La tendenza calviniana a investire le sue narrazioni di valori simbolici, come quelli approfonditamente visti per L’avventura di un viaggiatore e L’avventura di un poeta, non sembra essere presente nel primo racconto di VD. La critica ha spesso definito La formica
argentina un «divertissement realistico-allegorico»227. Tuttavia, Calvino si oppose fortemente a questa etichetta, rifiutando qualsiasi tipo di interpretazione, appunto, allegorica o simbolica: in una lettera del 1960, indirizzata alla critica Ornella Sobrero e citata dalla studiosa Francesca Serra, l’autore dichiara che si tratta di un «racconto assolutamente realistico [riguardante una] notissima piaga della Riviera di Ponente»228. La formica argentina è la causa del dolore e del disagio provati da una famiglia appena trasferitasi in Riviera ed effettivamente descritti con toni molto inquietanti229, inventando sia i personaggi che la storia narrata, ma il punto è che non si tratta di un motivo di sofferenza immaginario, bensì di
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Cfr. Italo Calvino, Presentazione, in Gli amori difficili, op. cit., p. XV-XVI. 226 Simone Tonin, op. cit., p. 191.
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Giuseppe Bonura, op. cit., p. 68. 228
Cit. in Francesca Serra, Calvino, Salerno Editrice, Roma, 2006, p. 130.
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un insetto scientificamente attestato, che fu un flagello reale. Su questo Calvino, così aperto e anzi spesso incuriosito dalla varietà delle interpretazioni, non deroga. [Non è] un male simbolico ma del tutto naturale.230
In questo racconto il male, di cui dapprima semplicemente si vocifera, viene concretamente mostrato «smontato dai simboli [e collocato] nel tangibile quotidiano, nei dettagli materiali che non fanno dormire, non fanno trovar requie al corpo nel mondo».231
Difatti, non appena congedati il signor Reginaudo e la moglie Claudia nell’appartamento affianco al loro, i coniugi protagonisti rientrano nella nuova casa ancora inesplorata, segnando così l’inizio del tormento:
[…] Mia moglie andò al lavandino per un bicchiere d’acqua; […] –Ah! – gridò lei, - vieni! – Aveva visto le formiche sul rubinetto e la fila che veniva giù per il muro. Accendemmo la luce, una lampada sola per due stanze, e le formiche erano una fila fitta che traversavano il muro e venivano dalla cornice della porta e chissà donde avevano origine. Ora le nostre mani ne erano coperte e noi le tenevamo aperte davanti agli occhi cercando di veder bene com’erano, queste formiche [argentine]. (VD, p. 143)
D’ora in avanti, ci sarà un crescendo di tensione direttamente proporzionale all’aumento del numero di formiche che i coniugi vedranno saltar fuori da ogni angolo della casa, giungendo all’acme della disperazione quando anche il corpo del loro bambino verrà ricoperto dagli insetti ma soprattutto quando, in seguito al confronto con i vicini sui metodi da utilizzare per sconfiggere il nemico, i personaggi si renderanno conto che non esiste nessuna soluzione che possa contrastare questa creatura di cui si avverte la presenza tramite soprattutto le sensazioni che il contatto con essa provoca:
[…] certo dovevo averlo già sentito dire altra volta, che questo era un paese dove c’era «la formica argentina», e solo adesso sapevo quale sensazione si dovesse collegare a una tale espressione: questo vellichio fastidioso che si spargeva in ogni direzione e che non si riusciva, […] a fermare del tutto […]. A schiacciarle, le formiche diventavano
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Ivi, pp. 130-131. 231 Ivi, p. 131.
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puntini neri che cadevano come sabbia, e sulle dita restava quell’odore di formica, acido e pungente. (VD, pp.143-144)
È un male «ver[o], viv[o] e visiv[o]»232 ma non percepibile come «numerabile, con un corpo, con un peso» (VD, p. 148). È la triste verità che si rivela anche laddove uno dei personaggi secondari, il capitano Brauni, sembra essere soddisfatto del suo “rimedio” contro le formiche argentine. Il fil di ferro lasciato cadere dal tronco di un albero con un pezzo di lisca di pesce all’estremità per attirare gli insetti, conduce alla trappola escogitata dall’uomo: un vasetto di petrolio che stordisce e uccide l’(in)visibile animale. Brauni, per manifestare l’efficacia della sua invenzione, vuole mostrare i numerosi sacchi pieni di formiche morte accumulati nel tempo: assomigliano a granelli di sabbia «nero-rossiccia […] in cui [però] non si distingueva più né il capo né le zampe» (VD, p. 156).
