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Sulla formazione letteraria classicistica del Conti cfr F ULIVI, Il Classicismo del Conti, in

Settecento neoclassico, Pisa, Nistri-Lischi, 1957, 85-86; G. LATTUCA,Un letterato del I Settecento: Antonio Conti, «Atti dell’Accademia degli Arcadi», XIV, 1930, 91-163.

Le versioni contiane dall’inglese, a tal proposito, risultano per lo più frutto di una rielaborazione dei testi originali, alla quale contribuisce, di certo, il vivace interesse critico del traduttore. Un esempio evidente di tale atteggiamento è offerto dal Saggio di poetica tratto in parte dalla poetica inglese del duca di Buckingham, in cui l’autore, servendosi periodicamente del testo originale come di uno schema, svolge i singoli argomenti in modo autonomo, ampliandoli, di tanto in tanto, con temi della propria

esperienza culturale, estranei quindi al saggio del Buckingham98. Fra le

traslazioni dalla lingua inglese particolare attenzione merita, ai fini del nostro discorso, anche la versione del Rape of the Lock (Riccio rapito) di Pope, poeta che Conti aveva conosciuto al suo arrivo in Inghilterra. L’incontro con Pope avviene nell’ambito di un classicismo comune ad entrambi i letterati, nonostante la difficoltà dovuta alla duplice esigenza, da parte del traduttore, di trasferire il componimento nelle forme della poesia arcadica, con cui si era formato, senza tuttavia tradire i motivi poetici nuovi che in esso erano conservati. Nella prima metà del Settecento, infatti, per l’ambiente letterario italiano, dominato in questi anni dal fragile classicismo arcadico, le versioni di alcune opere del poeta inglese rappresentano una novità, introducendo un diverso modello di poesia, anche a testimonianza di un rapporto tra società e letteratura più concreto e diretto rispetto a quello vissuto in Italia negli stessi anni. Dietro le versioni dalla lingua inglese di Conti, come di altri traduttori del

98 «Il Saggio sollecitava il Conti ad interventi personali. Egli aveva iniziato a tradurlo, attratto

dai precetti e dalle idee della scuola classicistica inglese, subito dopo essere giunto in Inghilterra; nel corso del lavoro tuttavia le singole affermazioni del Buckingham sulla natura e sui generi della poesia lo stimolarono a precisare il suo pensiero sull’argomento. Il testo rappresenta dunque più che un saggio di traduzione una testimonianza dell’attenzione prestata in quegli anni dal Conti ai problemi poetici, un primo abbozzo delle sue idee in un campo in cui non cesserà di meditare per tutto il resto della vita» (GRONDA, Tradizione e

periodo, si avverte «l’eco delle discussioni critiche sulle opere originali, la

vitalità di una cultura non esclusivamente libresca»99. Appunto nella

vivacità degli interessi personali va ricercato il valore degli autori di questi testi, nonché la loro capacità di innovazione nei confronti di una letteratura per molti aspetti chiusa nell’ambito del componimento accademico. In tal caso, pertanto, la traduzione, lungi dal risultare un rigido ed inanimato “trasferimento” da lingua a lingua, diventa una mediazione tra due culture, ovvero tra due mondi letterari. Benvenuto Terracini, a proposito della distanza culturale tra il testo di partenza e quello di arrivo, scrive che la traduzione comporta non «riprodurre formalmente il linguaggio altrui, ma trasporlo da una forma culturale ad un’altra, giacché ogni lingua, considerata storicamente, ci appare come il

prodotto elaborato dalla tradizione di una particolare forma di cultura»100

e necessita, inoltre, di essere «preceduta da un minimo d’interesse pubblico che le dia il rilievo ed il sostegno che le occorre»101, al fine di esercitare un’efficace azione culturale.

Il profondo interesse per la cultura greco-latina, comunque, accomuna Conti ed il poeta inglese, il quale nella composizione del Riccio rapito aveva fatto ricorso ad Omero e Virgilio: proprio grazie a quest’affinità culturale con Pope il letterato padovano riproduce il testo eroicomico, rielaborandolo con autonomi riferimenti agli originali classici. Gli interventi personali del traduttore, già presenti nella prima redazione contiana, sono conservati fino a quella destinata alla stampa,

99 Ivi, 305.

100 B. TERRACINI, Conflitti di lingue e di cultura, Venezia, Pozza, 1957, 56. Andrebbe

considerata, al riguardo, anche la tendenza «interpretativa e glossematica» che, non raramente invero, caratterizza l’operazione del tradurre (si rimanda a G. CONTINI, Di un modo di tradurre, in Un anno di letteratura, Firenze, Le Monnier, 1942, 133-142).

testimoni di un sistema espressivo coerente e di un equilibrio fra i due metodi di traslazione (letterale e artistica)102.

