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Dalla realtà all'immaginazione: visibile e visualità ne Gli amori difficili di Italo Calvino

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Dalla realtà all’immaginazione: visibile e visualità ne Gli amori

difficili di Italo Calvino

CANDIDATA

RELATORE

Francesca Chimenti

Chiar.mo Prof. Marcello Ciccuto

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Vinicio Pacca

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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INDICE

Introduzione……….…

4

1. Gli amori difficili: passato, presente e futuro

1.1 Genesi, struttura e distribuzioni editoriali dei racconti………...6 1.2 Il neorealismo e la crisi letteraria………...11 1.3 Calvino “realista” in un momento “fiabesco”……….16 1.4 Dall’allegoria al realismo oggettivista neo-flaubertiano de Gli amori

difficili………....…..…19

2. «Amore e assenza»

2.1 Le “avventure”: trame, tematiche e caratteristiche………..30

3. Amori visibili

3.1 Attraverso l’immaginazione………56 3.2 Dal silenzio alle parole: vedere e descrivere………....…...60 3.3 Un confronto tra L’avventura di un poeta e la pratica ecfrastica de Il castello dei destini

incrociati………..……63

3.4 L’avventura di un viaggiatore e la funzione simbolica degli oggetti…………..…….67 3.5 L’avventura di un fotografo: tra immagine e scrittura………..…....73

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4. La vita difficile

4.1 Calvino e gli spazi narrativi: la Riviera di Ponente e Torino……….84

4.2 La formica argentina: un male concreto………87

4.3 La nuvola di smog: alla ricerca dei segni………...93

Conclusioni………

105

Bibliografia………...

107

Sitografia………

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Introduzione

La produzione letteraria di Italo Calvino è vasta ed eterogenea: essa sviluppa tutte le principali tendenze poetiche dell’epoca a partire dalla fase neorealista, segnata dal romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno, fino a quella combinatoria che si chiude con l’ultima opera calviniana Palomar. Tuttavia, nonostante la varietà delle poetiche seguite, l’obiettivo del nostro autore resta sempre lo stesso: riportare la «superficie inesauribile»1

del mondo sul foglio bianco.

Il presente lavoro, dunque, ha come obiettivo quello di analizzare in che modo ciò che chiamiamo il visibile della realtà circostante viene rappresentato ne Gli amori difficili. Nel primo capitolo, dopo aver illustrato la struttura, la genesi e le particolari vicende editoriali di questa raccolta di racconti risalenti per lo più agli anni Cinquanta – periodo di grandi cambiamenti storici, sociali ed economici all’interno dell’intero territorio italiano – spiegherò perché e in che senso è possibile parlare di racconti realistici: laddove, forse, può sembrare scontato che si tratti di racconti ambientati in contesti di realtà quotidiana, è interessante vedere come questi testi si pongano rispetto ai romanzi fantastici che Calvino sta scrivendo negli stessi anni. Nel secondo capitolo proporrò una panoramica generale sulle tredici “avventure” facenti parte della raccolta rilevandone le caratteristiche, le tematiche, le affinità e le differenze. Nel terzo capitolo, a partire dalla lezione americana di Calvino intitolata Visibilità, dimostrerò come realtà e immaginazione convivono all’interno di questa raccolta e come dalla prima si sviluppa la seconda: tramite un confronto con la pratica ecfrastica adoperata più consapevolmente all’interno dell’opera calviniana del 1973

Il castello dei destini incrociati, rileverò ne L’avventura di un poeta l’importanza per

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l’economia del racconto delle immagini (di città e ambienti naturali) scrutate dagli occhi del protagonista, ed emergerà quanto queste siano strettamente collegate alle parole che l’autore utilizza per descriverle: ci approcceremo, così, alla “fantasia figurale” di Calvino, quella che dall’immaginazione visuale conduce, appunto, all’espressione verbale. Alla componente visuale accosterò quella simbolica equamente significativa all’interno de Gli

amori difficili: si prenderà in analisi L’avventura di un viaggiatore, racconto in cui

banalissimi oggetti diventano indicatori di significati più profondi e, potremmo dire, emblemi dell’idea di rapporto amoroso in assenza. Quest’ultimo tema è, d’altronde, il filo conduttore di tutti Gli amori difficili. In seguito, verrà analizzato il racconto sicuramente più indicativo della raccolta per quel che riguarda il suddetto rapporto tra parola e immagine, ovvero L’avventura di un fotografo, testo da cui si rileveranno importanti conclusioni sul personale modo di concepire la letteratura da parte di Calvino. Nel quarto capitolo, infine, tratterò i due racconti della seconda sezione inclusa nella raccolta, ovvero

La vita difficile, prediligendo un approccio d’analisi basato, ancora una volta, sullo sguardo

del soggetto che scruta la città e la Riviera in cui si trova e si muove, giungendo a delle sconfortanti conclusioni che rispecchiano il “male di vivere” racchiuso già nel titolo della sezione di riferimento, oltre che nelle riflessioni del nostro autore durante gli anni Cinquanta. Inoltre, all’immagine si aggiunge l’importanza della categoria dello spazio: se, infatti, ne Gli amori difficili, i luoghi di riferimento restano ai margini dei racconti, incrementando per lo più la vacuità dei rapporti umani intrattenuti nelle varie “avventure”, ne La vita difficile è primariamente il rapporto del soggetto con lo spazio a portare avanti le vicende narrate e ad essere il fulcro attorno al quale ruotano entrambi i racconti.

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1. Gli amori difficili: passato, presente e futuro

1.1. Genesi, struttura e distribuzioni editoriali dei racconti

La prima edizione integrale de Gli amori difficili risale al giugno del 1970, apparsa in volume come sesto numero della collana Einaudi «Gli Struzzi» e accompagnata da una

Nota introduttiva anonima, ma che si lascia attribuire a Calvino stesso. L’opera si presenta

suddivisa in due parti: la prima intitolata, appunto, Gli amori difficili (d’ora in avanti AD) che prevede l’unione di tredici racconti scritti tra il 1949 e il 1967, e la seconda La vita

difficile (d’ora in avanti VD) che ne include due più lunghi, rispettivamente del 1952 e del

19582. Riporto l’indice per avere ben chiaro l’ordine cronologico dei testi, utile per comprendere la successiva disquisizione sulle pregresse organizzazioni editoriali degli stessi:

Parte prima Gli amori difficili

L’avventura di un soldato (1949) L’avventura di un bandito (1949) L’avventura di una bagnante (1951) L’avventura di un impiegato (1953) L’avventura di un fotografo (1955) L’avventura di un viaggiatore (1957) L’avventura di un lettore (1958) L’avventura di un miope (1958) L’avventura di una moglie (1958)

2 Per questa e le successive questioni editoriali cfr. Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Italo Calvino,

Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto,

prefazione di Jean Starobinski, Mondadori (I Meridiani), Milano, vol. I, 1991, pp. 1261-1276 e vol. II, 1992, pp. 1437-1454.

