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.. I generi come tag cloud

Quando si scrive un post su un blog è possibile indicare la categoria a cui il post appartiene, ovvero il tipo di testo, e contrassegnarlo da tags, ovvero parole chiave. Se si vuole scrivere un post che sia una pagina di diario in cui si parla di ciò che si è fatto la sera di Natale si potrà indicare “Diario”, “News”, “Cosa ho fatto” o simili per la categoria e “Natale”, “famiglia”, “amici”, “cena”, “piatti tipici” o simili per i tag. Una volta pubblicato il post

online, categorie e tag appaiono sul blog come link cliccabili (categorie e tag sono metadati, esplicitano la natura del dato e, indicizzate dai motori di ricerca, ne facilitano il reperimento). Cliccando sul nome di una data categoria (“Diario”), si avrà accesso a una pagina che restituisce tutti i post del blog inseriti in quella categoria. Parimenti, cliccando su un dato tag (“Amici”), si otterrà una pagina con tutti i post contenenti quel tag. Categorie e tag si incrociano: post di una stessa categoria conterranno più tag, post contrassegnati da uno stesso tag apparterranno a più categorie, l’accesso a uno stesso post potrà avvenire attraverso categorie e tag diversi (ammesso che esso ne contenga più d’una e più d’uno; ovvero l’accesso potrà avvenire a seguito di diverse queries al database del blog).

Per quanto con tag cloud si intenda in senso stretto un insieme di parole cliccabili costituito dai nomi dei tag “più letti” di un sito, dove la gran- dezza del testo ne riflette la maggiore o minore importanza in termini quantitativi, per il nostro Gedankenexperiment dobbiamo immaginare un tag cloud–universo che includa tutti i tag (sia per post, sia del blog; postuliamo di non avere tag che rimandino a testi privi di categoria). Inoltre, dobbiamo immaginare che l’utente che visita il blog e legge i singoli post non abbia accesso diretto alle categorie, ma solo ai tag. Nel nostro modello, il singolo post corrisponderebbe al singolo testo musicale, le categorie ai generi musica-

li, i tag alle proprietà o affordance musicali, le query che l’utente è in grado

. Si confronti questo modello con quello dei files e delle directories in Eco (, par. .). . Per Gaetano Berruto (), il “tipo di testo”, nozione attraverso cui abbiamo esplicitato il termine “categoria” relativamente al post sul blog, non è sovrapponibile a “genere” (che è un “con- cetto più ampio”), in quanto rende conto soltanto del “formato che adegua le strutture linguistiche

 Frammenti di un disco incantato

di effettuare alle sue competenze musicali. Cliccando sul singolo genere –— cosa che al nostro utente non è dato di fare — avremo una collezione di testi musicali contraddistinti da diverse affordance (e inclusi anche in altri generi), cliccando sulla singola affordance — cosa che il nostro utente può fare — avremo una collezione di testi musicali inclusi in diversi generi (e contraddistinti anche da altre affordance).

L’insieme delle affordance risultante dall’unione delle affordance presenti in tutti i testi musicali ascritti a un dato genere individuerebbe i possibili pragmatici impliciti nelle proprietà sintattiche, semantiche e materiali “atti- vate” dal genere, ovvero tutti i suoi possibili ground (cfr. par. .). Sarebbe questo il caso di un ascoltatore specializzato e onnisciente (a rappresentare tutti gli ascoltatori possibili), in grado di risalire, attraverso i singoli testi, a tutti i ground che contraddistinguono tutti i testi ascritti a un dato genere; i ground così individuati costituirebbero un Contenuto Molare tendente al Contenuto Nucleare (inteso come somma di tutti gli interpretanti) del genere in oggetto. In tutti gli altri casi, si tratterebbe dei CN del genere padroneggiati dal singolo ascoltatore. In altri termini, il singolo ascoltatore ha accesso al genere, a partire dal singolo testo, solo attraverso le affordance che è in grado di riconoscere come pertinenti, ovvero in base alle proprie competenze (derivate dalla precedente esperienza d’ascolto di altri testi musicali o dal “contatto” con il CN relativo al genere di altri ascoltatori).