Dal francese Conti traduce l’Athalie di Racine e la Mérope di Voltaire. La traduzione della tragedia raciniana si caratterizza per il rispetto del testo originale, contrapponendosi alle parafrasi e ai rifacimenti che, a partire dalla seconda metà del Seicento, erano stati divulgati con il sottotitolo opera accomodata per le scene alla maniera italiana103. Le numerose varianti apportate alla stesura definitiva rispetto alla prima redazione documentano, però, uno scrupolo di correttezza lessicale, finalizzato ad evitare il condizionamento della lingua francese104.

Diversa è, invece, la ricerca espressiva che muove la traduzione tragica della Mérope di Voltaire (innanzitutto per la particolare attenzione alle esigenze del pubblico e del teatro), cambiamento cui contribuisce anche il ritorno di Conti, nel 1726, in Italia: il traduttore, infatti, pur mantenendo scambi epistolari con gli amici francesi, cessa invero di

102Nella prefazione al manoscritto che contiene la prima stesura Conti scrive: «Nel tradurre

quest’opera io mi sono molto discostato dalle leggi rigorose della traduzione, e sono stato più sollecito ad esprimere l’idee e lo spirito del poema che le frasi e le figure del poeta» (A. CONTI, Versioni poetiche, a cura di G. Gronda, Bari, Laterza, 1966, 616). Concludendo la seconda stesura, anni dopo, scriverà: «Confrontando questa [la prima redazione] con l’originale inglese in quest’anno io l’ho ritoccata per farla più letterale» (ivi, 619). Nella prefazione alla terza redazione, recuperando in parte la libertà adottata nella prima, in riferimento al testo originale commenterà: «Nella sua versificazione ha il poeta non travestiti, ma vezzosamente applicati i passaggi de’maggiori poeti» (ivi, 35). Durante il cammino verso la stesura definitiva, quindi, Conti nella seconda redazione, come si evince dalla suddetta citazione di riferimento, sceglie una rigorosa fedeltà letterale, fino a giungere, nella stampa, ad un equilibrio fra i due metodi traduttivi.

103 Intorno al 1720 apparvero in Italia le prime traduzioni letterali in versi delle tragedie di

Racine, correggendo gli abusi con cui i traduttori precedenti avevano modificato elementi essenziali del testo originale: il numero degli atti e delle scene, spesso drasticamente ridotto, l’identità dei personaggi, lo svolgimento dell’intreccio, il verso, sostituito per lo più con la prosa (cfr. GRONDA, Tradizione e innovazione…, 334-335; N. MANGINI, Sul teatro tragico francese

in Italia nel secolo XVIII, «Convivium», XXXII, 1964, 347-364).

usare la loro come lingua quotidiana e riprende il naturale contatto con l’italiano, che aveva abbandonato al tempo della traduzione raciniana.

Le traduzioni dal greco e dal latino (svolte da Conti, come si diceva, dopo il suo rientro dall’estero in Italia, sulla base dello studio scolastico del latino e di quello del greco, appreso in Francia in età matura)105 sono pubblicate nelle Prose e poesie. Per quanto concerne la suddetta opera, vale la pena di ricordare che Conti aveva dato avvio alla stampa dei suoi scritti in una progettata edizione che avrebbe dovuto comprenderli in toto, secondo un piano organico e sistematico, ma che in effetti non vide mai la luce nella sua completezza. Una testimonianza dell’ordine generale che l’autore avrebbe voluto conferire alla propria opera è data dalla prefazione al primo tomo di Prose e poesie, pubblicato nel 1739. Dopo il primo tomo vengono stampati, nel 1740, alcuni dei testi che avrebbero dovuto costituire un’appendice e che, invece, confluirono nel secondo tomo, edito nel 1756 dall’astronomo Giuseppe Toaldo, sette anni dopo la morte di Conti (1749)106.

105 Proprio in Francia, infatti, l’autore approfondisce i propri rapporti con i membri

dell’Académie des inscriptions et belles lettres: si tratta di latinisti e di grecisti sotto la cui guida coltiva lo studio del greco ed inizia a tradurre Anacreonte, nonché di critici, dalle conversazioni con i quali nascono alcuni suoi interventi, sotto forma di dialogo o di lettera in lingua francese (cfr. GRONDA, Conti Antonio…, 355).