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7 L’avventura di due sposi (1958)

L’avventura di un poeta (1958) L’avventura di uno sciatore (1959) L’avventura di un automobilista (1967)

Parte seconda La vita difficile

La formica argentina (1952) La nuvola di smog (1958)3

La maggior parte dei racconti di AD compare già nel libro terzo del volume I racconti4, pubblicato su commissione della casa editrice Einaudi, presso cui Calvino lavorava, nella collana «Supercoralli» nel 1958, fatta eccezione per L’avventura di un fotografo,

L’avventura di uno sciatore e L’avventura di un automobilista. Il primo di essi è in realtà

una riscrittura del marzo 1970 o più precisamente, utilizzando le parole di Calvino stesso, una «messa in racconto d’un articolo saggistico»5

intitolato La follia del mirino, pubblicato su «Il Contemporaneo» nella rubrica Le armi, gli amori il 30 aprile 1955; il secondo uscì per la prima volta sulla rivista «Successo» nel 1959 con un’intestazione diversa: La

ragazza celeste-cielo; l’ultimo è il nuovo titolo dato da Calvino a un racconto scritto nel

1967 e pubblicato nello stesso anno in Ti con zero: Il guidatore notturno. Infine, le prime due “avventure”, nonché quelle cronologicamente più antiche, apparvero oltre che nei

Racconti, anche nelle tre edizioni di Ultimo viene il corvo: nella prima del 1949 e nella

terza del 1976 ritroviamo solo L’avventura di un soldato, mentre nella seconda edizione

del 1969, esattamente nella seconda parte, si presenta anche L’avventura di un bandito.

Il volume de I racconti rappresenta una sintesi della linea narrativa calviniana all’altezza dei tardi anni Cinquanta ed è l’autore stesso a chiarirlo in una lettera indirizzata a Pietro

3 Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. II, op. cit., p. 1448. 4

Solo L’avventura di un bandito, precedentemente intitolato Un letto di passaggio, compare nel libro primo

Gli idilli difficili della medesima raccolta. D’ora in poi mi riferirò a questo racconto chiamandolo con il

definitivo titolo dell’edizione del ’70.

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8

Citati del 2 settembre 19586: qui, riferisce le persistenti incertezze sull’organizzazione e la scelta dei testi da inserire nella raccolta ma, allo stesso tempo, specifica che ha in mente una produzione coerente nonostante il mancato rispetto della successione cronologica dei testi7. Calvino parla infatti di «gruppi ben distinti» di scritti: nel primo libro Gli idilli

difficili ci saranno una ventina di testi ripresi da Ultimo viene il corvo (1949) con

l’aggiunta di alcuni datati successivamente, tutti riguardanti però il tema de «l’impossibilità dell’armonia naturale, con le cose e con gli uomini». Nel secondo libro, quello di AD, ha intenzione invece di raggruppare racconti già apparsi in varie riviste8, insieme a testi nuovi che ha intenzione di scrivere, ma comunque legati tutti dalla presenza tematica dell’incomunicabilità amorosa e aggiunge anche che proprio questo gruppo rappresenterà la parte più innovativa di tutto il volume. Continua riferendosi al terzo libro

VD, sezione che comprenderà invece tre racconti legati a riflessioni «più complesse e

generali [sul] male di vivere». La prima e la terza narrazione, La formica argentina e La

nuvola di smog9, sono le stesse che appariranno anche nell’edizione del ’70, La speculazione edilizia invece sarà da quest’ultima soppressa.

La lettera di Calvino a cui mi sono riferita per raccontare e descrivere la struttura de I

racconti sembrava dare per certa, anche se con dispiacere, l’esclusione di una quarta parte

intitolata Memorie difficili, in quanto avrebbe interrotto la linea progressiva degli altri tre libri:

6 Cit. ivi, pp. 1437-1438.

7 «[…] la progressione dei testi non è di tipo cronologico. Calvino, infatti, nel volume dei Racconti sta consapevolmente “mischiando le carte”, costruendo accorpamenti tra testi sulla base di analogie tematiche, di ambientazione, di tono, di situazione. […] in ognuno dei quattro libri in cui è suddiviso l’indice, però, quello che è possibile riconoscere con sicurezza è l’alternarsi di testi più legati alla prima fase di ispirazione narrativa di Calvino, alla fase cioè “irregolarmente neorealistica” […], ad altri invece che segnalano la presenza di tratti stilistici o costruttivi che saranno poi quelli del Calvino maggiore.» Virna Brigatti,

L’edizione 1958 dei «Racconti» di Italo Calvino. Una soglia ermeneutica, Griseldaonline, 18, 2 | 2019, 28

dicembre 2019, p. 141.

8 «L’avventura di un soldato […], L’avventura di una bagnante, L’avventura di un impiegato, L’avventura di

un lettore, L’avventura di un viaggiatore che leggerai sul «Verri», L’avventura di un poeta che ho scritto

adesso». Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. II, op. cit., p. 1437. 9 Entrambi i racconti, prima di apparire nell’edizione del ’70, furono pubblicati in dittico nel 1965 in un volume a sé. A riguardo cfr. Virna Brigatti, Bruno Falcetto, Dialogo intorno ai racconti di Italo Calvino, in

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Resterebbero fuori, allora, di mie narrazioni d’una certa importanza, solo tre racconti dell’Entrata in guerra. Forse è un peccato, perché mettendoceli, il volume verrebbe a comprendere tutti i racconti di Calvino, dal ’45 al ’58. Però c’entrano come i cavoli a merenda. Potrei ficcarli nella Vita difficile, dopo la Formica, fregandomene dell’armonia dell’insieme. Oppure creare un altro libo: Le memorie difficili e metterci anche […] tre racconti del Corvo abbastanza buoni e di tipo autobiografico. Ma dove lo ficco? […] Tutto resta troppo complicato e pasticciato.10