Nonostante l’ingegnarsi del capitano Brauni, così come quello di Reginaudo (che s’impegnava più che altro a deviare il percorso degli insetti nemici), entrambi sono consapevoli dell’inutilità dei loro metodi dal momento che questi non condurranno mai a un’eliminazione definitiva delle formiche: Reginaudo e sua moglie fanno dell’ironia233 sugli invasivi insetti, quasi come se «fossero una cosa da ridere [e non da] perdercisi d’animo» (VD, p. 152), mentre Brauni, più tecnicamente, espone il motivo per cui non è facile, né immediata la risoluzione definitiva del problema: le formiche operaie sono tantissime e solo dopo averle eliminate, la formica regina sarà costretta a cercare cibo da sé e quindi ad uscire allo scoperto. Totalmente diverso da questi è, invece, l’atteggiamento della padrona di casa del protagonista, la signora Mauro, la quale vive in una villa grande e buia in cima a un lungo viale: in tutta la sua compostezza e serietà, la donna risponde alle domande della coppia disperata in modo indifferente e quasi infastidito:
232 Ibidem. 233
«- Ah, ah, ah! – Le formiche!- scoppiò a ridere la signora Reginaudo entrando, e il marito, con un piccolo ritardo, mi sembrò, ma con foga più rumorosa, le fece eco: - Ah, ah, ah! Le formiche anche loro! Ah, ah, ah!» (VD, p. 149).
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[…] calcando un accento risentito io dissi: – Lei ci ha affittato una casa, signora, che se avessimo saputo di tutte queste formiche, le dico francamente, – e troncai lì, pensando di essere stato chiaro abbastanza. La signora neppure alzò lo sguardo. – La casa era disabitata da molto tempo, – disse. – È comprensibile che ci sia un po’ di formica argentina, ce n’è dappertutto… dove non si fa bene pulizia. (VD, pp. 168-169)
Ecco l’arma vincente della signora Mauro, la pulizia, ma soprattutto l’oscurità da cui è avvolta la sua casa: grazie «[a] quel buio, quei pesanti arredi» (VD, p. 169), la quantità di insetti presente può essere nascosta e la signora Mauro, di conseguenza, può fingere di fronte agli altri che il problema in casa sua non esista:
– perché lei, qui, – disse mia moglie con un timbro insinuante, quasi ironico, – non ne ha, di formiche? La signora Mauro contrasse le labbra: –No, – disse, recisa. E poi, come avvedendosi che poteva non essere creduta, spiegò: – Qui teniamo tutto come uno specchio. Appena qualche formica entra nel giardino, ce ne accorgiamo e corriamo ai ripari. (VD, p. 169)
Il nostro protagonista continua a essere disilluso proprio perché non crede ai consigli ricevuti dalla donna per ovviare al problema e perché sta prendendo consapevolezza del fatto che l’unica soluzione che gli rimane è l’accettazione della realtà infestata dalle formiche. Difatti, il solo atto di ribellione al male subito viene tentato, ovviamente senza risultati, dalla moglie del protagonista in preda a un acuto momento di rabbia e disperazione: aggredirà fisicamente il signor Baudino, «l’uomo dell’Ente per la lotta contro la formica argentina» (VD, p. 163), accusato da tutti di essere colui che, anziché aiutare a estinguere le formiche, le ingrassa con la «melassa zuccherata» (VD, p. 163) e non avvelenata come sostiene lui.
Mia moglie aveva gridato ai quattro venti incolpando lui, Baudino; e le vicine erano concordi nel dire che quell’uomo si meritava il fatto suo, una buona volta, e che era lui a far di tutto perché la formica crescesse bene, per non perdere l’impiego, e che era capacissimo d’averlo fatto apposta […]. Esagerazioni, si capisce, ma in quell’agitazione, col bambino che piangeva, mi ci unii anch’io e se avessi avuto tra le mani proprio allora il signor Baudino, non so neppure cosa gli avrei fatto. (VD, pp. 171- 172)
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La figura della moglie è piuttosto interessante poiché, tramite delle brevi descrizioni sul suo aspetto estetico, «gli occhi vitrei e le fosse alle guance» (VD, p. 152) che fanno passare «ogni voglia di sorridere e scherzare» (VD, p. 152), e sul suo carattere, si comprende che il protagonista intrattiene con lei un rapporto del tutto conflittuale il quale, dopo l’invasione delle formiche e la mancanza di un lavoro, non può che velocizzare la resa definitiva alla difficile realtà che stanno vivendo. Difatti, in una delle varie riflessioni del protagonista mentre si trova in giro per la città alla ricerca di un’occupazione, si fa riferimento a un possibile atteggiamento da assumere per ritrovare la felicità: forse sarebbe bastato vivere la vita con più leggerezza, senza preoccuparsi troppo del domani e dei problemi dell’oggi come riusciva a fare lo zio Augusto, il primo che consigliò alla coppia di trasferirsi in quella nuova città della Riviera:
Cosa potevano fargli le formiche, [allo zio Augusto]? […] [Ma,] più mi rendevo conto di com’era facile per [lui] vivere qui, più m’accorgevo che lui era un tipo diverso, e non avrebbe mai sopportato i miei pensieri: […] l’ostacolo per me a entrare in quella mentalità, – pensavo ritornando a casa, – era mia moglie, sempre nemica delle cose fantastiche. (VD, pp. 161-162)
Una donna «sospettosa e pessimista per natura» (VD, p. 164) che Calvino presenta «secondo [un] principio di misoginia dominante»234: è utile sottolineare questo modo negativo di rappresentare la moglie del protagonista, in quanto opposto a quello in cui verrà introdotta Claudia, compagna dell’io narrante ne La nuvola di smog.