106 Cfr. A. CONTI, Prose e poesie, Venezia, Pasquali, 1739-1756, voll. 2 . Al secondo tomo di

Prose e poesie appartengono i testi con cui Conti, tra il 1719 e il 1722, prese viva parte alla querelle des anciens et des modernes e, in particolare, alla questione omerica, tracciando un

dettagliato resoconto dei dibattici critici e poetici in corso a Parigi. In questi scritti si ritrovano chiaramente l’insofferenza, da parte dell’autore, per le forme di generalizzazione e di astrazione, l’attenzione al condizionamento storico, nonché la connessa considerazione (di eredità soprattutto graviniana) della funzione didattica e civile, non solo di diletto, da attribuire alla poesia, la predilezione per alcuni poeti, etc. E’ possibile, quindi, in tali pagine, desumere i tratti che secondo Conti dovrebbero caratterizzare la poesia, sebbene la maggior parte delle dissertazioni e dei trattati di argomento estetico, storico e critico sia pubblicata solo in forma di riassunti e di estratti (sull’imitazione, sulla poesia greca, su quella italiana, su alcune opere della letteratura latina, sulla Ragion poetica del Gravina, …). Questi ultimi, desunti

Le versioni contiane dal greco e dal latino, come quelle dal francese e dall’inglese, sono state raccolte da Giovanna Gronda nelle Versioni poetiche107. Il presente volume, che adotta il testo di Prose e poesie, seppure con alcune correzioni, è stato utilizzato nel mio lavoro di analisi (inerente alla traduzione della sesta ecloga virgiliana e del carmen I 2 di Orazio proposta da Conti), unitamente all’edizione settecentesca di riferimento.

Il lavoro del traduttore, in questi testi, si accompagna alla sua esperienza di studioso e di erudito: le versioni, pertanto, sono corredate di Annotazioni, risultato di approfondite letture e ricerche sull’antichità classica. Conti evidentemente, come del resto i più autorevoli traduttori del tempo, considerava lo studio del mondo poetico e storico dell’autore una preparazione necessaria all’esercizio di traduzione dalle lingue greca e latina, accostando, quindi, al lavoro linguistico la ricerca erudita e storica. Nelle Annotazioni sull’artifizio poetico, in particolare, l’attenzione del letterato è focalizzata sui procedimenti stilistici e strutturali che caratterizzano la poesia originale.

Le traduzioni dal greco108 furono raccolte da Conti nel primo tomo

di Prose e poesie, edizione corredata anche del testo a fronte. È probabile,

ad opera del Toaldo da manoscritti per lo più incompiuti, spesso risultano separati dall’originario contesto.

107 Quest’edizione comprende rispettivamente le versioni dall’inglese (di Buckingham, Pope,

Montagu), dal francese (di Racine e Voltaire), dal greco (di Anacreonte, Saffo, Simonide, Callimaco) e, infine, dal latino (di Orazio, Virgilio, Catullo). Essa accoglie, inoltre, le indicazioni delle edizioni originali usate di volta in volta dal Conti e da cui sono stati tratti i testi di confronto.

Per la preparazione delle Versioni poetiche la Gronda ha anche utilizzato, in parte, il più ricco fondo di manoscritti contiani, che si trova presso la Biblioteca comunale Vincenzo Joppi di Udine: si tratta di dodici volumi autografi, ignorati, il più delle volte, dagli editori ottocenteschi di opuscoli del Conti (cfr. GRONDA, Conti Antonio…, 358).

108 Esse sono accompagnate da annotazioni, le quali offrono commenti eruditi, e da due

dediche all’abate Oliva. Conti, nella prima lettera dedicatoria, le fa risalire al suo secondo soggiorno francese, nel 1718, quando all’età di quarantuno anni «intraprese uno studio serio della lingua greca, di cui aveva avuti i primi elementi in Italia» (G. TOALDO, Notizie intorno la

però, che l’autore non curasse personalmente la stampa del testo greco collaterale alle sue versioni, lasciandone la scelta al tipografo Gianbattista Pasquali:

per lo più i testi greci e latini coincidono con quelli usati dal Conti per la sua traduzione; non ci si può tuttavia basare unicamente su di essi per stabilire l’edizione degli autori classici da cui il Conti ha tradotto. Meglio a questo scopo giovarsi delle citazioni contiane nelle Annotazioni e del testo della traduzione stessa109.

È certo, comunque, che il Nostro utilizzò, nel proprio lavoro di traslazione, le edizioni più autorevoli del tempo, che probabilmente aveva reperito all’estero, proprio negli anni in cui iniziava la sua dedizione agli studi classici110.