In realtà, l’inserimento de Le memorie difficili verrà alla fine attuato e darà il titolo al libro secondo, posto tra Gli idilli difficili e AD. Sicuramente questa sezione può essere considerata la più problematica perché, in effetti, rispetto alla precedente e alle successive si pone come una «parentesi retrospettiva»11 che, in quanto tale, avrebbe potuto fondamentalmente essere inserita negli Idilli; tuttavia la tipologia dei racconti presenti (tra cui i tre dell’Entrata in guerra) rimandano per lo più a un bisogno di mettere in evidenza un passato non ancora superato: la Guerra e il dopoguerra. In queste narrazioni, infatti, si torna agli anni Quaranta, quando l’autore aveva solo diciassette anni e si abbozza un esame dei suoi rapporti adolescenziali con il fascismo. Con l’edizione del ’58, verosimilmente, Calvino preferirebbe allontanarsi dall’attualità riducendo allo stretto indispensabile i «riferimenti autobiografici più trasparenti»12 i quali, però, è ovvio che debbano essere considerati e resi noti per giustificare il tipo di narrativa svolta fino a quel momento.

Ebbene, i continui spostamenti e ripensamenti su questi racconti, tenendo in considerazione anche per alcuni di essi le diverse modifiche apportate ai titoli e al corpo del testo vero e proprio13, lasciano intendere che ci troviamo di fronte a una personalità contemporaneamente in crisi e in evoluzione: il tentativo che Calvino sta facendo in questo momento è quello di «costruire un’immagine della propria opera capace di valorizzarne

10

Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. II, op. cit., p. 1438.

11 Filippo Pennacchio, I dintorni difficili. L’architettura paratestuale dei «Racconti» di Italo Calvino, Griseldaonline 18, 2 | 2019, 28 dicembre 2019, p. 157.

12

Ivi, p. 158. 13

Cfr. Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. II, op. cit., pp. 1441-1445 e 1448-1454.

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unitarietà e molteplicità, coerenza e imprevedibilità»14, caratteristiche che giustificano sicuramente la scelta, dodici anni dopo, di reimpiegare in un volume a sé AD.

Questo breve excursus editoriale ci ha permesso di ricostruire l’indice del volume I

Racconti in cui, per la prima volta in assoluto, compare la sezione AD. Vorrei, infine,

riportare un’acuta riflessione di Virna Brigatti, espressa durante uno scambio di opinioni critiche a proposito dell’edizione del ‘58 con Bruno Falcetto, ma che possiamo ritenere valida anche per la successiva riorganizzazione del ‘70:

L’operazione che viene fatta per questo indice è un’operazione combinatoria a tutti gli effetti, e scelgo volutamente di usare questo aggettivo per il valore che poi avrà per la poetica e la successiva costruzione letteraria di Calvino. È quindi un’operazione complessa che propone una struttura testuale composta da tanti blocchi di testi, che sono più o meno autonomi fra loro. Oltre alle partizioni date dai titoli, nell’indice ci sono anche stacchi bianchi, tipografici, all’interno delle singole sezioni; […] i diversi insiemi di testi costruiscono una struttura che rende manifesta una precisa valutazione critico-interpretativa d’autore; […] si può notare, fra parentesi, accanto ai titoli dei singoli racconti, la data della prima pubblicazione del racconto stesso, elemento che introduce, ulteriormente, anche da un punto di vista esplicitamente cronologico, una prospettiva di bilancio. In questo modo Calvino, da un lato, comunica al lettore un percorso di lettura dei suoi testi, e, dall’altro, segnala che quegli stessi testi nascono ognuno in un diverso contesto storico, indicando quindi che all’interno di questo prodotto-libro si alternano diversi piani diacronici e sincronici.15

Sarà possibile notare che i racconti di cui mi occuperò inglobano effettivamente diversi momenti creativi dell’autore: dal periodo neorealista, con la presenza de L’avventura di un

soldato e L’avventura di un bandito, fino a quello combinatorio al quale possiamo pensare

grazie non solo alla struttura dell’indice, come suggerito dalla Brigatti, ma anche all’inclusione di un racconto come L’avventura di un’automobilista non a caso scritto nel

14

Ivi, p. 1439.

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1967, anno in cui Calvino si trasferisce a Parigi approfondendo e intensificando i suoi interessi per la scienza e il gioco combinatorio.16

Nel paragrafo successivo proveremo a ripercorrere la linea poetica che l’autore ha seguito nell’immediato dopoguerra, per poi abbandonarla a favore di un tipo di narrativa completamente diversa che ricoprirà gli anni Cinquanta e Sessanta.

1.2. Il neorealismo e la crisi letteraria

Abbiamo precedentemente evidenziato che nella prima parte de I Racconti vengono inclusi per lo più testi comparsi nella prima edizione di Ultimo viene il corvo, alle cui pagine «resta consegnato il meglio della prima grande stagione del racconto calviniano»17, senza

dimenticare che si tratta di una selezione fatta su del materiale che era stato già pubblicato in riviste e quotidiani: questo dato lascia presupporre una certa sicurezza e consapevolezza autocritica dell’autore. La «prima grande stagione» di cui parla Falcetto è quella compresa tra l’estate del 1945 e la primavera del 1949, in cui riserva ancora delle speranze politiche che gli permettono di abbandonarsi a una scrittura neorealista più soddisfacente: Falcetto lo definisce «grande periodo della short-story calviniana»18. Tuttavia è ancora una volta l’autore stesso, nella Nota all’edizione di Ultimo viene il corvo del 1976, a farci sapere che già dal ‘48

la mia vena dei racconti brevi si assottiglia, e comincia a diramarsi in due direzioni divergenti: da una parte si cristallizza nell’apologo politico in chiave di caricatura espressionista - produzione giornalistica che non ho mai raccolto in volume -; dall’altra si sviluppa in una scrittura più articolata e libera annunciata soprattutto da L’avventura

16 Cfr. Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Cronologia, in Calvino, Romanzi e racconti vol. I, op. cit., p. LXXX.