Un ascoltatore potrebbe voler assegnare a un dato set di tag/affordance ricorrenti un nome (diverso da quello della categoria/genere a cui sono ascritti i post/testi in cui sono presenti tali tag); ciò rende conto del fatto che non solo gli ascoltatori caratterizzano uno stesso genere (uno stesso nome) con tag/affordance diverse, ma che assegnano a uno stesso genere (inteso come uno stesso set di caratteristiche/affordance) nomi diversi. Generi affini (e quindi anche un genere primario, da una parte, e i suoi generi secondari derivati, dall’altra) saranno quelli a cui vengono ascritti testi musicali contrassegnati da una medesima affordance o da un medesimo set di affordance. Il nostro ascoltatore, cioè, può individuare un’affinità

tra generi solo attraverso il confronto di singoli testi che presentano una medesima affordance o un medesimo set di affordance.

alla funzione nel contesto” (p. ). Nel nostro modello, la categoria del blog sussume sia il formato individuato dal tipo di testo, sia gli aspetti culturali che caratterizzano il genere. Potremmo anche immaginare una seconda serie di categorie, parzialmente sovrapponibili alle prime, per l’insieme degli stili; categorie, quindi, crosscategoriali, perché attraversano più generi. Così facendo, però, complicheremmo troppo il modello: consideriamo allora gli stili come costituenti, assieme ai generi, le categorie.

. Sui set di affordance si vedano i “museme stacks” e “strings” di Tagg (cfr. Conclusioni della Parte I).

. I generi musicali come semiosfere 

.. Dai tag cloud alle nuvole

Le rappresentazioni visive della musica, più o meno di senso comune o sistematizzanti e formalizzate, che è possibile reperire su Internetrestitui-

scono l’immagine di un dominio che è una sommatoria (unione, in termini insiemistici) di generi, e funzionano: per affinità (le relazioni tra i generi vengono mostrate in un dato momento T raggruppando generi che con- dividono caratteristiche simili secondo diversi gradi di prossimità; es. le rappresentazioni ricavate dalle pratiche di tagging effettuate dagli utenti su Wikipedia o Last.fm) o genealogia (rendono conto di uno sviluppo cro-

nologico–storico, da un momento T a un momento T; questo tipo di

rappresentazione è impiegata anche per mostrare lo sviluppo diacronico di un singolo genere). Queste rappresentazioni possono essere di tipo grafico (un insieme di campi o insiemi disposti su un piano), logico (diagrammi di flusso), topografico (mappe, insiemi bi o tridimensionali) o geografico (le musiche sono collocate all’interno di cartine, in luoghi fisici reali).

Un modello dei generi come tag cloud ci consente di precisare rappre- sentazioni di questo tipo, rendendo conto della complessità del sistema, ovvero rileggendo le classificazioni non come rigide griglie tassonomi- che/topografiche che assegnano ad alcuni insiemi certe caratteristiche e che congelano le aree di intersezione tra insiemi, ma come “nuvole (quelle che stanno nell’atmosfera, o le nuvole di probabilità delle particelle elemen- tari), bulbi, infiorescenze, curve in uno spazio a n dimensioni” (Fabbri F. a, p. ). Rappresentazioni, cioè, capaci di rendere conto, in maniera sistemica, del dinamismo dei generi, delle “contaminazioni, o attraversa- menti” (ivi, p. ) che animano le culture musicali. Queste immagini si rifanno alla celebre similitudine proposta da Iannis Xenakis (, p. ):

I mondi della musica classica, contemporanea, pop, folk, tradizionale, d’avanguar- dia ecc. sembrano formare unità autonome, a volte chiuse, a volte compenetrantesi. Presentano incredibili diversità, abbondano di nuove creazioni, ma anche di fossiliz- zazioni, rovine, detriti, tutto ciò dandosi in formazioni e trasformazioni continue, come nuvole, così articolate e così effimere. Ciò si spiega in considerazione del fatto che la musica è un fenomeno culturale, dunque subordinato a un momento preciso della storia. Tuttavia, possiamo distinguere parti che sono più invarianti di

. Basta cercare su Google Images le stringhe “music genres” e “musical genres”.

