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I Cadolingi furono una delle più importanti famiglie comitali della Tuscia centro-settentrionale, nonostante la brevità della loro storia, sviluppatasi tra il 923, data cui risale il primo documento, e il 1113, anno della morte del suo ultimo esponente, Ugo. Si trattò con tutta probabilità di una famiglia di origine longobarda, come dimostra la professione ex natione fatta da Ugo nel 1107, in cui si dichiara di stirpe e di legge longobarda, nonché dai rapporti con altre famiglie longobarde che i Cadolingi riuscirono a contrarre, come il matrimonio di Cadolo con Gemma figlia del principe Landolfo IV di Capua. A ulteriore prova di questo fatto, il primo nucleo di possedimenti della famiglia si trovava in un'area profondamente longobardizzata come il Pistoiese198.

Il primo documento relativo a questa famiglia è del settembre 923, ultimo anno di regno di Berengario,una cartula offersionis a favore della cattedrale pistoiese rogata a Pistoia. L'autore è Cunerad, da cui discenderanno i Cadolingi, e questa è la prima menzione di una carica comitale in Tuscia. Sino alla morte (nel 915 circa) del duca Adalberto il Ricco, nella Toscana settentrionale non esistevano conti perché questa zona era governata dal solo duca, in qualità di rappresentante regio199. Con la morte di Carlo il Grosso si era accelerata l'usurpazione dei poteri

che prima erano stati appannaggio della corona, da parte dei nascenti poteri signorili. I re d'Italia, nel tentativo di garantirsi la fedeltà dei loro vassalli, furono larghi di concessioni e benefici, col risultato di aiutare il consolidarsi delle autonomie locali. Si venne così a creare un mosaico di territori soggetti ai vari nobili che oltre ai diritti derivanti loro dal possesso fondiario esercitavano anche quelli più propriamente giurisdizionali. La Tuscia evitò eccessivi frazionamenti e la parte settentrionale della regione rimase in mano al marchese Adalberto II, ma dopo la sua morte la situazione cambiò. I re d'Italia non vedevano di buon occhio quanto

198Pescaglini Monti, Toscana Medievale, cit., p. 2. 199Schwarzmaier, «Cadolingi», cit.

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potere egli fosse riuscito ad accumulare e così il re Berengario provvide a ripristinare nella Tuscia l'istituto dei conti200. La gerarchia dei poteri vedeva alla vetta la figura del comes (appunto Cunerad), affiancata da quella del vicecomes (un certo Pietro), che verosimilmente coadiuvava il conte nel suo ruolo giuridico-amministrativo. Al tempo, nessuna di queste cariche doveva essere ereditaria: pare invece che esse fossero conferite dal re tramite nomina o investitura a vantaggio di qualcuno dei suoi fideles, probabilmente nella speranza di assicurarsi appoggi politici nella lotta per il regnum e alleati che potessero contrastare l’autorità e il potere del marchese di Lucca201.

Cunerad costituisce la seconda generazione della famiglia che conosciamo, infatti nel documento del 923 troviamo anche il nome del padre, Teudicio, già morto al momento della scrittura del documento. Questi non sembra portasse il titolo comitale, o almeno non è qualificato in questo modo nella cartula. Chiunque sia stato il primo conte l'investitura deve essere avvenuta tra la morte del marchese Adalberto nel 915 e il 923, quindi sotto il regno di Berengario202.Attraversiamo una lacuna documentaria di oltre un ventennio, sino al 944203, quando è attestato Teudicio II, fratello di Cunerad204. Teudicio II era sposato con una tale Berta

del fu Raineri, ma pare che i due coniugi non abbiano avuto figli. Vediamo in questi primi documenti che i Cadolingi avevano dei possedimenti intorno a Pistoia e nell'altra e media valle dell'Ombrone. Questa curtis si trovava, ancora poco prima, nelle mani del duca Adalberto, era dunque con tutta probabilità una terra di origine pubblica di cui i Cadolingi ottennero il controllo a discapito del potere marchionale205. Tuttavia, non è da escludere che il titolo

200Rauty, Storia di Pistoia, cit., pp. 203-205. 201Civale, I conti Cadolingi, cit., pp. 10-11. 202Rauty, Storia di Pistoia, cit., pp. 205-206.

203Rauty, Regesta Chartarum Pistoriensium. Alto medioevo, cit., n. 68, pp. 52-53, a. 944 nov. 2, Pescia maggiore.

204Civale, I conti Cadolingi, cit., p. 12. 205Schwarzmaier, «Cadolingi», cit.