17

Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1266. 18

Bruno Falcetto, «Io ai racconti tengo più che a qualsiasi romanzo possa scrivere». Sull’elaborazione di

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di un soldato, il solo testo del 1949 incluso nella 1ª edizione [di Ultimo viene il corvo].19

Così, fatta eccezione per alcune produzioni fondamentali (e tra queste ritroviamo proprio

AD insieme alla prima serie di Marcovaldo) i dieci anni che intercorrono tra il 1950 e il

1960, dimostrano soprattutto una predilezione per la «narrazione lunga»20: La nuvola di

smog e La formica argentina, ad esempio, combaciano perfettamente con questa

definizione.

Calvino sta realizzando che tutto quello di cui aveva parlato fino a quel momento, ispirato sicuramente dall’esperienza della Guerra e della Resistenza che aveva vissuto in prima linea21, non lo soddisfa più. Per spiegare le origini di questa insoddisfazione è necessario partire dal vero primo esordio letterario di Calvino che ha avuto luogo dopo la Liberazione con la pubblicazione de Il sentiero sei nidi di ragno (1947), romanzo di grande successo che più rappresenta il momento neorealista dell’autore. Elisabetta Mondello, in un interessantissimo studio condotto attraverso l’analisi della biografia e dell’opera di Calvino, sottolinea che

Per il Calvino del dopoguerra, la nuova letteratura deve essere una nuova epica che si fonda sulle storie vissute di persona dallo scrittore, alle quali si aggiungono quelle raccontate da altri, da quell’io collettivo che ricorda definito, come scrive nell’Introduzione del ’64, «voce anonima dell’epoca». Quei racconti fatti nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di viaggiatori con pacchi di farina e bidoni d’olio, […] nelle file davanti ai negozi, avevano creato un universo multicolore di storie. […] E anche i materiali usati da Calvino attingono a questo serbatoio di vissuto: non a caso esistono fra il romanzo e alcuni racconti corrispondenze evidenti di temi e personaggi.22

19

Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol I., op. cit., p. 1267. 20 Ibidem.

21

Cfr. Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Cronologia, in Italo Calvino, Romanzi e racconti, vol. I., op. cit., pp. LXIII-LXIV.

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Gli stralci di citazioni di cui si è servita la Mondello riprendono la Prefazione della terza e definitiva edizione de Il sentiero dei nidi di ragno che Calvino scrisse nel 1964, in cui osserva e cerca di analizzare criticamente, molti anni dopo la prima pubblicazione, il significato di quel periodo storico-letterario: si tratta di una «smania di raccontare»23, la quale nasce inevitabilmente dopo il raggiungimento della libertà e che conduce ad assemblare storie individuali e storie che «ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica»24

. È proprio da questa unione che hanno origine anche la gran parte dei racconti che Calvino scrive negli stessi anni. Egli però ci tiene a specificare che, un giovane scrittore come lui, accingendosi a mettere nero su bianco questi contenuti universali, non aveva la pretesa di «documentare o informare»25 riguardo a un preciso momento storico, bensì il bisogno era quello di «esprimere»:

Esprimere cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi ed amplessi non erano che colori della tavolozza […] Il «neorealismo» per noi che cominciammo di lì, fu quello; […] Il neorealismo non fu una scuola. […] Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, o una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche- o specialmente- delle Italie fino allora più inedite per la letteratura.26

Emblema di questo tipo di narrativa è appunto il bambino-protagonista de Il sentiero dei

nidi di ragno, Pin, il quale rimanda ad un giovanissimo partigiano che Calvino conobbe

davvero nelle bande. A proposito, è interessante notare come alla figura dell’ingenuo Pin si sottintenda la personalità dell’autore dell’epoca:

23

Italo Calvino, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1186. 24 Ibidem. 25 Ibidem. 26 Ivi, pp. 1186-1187.

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In quel ragazzino […] desideroso di collocazione, lo scrittore riconosce un sé simbolico che si nasconde in un’immagine di regressione: un bambino che è tanto impreparato a coglier[e] la logica [del mondo degli adulti] e le ragioni politiche, quanto lo studente ventenne che sceglie la lotta partigiana.27

Si inizia così a delineare un rapporto conflittuale tra l’io e la realtà, tra l’autore e la complessità di un’epoca storica che, da un lato gli addossava la responsabilità di doverla affrontare proprio perché ne era stato testimone, mentre dall’altro la percepiva come troppo impegnativa, motivo per cui decise di trattare la tematica in maniera indiretta: tutto «doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, […] inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…»28.

Anche nei racconti risalenti allo stesso periodo Calvino si ritrova in difficoltà a causa delle modalità con cui narrare vicende e atmosfere vissute da personaggi che incarnano i valori e i disvalori della Resistenza. Rimando nuovamente alla Brigatti, la quale propone una lettura dei Racconti a partire proprio da questo “problema dell’io”:

[nel contesto Neorealista] Calvino era un giovane scrittore che cercava di trovare la propria dimensione autoriale e, come noto, fin dai primi interventi che oggi sono stati raccolti nella sezione Per una letteratura dell’impegno nel primo volume dei Saggi dei Meridiani Mondadori, è perfettamente consapevole che il problema dello scrittore lasciato, dalla “direzione ideologica”, solo, “davanti al foglio bianco”, è quello di «come sistemare quell’ingombrantissimo personaggio che per uno scrittore moderno è l’io».29

27 Elisabetta Mondello, op. cit., p. 54. 28

Italo Calvino, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1191.

29

Virna Brigatti, L’edizione del 1958 dei «Racconti» di Italo Calvino. Una soglia ermeneutica, Griseldaonline 18,2|2019, 28 dicembre 2019, p. 142.

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Calvino cerca la sua voce letteraria, ma avverte l’attrito che si crea tra un intellettuale di origine borghese e quello che la Brigatti definisce «altro da sé»30, ovvero le masse popolari, i disagi e le peripezie di cui ha fatto esperienza durante e dopo il periodo della Resistenza e di cui deve inevitabilmente restituire un’immagine nelle sue storie.