. Un tipo di classificazione dei generi per affinità, non necessariamente di tipo grafico, è rappresentato dalle classificazioni della musica in base al suono, così come analizzato da un computer, ovvero attraverso la riduzione della musica a spettrogramma. Un pioniere di questo — controverso — tipo di analisi è David Cope ().

. Sulle “music visualizations” si veda Wong (). Più in generale, sulla sovrapposizione discorsiva tra dominio musicale e sistema dei generi: va sottolineato come le ricerche empiriche sui consumi musicali siano di fatto, per lo più, indagini sui generi musicali; si vedano, in tal senso esemplari, Ala et al. () e Gasperoni, Marconi e Santoro ().

 Frammenti di un disco incantato

altre e costituiscono pertanto materiali di una durezza e coerenza tali da perdurare per varie epoche della civiltà, e materiali che si muovono nello spazio, creati, lan- ciati, trascinati da correnti di idee, che cozzano gli uni con gli altri, influenzandosi, annichilendosi, fecondandosi mutualmente.

I tag del nostro tag cloud, in particolare, costituirebbero le “n dimensioni” della nuvola del sistema dei generi, ovvero le pertinenze in base alle quali il singolo soggetto e le comunità configurano un genere e, quindi, l’insieme dei generi nella loro totalità. I tag, come dei magneti, polarizzano testi e generi, restituiscono di essi solo certe caratteristiche, e individui e comunità riducono testi e generi a certi tag piuttosto che ad altri, ovvero possiedono differenti prototipi, differenti Contenuti Nucleari del genere. Banalmente, “un genere ha significati diversi per persone diverse o [. . . ], ammesso che

possa denotare la stessa cosa per persone diverse, almeno connota cose diverse” (Fabbri F. ivi, p. ). Forse anche perché “non tutti i cavalli sono ugualmente rappresentativi della cavallinità, esistono cavalli più ‘cavalli’ di altri” (p. ). Esistono cioè testi più prototipici di altri, rispetto alla propria genericità, perché contengono tratti (i nostri tag, cioè quelli che di volta in volta abbiamo chiamato musemi, figure, proprietà, disponibilità, affordance musicali) ricorrenti, percepiti come marcati (nel jazz, i testi che hanno grammaticalizzato certi tratti, ovvero stabilito forme prototipiche, sono chiamati “standard”).

L’idea che individui diversi, appartenenti o meno a comunità diverse, assegnino significati diversi a uno stesso genere, ovvero a uno stesso nome (e chiamino in un modo un genere che altri chiamano in un altro modo), non implica tanto che esistano diverse concezioni di una stessa cosa, ovvero visioni diverse di una stessa realtà (relativismo filosofico), quanto piutto- sto che esistano proprio diverse realtà; nei nostri termini, diversi sistemi (prospettivismo, multinaturalismo). Per quanto, in un’ottica semiotica o

meglio metasemiotica, sia possibile immaginare un dato genere come unio- ne dei diversi significati attribuiti a quel genere (travalicandone anche la denominazione; è il genere inteso come CN globale), in un’ottica etnose- miotica, esistono tanti generi diversi chiamati con uno stesso nome, o meno, presso diverse comunità (CN locale). In questa prospettiva, i generi e i loro sistemi sono letteralmente “mondi possibili”, che coesistono e possono

entrare in contatto tra loro.

