• Non ci sono risultati.

D I V IRGILIO EGLOGA

3.1 L A PRODUZIONE LETTERARIA

Nato nel 1742 in un villaggio parmense (Mezzano Superiore), da una famiglia di modesti commercianti, Clemente Bondi, in seguito alla morte del padre, fu accolto - dodicenne - da uno zio nel seminario di Parma e, qui, mantenuto agli studi. Nel 1760 entrò a far parte della Compagnia di Gesù, indossando l’abito di gesuita e, quindi, tenendo l’insegnamento di Grammatica presso un collegio di Padova, sino all’abolizione della Compagnia, nel 1773162.

Talché la soppressione dell’istituto di cui egli stesso faceva parte lo ispirò suggerendogli la canzone allegorica Nell’abolizione dei gesuiti (1773), là dove echeggia la riprovazione per l’ingiustizia di cui, in quell’episodio, la Chiesa dava prova, unitamente al risentimento, più o meno distinto, dei gesuiti nei confronti di Clemente XIV. La canzone, circolata prima come manoscritto e stampata, poi, auctore ignaro, gli procurò - nota Croce - «minacce e persecuzioni, ma essa fu forse il solo suo atto virile»163. In Verseggiatori del grave e del sublime Croce apprezza difatti lo spirito morale (non di moralista) e la sincerità che animano l’ode di Bondi, il quale

in una canzone, sotto l’immagine della grande nave che, squarciata nei fianchi, vien sommersa nelle onde, esprime il suo smarrimento e la sua indignazione per il colpo ultimo e micidiale che il papa inferse alla compagnia di Gesù, decretandone l’abolizione […]. Rimproveri che gli escono dal petto con impetuosa e giusta indignazione e sono fondati sull’evidenza del vero […]. La parola qui è seria perché serio è

162 Cospicue notizie biografiche su Clemente Bondi si riscontrano in BARBARISI, Bondi Clemente…, 727-730; G. NATALI, Il Settecento, Milano, Vallardi, 1964, II, 65-66; L. CARETTI,

Clemente Bondi, in G. Parini, Poesie e prose. Con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a

cura di L. Caretti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956, 783-784. Si veda anche, per la fruizione dei classici nella temperie letteraria - e più in genere culturale - del Settecento veneto, D. NARDO, Minerva veneta: studi classici nelle Venezie fra Seicento e Ottocento, Venezia, Il cardo, 1997.

l’animo che la pronunzia164.

Ancora a proposito della serietà di sentimenti ed idee che, ne L’abolizione dei gesuiti, sembra allontanare Bondi dalla frivolezza del cerchio arcadico, Binni nota (in virtù di un rilievo più attento da conferire alle varie fasi della poetica settecentesca) come il momento arcadico, nei fatti, abbia «la sua vera vitalità solo nella prima metà del Settecento […]. Più tardi altre esigenze e altre condizioni culturali trovano nuove sintesi letterarie»165.

Allo stesso periodo risalgono una tragedia (Il Malesindeto) ed un poemetto in ottave (La giornata villereccia, del 1773), «pieno di quadretti a tinte piuttosto scialbe, ma fluide e piacevoli» e in cui l’autore, descrivendo un allegra giornata trascorsa in campagna dai convittori di un collegio, «tradusse anche il suo più nativo gusto edonistico-idilliaco e una disposizione di facile narratività»166.

Di lì a poco, Bondi si stabilì a Mantova in qualità di precettore presso una famiglia di nobili. In questi anni di florida attività poetica si dedicò, in primis, alla stesura di poemetti descrittivi e ironici, i quali rivelano una vaga consonanza pariniana, specie in virtù di una «sciolta ed

164 IDEM, Verseggiatori del grave e del sublime, ivi, 5 (1946), 45.

165 «Una conoscenza del Settecento richiede [pertanto] un’attenzione acuta al variare delle

condizioni di cultura e di poetica sia nei riguardi della preparazione del romanticismo (con la sua fase particolare di romanticismo neoclassico), sia nella sua interna vitalità complessa» (W. BINNI, Aspetti della poetica neoclassica nell’ultimo Settecento I, «Rassegna della letteratura italiana», s. VII, LVII, gennaio-giugno 1953, 265 n.).