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comitale fosse solo il coronamento di un percorso di ascesa sociale206. In questi anni troviamo

come re d'Italia Ugo di Provenza, che cercò di limitare come il suo predecessore, il potere dei marchesi di Toscana, giungendo ad affidare la marca al suo fratello naturale Bosone (931-936). Questi trovò a Pistoia una famiglia comitale ormai radicata, ma non tentò di sradicarla, cercando il loro appoggio in funzione anti-marchionale. Allo stesso tempo legò fortemente a sé la famiglia loro rivale, quella dei Guidi, e nel 927 concesse a Tegrimo, capostipite della famiglia, il diritto di governare il monastero regio di San Salvatore in Agna, in territorio pistoiese, mentre ancora i Cadolingi erano conti di Pistoia. Questi furono gli anni di maggiore stabilità e di accordo tra il potere regio e quello marchionale, quando Ugo poté con maggiore sicurezza svincolarsi parzialmente dai Cadolingi e continuare a favorire la propria famiglia di ‘vassalli’ regi, i Guidi. Nel 941, infatti, troviamo Tegrimo, già defunto, indicato col titolo di conte207. Il documento del 944, ancora una volta consistente di una donazione in favore della cattedrale di Pistoia, è interessante, perché rogato a Pescia.È probabile che Teudicio abbia ottenuto il suo titolo comitale dal re Ugo, che ebbe nei confronti dei marchesi un atteggiamento più ferreo rispetto al suo predecessore. A lui venne attribuito il territorio della Valdinievole, assai prossimo a Lucca, per controllare le azioni del marchese. Invece, se il titolo comitale fosse stato originariamente conferito al primo Teudicio, è possibile ipotizzare una spartizione dei territori originari tra i due fratelli208.

Cunerad ebbe due figli: Ermengarda, che si sposa con Tassimanno della famiglia dei Tassimanni, e Cadolo. Da Cadolo prende il nome la stirpe, pur non essendo il primo antenato rintracciabile di questa discendenza. Questo probabilmente si collega alla necessità di distinguere tra i territori di questa famiglia e quella dei Guidi, che detenevano in questo

206F. Vanni, Ipotesi sulle origini dei Cadolingi e sulla natura del loro potere, in I Cadolingi, Scandicci

e la viabilità Francigena, a cura di R. Stopani e F. Vanni, Atti del Convegno svoltosi il 4 Dicembre

2010 a Badia a Settimo (Scandicci), Centro Studi Romei, Firenze, 2010, p. 28. 207Civale, I conti Cadolingi, cit., pp. 12-13.

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momento la carica comitale per Pistoia. Infatti, questo è anche il periodo in cui troviamo attivo il conte Guido, anch'egli eponimo della sua stirpe209. I documenti relativi a Cadolo risalgono al periodo che va dal 953 fino al 964, quando lo troviamo in vita, mentre lo troviamo già morto nel 982. Grazie alla sua abilità riuscì a combinare dei matrimoni che accrebbero il prestigio della stirpe, come il suo stesso matrimonio in seconde nozze con Gemma figlia di Landolfo IV Principe di Capua e Benevento, e il matrimonio tra la propria figlia Willa e il Conte Ranieri che la tradizione attribuisce alla nobile casata Arghendesca210. Nel 953 donò alla cattedrale di S. Zeno un fondo con casa a Petriolo in val di Celle211. Sempre nello stesso anno, Cadolo fece

un'altra donazione dalla sua dimora di Pescia, dove si era trasferito. Il X e XI secolo costituirono il periodo cruciale per la penetrazione dei Cadolingi in Valdinievole, caratterizzati da grandi livelli i cui beneficiari furono le famiglie che facevano parte dell'aristocrazia locale, successivamente conosciute col nome di ‘da Buggiano’, ‘da Maona’ e ‘da Uzzano, Vivinaia e Montechiari’, dal nome delle località nelle quali si radicarono, alcuni di essi erano molto probabilmente milites o comunque fideles dei Cadolingi, presenziando spesso come testimoni ad atti che avevano come protagonisti e attori i conti. Su quest'area è certo che i conti esercitassero delle prerogative giurisdizionali, infatti nel 1104 i conti Ugo (III) e Lotario (III) concessero agli abitanti del distretto pievano di Santa Maria di Villa Basilica e di San Genesio di Boveglio (che grosso modo corrispondono a quella che tra il ’200 e il ’300 sarà la Vicaria di Valleriana) di non essere sottoposti al placito del conte, nemmeno per i delitti più gravi (omicidio, tradimento, adulterio) a meno che il reato non fosse stato evidente, cioè che il colpevole non fosse stato colto in flagrante. Si trattava di una rinuncia di diritti di bassa e (parzialmente) alta giustizia nei confronti delle comunità locali212. Sempre in questa zona, i

209Rauty, Storia di Pistoia, cit., p. 210.