. L’impiego del termine “tratti” non implica una concezione dizionariale, ovvero a tratti–formanti limitati, del dominio semantico.

. Per queste due nozioni si vedano, rispettivamente, Eduardo Viveiros De Castro () e Philippe Descola ().

. Per il dibattito tra Eco e Volli sulla nozione di “mondo possibile”, elaborata dal primo, si veda Eco () e (, cap. , pp. –).

. I generi musicali come semiosfere 

.. Dalle nuvole alle semiosfere

Il modello che, alla luce della natura non mimeticamente linguistica, ma costitutivamente linguistica dei generi sembra permettere una descrizione — se non completa — sufficientemente ricca del loro sistema è quello delle semiosfere di Jurij M. Lotman (), riletto alla luce del modello che abbiamo proposto (tag cloud, nuvola a n dimensioni)e integrato con la

semantica morfologica delineata da François Rastier ().

La musica, in quanto discorso (della musica e sulla musica; oggetto conte- nuto dai discorsi costruiti su di esso), rappresenta la macrosemiosfera ultima, quella della lingua musicale (al di fuori, vi sono le altre semiosfere del sistema della cultura e, soprattutto, le macrosemiosfere musicali di altre culture). I

singoli generi, in quanto discorsi (del genere e sul genere), rappresentano

le sue articolazioni in ulteriori sottosemiosfere, di natura sociolettale. Trovia- mo poi gli stili, semiosfere idiolettali. Le semiosfere generiche e stilistiche si compenetrano. All’interno delle semiosfere, “galleggiano” i testi musicali, nella loro dimensione di discorso (dei testi e sui testi), definendo zone a maggiore o minore densità.

Come detto, i generi non sono solo insiemi di testi in atto ma anche in potenza, cioè insiemi di caratteristiche, proprietà, desunte induttivamente dai testi, ma che poi agiscono autonomamente e deduttivamente, come regole per la creazione di testi, come repertorio di tratti architestuali. Queste caratteristiche, queste proprietà sono le nostre affordance. Testi, generi e stili, e quindi la macrosemiosfera musicale tutta, non sono che selezioni e combinazioni possibili di affordance. Uno sguardo al complesso delle se- miosfere, in un dato luogo P e in un dato momento T, restituisce l’ontologia delle musiche di un dato individuo in una data comunità in un dato mo- mento storico, così come sancita dai discorsi–su (dai discorsi sulle musiche, ovvero dalle “descrizioni metastrutturali” del sistema, che hanno funzione grammaticalizzante, in termini lotmaniani). Uno sguardo al sistema in quan- to meccanismo funzionante, nel suo riconfigurarsi al mutare del tempo e dello spazio, dell’individuo e della comunità che lo prendono di volta in volta in carico, ci restituisce un’immagine metasemiotica delle musiche. Uno stesso testo musicale può essere tante cose diverse, per individui e comunità diversi, perché, nel nostro modello, è tante cose diverse, ovvero

. Si precisa che l’immagine della nuvola, come si spera risulti chiaro dalla descrizione del modello, non implica una concezione asistemica della “globalità del senso”, intesa come “‘nebulosa’ o [. . . ] rete di rimandi infiniti e indefiniti” (Pezzini e Sedda , p. ), ovvero una concezione ineffabile delle strutture che lo reggono.

. Rastier, come visto (cfr. par. .), parlerebbe della “lingua” in termini di “dialetto”.

. Ciascun genere, cioè, ha un proprio metalinguaggio (un “dialetto”, nei termini di Fabbri F. a, pp. –).

 Frammenti di un disco incantato

impiega affordance condivise (con altri testi, con altri generi) e attiva affor- dance diverse (a seconda delle competenze di volta in volta messe in campo da individui e comunità).

