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La questione culturale

CAPITOLO 3. PEDAGOGIA INTERCULTURALE

3.10 La questione culturale

Di fronte a questo scenario di ibridazioni, di moltiplicazione delle interazioni tra gruppi, popoli, forme di conoscenza e di vita, sorge la paura di perdere la propria identità, di venire assimilati in un insieme indifferenziato e informe; la reazione conseguente è l‟irrigidimento dei confini, allo scopo di intensificare il senso di appartenenza e di rafforzare l‟identità del gruppo (ma anche quella individuale), legittimando la difesa in nome delle origini, che consegnano una tradizione da mantenere e difendere.

Tuttavia, “cultura” non è solo ciò che si eredita dal passato e si trasmette, ma è anche ciò che stimola il presente e permette ai soggetti di costruire una visione condivisa e allo stesso tempo non omogenea (sulla società, la politica, le tradizioni, ecc.), aperta a ulteriori rielaborazioni. Questa visione pensa l‟individuo come situato all‟incrocio tra diverse reti di relazioni, legate all‟ambiente e alle appartenenze; l‟educazione deve quindi essere vista come preparazione al futuro, mettendo in discussione l‟idea che la cultura sia omogenea – a partire da quella del proprio Paese –, scoprendone la «varietà di voci»298.

Spesso tendiamo a pensare la cultura altrui come omogenea, compatta, unitaria e uniformemente condivisa (rischio che si presenta non di meno nella visione che abbiamo della nostra cultura); siamo facilmente portati a ipotizzare che gli altri abbiano interiorizzato i valori trasmessi, a tal punto che questi prevalgono nella loro educazione culturale, in modo totalizzante. Tale concezione viene smentita dagli studi etnografici, che descrivono la trasmissione culturale come un processo in cui l‟individuo assume una prospettiva, ma allo stesso tempo è capace di partecipare efficacemente a sistemi multipli.299

Il panorama storico mondiale ha conosciuto periodi di grandi spostamenti di popoli, di incontri e di scontri, che ne hanno mescolato le strade; ma l‟altro non appartiene solo al passato secolare, si fa continuamente soggetto in movimento, non rimane negli spazi che immaginiamo per lui né nell‟orizzonte che gli riserviamo.

297 Ivi, p.24.

298 Gobbo F., Pedagogia interculturale. Il progetto educativo nelle società complesse, Carocci Editore, Roma 2000,

p.43.

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L‟altro diventa soggetto da conoscere, soggetto di cultura che rappresenta un‟alternativa possibile e dal carattere dinamico. La pedagogia interculturale favorisce un approccio positivo alla diversità, che rappresenta una sorta di sfida alla società monoculturale, che teme per la propria identità e per la sicurezza delle proprie risorse. Le persone sono chiamate a confrontarsi con i significati degli altri, di cui constatano la differenza (così come la somiglianza), individuando quali sono le forme e le categorie a cui un determinato gruppo attribuisce maggiore importanza300.

La destabilizzazione prodotta dall‟incontro, mette in moto processi cognitivi e relazionali, che superano la prospettiva etnocentrica; il momento di riconoscimento dell‟alterità avviene «come momento del fondamentale riconoscimento dell‟umanità di ciascuno, della sua appartenenza di diritto al genere umano»301.

L‟esperienza umana si basa sull‟intendere gli altri e sull‟intendersi con gli altri, senza essere per forza d‟accordo, ma acquisendo i significati e gli elementi culturali fondamentali, che vengono a costituire il punto di riferimento per spiegare le proprie azioni e interrogarsi su quelle altrui, nominando, descrivendo, interpretando, enunciando. Così il flusso culturale non scorre solo in direzione dell‟individuo come soggetto passivo, ma viene da questo modellato, in quanto membro di un gruppo, che non solo accumula ma anche interagisce.

Come le radici mostrano la loro potenza nell‟albero che si alza su di loro, così la forza di una cultura si manifesta nella sua capacità di accogliere altri mondi e di aprire le menti dei suoi membri e nella loro volontà di vedere le differenze e di apprezzarle, anche se ciò può risultare disorientante.302

Secondo quanto spiega Luigi Secco, a livello epistemologico bisogna considerare il concetto di

cultura come indispensabile, in quanto si educa il soggetto sempre in relazione ad un ambiente,

fisico e culturale, che rappresenta il contesto di riferimento (il soggetto ha necessità di comprendere la realtà in cui vive e di interpretarla per muoversi in essa); inoltre deve essere considerato in maniera dinamica, perché l‟autoconservazione è tipica delle società monolitiche.303 Secco propone di fondare la pedagogia interculturale sull‟essere dell‟uomo, partendo da un‟educazione comparata, per poi muoversi con approccio antropologico ed etnologico e valorizzare l‟apporto della

300 Ivi, p.67. 301 Ivi, p.49.

302 Demetrio D. – Favaro G., Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, FrancoAngeli, Milano

2002, pp.109-110.

303 Secco L., Educazione alla intercultura in emigrazione, in ID. (a cura di), Intercultura tra pedagogia e politica,

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pedagogia: ancora una volta, la pedagogia interculturale non dovrà essere considerata un settore della pedagogia generale, ma dovrà coincidere con essa: «nella società pluralistica e multiculturale ogni buona educazione deve essere interculturale»304.

Nel progetto di educazione interculturale ci si può riferire alla cultura secondo due accezioni, ossia intendendola come “reificata” oppure come “narrativa”; dal modo di intendere la cultura derivano poi conseguenze sul piano teorico – che ha a che fare con il modo di concepire le culture –, sul piano metodologico – rispetto a come si debbano intendere le culture –, e sul piano pratico – ovvero su come intendere, progettare e valutare l‟educazione interculturale.

La concezione reificata considera le culture come omogenee al proprio interno ed impermeabili, producendo sistemi di opposizioni rigide e codificate verbalmente, che si riproducono nella contrapposizione tra autoctoni e immigrati, tra generici “noi” e “loro”. In questa concezione le azioni dell‟individuo vengono interpretate alla luce della sua appartenenza culturale; il problema è che, nel caso dei figli degli immigrati, questo si traduce in una situazione di doppia assenza, invece che nella valorizzazione dell‟appartenenza a due culture.

L‟altra concezione della cultura è quella che la vede «come narrazione condivisa, contestata e negoziata»305, che valorizza l‟interazione delle zone di scambio, le aree di influenza reciproca, le mediazioni, l‟insieme delle risorse disponibili; la cultura viene ad essere così una narrazione polifonica, in cui l‟idea di una purezza culturale è rifiutata.