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D I V IRGILIO EGLOGA

3.2 R IFLESSIONI TEORICHE SUL LINGUAGGIO TRADUTTIVO

Prima di soffermarci sulla ricodifica bondiana delle Bucoliche, non sembra ingiustificato illustrare le asserzioni teoriche - inerenti alla pratica traduttiva - più significative e generali fra quelle che si dipanano nelle

pagine premesse alla versione dell’Eneide175. Dove Bondi, a differenza

degli altri traduttori su cui si indaga nel presente lavoro, formula in esplicite rivelazioni di principio la scelta dei criteri adottati.

Segnala, innanzitutto, l’autore parmense la vacua genericità di taluni asserti teorici, i quali si riducono per lo più a letterali richiami di dichiarazioni stereotipate od a formulazioni affatto generiche:

Sono a tutti notissimi, e di citazione comune, certi famosi assiomi tratti da celebri Autori a proposito di traduzione: che il Traduttor pesar deve, non numerar le parole; che egli non è pittore, ma ritrattista; che assume un debito, di cui deve pagare tutta intera la somma, benché in diversa moneta, ec. Ma questi, e simili altri principj di indubitabile verità, che soglion essere erudito ornamento di prefazioni, son generali troppo ed astratti, né bastano d’ordinario per dar gran lume a chi legge, come non sempre servon di regola a chi li cita176.

Si sofferma, di seguito, sulle difficoltà formali insite nella pratica della transcodifica, constatando come «quel qualunque o pensiero, od immagine, o sentimento, che […] esprime l’originale poeta, […] il traduttor debba renderlo nella sua lingua così, che desti nella mente, nella

175 A queste riflessioni metodologiche, del resto, rinvia lo stesso autore, nella Nota che chiude

la traduzione delle Bucoliche: si veda infra, …

176 C.BONDI, Prefazione a L' Eneide di Virgilio, in L'Eneide, la Georgica e la Buccolica tradotte da Clemente Bondi, Palermo, presso Salvatore Barcellona, 1837, voll. 2, 3-4: vi si rimanda anche

per le citazioni che seguono. Per un’immediata consultazione si veda la trascrizione del testo riportata in appendice, 287-301.

fantasia, e nell’animo del Lettore quella stessa impressione». Ma fra il testo di partenza e quello di arrivo si frappone, beninteso, la diversità del codice linguistico: sicché le bellezze concrete dell’espressione ravvisabili nell’originale «sono perdute affatto, e s’annientano nella traduzione. L’obbligo dunque, e la difficile impresa del traduttore consiste in questo precisamente di compensarle, e supplirvi quant’è possibile, quelle sostituendo della sua lingua». Così da potersi comprendere il compito, per nulla agevole, di chi - come Bondi - si appresta, con coscienza mediatrice, a volgarizzare l’opera di altro autore (nella fattispecie Virgilio), trasferendone il pensiero e lo spirito nella veste esteriore del proprio codice, secondo un’attività accostabile a quella del rifacimento:

Libero quindi dalla sola fatica dell’invenzione, il grave incarco si addossa di dare ad un’anima già creta nuove membra, e nuovi organi proporzionati ed analoghi alla sua natura. Egli riceve, per così dir, dalle mani del primo Autore il pensier nudo, e spogliato della sua veste nativa, […], alla sua mente l’affida, che ad un secondo parto il disponga, e come il creasse ella di nuovo, lo rimpasti e modifichi in guisa alle grazie ed alle indole della nuova favella, che n’esca ei poscia quasi rifuso di getto, e sembri nascere allora per la prima volta.

A questo punto l’attenzione del letterato parmense si sposta sulle prerogative essenziali per una poetica traduzione. Questa deve, innanzitutto, apparire fedele e aderente al testo di riferimento, ma «non pedantesca e servile da gareggiare puerilmente colla corrispondenza, o col numero delle parole», né pedissequa al punto da restare circoscritta nell’ambito dell’esercizio letterario o recare il timbro del calco. Viene fornito, subito dopo, qualche elemento chiarificatore sulle condizioni di fedeltà a cui

sarebbe opportuno si conformasse un lavoro di trasposizione linguistico- letteraria:

Non basta, che a una bellezza del testo una altra sostituiscane il traduttore, è necessario, che sia del genere istesso. Le metafore, le figure, l’eleganza, le grazie, l’armonia stessa debbono conservare una certa analogia collo originale, onde il pensiero vestito di nuove spoglie non alteri le sue fattezze, e si presenti al Lettore nella sua naturale e primaria fisonomia.