166 IDEM, Il Settecento letterario, in AA. VV., Storia della letteratura italiana, a cura di E. Cecchi e N.

Sapegno, Milano, Garzanti, 1988² (prima edizione: 1968), 543. Croce non riconosce al poemetto la presenza di una schiettezza umanamente viva. Commentando, infatti, due fra le ottave in cui viene, nel dettaglio, descritta la preparazione della polenta, registra : «Leggendo versi come questi, si osserva con chiarezza come, senza il momento del sentimento, la fantasia non possa iniziare alcun processo poetico, o che, se mai questo momento sentimentale e passionale c’è stato nell’autore, la fantasia non ha saputo approfondirlo e farlo suo» (CROCE, Clemente Bondi …, 49).

elegante capacità di tipizzazione modestamente moralistico-satirica di personaggi e caratteri sofisticati e alla moda»167. Prova ne sia La felicità (1775), in ottave sciolte, dove viene ripreso il “mito del buon selvaggio”, attraverso l’antitesi, più che diffusa, fra l’età primitiva (in cui sovrana della terra era Felicità) e l’età moderna (sovrastata e corrotta da Errore)168.

Anche ne La Moda (1777), in endecasillabi sciolti, campeggia una contrapposizione fra la semplicità e l’integrità dei popoli primitivi ed il modus vivendi dell’Europa (soprattutto dell’Italia) moderna, contaminato - di contro - da frivolezze e speciosità: l’intento moralistico resta sotteso alle descrizioni di costume, che concorrono a ravvivare il contenuto e,

spesso, sono «condotte con minuzia da poeta didascalico»169.

Non dissimilmente, il disegno satirico-moralistico soprassiede alla composizione delle Conversazioni (anch’esse in versi sciolti), del 1778, riflettendo le tensioni storico-sociali del secondo Settecento e trovando voce - a conclusione del poemetto - in una celebrazione dell’autentica salubrità della vita campestre.

È stato notato come La Moda e Le Conversazioni risultino, amendue, ampiamente esemplate sul Giorno di Parini. Più palesemente le ultime, per la galleria di ritratti (chiare tipizzazioni morali) che Bondi dipinge dei membri “impegnati” nel conversare, rappresentandoli - sardonicamente -

167 BINNI, Il Settecento letterario …, 543. 168 Cfr. BARBARISI, Clemente Bondi …, 728.

169 Ibidem. Indicativa la scelta del verso affrancato da rima, l’uso del quale, alla metà del

secolo, per una notevole parte di componimenti, si può presumere determinato non più da scelte edonistiche o esornative, bensì da un meditato impegno civile e scientifico (sia esso satirico, didascalico, divulgativo…): «il nuovo strumento metrico oppone al fascino melodico, cantabile, evasivo della strofe un carattere di maggiore razionalità, discorsività, prosasticità. […] L’endecasillabo libero da rima, già utilizzato nel recitativo teatrale e autorizzato dalla prassi cinquecentesca nel poema didascalico e nelle versioni dalla poesia antica, viene utilizzato in nuove forme» (GRONDA, Introduzione a Poesia italiana …, XXVII).

attraverso l’ironia antifrastica170. Basti pensare ai versi 872 ss., abitati dalla descrizione dell’«affettata e patetica Melania, che sfoggia la maniera appresa in brevi viaggi oltremontani»171.

Fra gli scritti del soggiorno mantovano si novera, per di più, un’anacreontica di tono faceto e di contenuto - propriamente - scatologico (La Cacajuola, pubblicata a Venezia nel 1808), la quale però, in seno all’esperienza poetica del Nostro, costituisce un episodio isolato.