210Pescaglini Monti, Toscana Medievale, cit., p. 3.

211 Rauty, Regesta Chartarum Pistoriensium. Alto medioevo, cit., n. 73, pp. 57-58, a. 953 set., Pistoia.

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Cadolingi ebbero un castello, testimoniato in un documento del 2 Giugno 1104, con cui l'ultima generazione di Cadolingi, per un prestito di 200 lire dettero in garanzia all'abate di Fucecchio la metà di alcuni loro e castelli, 3 quali appunto medietatem de castello et curte de Piscia. Questo castello è identificabile con quello più comunemente chiamato di Bareglia, dove sarebbe sorto il centro di Pescia213.

Questo è probabilmente dovuto alla riunione del patrimonio dello zio Teudicio dopo la sua morte, per cui a Cadolo andarono le proprietà e la giurisdizione sulla Valdinievole, ma non su Pistoia, e alla sorella Ermingarda il castello di Ripalta nel pistoiese.

Di Ermingarda ci rimane una donazione, sempre alla cattedrale di S. Zeno, fatta dal castello familiare di Ripalta, risalente al 961214. In questo documento è già vedova e agisce in concerto

con i due figli, Tassimanno e Gerardo, facendo la donazione alla cattedrale che per le prime generazioni della famiglia (fino a Guglielmo il Bulgaro) rappresenta il primo atto in cui troviamo il nome dei figli del conte alla sua morte. Infatti, i figli solitamente non compaiono nella documentazione fino alla morte del padre, che dispone totalmente del patrimonio fino a quel momento215. Il dato da notare è che le terre donate si trovano a Petriolo, esattamente come quelle oggetto delle donazioni fatte in precedenza dalla famiglia, e l'atto è rogato nel castello di Ripalta «prope muro civitatis Pistoriae», presumibilmente di proprietà dei Cadolingi. Le figlie non erano escluse dalla successione, spesso non limitatamente a beni di secondaria importanza, come sembra dimostrare proprio questo caso. La gestione dell'eredità poteva variare da famiglia a famiglia: troviamo dei casi in cui dei fratelli gestiscono in comunione un patrimonio apparentemente indiviso, ma questa era una soluzione non priva di complicazioni logistiche che potevano spesso portare a una effettiva divisione del patrimonio. La tradizione longobarda, a

213Pescaglini Monti, Toscana Medievale, cit., pp. 123-129.

214 Rauty, Regesta Chartarum Pistoriensium. Alto medioevo, cit., n. 78, pp. 63-64, a. 961 feb., Pistoia. 215Cortese, Signori, castelli, città, cit., p. 74-75.

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cui si ascrivevano anche i Cadolingi, propendeva per una divisione del patrimonio tra tutti gli eredi e sembra che almeno in questa fase la famiglia propendesse per questa soluzione216. In questi anni si sviluppò il contrasto tra Ottone e Berengario, che andò a incidere anche sulle fortune delle famiglie aristocratiche locali che aderivano all'uno o all'altro partito. L'adesione dei Cadolingi alla parte ottoniana (troviamo infatti Cadolo al seguito di Ottone), e quella dei Guidi alla parte berengariana furono decisive per l'alternarsi delle due famiglie alla carica comitale pistoiese di questi anni. Berengario, insieme col figlio Adalberto, si era guadagnato l'appoggio del marchese Uberto di Toscana, promettendogli la successione del figlio Ugo217. Il

marchese non poteva vedere di buon occhio una famiglia come quella dei Cadolingi che era storicamente al potere in funzione anti-marchionale. Proprio questo forse è il motivo della presenza del visconte di Uberto (Guideradi vicecomitis218) all'atto del 953, nonché il fatto che il secondo atto che ci rimane ad opera di questo conte venga rogato nella curtis di Pescia, dove in questa fase sembrano spostarsi gli interessi giuridico-amministrativi della famiglia. Una

cartula offersionis di questi anni, che vede protagonisti Guido I e la moglie Gervisa, testimonia

il ruolo di preminenza che questi aveva acquisito in questi anni di allontanamento da parte di Cadolo, forse come rappresentante stesso dell’ufficio comitale. Non sembra quindi fuori luogo ipotizzare un'alternanza in questo periodo tra le due famiglie alla carica219. Con la discesa in

Italia di Ottone nel 962 cambiarono gli equilibri del potere, e i marchesi di Toscana divennero tra i più fedeli ai tre Ottoni in Italia220.In questa occasione Ottone condannò il fratello del conte Guido, il diacono Ranieri, confiscando anche dei beni alla famiglia. Un documento del 963 ci informa del fatto che in quell'anno Guido era già morto. Così, in un placito del 964 cui erano presenti alcuni conti, il comitato pistoiese era rappresentato appunto da Cadolo, il quale aveva

216Ibidem, pp. 74-76.