In effetti, se prendiamo come esempio L’avventura di un bandito ritroviamo come protagonista un uomo pregiudicato che cerca rifugio per sfuggire alla polizia in casa di una prostituta, avente a sua volta un compagno descritto come un bevitore e fumatore incallito. Si tratta per lo più di personaggi ai margini della società, così come ne L’avventura di un

soldato in cui, sebbene non siano presenti figure così al limite, viene narrato il fugace e

silente incontro di un fante con una vedova sconosciuta appena salita sul treno. Calvino aveva descritto bene la tipologia di questi racconti nella Nota alla nuova edizione del 1969 di Ultimo viene il corvo: «La seconda linea [presentata nella raccolta] è pure comune a molta narrativa di quegli anni, ed è il racconto picaresco del dopoguerra, storie colorate di personaggi e appetiti elementari»31.

Il cortocircuito narrativo si crea nel momento in cui, narrando le storie di altri, Calvino capisce che sta analizzando anche se stesso. Questa riflessione è resa nota in un articolo dell’autore pubblicato su «L’Unità» nel 1947 intitolato Abbiamo vinto in molti:

Io […] faccio racconti di partigiani, di contadini, di contrabbandieri, in cui partigiani, contadini, contrabbandieri non sono che pretesti a storie piene di colore, d’accorgimenti narrativi e d’acutezze psicologiche: in fondo non studio che me stesso, non cerco che di esprimere me stesso, non cerco di rappresentare che dei simboli di me stesso nei personaggi e nelle immagini e nella lingua e nella tecnica narrativa.32

30 Ibidem. 31

Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1263. 32

Italo Calvino, Abbiamo vinto in molti, «L’Unità», Genova, 5 gennaio 1947, ora in Italo Calvino, Saggi

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Si parla dell’individualità dell’autore che si deve porre al servizio di una collettività, e in questa problematica non è incluso solo il discorso narrativo e letterario legato alle modalità di comunicazione, bensì si rimanda a un filo politico e ideologico in cui Calvino crede ancora: vuole partecipare attivamente alla «costruzione di una nuova società»33 comunista, in virtù di quel «progetto politico utopico»34 che vorrebbe «far nascere la poesia quasi direttamente dalla natura e dalla storia»35. L’autore però riscontra grandi difficoltà nel portare a termine questo obiettivo, in quanto dovrebbe riuscire prima a regolarizzare il delicato ruolo dell’intellettuale in un contesto storico-letterario del genere: deve farsi portavoce dei bisogni della massa proletaria, uscendo necessariamente da se stesso e dal suo ruolo sociale. Virna Brigatti riporta le parole espresse da Calvino a questo proposito nel saggio Saremo come Omero!:

Gli intellettuali, questo ceto combattuto e contradditorio, hanno funzioni e agganci spesso diversi nel quadro delle diverse civiltà, ed è attraverso alle vicissitudini della loro storia interna e della funzione sociale che la storia dell’intiera società raggiunge la loro opera, tranne in alcuni momenti pieni, per condizione di civiltà o di genio individuale, in cui il poeta è cantore “diretto” di tutta una società e un’epoca. Oggi siamo all’estremo opposto; mentre la società comunista sarà invece quella in cui non ci sarà più divario tra intellettuali e società operaia [...]. E intanto? Quali sono, oggi, i nostri compiti di letterati comunisti? Aspettare? No di certo: le rivoluzioni, anche quelle culturali, non cadono dal cielo. E nemmeno scegliere la via di non scrivere per ora, perché “adesso non si può”, e buttarsi nel lavoro pratico di partito come in un’evasione [...]. Militare nel partito è il nostro modo di esistere; ma il posto di combattimento dei letterati, il loro banco di prova, è sulla carta bianca. Il nostro compito è saper trasformare in poesia la nuova moralità dell’uomo comunista che si va delineando chiaramente in milioni di uomini di tutto il mondo: e ci riusciremo nella misura in cui saremo anche noi parte di questi milioni.36

Tuttavia, a quest’altezza sono sottintese ancora una certa predisposizione e fiducia di Calvino nei confronti del partito comunista che di lì a poco verranno meno, causando un

33 Virna Brigatti, op. cit., p. 142. 34

Ibidem. 35

Ivi, p. 143. 36 Cit. ibidem.

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17

totale cambiamento di rotta poetica.37 È così che ci si avvicina a quella che potremmo definire, con tutte le precauzioni possibili, la “seconda fase” letteraria dell’autore, di cui

AD costituiscono una felice parentesi.

1.3. Calvino “realista” in un momento “fiabesco”

Ciò che ancora restava per lui più incerta era la vocazione letteraria: dopo il primo romanzo pubblicato, tentò per anni di scriverne altri sulla stessa linea realistico-social-picaresca, che venivano stroncati e cestinati senza misericordia dai suoi maestri e consiglieri. Stanco di quei faticati fallimenti, s’abbandonò alla sua vena più spontanea d’affabulatore e scrisse di getto Il visconte dimezzato. […] Tra i critici ci fu un’unanimità di consensi inaspettata; […] da parte comunista scoppiò una piccola polemica sul «realismo», ma non mancarono gli autorevoli consensi bilanciatori. Da quell’affermazione prese slancio la produzione del Calvino «fiabesco» […] e insieme quella d’una rappresentazione d’esperienze contemporanee […]. Calvino cercava […] di tenere insieme le sue diverse componenti intellettuali e poetiche.38

Questa citazione riprende la Presentazione posta come introduzione ad AD: Calvino non la firmò ed è scritta in terza persona; tuttavia, oltre a spiegare in senso generale il contenuto dell’opera, nella prima parte ci riporta una descrizione della sua biografia e carriera letteraria fino a quel momento: Mario Barenghi la definisce persino «l’unico tentativo dell’autore di definire in sede paratestuale una propria complessiva immagine critica»39

.