Dalla lingua greca Conti tradusse le Anacreontiche, il Carme ad Afrodite di Saffo, il frammento dell’ode a Perseo di Simonide e l’inno Lavacri di Pallade di Callimaco111.

vita e gli studi del Sig. Abate Conti, in CONTI, Prose e poesie…, II, 45). Rivedendole successivamente per la stampa, l’autore le rielaborò intorno al 1739, tenendo presenti traduzioni italiane più recenti.

109 G.GRONDA, Versioni dal greco, in CONTI, Versioni poetiche …, 675n. 110Cfr. GRONDA, Versioni dal greco…, 676.

111Le Anacreontiche sono all’incirca sessanta brevi odi, composte in età alessandrina su

imitazione della poesia di Anacreonte; si tratta, per lo più, di convenzionali e monotone ripetizioni dei motivi svolti dal poeta lirico del VI secolo a. C. (l’amore, il simposio…). Conti, secondo l’uso del tempo, le attribuisce direttamente ad Anacreonte. Il metro adottato nella versione italiana è l’ottonario, scelta giustificata nella seconda lettera dedicatoria.

In versi quinari e senari è la versione italiana del Carme ad Afrodite (Cantico a Venere nel testo contiano) di Saffo, poetessa lirica , che visse tra il VII e il VI secolo a. C. e la cui produzione poetica, suddivisa in nove libri a seconda dei diversi schemi metrici, si svolge unicamente intorno al tema dell’amore. Nel Carme ad Afrodite Saffo, travagliata da un amore non corrisposto, si rivolge alla dea (con cui si identifica la legge suprema della forza d’amore), affinché accorra da lei e garantisca, come già altre volte, il suo aiuto.

In endecasillabi sciolti è tradotto, invece, il frammento dell’ode A Perseo, celebre eroe della mitologia classica, figlio di Zeus e Danae, rinchiuso da Acrisio (re di Argo) in una cassa, gettata poi in mare. Simonide è un poeta vissuto tra il VI e il V secolo a. C., della cui opera lirica rimangono circa centocinquanta frammenti; fra questi, però, pochi raggiungono un’estensione tale da consentire di intenderne la portata. La sua poesia assume una

Nelle Annotazioni si rintracciano traduzioni di singoli versi di altri autori greci, tra cui un passo dell’anacreontica Elogio delle rose. In queste citazioni l’autore, quando non traduce personalmente, ricorre alle versioni italiane del Salvini (Teocrito volgarizzato da Anton Maria Salvini, Venezia, presso B. Coleti, 1717; Iliade d’Omero tradotta dall’original greco in versi sciolti e Odissea d’Omero tradotta dall’original greco in versi sciolti, Firenze, per Gio. Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1723), per quanto riguarda Teocrito ed Omero. Per le citazioni di Stazio, invece, fa uso della traduzione del cardinale Bentivoglio (La Tebaide di Stazio, di Selvaggio Porpora, Roma, appreso G. M. Salvioni, 1731, voll. 2)112.

Le traduzioni dal latino113 furono pubblicate con il testo a fronte nel primo tomo di Prose e poesie. È probabile che anche in questo caso, come per le versioni dal greco, l’autore non curasse personalmente la stampa del testo latino a fronte, lasciandone la scelta al tipografo Gianbattista Pasquali. Per tale motivo, come precedentemente rilevato, sarebbe

dimensione collettiva, allargandosi oltre i limiti dell’occasione e trascendendo l’argomento specifico, per parlare alla generalità degli uomini; da ciò le derivano la serietà di una meditazione esistenziale, nonché un’intenzione etica. Nell’Annotazione sopra il fragmento di

Simonide Conti scrive: «[…] Nulla v’è di più tenero che i lamenti di Danae che parla al

figliuolo che dorme [...]. Questo fragmento accresce il dolore della perdita del resto. Intanto voi in esso, nelle poche odi di Anacreonte ed in quella di Saffo avete i caratteri più dolci della poesia de’ Greci e certamente nel genere loro non men ammirabili che le loro statue» (CONTI, Versioni poetiche …, 297).

