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II. I possedimenti dei Cadoling

2.1 Fondazioni religiose

Il controllo del territorio veniva in genere perseguito attraverso varie modalità, più o meno stringenti e mutevoli. Le famiglie comitali tendono al controllo del numero di nascite al fine di tenere il più indiviso possibile il patrimonio secondo una logica agnatizia. Al fine di raggiungere questo scopo concorrono anche le fondazioni di monasteri: il cosiddetto monastero di famiglia, o Eigenkloster, secondo l’espressione coniata da Ulrich Stutz, faceva dell’ente quasi una sezione del patrimonio familiare. Talora il fondatore assumeva la carica di abate o riservava alla sua famiglia la nomina del rettore, con clausole che nell’atto di fondazione regolavano la

dominatio sull’ente. Le donazioni al monastero permettevano così di coagulare attorno all’ente

i beni familiari, nell’intento di controllare in maniera più salda anche a quelli più distanti. Bisogna però considerare anche altri elementi: le fondazioni erano la manifestazione visibile della potenza raggiunta da una famiglia in una determinata zona; permettevano di subordinare o comunque controllare un ampio numero di contadini e di legare all’ente anche personaggi di discreto rilievo sociale, mediante concessioni di terre e diritti; costituivano infine un punto di coagulazione dell’identità della famiglia stessa, che si raccoglieva attorno a un comune centro religioso67.I monasteri oltre a una funzione spirituale, avevano anche una funzione di controllo del territorio (il loro proliferare rappresenta un fenomeno parallelo e complementare all’incastellamento), motivo per il quale la loro fondazione era fortemente voluta dal marchese Ugo di Tuscia. Trovandosi quasi sempre in crocevia importanti, servivano anche per la

67M. Abatantuono, L. Righetti, I conti Alberti. Secoli XI-XIV. Strategie di una signoria territoriale. La

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manutenzione viaria e l'assistenza ai viandanti e proprio per questo ai monasteri si affiancavano non di rado degli ospedali68. I pellegrini, provenienti da lontane regioni, portavano al monastero notizie dei più svariati avvenimenti. Inoltre, questo ruolo assistenziale dava modo agli Abati e ai loro protettori di propagandare fra i Romei la loro fede politica e loro programma d'azione69. Dalla metà dell’XI secolo questa struttura di rapporti intrecciati venne a contrasto con le nuove correnti di pensiero che miravano a precisare e a distinguere le sfere di influenza e d’azione delle componenti laiche e religiose. Specialmente nel mondo monastico si sviluppò questa ideologia di rinnovamento, che si rivolse non solo ai caratteri della vita cenobitica, ma mirò alle strutture portanti della Chiesa stessa; l'ordine dei Vallombrosani - vicino ai Cadolingi - fu tra i principali propugnatori della riforma. I monasteri di famiglia, entrando in una congregazione riformata, come era quella vallombrosana, mutavano il loro stato giuridico, pur potendo rimanere sotto il giuspatronato della famiglia del fondatore. Gli abati stessi, impegnati a consolidare le loro vaste pertinenze in signorie rurali, non furono più solo strumenti nelle mani dell’aristocrazia: entrò in crisi il modello dell’Eigenkloster70 .

Uno dei più importanti monasteri fondati dalla famiglia dei Cadolingi fu quello di San Salvatore di Fucecchio, in località detta allora Borgonuovo. Ci sono due ipotesi sulla collocazione della località di Borgonuovo: una la vorrebbe a occidente di Fucecchio, nei pressi di Saettino dove la toponomastica locale ricorda un vecchio argine, l'altra propende per una sua ubicazione più spostata verso oriente nei pressi di Ripoli71. Si trattava di una posizione particolarmente strategica, in quanto permetteva di controllare l'unico ponte sull'Arno presente allora tra Firenze e Pisa, come si vede in un documento in cui Lotario offre al monastero «Domini et Salvatoris

68N. Rauty, Storia di Pistoia. Vol. 1: Dall'Alto Medioevo all'Età precomunale (406-1105), Mondadori Education, Storia della Toscana, 1989, p. 211.

69E. Lotti, Medioevo in un castello fiorentino, Libreria Editrice Fiorentina., Firenze., 1939, p. 44. 70Abatantuono, Righetti, I conti Alberti, cit., pp. 86-87.

