultati “puri”, eliminando ogni possibile interferenza, proveniente dal suo campo di indagine, in

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quanto le tecniche adoperate hanno una loro ricaduta e corrispettivo peso sugli uomini, “oggetti” e membri della collettività esaminata, con una loro costante e precipua attività intellettiva e comportamentale che fa scaturire le differenze con gli altri, cioè una società diseguale fatta dunque di uomini e donne, non di “cose”, ossia materiali, strumenti e altro, su cui si fonda, invece, l’attività di laboratorio.Queste interferenze provenienti da molteplici fonti non possono affatto essere accantonate, durante la ricerca, dall’antropologo, bensì tutelate e riconosciute quali portanti della società che le produce, nell’insieme di rapporti sociali particolari che, solo dopo essere riconosciuti nella propria interezza, possono essere analizzati in modo teorico.

[…] in ogni ricerca c’è un soggetto, il ricercatore; un oggetto, e cioè, gli individui, o meglio il gruppo sociale su cui la ricerca viene fatta; un committente, cioè la persona o il gruppo che ha richiesto la ricerca e ne metterà in pratica i risultati. […] quel che importa è che non esiste alcuna ricerca in cui non siano presenti queste tre figure; e soprattutto, che se non si individuano esattamente, per ogni situazione concreta di ricerca, queste figure, la ricerca è destinata a fallire35.

I fattori che determinano l’atteggiamento idoneo dell’antropologo e del ricercatore partono dalla considerazione della difficoltà nell’analisi di una cultura, lontana dalla pura osservazione e successiva, semplice catalogazione dei comportamenti registrati. Nell’attività di indagine l’antropologo è infatti chiamato, in primis, a scegliere le persone che diventeranno l’oggetto della sua analisi, oltre a pervenire alle

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ILLI, Come si fa ricerca. Guida alla ricerca sociale per non specialisti, Mondadori, Milano 1975, pp. 33-34.

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conclusioni, tracciando il resoconto della sua osservazione, specie se differenti come possono essere le risposte e le reazioni avute dall’oggetto sottoposto alla stessa situazione, scaturita nell’analisi. Il campo d’indagine, entro il quale l’antropologo esamina le differenze comportamentali di una comunità, si presenta come uno spazio complesso dove si instaurano interazioni tra lo studioso e i soggetti/oggetti osservati. La “discesa sul terreno” o “indagine di terreno”, che costituisce una delle pratiche di ricerca, con il tempo si è focalizzata per l’attenzione rivolta all’ambiente su cui concentrare e indirizzare in modo costante e fattivo gli studi, delimitandone gli interventi specifici. In una società in continua evoluzione, figlia della trasformazione dinamica, gli strumenti di cui dispone l’antropologo che scende sul terreno da soli, tuttavia, non possono dare tutte le informazioni utili per cogliere, nella loro complessità e peculiarità, i mutamenti culturali. Entrano dunque in gioco altri fattori, rinvenibili nell’importanza del ruolo affidato all’altro, ossia di mediazione nei processi dialogici, che impone un’aggiornata visione delle prospettive su cui indirizzare le analisi, vale a dire quelle di pervenire alla conoscenza dell’altro.

La contemporaneità e i mutamenti che porta dietro di sé forniscono connotazioni diverse e sempre attuali all’indagine, la quale non può allontanarsi dal rapporto con l’oggetto, bensì necessita di un’attenta osservazione del ricercatore, che è chiamato a partecipare alla ricerca sulla vita dell’oggetto stesso. Entra in tal caso in scena l’osservazione

partecipante, che potremmo definire quale strumento ottimale per

approdare alla precisa descrizione delle comunità esaminate, strettamente connessa, a sua volta, alla scelta di un’osservazione

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costante con lo spazio e l’oggetto preso in considerazione e il suo coinvolgimento etico-politico. Questo metodo, per essere funzionale e ottimale agli scopi prefissati, richiede l’immersione culturale e l’identificazione con gli altri, oggetti di studio, oltre all’allontanamento da schemi precostituiti che ruotano attorno a comportamenti personali codificati e pregressi.

Nella ricerca di campo si sperimentano direttamente, nella propria soggettività, le ansie e i limiti […] di voler affrontare le condizioni di ambiguità, di incertezza e di imprecisione di ogni rapporto di interazione e di scambio: anche se l’ambiguità può spesso spingerci nell’irrazionalità […] dobbiamo com- prenderla all’interno del nostro campo di riflessione e di analisi in quanto non possiamo ignorare il peso che nella nostra vita (e in tutte le forme che assumono le culture) hanno elementi quali l’improbabilità, l’opacità e la finitezza che accompagnano […] la chiarezza e l’immortalità36.

Nell’osservazione èl’esperienza vissuta ogni giorno sul campo, con tutte le dinamiche e le incognite correlate, che costituisce il comune denominatore dell’indagine dove, di volta in volta, a seconda delle situazioni che si vengono a creare, si rinvengono le norme in base alla relazione generata dalla situazione con l’oggetto/soggetto osservato e con l’osservatore (ricercatore). Un’interpretazione non precisa e poco addentrata nella decodifica dei messaggi trasmessi dagli interlocutori rischierebbe di allontanare dalla mirata indagine della realtà umana, nonché del patrimonio culturale a essa connesso.