La traduzione dell’inno callimacheo Lavacri di Pallade (Sopra il lavacro di Pallade nel testo contiano) è arricchita da lunghe note ai singoli versi e da annotazioni generali. Callimaco, vissuto tra il 310 e il 240 a. C., è il più famoso dei poeti alessandrini. Fu scrittore molto erudito: a lui, infatti, si attribuisce una monumentale opera in 120 libri, intitolata Πίνακεѕ,

ovvero Tavole, specie di enciclopedia bibliografica divisa per generi; praticò, inoltre, ogni forma di poesia (elegia, epica, lirica, epigramma, etc.). I Lavacri di Pallade, che fanno parte di una raccolta di sei inni religiosi, iniziano con la rappresentazione di una festa, in occasione della quale, ad Argo, la statua della dea viene immersa nel fiume Inaco per un bagno rituale. Segue la narrazione mitica secondo cui Tiresia, figlio di una ninfa prediletta dalla dea, aveva scontato con la cecità la colpa involontaria di aver visto Atena al bagno.

112Si veda CONTI, Versioni poetiche…, 676.

113Esse risalgono agli anni immediatamente precedenti la pubblicazione del volume, come

opportuno basarsi non solo sui testi greci e latini a fronte, ma anche sulle citazioni contiane accolte nelle Annotazioni e sul testo della versione stessa, al fine di stabilire l’edizione degli autori classici utilizzata dal traduttore.

Fra le opere tradotte dal latino Conti destinò alla stampa la sesta ecloga di Virgilio, due odi di Orazio dedicate ad Augusto e la versione catulliana della Chioma di Berenice di Callimaco114. Le versioni, accomunate dalla scelta metrica dell’endecasillabo sciolto, sono accompagnate da una dedica a Girolamo Ascanio Giustiniani il giovane, interessato alla lettura dei più celebri poeti dell’antichità.

Nella lettera dedicatoria l’autore giustifica la scelta di trasporre i versi latini nella poesia italiana utilizzando il verso endecasillabo, da lui

114 Per una puntuale disamina della traduzione della sesta egloga virgiliana eseguita da Conti

cfr. infra, 76-97.

Le odi di Orazio, poeta vissuto in età augustea, sono centotre, divise in quattro libri. Il poeta pubblicò nel 23 a. C. i primi tre libri, cui aggiunse, dopo circa dieci anni, il quarto; tra le due raccolte si colloca la composizione, nel 17 a C., del Carmen saeculare, ovvero una serie di solenni invocazioni agli dei di Roma, perché esaudiscano le preghiere di Augusto ed assicurino all’impero eterna durata e prosperità. I motivi ricorrenti nelle odi oraziane sono il “carpe diem”, pronunciato con la consapevolezza malinconica della fuga temporum, quindi l’amore e il convito, che donano l’oblio dell’affanno. Altri luoghi privilegiati sono la natura come locus amoenus, l’elemento religioso, l’immortalità della poesia (non omnis moriar), il tema politico, et alia. Nelle odi dedicate ad Augusto è manifesta l’adesione del poeta latino al programma dell’imperatore. Per una dissertazione sulla resa dei carmina oraziani eseguita da Conti cfr. infra, 62-75.

La traduzione del carme catulliano è stata ristampata anche in Poema di Catullo sulla Chioma di

Berenice, tradotto dal Signor Abate Antonio Conti, di nuovo pubblicato, Crisopoli, co’ tipi bodoniani,

1793. Catullo, vissuto nella prima metà del I secolo a. C., appartiene alla scuola dei neoteroi (o “poeti nuovi”), che rifiutano le ampiezze e il tono solenne dell’antica epopea, indulgendo a una poesia che riservi ampio spazio alla confessione, all’indagine introspettiva e all’erudizione. La raccolta catulliana comprende centosedici componimenti, distribuiti in base alla lunghezza e alla loro forma metrica: nella prime parte confluiscono poesie brevi e di metro vario; i carmina docta, compresi nella seconda parte, sono quelli che presentano maggior estensione e che più risentono della poesia greca alessandrina.; i componimenti dell’ultima parte, per lo più brevi, sono in distici elegiaci. Nel carme La chioma di Berenice, che Catullo traduce con fedeltà dall’originale di Callimaco, si narra come la chioma di Berenice, regina d’Egitto e sposa di Tolomeo III Evergete, fosse stata assunta in cielo mutata in costellazione.

considerato «il più sonoro e magnifico che abbia la nostra lirica»115. Esprime, inoltre, le proprie considerazioni su quella che dovrebbe essere una “buona traduzione”, intesa come trasposizione non tanto delle parole quanto dei significati e dello spirito presenti nell’originale: «Mi pare che nella traduzione non basta conservar il senso letterale se ancora non si ombreggia nella copia un non so che di quello spirito che sostiene ed anima l’originale»116.

Sempre nella lettera dedicatoria, di seguito, Conti sottolinea l’importanza delle annotazioni che corredano le sue traduzioni, in particolare di quelle che riguardano l’artifizio poetico, «parte la più