Appare subito evidente, dal passo riprodotto, l’esigenza, secondo Bondi, che il traduttore penetri il testo oggetto di ricodifica (nel caso specifico quello virgiliano) scoprendone i più riposti segreti di stile e prospettandone, successivamente, una traslazione letterariamente consentanea al gusto, nonché all’atmosfera dell’originale. Più avanti si rileva, altresì, come ad un esito di successo sia solitamente sottesa un’affinità «d’indole e di carattere» fra l’autore ed il traduttore, grazie alla

quale il secondo riesce a filtrare i toni e gli accenti del primo177. Quasi

dire, in altri termini, che soltanto una conformità attenta allo stile ideato nell’opera di partenza ed una reale adesione critica, unite ad un intimo e felice incontro fra autore e traduttore, possono dar luogo ad una creazione che mantenga le fattezze dell’originale. A proposito del possibile riverbero - entro un sistema linguistico - di immagini, suoni e ritmi riscontrati in un testo del passato, non è irrilevante la riflessione di Fubini per cui la parola poetica «ha in sé insita una forza di irradiazione,

177 Non a caso Fubini, nella seconda metà del secolo successivo, scrive: «Certo vi saranno dei

gradi nella comprensibilità e nella, relativa, traducibilità di un’opera di poesia, secondo che ci sia soltanto una comunanza generica di umanità o una più o meno stretta di tradizioni civili, culturali, letterarie, linguistiche» (M.FUBINI, Sulla traduzione, in AA.VV., Studi di varia umanità

un principio di universalità che la rende almeno potenzialmente

accessibile a uomini di altro tempo e di altra gente […]»178. Proprio tale

energia creativa, la quale accomuna la nostra alla lingua di altri popoli, ci consentirebbe, per ciò, di sentire vicini grandi scrittori e poeti del passato o, comunque, a noi lontani.

Ma facciamo ritorno, dopo questa breve escursione, alla “critica traduttiva” di Bondi, trattenendo ora lo sguardo su un passo atto a lumeggiare le sue convinzioni a difesa della «nazionale originalità», in virtù della quale il traduttore dovrà rivolgere ogni cura alla propria lingua, evitando di contaminarla con forme sintattiche ed elementi lessicali estranei. Se da una parte, quindi, è doverosa l’adesione continua dell’opera di ricodifica al testo di partenza (alle sue movenze e sfumature, ai suoi passaggi di idee e di stile), in rapporto con l’animo del primo autore, dall’altro è invero da evitare che «si framischino insieme le incompatibili prerogative» per le quali si distinguono essenzialmente i due registri espressivi:

Il familiare commercio e il lungo uso di due lingue ad un tempo ne confonde alla mente le rispettive proprietà; la fantasia imbevuta di miste immagini spesso trasfonde senz’avvedersene le maniere, le frasi, la sintassi, il colore dell’un idioma nell’altro, onde avvien poi, ch’ei risentasi di un certo sapor non suo, come i Viaggiatori sovente d’un accento straniero. Dee dunque gelosamente da questa corruttela difendersi la traduzione, e conservare una certa, dirò così,

178 Ivi, 790. Tralasciando il confronto fra originale e traduzione (giacché le singole voci di un

lessico, così come le forme stilistiche, non possono trovare in un altro esatte corrispondenze), lo studioso si sofferma, difatti, sul continuum, ossia sulla vita espressiva da cui emerge l’opera singola, la quale raccoglie in sé elementi del passato, divenendo a sua volta «forza operante, elemento vivo di una tradizione che non può essere chiusa nei limiti di un particolare linguaggio» (ibidem).

nazionale originalità, di lasciar quasi, se ciò fosse possibile, dubitare il Lettore a quale delle due Lingue il Poema179 originariamente appartenga.

Il passo appena riprodotto potrebbe definirsi, a mio avviso, sintesi ideale di un atteggiamento di pensosa preoccupazione nei confronti della lingua e del lettore italiani, che si coniuga ad una scelta di aggiornamento di lessico, volta non a stravolgere, ma a rapportare strumentalmente l’antico al moderno. Si tratta, in altri termini, di un processo di attualizzazione linguistica (proposto, sia pur in maniera assai implicita, anche da Conti e, come si vedrà più avanti, da Focisco Sideate), con cui il letterato parmense vuole rendere al meglio fruibile per il lettore del suo tempo il testo classico, senza incrinarne, però, il messaggio. Stando a queste premesse, un lavoro di traduzione (o, meglio, di traduzione sagace ed attenta) implicherebbe, con un passaggio quasi inavvertito, uno scarto rispetto all’originale, quindi la sua “riproposta”.

Da un atteggiamento di cura nei confronti sia del codice d’arrivo che della prima «immutabile idea» (nella fattispecie l’«idea» virgiliana) ha, per altro, origine la predilezione bondiana per un uso libero - per quanto possibile - della rima e delle forme metriche, alle quali i pensieri (almeno quelli orientati a svolgersi armonicamente) non devono soggiacere costretti, per ovviare al «doppio rischio, inevitabile in metri e rime troppo legate, o di alterare il testo notabilmente parafrasandolo, o di corrompere la traduzione con frasi improprie o con versi duri, contorti, e stirati a forza sul letto di Procuste»180.