71E. Mortolini, San Salvatore di Fucecchio, monastero Cadolingio nel medio Valdarno inferiore. Dalle

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sito loco et finibus [P]onte Bonifili iustum fluvio Arno ubi nunc Sichelmo abbas esse videtur» una casa massaricia nell'attuale San Pierino, allora Aguctiano72. La chiesa venne fondata nei

pressi del Ponte Bonfiglio, quando i passaggi sull'Arno da Firenze a Pisa erano solo otto. Questo ponte era particolarmente importante perché era posto sulla via Romea Francesca, grande arteria di comunicazione fra l'alta e bassa Italia, che, passando per Fucecchio, Cappiano, Cerbaie, Galleno, Altopascio, Lucca eccetera portava i confini d'Italia presso la Francia73. La prima menzione del monastero di San Salvatore di Fucecchio risale a quando la chiesa di San Salvatore era ancora solo un oratorio fondato dal conte Cadolo e dalla moglie Gemma, e da quest'ultima dotato nel giugno 986 insieme al figlio Lotario, successivamente alla morte del marito. La donazione venne poi confermata nel novembre 100174 dallo stesso Lotario: in questo

documento troviamo l'oratorio ormai trasformato in monastero, guidato dal primo abate Sichelmo. La dotazione iniziale è ingente, ben 30 case tributarie e tre chiese di proprietà della famiglia (S. Giorgio di Borgonuovo, S. Vito, S. Martino di Petriolo) con le rispettive pertinenze. Le donazioni fatte sia da Lotario che da Guglielmo il Bulgaro sono relative ad aree distanti dal monastero, a eccezione di una donazione modesta fatta per la morte di un figlio di Lotario.Si donano possedimenti nella valle dell'Ombrone (Montemagno e Santo Stefano - di Lamporecchio) e in Valdinievole, i due nuclei territoriali di radicamento originari della famiglia75. Nel 1003 il patrimonio della chiesa si accresce di altre due donazioni, e precisamente: un podere in Pagnano, nel territorio di Sant'Andrea di Empoli, e di ben 17 poderi, parte dei quali in territorio di San Quirico di Montelupo, già parte della curtis di Empoli. È probabile che la trasformazione da oratorio in monastero sia avvenuta nel 1001 per volontà di

72Pescaglini Monti, Toscana Medievale, cit. p. 62.

73Lotti, Medioevo in un castello fiorentino, cit., pp. 40-41.

74ASDLu, DA, ++ P 23, ediz. MDL, V/3D. Barsocchini, Raccolta di documenti per servire alla storia ecclesiastica lucchese, in Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, III, Lucca, 1841 (Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, V, 3), n. 1778, p. 649, a. 1001 novembre 19.

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Lotario. Per alcuni questa trasformazione avvenne nel 1006 per via del documento del 7 giugno di quell'anno in cui si cita un abate. Tuttavia, menzioni di un abate si trovano in documenti di circa cinque o tre anni prima. Bisogna comunque riconoscere che con questo documento inizia la fase abbaziale del monastero, sancita con un atto notarile 76.

Il 13 febbraio 1068 si svolse davanti al monastero cadolingio di Settimo l'ordalia che ebbe come protagonista il monaco vallombrosano Pietro Igneo. In seguito a questa azione, Guglielmo Bulgaro donò il monastero di Fucecchio ai vallombrosani, chiedendo che ne divenisse abate lo stesso Pietro Igneo, che mantenne il titolo anche successivamente alla sua nomina a vescovo di Albano77. Vista la scarsità di donazioni relative a questo periodo è possibile che la scelta fosse legata proprio alla volontà di riportare prestigio al monastero78. Accanto a questo monastero,

era sorto anche un ospedale, a cui il conte Uguccione insieme alla moglie fa una donazione nel dicembre 1077; il documento è rogato nel vicino castello comitale di Salamarzana79. In un

documento del 1082 poi, lo stesso conte solleva il monastero dall'obbligo del fodro, anche nel caso in cui fossero stati presenti in Toscsna il re o i marchesi80. Si tratta di un documento interessante perché delinea quale potere fosse allora esercitato dalla famiglia sui propri monasteri, un controllo che si estendeva all'esercizio delle prerogative giurisdizionali, cui i Cadolingi rinunciano solo dopo un secolo dalla fondazione del monastero. Questo monastero negli ultimi anni della famiglia, quando questa iniziava a sentire il peso economico della sua partecipazione alle lotte per le investiture prima e alle lotte tra Pisa e Lucca poi, garantì anche un'importante supporto economico, fornendo alla famiglia diversi prestiti su pegno fondiario.