Dopo la litigata tra la moglie del protagonista e il signor Baudino, terminata sotto gli occhi indifferenti di chi per primo, tra i nuovi vicini, l’aveva incitata a reagire, si giunge alla fine del racconto che, contro ogni aspettativa, prevede un’apparente riconciliazione della coppia con il mondo. Calvino, a proposito, parla di «[una] provvisoria catarsi attraverso le
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immagini»235: subito dopo aver definitivamente raggiunto la consapevolezza di non poter «[mai trovare] la via, la maniera per continuare a vivere in questo paese» (VD, p. 175), che però ormai era divenuto «il [loro] nuovo paese» (VD, p. 175), il protagonista si avvia con sua moglie e suo figlio verso il mare e, non appena arrivati, il panorama a cui assistono cancella per un istante tutto il dolore provato fino a quel momento.
C’era una fila di palme, e delle panche in pietra: io e mia moglie sedemmo e il bambino era quieto. Mia moglie disse: – Qui non c’è formiche –. Io dissi: – E c’è un bel fresco: si sta bene. Il mare andava su e giù contro gli scogli del molo, […]. L’acqua era calma, con appena uno scambiarsi continuo di colori, azzurro e nero, sempre più fitto quanto più lontano. Io pensavo alle distanze d’acqua così, agli infiniti granelli di sabbia sottile giù nel fondo, dove la corrente posa gusci bianchi di conchiglie puliti dalle onde. (VD, p. 176)
Questa chiusura, in opposizione a quanto detto all’inizio del paragrafo, potrebbe essere letta in chiave simbolica: l’allontanamento dalla «città vecchia, digradante e assiepata»236
, permette di interpretare il mare come spazio in cui “purificarsi”, dimenticare, anche se temporaneamente, il nero che caratterizza l’accumulo delle formiche, per godere del bianco delle conchiglie pulite trasportate a riva dalle onde del mare. Tuttavia, riprendendo il commento critico dello studioso francese François Wahl menzionato da Calvino stesso nella sezione La critica della Presentazione, bisogna specificare che l’apparente pace restituita alla famiglia infelice tramite questo momento contemplativo non deve essere letta in termini di «quietismo, [poiché] non è l’azione [a essere] condannata, ma una situazione assurda entro la quale non si può agire che dibattendosi: cioè invano […]».237
È avvenuta quella che Franco Ricci definisce come «nevrotic paralysis»238 dell’io che pur tentando di
235 Italo Calvino, Presentazione, in Gli amori difficili, op. cit., p. XVI. 236
Francesca Serra, op. cit., p. 130. 237
Italo Calvino, Presentazione, in Gli amori difficili, op. cit., p. XXII. 238 Franco Ricci, op. cit,., p. 89.
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andare oltre la negatività del mondo, ne resta miseramente intrappolato. Un finale simile, evidentemente realizzato in virtù di quella «poetica visiva»239 sottolineata da Wahl in tutta l’opera calviniana e analizzata anche per molte delle “avventure” di AD (soprattutto per
L’avventura di un poeta), lo ritroveremo anche ne La nuvola di smog. Il suddetto critico,
infatti, conclude affermando che
lo choc del reale provoca l’apparizione di un’immagine:[…]; l’immagine traduce un’esperienza, ma significa di più e su un altro piano. Ed ecco che questo simbolo si mette a vivere; sviluppa una logica sua propria; porta con sé una rete d’avvenimenti, di personaggi; […]. Ma questa logica, a sua volta, ha alcune delle sue articolazioni ed il suo punto d’arrivo fissati fin da principio, l’incalzare di formule e d’avvenimenti s’esaurisce per terminare […] nella pace dello sguardo [dell’eroe calviniano estenuato]: il soldato s’alza e guarda dalla finestra, il fittavolo novellino cammina verso il mare e si siede sul molo, la giovane sposa non ritrova il marito che nel tepore che il letto ha conservato dalla sua parte.240