37

Nel 1956, «interviene sul «Contemporaneo» nell’acceso Dibattito sulla cultura marxista che si svolge tra marzo e luglio, mettendo in discussione la linea culturale del PCI; più tardi (24 luglio) […] esprime una «mozione di sfiducia verso tutti i compagni che attualmente occupano posti direttivi nelle istanze culturali del partito». […] Il disagio nei confronti delle scelte politiche del vertice comunista si fa più vivo: [denuncerà] “l’inammissibile falsificazione della realtà” operata dall’ «Unità» nel riferire gli avvenimenti di Poznan e di Budapest, e critica con asprezza l’incapacità del partito di rinnovarsi alla luce degli esiti del XX congresso e dell’evoluzione in corso all’Est. Tre giorni dopo, la cellula approva un “appello ai comunisti” nel quale si chiede fra l’altro che “sia sconfessato l’operato della direzione” e che si mostri solidarietà nei confronti dei movimenti popolari polacco e ungherese e con i comunisti che non hanno abbandonato le masse verso un radicale rinnovamento dei metodi e degli uomini». In vista di una possibile trasformazione del PCI, Calvino sceglie come [punto di riferimento] soprattutto Antonio Giolitti». Tuttavia, nel 1957 Antonio Giolitti si dimetterà e lo stesso farà Calvino, il 1° Agosto, tramite una lettera al Comitato Federale di Torino, la quale sarà poi pubblicata sei giorni dopo sull’«Unità». A livello letterario, l’uscita definitiva dal partito condurrà alla pubblicazione nello stesso anno di un racconto satirico, La gran bonaccia delle Antille, in cui «mette alla berlina l’immobilismo del PCI». Cfr. Cronologia, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, in Calvino,

Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., pp. LXXIII-LXXIV.

38

Italo Calvino, Presentazione, in Gli amori difficili, Mondadori, Milano, 2016, pp. VIII-IX.

(18)

18

Ormai l’ispirazione neorealista sembra essere stata messa da parte, visti gli insuccessi venuti dopo Il sentiero dei nidi di ragno e il felice periodo della short-story40,

accompagnati da una generale perdita di vitalità delle tematiche legate al mondo della Resistenza, della Guerra e della guerra civile.

Il visconte dimezzato è il breve romanzo che l’autore pubblica nel 1952 e rappresenta il primo della futura trilogia fantastica intitolata I nostri antenati, comprendente Il barone

rampante del 1957 e Il cavaliere inesistente del 1959.

Come spiega chiaramente Contardo Calligaris in uno studio41 dedicato all’analisi dell’intero operato letterario di Calvino, Il visconte dimezzato rappresenta l’espressione concreta della fine di un’illusione, ovvero quella di aver creduto che l’uomo potesse in qualche modo controllare la storia:

Quegli intellettuali che avevano scelto la Resistenza e conquistato così una qualche fiducia nell’uomo nuovo, capace di intervenire nel sociale e dominarlo, deposte le armi, si erano cullati nell’illusione che la libertà conquistata con le lotte partigiane non avesse ormai più bisogno di difensori42.

Calligaris mira a mettere in evidenza il fatto che ci troviamo di fronte a un momento di “crisi della forma” per Calvino in quanto, se da un lato sono venute meno le convinzioni della fase neorealistica in cui, se non altro, era almeno condizionato da una realtà storico-sociale di riferimento, dall’altro l’abbandonarsi al puro gusto fantastico senza nessuna implicazione del reale, avrebbe condotto a una paralizzazione del soggetto nei confronti del mondo. Dunque, seppure divenuto troppo complicato, quest’ultimo esisteva e doveva

40

In una breve premessa posta all’edizione in rivista di Pesci grossi, pesci piccoli, «Inventario», n.3, autunno 1950, Calvino scrive «Non so se capiti anche ad altri, o solo a me, ma sto attraversando tempi di perplessità sul mio lavoro. La baldanza con cui pochi anni fa mi sono gettato a capofitto nello scrivere se n’è andata. […] Da quel poco che ho scritto, altri e io stesso hanno ricavato una definizione di me, sulla base della quale posso lavorare molto ancora, con soddisfazioni probabili e non faticosi progressi: però mi sento i panni stretti addosso, ho fame d’altro». Cfr. Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I,

op. cit., p. 1267.

41

Contardo Calligaris, Italo Calvino. Civiltà letteraria del Novecento, Mursia, Milano, 1985. 42 Ivi, p. 32.

(19)

19

essere affrontato. Per questo motivo, possiamo ricondurre la figura del protagonista costretto a vivere in un corpo diviso a metà da una palla di cannone, all’intimo dimidiamento dell’autore tra engagement e gioco fantastico: sicuramente con i successivi romanzi della trilogia è quest’ultimo a imporsi, tuttavia il filone più specificatamente realistico torna a riaffacciarsi, nello stesso periodo, tramite molti racconti fra i quali La

formica argentina, La speculazione edilizia, La nuvola di smog, la serie di Marcovaldo e la

gran parte delle “avventure” incluse in AD.

1.4. Dall’allegoria al realismo oggettivista neo-flaubertiano di AD

In questo paragrafo farò riferimento al discorso critico43 affrontato da Calligaris sulle due categorie dell’allegoria e dell’oggettivismo, le quali sembrano alternarsi in maniera evidente proprio tra un romanzo fantastico e l’altro. Mi soffermerò in particolar modo sulla seconda, in quanto il suo sviluppo aiuterà a comprendere come sia cambiato il concetto di realtà implicato nei testi dello stesso periodo: i nostri racconti sono da ricondurre alla seconda categoria e vanno definiti, infatti, come uno dei «moduli espressivi che caratterizz[ano] il versante “realistico” del lavoro calviniano durante gli anni Cinquanta»44

. Avendo preso consapevolezza della rottura dell’equilibrio tra uomo e storia, Calvino è alla ricerca di un nuovo modo di esprimersi, di modo che il soggetto possa reagire a quella dura sconfitta subita: in alcuni testi come quello del Visconte dimezzato e degli altri due romanzi fantastici, è coinvolta una certa libertà e forza della soggettività che si ricollega, appunto, alla categoria dell’allegoria. Il senso proprio di questa nuova narrativa è l’autore stesso a spiegarlo, durante un’intervista condotta da Roberto De Monticelli nel ’59 e che sarà poi pubblicata per il quotidiano «Il Giorno»:

43

Cfr. Contardo Calligaris, op. cit., pp. 31-80.

(20)

20

[De Monticelli:] come avvenne in lei il passaggio dall’atmosfera neo-realistica dei suoi primi racconti e del suo primo libro a quella dei romanzi fantastici, Il visconte

dimezzato e Il barone rampante?