179 L’espressione «Poema» si riferisce, beninteso, all’Eneide. Ma le citazioni delle idee

bondiane in fatto di traduzione, se pur desunte dalla premessa alla versione del poema epico virgiliano, sono valide e trasferibili - diremmo - alla più generale problematica del tradurre.

180 Nota finale a La Buccolica di Virgilio tradotta in versi italiani da Clemente Bondi, Vienna, Degen,

Non mancano, per di più, in seno alla premessa, richiami parenetici ai futuri lettori, che Bondi divide in tre generali tipologie: i lettori che non conoscono il latino; quelli che si accingeranno a leggere la sua traduzione solo «per ozio» e per procurare «alla loro curiosità un piacere rapido e passeggero» (per questi, come per i primi, fondamentale presupposto è una conoscenza, anche superficiale, della mitologia, della storia romana e della civiltà antica); finalmente i lettori che vorranno seriamente studiare la sua opera ed esserne giudici. Agli ultimi l’autore suggerisce pochi, ma essenziali criteri, in base ai quali una valida traduzione dovrebbe rispondere alle seguenti prerogative: «[…] di essere un buon libro per sé; […] di esserlo in tutte le relazioni all’originale; […] infine di unir questi due pregi in qualche grado, o in qualche senso maggiore fra tutte l’altre». Da queste considerazioni appare ancora una volta - e direi in maniera chiara - constatabile la proposta bondiana: da un lato all’opera traduttiva si richiede di mantenere, lungi dall’imitazione servile, i connotati di autonoma creazione, sì da far parlare al classico la stessa lingua del lettore; dall’altro, però, è opportuno emergano nella stessa lo spirito e gli accenti dell’originale, affinché i due testi (latino e italiano) si muovano in versione parallela, non in un albero di “dissoi logoi”.

Ad una rilevazione superficiale, invero, gli atteggiamenti assunti da Bondi possono apparire contrastanti. Ma ad una lettura più attenta si evince, nei fatti, una tentata sintesi fra una resa traduttiva più letterale

rimanda alla mitologia classica: Procuste (più corretta la variante “Procruste”) era un gigantesco brigante che, sulla strada da Megara ad Atene, rapiva i viandanti, torturandoli poi su due letti di lunghezza diversa. Su quello più corto stendeva le vittime alte, troncando le loro membra al punto in cui ne sporgevano fuori; su quello più lungo stendeva le vittime basse, stirandone le membra fino all’estremità del letto stesso. Si imbatté, però, un giorno in Teseo, il quale lo uccise facendogli subire il medesimo supplizio.

(ove risulti immutabile l’espressione di partenza) ed una più libera (ove richiesto dalla valenza obbligata della lingua d’arrivo). Si tratterebbe, in altri termini, della conciliazione versatile di due momenti: l’inveramento di Virgilio attraverso il “riciclaggio” linguistico-stilistico da una parte; il suo adattamento ad un nuovo registro dall’altra. Non è da escludere, per completare il discorso, che al procedimento riflessivo dello studioso collaborino spinte congiunte del gusto arcade (volto, solitamente, alla ricodifica letterale dei classici) e del gusto neoclassico (più incline, invece, al rifacimento).

Malgrado l’impegno letterario tradotto nello sforzo di ricercare la forma più felice di traduzione, le versioni bondiane non assunsero particolare rilevanza nella fervida attività traduttiva settecentesca181. Né sono convergenti, poi, i giudizi a noi più vicini sulla sua opera. Segnaliamone subito due fra loro poco o punto conciliabili. Stando a Barbarisi «il risultato della presunta consonanza del B[ondi] con Virgilio fu una lettura corretta ma incolore del poeta latino» e il traduttore conseguì gli effetti migliori «sul piano del calligrafismo descrittivo»182. Faccioli, per converso, apprezza di Bondi la consapevolezza letteraria che lo rende interprete discreto e coerente della poesia virgiliana, «nel senso che non vi esercita forzature inopportune e che è fedele al proprio gusto, il quale risponde alle caratteristiche del tempo e all’ambiente in cui egli opera»183.

Ma al di là dei discussi risultati creativi restano ad ogni modo assai

181 Si veda, al riguardo, R. SOLMI, Intoduzione a Poeti del Settecento, Torino, UTET, 1989, 56. 182 BARBARISI, Bondi Clemente…, dove si legge ancora: «E quell’unità di tono e di ritmo da lui

teorizzata si risolse troppo spesso in una grave monotonia».

183 E. FACCIOLI, La traduzione virgiliana nei secoli XVIII e XIX (1707-1866), in Mantova. Le Lettere, Mantova, Istituto Carlo d’Arco per la storia di Mantova, 1959, I, 176.

rilevanti, e a mio avviso indicative del dibattito settecentesco, le riflessioni teoriche sulle quali si è poc’anzi disquisito, soprattutto per la densità speculativa ed il procedimento dialettico con cui l’autore si sforza di realizzare una soluzione del problema estetico-traduttivo, motivando, al contempo, le sue scelte e preferenze.