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.. Innovazione e nuovo

Nella sua tipologia dei “modi di produzione segnica”, Umberto Eco () definisce due possibili modalità di “invenzione” (pp. –), ovvero di invenzione della relazione tra i funtivi della significazione che avviene con- testualmente alla generazione della loro prima occorrenza. In altre parole, è questo il caso dell’invenzione di un linguaggio e delle convenzioni semio- tiche che lo regolano (ivi, p. ). Entrambe le modalità sono riconducibili alla relazione tra i piani dell’espressione e del contenuto di tipo ratio difficilis (p. ), ovvero il caso in cui il segno non si basi su un tipo espressivo preformato, selezionato in base al contenuto che si deve veicolare (ratio

facilis, ibid.), ma in cui “il tipo espressivo coincide con il semema veicolato

dall’occorrenza espressiva” o, in altri termini, “la natura dell’espressione è motivata dalla natura del contenuto” (pp. –). Se per tutti gli altri modi

di produzione segnica (riconoscimento, ostensione, replica; pp. –) vale il principio per cui, “sia che si tratti di ratio facilis o di ratio difficilis, si riconosce la corrispondenza tra tipo e occorrenza a causa della preesistenza del tipo come prodotto culturale, anche se è un tipo del contenuto” (p. ), secondo la catena di passaggi “stimoli→modello percettivo→modello semantico→trasformazione”, ciò non vale per il modo dell’invenzione.

Definiamo come invenzione un modo di produzione in cui il produttore della funzione segnica sceglie un nuovo continuum materiale non ancora segmentato ai fini che si propone, e suggerisce una nuova maniera di dargli forma per trasformare in esso gli elementi pertinenti di un tipo di contenuto. L’invenzione rappresenta il caso più esemplare di ratio difficilis realizzata in una espressione eteromaterica. Poiché non esistono precedenti circa il modo di correlare espressione e contenuto, occorre istituire in qualche modo la correlazione e renderla accettabile (Eco , p. ).

Occorre istituire, ex novo, un codice. Nel caso dell’invenzione, cioè, si dà uno scavalcamento dei modelli di riferimento che consentono di ricondurre

. Nelle pagine successive del Trattato, Eco precisa i termini di questa “motivazione”, muovendo una critica alla tradizionale nozione di iconismo.

 Frammenti di un disco incantato

un’occorrenza a un tipo. I testi estetici rappresentano un tipico esempio di produzione segnica nelle modalità dell’invenzione (pp. –).

I due tipi di invenzione di cui parla Eco sono l’invenzione “moderata” e l’invenzione “radicale”. Nel primo caso, “si proietta direttamente da una rappresentazione percettiva in un continuum espressivo, realizzando una forma dell’espressione che detta le regole di produzione dell’unità di conte- nuto equivalente” (p. ); in altri termini, a essere scavalcato è il modello semantico (la catena sarà in questo caso del tipo “stimoli→modello percet- tivo→trasformazione→modello semantico”), perché una data struttura percettiva, nuova, sarà postulata come ricollegabile a un modello semantico di per sé già codificato. In questo caso, l’occorrenza non è frutto “di pura e semplice invenzione, ma deve offrire altre chiavi: stilizzazioni, unità combi- natorie codificate, campioni fittizi e stimolazioni programmate. È solo in virtù dell’azione combinata di questi elementi, e in un gioco reciproco di aggiustamenti, che la convenzione si stabilisce” (p. ). Eco propone come esempio di invenzione moderata quello delle immagini di tipo “classico” (ibid.), per esempio La madonna del cardellino di Raffaello ( c.ca). Nel secondo caso, la catena di passaggi sarà del tipo “stimoli→trasformazione →modello percettivo→modello semantico”, perché:

il mittente praticamente “scavalca” il modello percettivo e “scava” direttamente nel continuum informe, configurando il percetto nello stesso momento in cui lo trasforma in espressione [. . . ]. In questo caso a trasformazione, l’espressione realizzata, appare come un artificio “stenografico” attraverso cui il mittente fissa i risultati del suo lavoro percettivo. Ed è solo dopo aver realizzato l’espressione fisica

che anche la percezione assume una forma e dal modello percettivo si può passare alla rappresentazione sememica. [. . . ] In questo caso si ha violenta istituzione di codice,

radicale proposta di nuova convenzione (ivi, p. ).