76 Lotti, Medioevo in un castello fiorentino, cit., pp. 45-46. 77Ibidem, p. 58.

78A. Malvolti, L’abbazia di San Salvatore di Fucecchio nell’età dei Cadolingi, in La Valdinievole tra

Lucca e Pistoia nel primo Medioevo, Atti del convegno organizzato dall'istituto storico lucchese e dalla

società pistoiese di storia patria con il patrocinio della Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, Società pistoiese di storia patria, Pistoia, 1986, pp. 49-50.

79ASFi, Diplomatico, Strozziane Uguccioni, 1077 dicembre 29, f. 1626. 80ASDLu, DA, AF 3, a. 1082 gennaio 4

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Questo permetteva ai Cadolingi di attingere al loro immenso patrimonio fondiario nel momento in cui il denaro scarseggiava. Un esempio risale al 109881, quando Ugo, Ranieri e Lotario, col consenso del fratello, vendono all'abate Anselmo 15 moggia di terra nella silva Iscleta (oggi Stieta, nella pianura tra Fucecchio e l'odierna Santa Croce) in cambio di 35 denari lucchesi. Una postilla chiarisce che la vendita sarebbe stata inanis et vacua se, dopo il raccolto, i conti avessero versato 400 soldi e avessero liberato dai creditori un testevangelio d’argento e un turibolo che erano stati utilizzati come pegno, ricevuti dall’abate. Un altro documento di questo tipo risale al 110482, quando Ugo e Lotario cedono la metà di svariati castelli e corti (Fucecchio,

Morrona, Catignano, Montecascioli, Pescia, Montemagno e quelli in finibus Alpe), con l’eccezione delle quote spettanti alle mogli, per i quali ricevono come meritum un anello in oro per il valore di 200 lire, da restituire entro un anno dal ritorno dal suo viaggio del conte Lotario. In un documento del 110783, Ugo dona allo spedale di Fucecchio 36 moggi di terra e ogni terra che il monastero detiene da lui o dai suoi homines. Si tratta di beni posti a Iscleta, Ripa de Arno, Arno Mortuo, Pozzo, Pratum prope Rosaia, Ventignano, Fucecchiello, Mugnana e Lapello. Il 9 aprile del 110984 il conte Ugolino, stando nel chiostro del monastero di S. Salvatore, offre

ogni bene fondiario che il monastero deteneva da lui a qualsiasi titolo e che aveva detenuto dai 15 giorni precedenti la morte del conte Uguccione fino a quel momento, tranne la curtis di Galleno. Dona inoltre il castellum di Salamarzana, la chiesa di S. Biagio, la torre e le case poste al suo interno, con tutte le terre, vigne e case e beni posti all’interno del castello entro i confini precisati nel testo del documento. A peggiorare la situazione economica della famiglia, il monastero era stato gravemente danneggiato dalle piene dell'Arno, tanto che ne venne autorizzato il trasferimento sul colle di Salamartana, la costruzione del nuovo edificio fu ovviamente a carico dei Cadolingi. Altro motivo di spese era il desiderio da parte dei conti che

81ASDLu, Diplomatico, Miscellanee, 1099 agosto 4. 82ASDLu, DA, +F 28, a. 1104 giugno 2.

83ASDLu, DA, ++ F 51G (orig.) e ++ F 51A (copia coeva), a. 1107 novembre 1. 84ASDLu, DA, ++ K 63 = 64 (originale) e ++ F 7 (copia coeva), a. 1109 aprile 9.

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la chiesa di S. Giovanni di Fucecchio - dipendente dalla pieve di Ripoli - fosse essa stessa elevata al rango di pieve, cosa a cui il vescovo di Lucca si era sempre opposto, forse temendo che questa chiesa sarebbe diventata un nuovo centro di potere nel suo territorio per la famiglia. Ai tempi di Ughiccione l'abbazia ottenne di essere messa direttamente sotto la protezione della Santa Sede, formando un territorio separato. Questo cambiamento venne sancito in un documento del 1085 da Gregorio VII, motivato sia dalla vicinanza che gli era stata dimostrata da Pietro Igneo, che era stato abate di questo monastero e che lo aveva accompagnato nel suo esilio salernitano proprio in quegli anni, nonché dal fatto che a Lucca il vescovado era retto a quel tempo da un vescovo scismatico, il che spiega perché nel documento dichiari di star ponendo il monastero sotto la diretta tutela della Santa Sede affinché potesse essere un “rifugio”, riferendosi chiaramente ai riformisti che volessero mettersi al riparo da detto vescovo85. Il conte Ugo, successivamente a un incontro che avvenne con ogni probabilità con Urbano II tra l’autunno 1094 e l’inizio del 1095, quando il papa si fermò tre mesi in Toscana prima di dirigersi alla volta della Francia86, ottenne finalmente il fonte battesimale da papa Urbano II, confermato da Pasquale II, senza tuttavia ottenere ufficialmente la qualifica di pieve, questi sono tutti passi per la creazione di una signoria territoriale87. Anche questa vicenda dovette costare molto denaro, sia per l’edificazione della nuova chiesa, anch’essa trasferita sul colle di Salamartana, sia per le lotte con i vescovi di Lucca88. L’intento era probabilmente quello di mettere al sicuro dalle mire del vescovo di Lucca Rangerio il castello di Salamartana e i suoi beni, che infatti il conte Ugo (III), una volta sancita l’indipendenza della pieve di Fucecchio