Senonché, sin dall’ultima fase della sua esperienza a Mantova, Bondi, invero, si dedicò, essenzialmente, ad un’intensa e sagace attività traduttiva. E ciò - va da sé - a riscontro del fatto che «di regola i traduttori - asseriremo con Dionisotti - anche erano o si proponevano di diventare uomini di lettere debitamente qualificati: appartenevano alla società stessa degli autori di poesie e prose originali»172. Prova ne siano, tenendoci al caso bondiano, le versioni dell’Eneide, delle Georgiche, delle

Bucoliche173, nonché delle Metamorfosi ovidiane, a cui abbiamo -

cursoriamente - accennato e rispetto alle quali tenteremo, più avanti, di offrire elementi chiarificatori.

Intorno al 1790 lo studioso parmense si trasferì a Milano, stabilendo

170 Ancorché non sia da tralasciare come nel poemetto affiorino moduli letterari del Mattino e

del Mezzogiorno, occorre però, al contempo, considerare inverisimile una derivazione imitativa dalla Notte (a cui, nondimeno, le Conversazioni sono accomunate dalla materia trattata), in virtù del semplice fatto che quest’ultima vide la luce postuma, solo con la prima edizione completa del Giorno (1801), ovvero dopo la pubblicazione del poemetto bondiano.

171 BINNI, Il Settecento letterario …, 543. Ma Croce (in Clemente Bondi …, 51) ascrive alle Conversazioni lo stesso difetto di passione e viva schiettezza arguito, precedentemente, da

alcuni versi della Giornata villereccia (cfr. supra, 3): non offrendo quei ritratti «nuove osservazioni di vizi morali e sociali» e non giustificandosi «con la passione che li muove e a cui servono nell’attualità di determinate situazioni storiche». Caratteristiche che, di converso, si riscontrano, nel Giorno di Parini. In verità, i ritratti del Bondi «non hanno altra origine che la sua stessa virtuosità di saper ben fare descrizioni di tipi».

172 C. DIONISOTTI, Tradizione classica e volgarizzamenti, in Geografia e storia della letteratura italiana,

Torino, Einaudi, 1967, 143.

173 Per la lettura ed un’attenta disamina sulla traduzione delle Bucoliche virgiliane proposta da

la propria dimora presso l’arciduca Ferdinando, allora governatore della Lombardia.

Agli anni milanesi risalgono la composizione dei versi Su l’inutilità delle satire, là dove si prospetta l’esigenza che siano esaltate le virtù piuttosto che rappresentati i vizi del tempo; una canzonetta dal tono mesto e nostalgico, Il congedo della gioventù; vari sonetti occasionali e di maniera; altri in cui l’autore rivela, inusitatamente, un’edonistica mondanità; composizioni di argomento religioso (l’Orazione funebre nelle solenni esequie di Leopoldo II, l’Orazione accademica sopra Maria Vergine Assunta in Cielo, l’Orazione in lode di S. Luigi Gonzaga) e morale (Il Matrimonio. Sonetti XII morali); nonché liriche sentimentali (sei Cantate, di derivazione metastasiana)174.

In seguito al trasferimento dell’arciduca Ferdinando in territorio austriaco (nello specifico a Brünn), Bondi venne chiamato alla sua corte, scelto all’uffizio di bibliotecario. Stabilitosi in ultimo, nel 1810, con l’entourage del suo protettore, a Vienna, ivi rappresentò l’estrema figura di poeta cesareo, fino alla morte (1821).

Nel corso della permanenza austriaca, il letterato parmense curò una raccolta completa - in tre volumi - delle sue poesie (edita nel 1808), nonché la preparazione di un volumetto, Il Saggio di sentenze e proverbii epigrammi ed apologhi serii e scherzevoli (pubblicato nel 1817), in seno al quale si raccolgono le sue rime epigrammatiche e moraleggianti.

174 Si rimanda a BARBARISI, Bondi Clemente…, 728 e NATALI, Il Settecento …, 66, per i