Eco propone come esempio di invenzione radicale quello delle “grandi innovazioni della storia della pittura”, per esempio gli impressionisti (p. ).

Nel nostro modello, in una prospettiva intrasistemica, e quindi etnose- miotica, abbiamo visto come, nelle dinamiche semiosferiche, si dia novità (novelty, newness) in due possibili modi: in presenza di combinazioni non attestate di affordance già attestate, e di nuove affordance, ovvero affordan- ce non attestate. Entrambi i modi possono dare vita a una esplosione, nei termini di Lotman (a un “evento”, in quelli di Alain Badiou, ), ovvero generare nuovi spazi di cultura. Possiamo far corrispondere il primo tipo di novità alla invenzione moderata di Eco, e chiamarla “innovazione” (innova-

tion); possiamo far corrispondere il secondo tipo alla invenzione radicale,

e chiamarla “nuovo” (the new). Nel nostro modello, però, la novità non è relativa alla relazione tra piano dell’espressione e piano del contenuto come nell’invenzione echiana, ma alla relazione tra affordance e sfondo semanti-

. Forme della novità 

co–generico; nel primo caso di novità si danno relazioni tra figure conosciute

e sfondi diversi da quelli a cui queste sono di norma associate (generando figure ambigue), nel secondo le figure sono sconosciute e non possono essere proiettate su alcuno sfondo. Nei termini di Massimo Leone (), potremmo parlare di modelli patrimoniali, “ossia con esclusivo ricorso a risorse interne” (p. ), per l’innovazione, e di modelli matrimoniali, “perché assorbono i propri elementi da un esterno” (p. ), per il nuovo; ovvero, di modelli endogamici e modelli esogamici.

Nel nostro modello, il primo tipo di novità ne implica una concezione quantitativa e combinatoria (Eco , Leone ), come riformulazione dell’esistente, ovvero di elementi che l’individuo situato in una data comuni- tà sa riconoscere, per averne avuto esperienza attraverso testi preesistenti, ma che, così configurati, non appaiono immediatamente leggibili se pro- iettati sullo sfondo semantico a cui è abituato a ricondurli (essendo, difatti, la risultante di una proiezione su sfondi diversi). Si tratta di una rifunzio- nalizzazione, risemantizzazione, ovvero, sul piano pragmatico, di un uso non attestato. La scelta dell’etichetta innovazione vuole riflettere il carattere continuo, durativo, processuale e sistemico di questo tipo di novità; nei ter- mini del modello, essa coincide con la contaminazione che gli è strutturale, ovvero deriva dal contatto tra semiosfere generiche, centrali e periferiche. In altri termini, definiamo innovativi testi che presentano proprietà ascrivibili a sfondi generici diversi (sottosemiosfere sociolettali e idiolettali, centrali o periferiche). La novità così definita è descrivibile attraverso tutte le categorie del mutamento e della variazione linguistica, della transtestualità genetteana (Lacasse b) e delle “pratiche di replicabilità” (Dusi e Spaziante ), anche in senso inter e crossmediale (Wolf ). Ne sono esempio i generi formatisi per genrefication letti come declinazioni stilistiche, sottogeneri; è questo il caso di molti scheumorfismi di genere. Ne sono esempio i generi formatisi per genrefication cui viene assegnato il valore di genere autonomo (riformulazione genealogica) o sostitutivo (anacronimia), forme innovative esplosive.