[Calvino:] la tensione che la realtà storica ci aveva trasmesso andò presto afflosciandosi. Da tempo navighiamo in acque morte. Di quel nostro primo raccontare potevamo di cercar di salvare la fedeltà alla realtà storica, afflosciandoci in essa, o la fedeltà a quel piglio, a quella carica, a quell’energia. Con i romanzi fantastici ho cercato di tener vivo appunto il piglio, l’energia, lo spirito[…].45

Questa energia, che sottintende una possibilità di riscatto del soggetto nel suo ruolo nel mondo, non deve però concludersi «in un’evasione edenica»46

, motivo per cui si affianca la categoria dell’oggettivismo:

Le due forme non sono gli sterili opposti –il sogno dell’allegoria e la triste realtà dell’oggettivismo–, ma i poli di una dialettica continua che riconduce il soggetto rianimato (l’allegoria) al dato storico-politico (l’oggettivismo).47

L’utilizzo dell’allegoria nei romanzi fantastici presuppone una sovversione del normale rapporto tra significanti e significato, spronando così il lettore a un lavoro di interpretazione attiva che cerca di estrapolare il giusto senso di ciò che gli si pone davanti agli occhi: rievocando le parole del filosofo Walter Benjamin, Calligaris afferma che «ogni personaggio, qualsivoglia cosa, qualsiasi situazione possono significarne un’altra qualunque».48 Per questo motivo, l’allegoria giunge a essere definita, secondo anche quanto lo stesso Calvino afferma nella breve introduzione all’edizione dei Nostri antenati (1960)49, un’ “opera aperta” dotata di elementi più liberi e creativi.

45

Cit. in Contardo Calligaris, op. cit., p. 33. 46

Ivi, p. 36. 47 Ibidem. 48

Ivi, p. 39: citazione di Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino, 1971, p. 184. 49

«[…] Siete padroni d’interpretare come volete queste tre storie, e non dovete sentirvi vincolati affatto dalla deposizione che ora ho reso sulla loro genesi. Ho voluto farne una trilogia d’esperienze sul come realizzarsi esseri umani: […] tre gradi d’approccio alla libertà. E nello stesso tempo ho voluto che fossero tre storie, come si dice, “aperte” […] che comincino la loro vera vita nell’imprevedibile gioco d’interrogazioni e risposte suscitate nel lettore». Italo Calvino, Postfazione ai Nostri antenati (Nota 1960), giugno 1960, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1219.

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In virtù di queste caratteristiche è possibile pensare alla categoria dell’allegoria in termini rivoluzionari, puntualizzando però che non si tratta di un effettivo cambiamento del mondo, bensì di una possibilità di affrontarlo sotto una nuova prospettiva. Così, infatti, conclude Calligaris: «Nell’esercizio esegetico infinito il soggetto […] dà e trova la misura della sua libertà, conquistando almeno la coscienza del proprio diritto di cambiare il mondo».50

Consideriamo adesso il fatto che, esattamente nello stesso anno del Visconte dimezzato, appare il racconto lungo La formica argentina sul Quaderno X della rivista internazionale «Botteghe oscure». Questo testo rappresenta la contro risposta dell’oggettivismo, in termini di «memento mundi»51, ovvero “ricordati del mondo”: come già detto in 1.1., La formica argentina appartiene al gruppo di narrazioni che riflettono sul “male di vivere” a

cui la realtà contemporanea (e in questo caso naturale) sottopone l’uomo moderno. È il racconto di una famiglia appena trasferitasi sulla Riviera di Ponente, luogo del tutto familiare per l’autore dato che vi trascorse la sua infanzia e che fa da sfondo a molte delle sue prime pubblicazioni. La calamità contro cui combattere è l’invasione delle formiche nella propria casa, le quali sembrano essere imbattibili nonostante i vari tipi di marchingegni di cui il protagonista, senza nome e senza volto, vede servirsi i suoi vicini: «qui avevamo di fronte un nemico come la nebbia o la sabbia, contro cui la forza non vale».52

È una lotta priva di speranza che, inoltre, rimanda a un’esperienza realmente vissuta negli anni Venti e Trenta nello stesso luogo del racconto53, motivo per cui Calvino definirà La

formica argentina la storia «più realistic[a] che abbia scritto in vita mia»54.

50

Contardo Calligaris, op. cit., p. 43. 51 Ivi, p. 44.

52

Italo Calvino, La formica argentina, in Gli amori difficili, op. cit., p. 148. 53

Cfr. Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1314. 54 Ibidem.

(22)

22

Il memento mundi al quale rimanda questo testo è l’onnipresenza delle formiche a cui nessuno può sfuggire e che dovrà essere in qualche modo fronteggiata, senza perciò abbandonarsi alla suddetta «evasione edenica». Ebbene, ciò che spinge il protagonista a non rinunciare alla lotta è proprio l’insieme di tutti i problemi e preoccupazioni che si accumulano in una circostanza del genere: «[…] una casa da mantenere, un lavoro continuato da trovare, un bambino mezzo malato, e una moglie che non ride, e il letto e la cucina piena di formiche».55

L’oggettivismo si concretizza in un riavvicinamento «alla necessità delle tristi cose»56 della realtà, avvenuto anche a livello formale: Calvino in questo testo, così come ne La

nuvola di smog, utilizzerà la prima persona contrariamente ai romanzi allegorici che

prevedono invece una narrazione «in skaz»57, cioè portata avanti da un personaggio marginale58. Non è una differenza di poco conto poiché, grazie a quest’ultimo artificio si dimostra «la distanza che a Calvino preme di prendere da una forma che, per essere necessaria riscossa soggettiva, non cessa di offrire la mela proibita dell’evasione».59

È come se dopo l’affermazione della libertà, bisognasse necessariamente affermare la necessità. A questo punto, risulterà più chiaro il motivo per cui le due categorie in questione non vanno considerate opposte, bensì complementari, in un decennio poeticamente parlando così destabilizzante per l’autore: «il «subire» senza l’«agire» sarebbe «resa al mare dell’oggettività», l’«agire» senza il «subire» sarebbe la sterilità del sogno».60

55

Italo Calvino, La formica argentina, in Gli amori difficili, op. cit., p. 161. 56

Contardo Calligaris, op. cit., p. 45. 57 Ivi, p. 37.

58

Nel Visconte dimezzato è il giovane nipote del visconte Medardo a narrare le vicende; nel Barone

rampante il fratello minore del barone Cosimo; nel Cavaliere inesistente sembra essere fino all’ultimo

capitolo una certa Suor Teodora che non partecipa mai all’azione, perciò esterna ad essa. Tuttavia, il colpo di scena conclusivo rivela che, in realtà, la narratrice non è che Bradamante, la donna di cui uno dei due protagonisti, Rambaldo, si innamora.

