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Formare alla complessità

CAPITOLO 2. COMPLESSITÀ E PENSIERO PLURALE

2.4 Formare alla complessità

Se la pedagogia è (e lo è) quella scienza (o sapere) che pensa la/le formazione/i ovvero i processi che soggetti e società compiono su altri individui o gruppi ecc. per dare loro “forma” (identità, struttura, orientamento), oggi non può che essere coinvolta (e in primo piano) nel pensare la condizione formativa del presente, che è contrassegnata proprio dalla complessità (come pluralismo, come dismorfismo, come rete, come metacognizione).135

Tra epistemologia, pedagogia136 e complessità esiste un rapporto circolare, che deve essere assunto come tratto distintivo dell‟identità della conoscenza ed entrare a far parte di una progettualità che sia capace di far fronte alla frantumazione del sapere e di andare oltre i rischi della settorializzazione, nel bisogno di rafforzare la scienza come sapere duttile e fine.137

La dimensione planetaria ci spinge a «pensare collettivamente i fondamenti per una formazione e un‟educazione dell‟uomo planetario»138

: gli stimoli a cui oggi sono sottoposti i discenti, sono molto differenziati ed eterogenei; alla scuola spetta quindi il compito di interconnettere le esperienze, cognitive ed emotive, considerandole un punto di partenza ineludibile e aiutando ad attribuire loro un significato.139

Formare alla complessità vuol dire inoltre considerare il soggetto in prospettiva integrale, come identità plurale, come uomo a più dimensioni (cognitiva, emotiva, sociale, ecc.), insegnandogli a non rinunciare in toto a nessuna delle sue appartenenze, ma a metterle in relazione tra loro, mettendosi al contempo in relazione con gli altri. Egli si trova esposto ad una continua trasformazione, che gli impedisce di cristallizzarsi, consentendogli di rimanere flessibile: la caratteristica propria dell‟epistemologia della complessità, ossia l‟incertezza140

, attraversa anche l‟individuo. 134 Ivi, p.127. 135 Ivi, p.128.

136 Alla pedagogia sarà dedicato il Capitolo 3.

137 Cambi F. – Cives G. – Fornaca R., Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia,

Firenze 1991, p.33.

138 Callari Galli M. – Ceruti M., Formare alla complessità. Prospettive dell'educazione nelle società globali, cit., p.14. 139 Ivi, p.17.

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Secondo Morin, quest‟incertezza che abita la vita di ogni persona può essere descritta secondo diversi tipi: il primo tipo di incertezza è quella storica, in cui viene meno l‟idea di evoluzione lineare degli eventi e crolla il mito del progresso, in relazione al carattere incerto del futuro141; vi è poi un‟incertezza conoscitiva, nella consapevolezza che la conoscenza porta con sé anche il rischio dell‟illusione e dell‟errore; l‟incertezza della realtà, poiché noi non conosciamo la realtà come tale, bensì conosciamo l‟idea che ci siamo fatti di essa; infine vi è l‟incertezza dell’azione, in quanto ogni azione compiuta dal soggetto entra in una rete di interazioni sulle quali il soggetto non ha il controllo.142

La consapevolezza e l‟esperienza dell‟incertezza ci portano a comprendere il valore e la necessità di imparare a decentrare lo sguardo, che rappresenta uno degli obiettivi principali nella formazione alla complessità, in quanto è la capacità di guardare la realtà, la storia e le relazioni da un altro punto di vista, per osservare come appaiono.

Il decentramento consiste nel guardarsi da fuori, nell‟assumere temporaneamente la prospettiva dell‟altro per interpretarsi, nel provare ad analizzare la propria cultura per individuarne i punti di criticità e di impermeabilità al confronto con le altre e all‟ibridazione, ma prima ancora per individuare ciò che vi è di comune, i punti di contatto, le similarità storiche e linguistiche. Il decentramento esce dalla prospettiva che considera la propria identità come assoluta per riconoscere che essa è una (ma non univoca) in mezzo alle altre. Nel dizionario interculturale di Nanni e Abbrucciati, Per capire l’interculturalità. Parole-chiave, alla voce „decentramento‟ si legge che esso:

È l‟esperienza di guardare sé stessi, la propria cultura, con lo sguardo di un‟altra cultura. Il decentramento, dunque, consente all‟individuo di arricchire la propria identità con altri punti di vista, altre caratteristiche, altre memorie, altre fonti, altri sistemi di attesa e di immaginazione. Vi è nella capacità di decentrarsi una forma di tirocinio al pluralismo e alla democrazia che favorisce il superamento dell‟egocentrismo e dell‟etnocentrismo.

Per il suo significato antropologico ed educativo il decentramento rappresenta uno degli elementi costitutivi e irrinunciabili di una corretta interculturalità.143

Decentrarsi e mettere in discussione i propri modelli interpretativi, significa anche relativizzare il proprio punto di vista e rinunciare alla tentazione di voler spiegare i sistemi valoriali e simbolici

141 Ne abbiamo fatto esperienza proprio in questo anno 2020.

142 Portera A., Globalizzazione e pedagogia interculturale. Interventi nella scuola, cit., p.32.

Cfr. Morin E. (2000), pp.82-95.

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delle altre culture, sulla base delle proprie categorie concettuali; il pensiero interculturale si caratterizza per la disponibilità a uscire dai propri confini culturali, al fine di entrare in territori nuovi, differenti e molteplici, che per essere esplorati richiedono un preciso progetto pedagogico, volto a un obiettivo: «quello della costruzione e dello sviluppo di un pensiero aperto e flessibile,

problematico e antidogmatico».144 Esso è allo stesso tempo:

un pensiero capace di decentrarsi, di allontanarsi dai propri riferimenti mentali e valoriali, di andare verso le altre culture per riconoscere e comprendere le differenze e le analogie; capace, inoltre, di tornare nella propria cultura avvalendosi dell‟esperienza del confronto, per valutare con maggiore consapevolezza la propria specificità nei suoi aspetti di positività e negatività.145

Il decentramento si esprime nella capacità di leggere e interpretare gli eventi secondo modalità differenti, «accettando positivamente l‟imprevedibilità e l‟irreversibilità, il possibile e il cambiamento». A livello interculturale, il decentramento è fattore necessario alla strutturazione del pensiero migrante, «per scoprire e comprendere le differenze e le connessioni nell‟incontro con le altre società e culture tanto, anche, da tornare a immergersi nelle proprie arricchiti dallo scambio avvenuto»146.