Il secondo tipo di novità, il nuovo, implica l’ingresso nel sistema di testi e generi, e quindi affordance, esterni, non configurati, non riconosciuti dall’individuo e dalla comunità che ne sovrintendono al funzionamento, ovvero che non rientrano nelle loro competenze. Si tratta di una nozione extrasistemica e qualitativa di novità, come forma non attestata. In prospetti- va sistemica, o meglio metasistemica, e quindi metasemiotica, anche questo tipo di novità, che è la risultante di un contatto (sempre in termini linguisti- ci), è una combinatoria: tra sistemi musicali diversi; pensiamo alla scoperta occidentale delle musiche orientali, da cui a partire dagli anni Sessanta del Novecento deriverà l’estetica definita minimalista. Ma possono anche darsi casi di nuovo che fuoriescono dai sistemi musicali o che vi si installano ex

 Frammenti di un disco incantato

abrupto.

Il primo è il caso di quella che abbiamo chiamato musicizzazione di pezzi di mondo (cfr. par. .), ovvero di elementi appartenenti ad altre semiosfere della cultura che vengono tradotti in termini musicali; non si tratta solo dell’ingresso della Storia nella musica (pensiamo alle opere politiche di Luigi Nono, Cornelius Cardew e simili), ma anche di forme del mondo cui viene “data la parola” per la prima volta nella semiosfera musicale (è questo il caso dell’ingresso del rumore naturale nell’estetica della musica colta, sancito definitivamente, dopo i prodromi di Luigi Russolo, con Pierre Schaeffer e John Cage). Il secondo è il caso di una neoformazione poietica o iniezione tecnica, ovvero del presentarsi di nuovi mezzi di produzione musicale. Con ciò non si devono intendere solo invenzioni tecnologiche in senso stretto (per esempio l’elettrificazione e amplificazione degli strumenti acustici, gli strumenti elettronici, l’uso poietico degli apparati fonografici, gli strumenti autocostruiti, i cosiddetti mixed–media audiovisivi, l’audio binaurale ecc.), ma anche nuovi metodi compositivi (dodecafonia e se-

rialismo, che agiscono non sul piano sostanziale della musica in quanto suono, ma su quello delle forme del contenuto) e nuove forme di notazione (le notazioni eterodosse della classica–contemporanea; dagli spartiti per intonarumori, alle partiture aleatorie di Cage, a quelle grafiche impiegate nelle improvvisazioni eterodirette di Butch Morris e John Zorn).

Abbiamo quindi tre possibili tipi di affordance che possiamo pienamente definire nuove per un dato sistema: affordance derivate dalla musicizzazione di (nuovi) pezzi di mondo (nuovi temi, ma anche nuovi ambiti espressivi), affordance generiche extrasistemiche (contatto tra sistemi musicali diversi) e derivate da un qualche tipo di iniezione tecnologica (nuovi suoni, ma anche nuovi modi di concepire e organizzare il suono).

Riprendendo la classica opposizione lévi–straussiana, se l’innovazione si dà per bricolage di materiali già semiotizzati (perché interni al sistema), la selezione di quali tra i possibili materiali nuovi che vi fanno ingresso andran- no messi a sistema, oppure rifiutati, sembra in qualche modo orientata da un agire di tipo ingegneristico, ovvero in accordo con un insieme di regole: le pertinenze, le convenzioni semiotiche vigenti nel sistema.

.. Innovazione e tendenza

Nei termini di Massimo Leone (), “l’innovazione nasce dalla fusione di due o più sistemi semiotici [. . . e] rileva somiglianze strutturali tra questi

. Si pensi allo stupore generato dal funzionamento degli strumenti fonografici, analogo a quello per quelli cinematografici, agli albori della loro comparsa (Eisenberg ).

. Forme della novità 

sistemi, somiglianze che non si vedevano prima che l’innovazione avvenis- se” (p. ). Nei termini di Giulia Ceriani (), queste latenze, consonanze implicite e non manifestate, tra sistemi semiotici, precondizioni o motori dell’innovazione (nel nostro modello, le forme assenti contemporanea- mente evocate e inibite che rendono uno sfondo generico accogliente per una nuova combinazione di affordance), individuano una tendenza, ovvero un movimento di proiezione tensiva verso un oggetto che sta per un dato valore o insieme di valori.