217Davidsohn, Storia di Firenze, cit., p. 160.

218Rauty, Regesta Chartarum Pistoriensium. Alto medioevo, cit., n. 73, pp. 57-58, a. 953 set., Pistoia. 219Civale, I conti Cadolingi, cit., pp. 20-23.

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nuovamente rivestito la carica. sicuramente per intervento dell’imperatore, che dunque volle premiare in questo modo il proprio sostenitore221.

Cadolo fu il fondatore dell'oratorio dedicato a San Salvatore in località Borgonuovo, presso Fucecchio, che in seguito divenne monastero per opera del figlio Lotario. Abbiamo notizie di questo ente religioso a partire dal 986222. Questa è la prima fondazione religiosa dalla famiglia,

e la scelta cade, non casualmente, su un luogo del Valdarno di ovvio valore strategico: Borgonuovo si trovava infatti «prope fluvio Arno»223 e nello specifico presso un ponte

Bonfili224, attestato dal 1002, l'unico ponte tra Firenze e il litorale. Qui confluivano anche

diverse vie terrestri: la Romea, che dopo aver toccato Lucca e Altopascio giungeva nelle Cerbaie e, superati l'Usciana e l'Arno, proseguiva verso Borgo S. Genesio (S. Miniato al Tedesco) in direzione di Siena; andava poi a intercettare la strada a sinistra dell'Arno che congiunge Firenze e Pisa e quindi permetteva di raggiungere il litorale tirrenico; la via ad

Pisciam, poi Via Traversa di Valdinievole e i passi del Montalbano225. Sempre presso Fucecchio, i Cadolingi ebbero una curtes e un castello, situato sul poggio di Salamarzana. Sin da questa prima fondazione possiamo vedere delle tendenze che saranno caratteristiche dei tentativi espansionistici della famiglia, in particolare l'interesse per il controllo delle vie di comunicazione (Passpolitik), attraverso la fondazione o il patronato di enti ecclesiastici - monasteri, chiese, ospedali - insieme alla costruzione di fortificazioni e ad un sistema di alleanze con le famiglie aristocratiche locali.

Non sappiamo l'esatta data di morte di Cadolo, troviamo il conte già morto in un documento del 982, quando la vedova Gemma, insieme al figlio Lotario - che ancora non sembra aver

221Civale, I conti Cadolingi, cit., pp. 24-25. 222Rauty, Storia di Pistoia, cit., p. 212.

223ASDL, DA, ++ P 23, ediz. MDL, V/3, n. 1778, p. 649, a. 1001 novembre 19. 224 Mortolini, San Salvatore di Fucecchio, cit., p. 33.

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ricevuto la carica comitale - donano delle terre alla canonica di Pistoia, trovandosi in città. Il primo documento in cui Lotario compare col titolo comitale risale invece al 986226, in cui sempre insieme alla madre dona all'oratorio di San Salvatore di Borgonuovo (testimoniato per la prima volta proprio in questo documento). Fu ad opera di Lotario che questo oratorio divenne un monastero, anche se stabilire la data in cui questa trasformazione avvenne non è facile. Per alcuni questa trasformazione avvenne nel 1006 per via del documento del 7 giugno di quell'anno in cui si cita un abate. Tuttavia, menzioni di un abate si trovano in documenti di circa cinque o tre anni prima. Bisogna comunque riconoscere che con questo documento inizia la fase abbaziale del monastero, sancita con un atto notarile227. Lotario fece molte donazioni a questo monastero, perlopiù consistenti in beni eccentrici rispetto al territorio su cui sorgeva228.

Analoga situazione si verificò sul finire del X secolo, quando Lotario fondò il primo nucleo del monastero di San Salvatore a Settimo, nei pressi del colle di Montecascioli, sulla sponda meridionale dell’Arno, dove erano già testimoniate pertinenze della famiglia. Anche qui saranno attestati ben presto altri beni di pertinenza cadolingia, tra cui una curtis e un castello, ed anche qui la zona era attraversata da una strada che costituiva l’asse Firenze-Pisa, oltre che dallo stesso corso dell’Arno229. In tal modo poterono controllare i traffici tra le due città sia da

terra che da mare230.