La posizione dei singoli testi rispetto alle semiosfere generiche e stilisti- che si congela, temporaneamente, di volta in volta, secondo i diversi tipi e gradi di pertinenza attraverso cui vi si ha accesso; ovvero in base alla selezio- ne di certe affordance, sulla base di certe competenze. I testi, agglutinazioni di affordance, emergono cioè come figure dallo sfondo delle semiosfere: “uno sfondo semantico è una ‘regolarità’, la costante di un uso attestato

da una comunità culturale” (Rastier , p. ), ovvero l’insieme delle affordance la cui selezione e combinazione è grammaticalizzata. Seguendo Rastier, i contorni delle figure–testo avranno maggiore o minore nitidezza (compattezza vs. diffusione della figura) a seconda della relazione con lo sfondo (denso vs. rarefatto); a seconda dei tratti che le costituiscono, cioè, le figure–testo potranno essere “annegate” ma intelligibili (“sfondi in forma”, relazione di somma) o potranno stagliarsi ma essere inintelligibili (“forme in sfondi”, relazione di diffusione). Immaginiamo che testi prototipici, che rispettano cioè le grammaticalizzazioni, appariranno conformi allo sfondo ed emergeranno compatti come punti in cui lo sfondo dà vita a una forma significante; testi peculiari — combinazioni di affordance poco frequenti, non attestate o includenti affordance nuove per il sistema — appariranno come “figure ambigue” che emergono da uno o più sfondi. Attraverso tali figure, tali “momenti critici”, “punti di diramazione”, lo sfondo semantico si automodifica, si riconfigura, crea nuove pertinenze, in forma di “rottura di sfondi semantici e connessione, rottura o modificazione di forme se- mantiche, modificazione reciproca di forme semantiche, modificazione dei rapporti fra forme e sfondi” (ivi, p. ). Le peculiarità dei momenti critici possono dipendere da qualsiasi “punto di marcatura”, nei termini di Rastier, ovvero da qualsiasi affordance o combinazione di affordance, nei nostri termini. In altre parole, qualsiasi elemento della musica può essere motore della variazione e apportatore di novità.

.. Traduzione tra semiosfere e musicizzazione

Ciascuna semiosfera, a qualsiasi livello, è allo stesso tempo testo e meta- testo, linguaggio (nei diversi livelli della lingua o dialetto, del socioletto e dell’idioletto) e suo metalinguaggio, sostanza specifica e sua verbalizzazione. La traduzione tra semiosfere, a qualsiasi livello, appare quindi garantita dalla loro dimensione discorsiva, ovvero dal fatto di possedere un piano del contenuto che può essere tradotto attraverso materie e sostanze diverse, e, da ultimo, verbalizzato.

. I generi musicali come semiosfere 

Nel nostro modello, testi e generi si danno solo come combinazioni di affordance; a uno sguardo metasemiotico sul funzionamento del sistema, le semiosfere cioè si mostrano come un incessante ricombinarsi di tali elemen- ti: “la semiosfera [. . . ] ribolle come il sole” (Lotman , p. ). Da una parte, ciascuna affordance o set di affordance è implicato in testi e generi diversi, situandosi al centro di una rete rimandi e sovrapposizioni tra testi e tra generi (affordance crossgeneriche); dall’altra, vi sono affordance e set di affordance grammaticalizzati in certi generi piuttosto che in altri (affordance