Diversamente dalle mode passeggere, fenomeni superficiali di costu- me, la tendenza è un meccanismo strutturale di regolazione ritmica delle trasformazioni culturali, fondato sulla logica della differenza, ovvero del- l’alternanza, tra “saturazione” (“frequentazione eccessivamente ripetuta di [. . . uno] stesso insieme di valori”; ivi, p. ) e “desaturazione”. La tendenza è l’istanza di mediazione tra due diversi set di valori, tra la desaturazione dei primi e la crescente saturazione dei secondi, ovvero tra tradizione e innovazione, laddove quest’ultima, prima o poi, non sarà più colta come tale. Coagulatasi nei processi sistemici di “invenzione quotidiana” (p.  e sgg.),

la tendenza rappresenta il momento di emersione di una “forma di vita” (pp. –), ovvero una forma di discontinuità rispetto al sistema culturale, che riceve dalla comunità una valorizzazione positiva, ergendosi a modello.

La tendenza si manifesta come concatenazione di testi superficialmente eterogenea, ma internamente coerente, perché le mutazioni sul piano delle configurazioni di superficie che essa presenta sono riconducibili a elementi formali comuni, invarianti strutturali e mitiche (Ceriani rileva in un corpus eterogeneo di testi pubblicitari i medesimi “tratti isotopanti”, in particolare uno stesso tipo di relazione figura/sfondo; p.  e sgg.).

Nei nostri termini, la tendenza individua un momento di progressiva ma decisa centralizzazione di attestazioni provenienti dalla periferia; un caso musicale esemplare, da questo punto di vista, è rappresentato dall’utilizzo di una forma “periferica” come il dembow/reggaeton in un testo divenuto centrale, mainstream (e di grandissimo successo), come il brano Hips Don’t

Lie di Shakira (): letto proprio nei termini di un progressivo “esaurimen-

to del predominio dei generi nord americani e inglesi causato dagli scenari mondiali attuali, caratterizzati da fenomeni di globalizzazione, diaspora e deterritorializzazione” (Agostini , p. ).

L’individuazione di una tendenza all’interno di un corpus o di un sistema autorizza la possibilità di formulare, entro certi termini, previsioni. È questo il caso — limite, e per questo ancora più interessante — di alcune recensioni

. I “movimenti continui” lotmaniani (cfr. par. .). Per la nozione di “invenzione del quotidiano” si veda de Certeau ().

 Frammenti di un disco incantato

di dischi immaginari scritte da Dionisio Capuano per la rivista “Blow Up” tra il  e il  (Marino ). In estrema sintesi, le invenzioni di Capua- no si giocano tutte nella forzatura del confine tra possibile (inteso come potenziale) e plausibile (inteso come verosimile) all’interno del sistema delle musiche (inteso come macchina combinatoria): i dischi molto razio- nalmente fantasticati da Capuano sono i dischi di una “discoteca di Babele”, che incarnano il principio secondo cui perché un disco “esista, basta che sia possibile. Solo l’impossibile è escluso” (Borges , ). Il discorso sulle musiche possibili, riducendosi necessariamente a combinatoria “mostruosa” delle musiche attuali, è di fatto un pretesto per affrontare il discorso sulle possibilità residue della musica (la “musica di ricerca come ricerca della musica”, nei termini di Capuano). Nell’intreccio tra possibile e plausibile, allora, si presentano come sorprendentemente plausibili dischi solo possibili (è questa la norma per i dischi immaginari di cui ha scritto il critico), si presenta come immaginario un disco realmente esistente (il bootleg Antony

and the Zanatos di Antony, “Blow Up” , maggio )e si immagina un

disco che solo poi è divenuto reale: la recensione del fantomatico The Ecstacy

of Saint Therese dei Portishead (“Blow Up” , settembre ) descrive

con buona approssimazione l’album Third, pubblicato, dopo lunghe attese e infiniti rinvii, soltanto nel . Ecfrasi senza referente fondata sulle latenze, gli spazi di possibilità rintracciabili nella precedente produzione della band inglese.

. Con bootleg si intende un’opera, tipicamente fonografica, pubblicata in forma non ufficiale e senza il consenso di chi — casa discografica, artisti ecc. — ne deterrebbe i diritti.

Capitolo VIII