Alla fine del primo millennio a Pistoia iniziava l'ascesa del vescovo con il contemporaneo declino del conte. In questo periodo Lotario continuò ad esercitare le prerogative giurisdizionali che gli venivano dal suo titolo di conte, come testimonia il placito tenuto nel 1006. Questa è l'ultima testimonianza di un'attività giurisdizionale del conte a Pistoia e atti del genere presero

226Reg. Kehr, IP, III, p. 478; Carlo Strozzi, In che modo e da chi fu fondata la Badia di S. Salvatore di

Fucecchio, BNF (Magliabechiana, XXVII, 304), a. 986 giugno 13.

227Lotti, Medioevo in un castello fiorentino, cit., pp. 45-46. 228Ivi.

229Civale, I conti Cadolingi, cit., p. 34.

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ad essere gestiti da un consiglio di boni homines231. Il collegio era interamente laico, a

differenza di quanto accadeva in età carolingia, accentuando forse il divario che si era aperto tra il conte e il vescovo, anche se la formula "per rendere giustizia a tutti gli uomini del contado", fa pensare che l'autorità di Lotario fosse limitata alla zona fuori le mura. È probabile che questo fosse un tentativo del conte di riaffermare il suo potere all'interno delle mura e che l'episodio non fu ripetuto, tesi sostenuta dal fatto che il suo successore, Guglielmo detto il Bulgaro, quando nel 1034 fece la consueta donazione a San Zeno, questa charta venne rogata non a Pistoia, ma a Fucecchio, dove ormai da tempo la famiglia aveva il suo centro d'interesse e la sua dimora nel castello di Salamartana. Questo contrasto col vescovo deve essersi dunque concluso nei primi decenni del XI con la rinuncia da parte dei Cadolingi alla città di Pistoia e il loro definitivo insediamento nel Valdarno. Anche questa tradizione della donazione a San Zeno al momento della successione non verrà più seguita dai successori di Guglielmo232. La dimensione urbana dei Cadolingi si qualifica come episodica e marginale. Alcuni studiosi, sostengono, per le aree in cui un conte è presente, una sorta di divisione delle aree di influenza: al conte le aree rurali, al vescovo la città, per ribadire che la carica laica sembra non avere molto spazio nelle mura urbane. Non è altresì un caso che, neppure nei momenti in cui più alto era il prestigio della loro stirpe, i Cadolingi mai abbiano cercato di ricavarsi uno spazio all'interno delle mura di una città, come invece fecero i Guidi, e in seguito anche gli Alberti. A quando ci consta, nessuno di parte maschile dei Cadolingi ricopre cariche religiose, neppure abbaziali. Le uniche eccezioni a questa regola sembrano essere due donne, entrambe di nome Berta, di cui la prima, sorella di Guglielmo il Bulgaro, divenne badessa del monastero di Cavriglia, seguita dalla seconda, figlia di Lotario (II)233.

231N. Rauty, Pistoia nei secoli XI e XII, Società pistoiese di storia patria, Pistoia, 1981, pp. 1-3. 232Rauty, Storia di Pistoia, cit., pp. 271-273.

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Dal matrimonio tra il conte Lotario e Adelasia nacquero cinque figli: Ugo I, Lotario II detto Meliorello, Ranieri I, Guglielmo detto Bulgaro o Bulgarello e Berta I. Tra questi sopravvissero soltanto Berta e Guglielmo Bulgaro, che fu l'unico dei quattro figli maschi di Lotario portare il titolo di conte234. Guglielmo il Bulgaro è attivo nella documentazione tra il 1034 e il 1074, e la sua figura è importante per il modo in cui riuscì a giocare un ruolo da protagonista nelle vicende del suo tempo. In questi anni venne infatti fondato l'ordine Vallombrosano ad opera di Giovanni Gualberto. Questi aveva avanzato accuse già prima della sua nomina ad abate (1039) contro il clero simoniaco, e benché queste proteste non avessero avuto successo, molti furono ispirati dalla sua storia e lo seguirono negli anni successivi, dando vita a un’imponente comunità religiosa. Il movimento di riforma era ormai inarrestabile235. I Cadolingi furono sin da subito

molto vicini a quest'ordine, e Guglielmo il Bulgaro offrì a Giovanni Gualberto il monastero di famiglia di Settimo. Proprio qui il 13 febbraio del 1068 si svolse la famosa prova del fuoco ad opera di Pietro Igneo che dimostrò essere vera l'accusa di simonia rivolta contro il vescovo di

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