85M. Ronzani, Definizione e trasformazione di un sistema d’inquadramento ecclesiastico: la pieve di

Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XIV secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XIV), a c.. A. Malvolti, G. Pinto, Firenze, Olschki, 2008 (Biblioteca storica

toscana, 55), pp. 70-72. 86Ibidem, p. 75.

87A. Malvolti, L’abbazia di San Salvatore di Fucecchio nell’età dei Cadolingi, cit., p. 52.

88E. Coturri, I conti Cadolingi di Fucecchio, in La Valdinievole tra Lucca e Pistoia nel primo Medioevo, Atti del convegno organizzato dall'istituto storico lucchese e dalla società pistoiese di storia patria con il patrocinio della Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, Società pistoiese di storia patria, Pistoia, 1986, pp. 30-37.

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dalla cattedra di S. Martino, donò interamente all’abate Anselmo nel 1108. Tuttavia il monastero non riuscì a tenere il castello fuori dal controllo del vescovo di Lucca dopo l’estinzione dei Cadolingi: questi infatti nel novembre del 1114 entrava in possesso della metà dei tre quarti di questo castello, gestendolo in consorzio con Cecilia, vedova del conte Ugo, e con lo stesso monastero89. Oltre alle donazioni fatte direttamente, i Cadolingi mobilitarono in favore dell'abbazia anche il loro entourage, come successe nel 1094, 1101 e 1108 nel caso di Rolando e Ugo figli di Uberto. Ma anche Alberto di Muscioro cognato dei due fratelli, che nel 1095 e nel 1109 fece donazioni all'abbazia. Così anche Villicione di Rustico, presente come testimone in varie carte del monastero, cui fece una donazione nel 1102, fu anche esecutore del testamento dell'ultimo conte90. S. Salvatore di Fucecchio rappresenta la più antica fondazione

monastica da parte dei Cadolingi, e sicuramente il fondo documentario più ricco per lo studio di questa famiglia. Il successo del monastero fu determinato sia dalla sua posizione privilegiata che dalle numerose donazioni fatte dagli stessi Cadolingi o dai loro clienti. Il suo ruolo di monastero familiare risulta evidente sia attraverso le prestazioni che esso doveva ai conti, cui questi rinunciano solo nel 1082, sia attraverso i numerosi prestiti su pegno fondiario che la famiglia ricevette da questo ente e infine attraverso l’affidamento da parte dell’ultimo dei Cadolingi a questo monastero di gran parte dei beni detenuti in questa zona dalla famiglia.

Trattandosi di uno snodo viario così importante, non stupisce il fatto che nei pressi del monastero di Fucecchio i Cadolingi edificarono anche l'ospedale di Rosaia,la scarsità di notizie su questo ospedale significa probabilmente che si trattava inizialmente di un'appendice del monastero ed era da esso gestito, e non di un ente separato: compare infatti solo in due documenti nel periodo di vita della famiglia dei Cadolingi91. Ebbe anch'esso un ruolo

89Ronzani, Definizione e trasformazione di un sistema d’inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 77-79. 90Malvolti, L’abbazia di San Salvatore di Fucecchio nell’età dei Cadolingi, cit., pp. 59-60.