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Prima di registrare le informazioni inerenti i comportamenti, usi e costumi di una data collettività, l’antropologo deve capire come entrare a farne parte, come essere ammesso al suo interno, senza scandagliarne gli equilibri e le abitudini o essere percepito quale elemento di disturbo e di ansia. La presenza del ricercatore all’interno del gruppo sociale esaminato costituisce motivo di imbarazzo e di disturbo per i membri, i quali, se consapevoli di essere osservati, potrebbero fornire comportamenti non naturali, poco spontanei, macchiati dalla presenza di qualcuno che registra gesti e linguaggi. È necessario attuare un rapporto paritario e trasparente tra il ricercatore e il soggetto, al fine di pervenire a una conoscenza diretta, e non “mediata”, del complesso processo sociale, culturale e comportamentale. Fondamentale, in tal senso, che il ricercatore dichiari ai membri della comunità o del gruppo lo scopo dell’indagine, la sua posizione e l’interesse che vi soggiace, domandando di entrare a farvi parte solo per poterlo esaminare. Ciò permetterà al ricercatore di pervenire a dei chiarimenti sugli avvenimenti più comuni del microcosmo esaminato, formulando domande anche semplici e banali e registrandone le risposte e le modalità con le quali vengono esposte, come, ad esempio le espressioni tipiche della comunità. La difficoltà del ricercatore è, tuttavia, come essere accettato all’interno del gruppo o della comunità, oggetto del suo studio. Di solito, all’inizio del processo delineato, vengono in soccorso varie figure, quali quelle dei mediatori culturali oppure degli informatori, che facilitano l’accesso dell’antropologo nella sfera “umana” della sua ricerca, con possibili relazioni che si instaurano con il tempo, le quali possono intaccare gli esiti del processo d’analisi. Pertanto è necessario che l’antropologo prima programmi un piano di lavoro, che conferirà carattere scientifico alla sua ricerca, consolidata da un appropriato patrimonio bibliografico,

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utile supporto per restringere il campo d’indagine e tracciarne gli elementi basilari. Solo dopo si potrà passare alla raccolta dati, scendendo direttamente sul campo, dove vanno selezionati alcuni aspetti da osservare, in quanto una completa registrazione delle attività del gruppo sociale, con tutte le differenze prodotte, potrebbe fuorviare e allontanare dallo scopo prefisso. In questa fase, il ricercatore non può registrare i dati raccolti facendo riferimento esclusivamente alla sua capacità mnemonica. E ciò è legato a una duplice motivazione: in primo luogo risulta difficile rammentare ogni aspetto saliente della ricerca, data la limitata quantità di informazioni che l’uomo è in grado di memorizzare. Inoltre, non si deve affatto escludere la soggettività che può indurre, inconsciamente, il ricercatore a ricordare alcuni aspetti ed elementi, escludendone altri. La selezione che, a livello istintivo, può attuare la memoria rischia dunque di distorcere le informazioni memorizzate, con serie ricadute nell’indagine. È necessario, a tal fine, registrare giornalmente i dati raccolti, attraverso la stesura di appunti su tutto ciò che il ricercatore ha osservato, insieme ai numerosi e dettagliati particolari e alle considerazione di tipo personale che hanno suscitato il suo interesse e la direttrice della sua indagine. In questo un ruolo importante ed esauriente è posto nell’interazione con la realtà osservata, che viene trascritta dal ricercatore attraverso la descrizione degli elementi oggettivi, ossia dei fatti, dei luoghi e delle persone osservate, insieme all’elemento soggettivo, ovvero l’interpretazione di quanto esaminato. A ciò si può affiancare la registrazione dei soggetti osservati. Tuttavia, scindere questi due aspetti della ricerca non è sempre facile, poiché:

Tranne che quando segue (come naturalmente deve fare) le pratiche più automatizzate della raccolta dati, l’etnografo si

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trova di fronte a una molteplicità di strutture concettuali complesse, molte delle quali sovrapposte o intrecciate fra di loro, che sono al tempo stesso strane, irregolari e non-esplicite, che egli deve in qualche modo riuscire prima a cogliere e poi a rendere. E questo è vero ai livelli più bassi della sua attività di lavoro sul campo: intervistare gli informatori, osservare i rituali, definire i termini usati per la parentela, tracciare i confini delle proprietà, censire le famiglie… e scrivere il diario. Fare etnografia è come cercare di leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un manoscritto – straniero, sbiadito, pieno di ellissi, di incongruenze, di emendamenti sospetti e di commenti tendenziosi, ma scritto non in convenzionali caratteri alfabetici, bensì con fugaci esempi di comportamento strutturato37.

Per ovviare di incorrere in questi ostacoli è necessario innanzitutto distinguere la registrazione di un avvenimento dal commento e, all’interno di quest’ultimo, attuare un’ulteriore suddivisione tra riflessioni teoriche e reazioni emotive. Inoltre il ricercatore deve essere fedele alla registrazione, specie per quanto riguarda le interpretazioni dei protagonisti, di cui vanno riportati, con dovizia, le espressioni e il gergo usato. I progressi fatti dalla tecnologia apportano migliorie per la ricerca sul terreno e la conseguente registrazione dei dati, durante la quale il ricercatore può servirsi di strumenti audiovisivi – macchina fotografica, telecamera, computer, registratore audio e video –, oltre a quelli tradizionali, come il taccuino. Tutti gli strumenti usati devono essere

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inoltre catalogati, in base alla modalità con collegamenti bibliografici temporali.

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