generi–specifiche). Si danno allora due casi di passaggio o prestito. Il primo

è il caso di musiche tra loro imparentate, come per esempio la teoria che include rhythm and blues, funk, disco, hip hop, electro e techno, che con- dividono la stessa pulsazione ritmica sincopata di base (ripetuta a formare loop), “inventata” dalla prima forma musicale e “passata geneticamente”, attraverso le altre, fino all’ultima (cfr. par. .). Il secondo è il caso dei generi sincretici, ovvero di forme derivate, composte o fusion. In entrambi i casi, ogni movimento di affordance va inteso correttamente come forma di adat- tamento ambientale, di traduzione; le pertinentizzazioni del “genere fonte” (source) verranno cioè rilette attraverso il sistema di quelle del “genere foce” (o, più in generale, del sistema target), non potendo risultare che in una “imperfetta traduzione” (Sedda , ). Semplificando, la pulsazione alla base della techno è equivalente a quella dell’r’n’b, ma non identica; la “techno” del techno pop è equivalente a quella della techno tout court, ma non identica. Le due equivalenze agiscono su piani differenti. Nel primo caso, potremmo dire che l’affordance è mutata sul piano dell’espressione, ma non del contenuto; è in base a questo principio, a questa “riformula- zione genealogica”, che i musicisti hip hop o techno possono dire ancora oggi di fare “musica funk contemporanea”, inserendosi in un “continuum del boom bap” (boom bap continuum). Nel secondo caso, potremmo dire

che l’affordance è mutata sul piano del contenuto, ma non dell’espressione; la “techno” del techno pop è descrivibile come uno scheumorfismo, un elemento che nel contesto originario aveva valore funzionale e nel nuovo contesto assume un valore puramente estetico (si tratta, semplificando mol- to, della distinzione tra genere e stile). In considerazione di tutto ciò, quella che chiamiamo contaminazione va pensata come meccanismo costitutivo della formazione e definizione di generi e testi, e non come eccezione.

Affronteremo in dettaglio, precisandone ulteriormente i termini, le dinami-

. Titolo di un mixtape digitale che ripercorre, passando in rassegna più di  beats, per più di produttori, la storia della pulsazione funk attraverso l’hip hop, dalle origini fino alle sue propaggini strumentali ed elettroniche: tall, Dj Clockwork, Kper (a cura di), A Boom Bap Continuum, , bit.ly/dJAf.

. È questa, come visto (cfr. par. .), la critica mossa alla nozione di “in–betweenness” proposta da Holt.

 Frammenti di un disco incantato

che semiosferiche e le questioni della traducibilità tra generi, come fonte di rinnovamento del sistema (cfr. infra, par. .).

Possiamo chiamare la traduzione di elementi appartenenti ad altre se- miosfere culturali da parte della semiosfera musicale, ovvero le traduzioni di “pezzi di mondo” che non siano il mondo–musica in musica, “musicizza- zione” (musicification, “rendere musica, fare musica”). Confrontiamo due

esempi di traduzione dello stesso pezzo di mondo, allo scopo di mostrare la diversità di risultati cui si può giungere a partire da pertinentizzazioni (di generi) differenti: gli attacchi terroristici dell’ settembre  al World Trade Center di New York.

New York, estate : il musicista elettronico William Basinski sta cer- cando di salvare alcune vecchie registrazioni su nastro magnetico risalenti al , copiandole in formato digitale. I nastri sono così deteriorati che, nel momento stesso in cui vengono messi in riproduzione, per effettuar- ne la copia, cominciano a disintegrarsi. Il risultato di questa disintegrazio- ne–in–corso–di–riproduzione viene registrato (fonofissando la riproduzione di una disintegrazione). Basinski afferma di avere terminato il lavoro la mat- tina dell’ settembre (anche se è probabile che abbia terminato prima, alla fine di agosto) e di essere rimasto seduto sul tetto del proprio appartamento a Williamsburg con alcuni amici, ascoltando la registrazione, mentre le torri fumavano e, alla fine, collassavano. Il musicista registra un video dell’ultima ora di luce di quel giorno, puntando la videocamera, con un’inquadratura statica, sul fumo proveniente dalle torri ormai crollate. Un fotogramma tratto dal video è stato utilizzato come immagine di copertina di The Disinte-

gration Loops (CD pubblicato nel  dall’etichetta di Basinski, ), disco

che contiene due tracce, rispettivamente di  e  minuti circa, ricavate da quelle registrazioni. Le note di copertina recitano: “Questa musica è