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economico importante negli ultimi anni della famiglia. Con un documento del 108692

Uguccione dona a questo ospedale le decime ricavabili da ben tre curtes, in una vasta area tra le Cerbaie e il Padule. Sempre all'ospedale è indirizzata un'altra donazione da parte dello stesso conte nel novembre 109193, che comprende una chiesa in Cerbaia prope padule, intitolata a San Nazareno, con la terra ad essa pertinente, una vigna e un altro pezzo di terra con dei diritti di pesca nel padule. L'ospedale, o meglio il suo rettore Giovanni, nel 1104 è il beneficiario di una concessione di diritti signorili, consistenti in «omne usum et obedientjam et redditum seu placitum et districtum atque glandaticum» in una «sorte et re illa massaricia», situa a Putheum; oltre a questo si concedono i tre denari lucchesi che i conti ricevono pro carne da «Bruno et Iohanne filiis quondam Homici de Sancto Vito», e i dodici denari dovuti dai «filiis Iohannis quondam Begicti». Questi diritti sarebbero potuti essere riscattati dai Cadolingi tramite il pagamento di 160 denari lucchesi. Nel 110894 Ugo dona all'ospedale «iuxta monasterii Sancti Salvatoris in loco, qui dicitur Salamarthana posito quattuor stariora mee terre in Monte qui dicitur Mons Elleri non longe a terra habente saltos super se, que dictur Cerreta, quam nuper eidem ospitali obtuli». Il documento è rogato all'interno dell'ospedale stesso. Nonostante non godesse di una vera e propria autonomia dal monastero di Fucecchio, ma si configurasse più come una sua costola, anche questo ospedale svolse un ruolo strategico cruciale all’interno delle strategie dei conti Cadolingi, essendo soprattutto in grado di fornire supporto economico in un momento in cui costoro avevano crescente necessità di denaro contante.

Spostandoci nei pressi della città di Firenze, troviamo un altro monastero fondato dai Cadolingi anch'esso intitolato al Salvatore, quello di Settimo. Anche questo è situato in posizione strategica, nel Valdarno fiorentino, ai piedi del poggio di Montecascioli, nell’omonima località sulla sinistra dell’Arno ai piedi della collina di Montecascioli, dove già sorgeva un castello della

92ASDLu, Altopascio, n. 1, c. 152r, a. 1086.

93 ASDL, DA, +I 84 orig. e +F 48, copia coeva, a. 1091 novembre 27.

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famiglia95. Sempre a Settimo sorgeva un altro castello cadolingio, alla sinistra del monastero.

Il monastero viene posto nel 104796 sotto la protezione imperiale per opera di Enrico III, insieme a tutte le sue pertinenze: da questo documento si apprende che a fondare questo cenobio era stato il conte Lotario: «quod Lotharius comes (…) ad monasterium ordinavit». Tra i beni assegnati al monastero, è annoverata una curtis a Montiniano, toponimo tuttora esistente nei pressi di Settimo, nella frazione di Montignano-Ugnano del comune di Firenze. Nel maggio 109697, il conte Uguccione dona «integra una sorte et res» nel piviere di San Giuliano a Settimo, affinché vi fosse edificato un ospedale, che avrebbe avuto uso della terra «cum casis, cascinis, terris, vineis et cum omnibus suorum edificiis». Su questo monastero i Cadolingi esercitarono un forte controllo, tanto che emerge nettamente la sua caratteristica di monastero di famiglia. Ne abbiamo un’attestazione nel 1090, quando i conti sembrano definitivamente rinunciare ad una serie di prerogative che erano loro spettate fino ad allora. Allora Ugo insieme alla moglie Cilia effettua una serie di promesse al «monasterium nostrum qui est constructum ad honorem Domini Salvatoris mundi in loco Septimo scilice curte mea». L'aggettivo nostro è indicativo del rapporto di proprietà che legava la famiglia al monastero. Ma subito incominciano le concessioni, ponendo precise condizioni sull’integrità del patrimonio e sulla permanenza nell’ordine vallombrosano. Assai pesanti furono le rinunce sul controllo dell’ente: «omne ius patronatus et potestatem de predicto venerabili loco et de omnibus rebus sibi pertinentibus». Il monastero ebbe notevoli pertinenze nella montagna fiorentina, a stretto ridosso della zona, tra il bolognese e il pratese, che fu poi di dominio albertesco, zona compresa nel piviere di San Gavino Adimari, nel cui territorio si trovava anche la chiesa di Baragazza (oggi bolognese) che fu oggetto di un falso memoriale restitutionis98. Anche la documentazione relativa a questo

95 Abatantuono, Righetti, I conti Alberti, cit., pp. 90-94

96MGH, D. H III, n° 182

97E. Faini, Firenze nell'età romanica (1000-1211). L'espansione urbana, lo sviluppo istituzionale, il

rapporto con il territorio, Olschki, Biblioteca storica pisana, Firenze, 2010, p. 63.

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monastero evidenzia il suo ruolo come monastero di famiglia su cui i Cadolingi esercitarono fino alla fine del XI secolo uno stretto controllo. La sua posizione così vicina a Firenze e alla strada che la connetteva al litorale si pone perfettamente in linea con le scelte strategiche fatte

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