59

Contardo Calligaris, op. cit., p. 37. 60 Ivi, p. 45.

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23

La formica argentina è la prima ma non l’unica risposta oggettivista all’allegoria

inaugurata dal Visconte dimezzato. Tra il 1951 e il 1959, anni che includono la pubblicazione sia del Barone rampante che del Cavaliere inesistente, Calvino si dedica ad altri tipi di racconti oggettivisti, anche se in qualche modo diversi dal primo nominato: tra questi ritroviamo sicuramente La speculazione edilizia, La nuvola di smog, la serie dei racconti di Marcovaldo61, il più dei nostri AD.

La formica argentina propone un discorso che implica la non rinuncia alla lotta contro le

avversità della realtà che viene «subita» in prima persona, senza nessuna prospettiva ottimista per un’eventuale “vittoria” del protagonista sulla calamità naturale delle formiche. Calvino però non si considera totalmente soddisfatto di questa scelta narrativa, motivo per cui «si apre […] uno spazio alla ricerca, compreso tra due soluzioni [oggettiviste] opposte ed entrambi possibili: neo-flaubertismo e neo-balzacchismo».62 La definizione di questi due termini emerge tramite l’aiuto prezioso di una nuova intervista concessa dall’autore a Roberto De Monticelli nell’agosto del 195963

: il neo-flaubertismo è un atteggiamento letterario molto frequente, che sancisce una riproduzione fotografica e obiettiva della società. Si rilevano, così, molteplici aspetti della complessità della realtà nei discorsi, nelle psicologie e nei modi d’essere. La caratteristica più importante riguarda il punto di vista adottato per questo tipo di rappresentazioni: è la visione dell’intellettuale ironica e distaccata, la quale però rischia di condurre a una «descrittività statica, passiva e stanca», motivo per cui subentra il neo-balzacchismo. Calvino ritiene che per poter avere maggiore consapevolezza delle situazioni complicate e degenerative, sia necessario un altro tipo di atteggiamento definito «mimesi attiva della negatività», ovvero la necessità di

61 Pubblicati prima nel volume del ’58, nella sezione de Gli idilli difficili e, in seguito, nel 1963, nella collana «Libri per ragazzi» Einaudi, con il titolo di Marcovaldo ovvero le stagioni in città.

62

Contardo Calligaris, op. cit., p. 46. 63 Cit. ivi, pp. 46-47.

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24

trasportarci violentemente dalla parte di ogni fenomeno, ogni modo di pensare che giudichiamo negativo, entrare nella sua logica interna portandola alle ultime conseguenze, vivere insomma la negatività al “grado eroico”.

La speculazione edilizia è il racconto in cui, secondo Calvino, l’atteggiamento

neo-balzacchiano appena descritto riesce a compiersi concretamente, poiché il protagonista Quinto Anfossi, intellettuale trasferitosi in una sconosciuta località della riviera ligure ormai ingrigita da una «febbre di nuove costruzioni», obbligherà se stesso a impelagarsi con convinzione in fallimentari progetti edilizi, nonostante queste attività rappresentino quello che ha sempre detestato. L’accostamento a Balzac risulta perciò consono dal momento che, nella sua letteratura, si impegnò a consegnarci «un’immagine di verità ineguagliabile» della «nascente borghesia degli affari, pur odiandola ideologicamente». L’autore non menziona La nuvola di smog durante quest’intervista, ma Calligaris aggiunge che anche questo racconto fa parte della produzione oggettivista neo-balzacchiana anche se, formalmente e di conseguenza anche concettualmente, notiamo immediatamente la differenza tra i due testi: nel primo ricompare la narrazione in terza persona, nel secondo invece viene utilizzata la prima persona. Tuttavia,

Il neo-balzacchismo della Speculazione appare subito nella totale immedesimazione dello scrittore col personaggio. La «mimesi della negatività» […] esclude l’intervento esterno dell’ironia, del giudizio morale o comunque del semplice commento dell’io scrittore: fatto tanto più rilevante se si considera che la Speculazione è scritta in terza persona. […] Lo scrittore non si riserva spazio alcuno. Ed è proprio questo monismo della terza persona, […] che fa della Speculazione il momento del subire integrale. […] Quinto Anfossi non emerge in nessun modo. La sua resa è totale. […] Così il neo-balzacchismo di Calvino si presenta come forma del subire integrale.64

Ne La nuvola di smog, invece, si compie un passo avanti rispetto alla Speculazione

edilizia. Anche in questo caso torna in auge un «subire integrale» rappresentato da una

nuova calamità, questa volta industriale: lo smog. Esso serpeggia e viene ricercato

(25)

25

ossessivamente non solo nei luoghi grigi della città (probabilmente Torino, anche se non viene mai nominata esplicitamente) ma anche nelle persone che circondano il protagonista. Quest’ultimo si presenta come una figura che desidera essere “provvisoria”, cioè instabile, che vuole adeguarsi alla situazione di inquinamento ormai dilagante e di cui sta facendo esperienza:

Lavoro nuovo, città diversa, fossi stato più giovane o mi fossi aspettato di più dalla vita, m’avrebbero dato slancio e contentezza; adesso no, non sapevo che vedere il grigio, il misero che mi circondava, e cacciarmici dentro, non tanto come se vi fossi rassegnato, ma addirittura come se mi piacesse, perché ne traevo la conferma che la vita non poteva essere diversa.65

L’utilizzo della prima persona rende il protagonista consapevole del suo «subire integrale», ed è proprio questo accanimento alla ricerca dei segni dello smog che lo contraddistingue da Quinto Anfossi della Speculazione edilizia:

Il «dottore» della Nuvola […] esulta scoprendo un velo di polvere sugli atti di tal congresso dell’«Ente per la Purificazione dell’Atmosfera Urbana dei Centri Industriali», gelosamente custoditi dall’ingegner Cordà industriale suo presidente e direttore del giornale «La Purificazione» di cui è appunto redattore il protagonista. […] O si rallegra scoprendo che anche il dottor Avandero, suo collega, dalle mani sempre pulite, si spolvera in realtà di nascosto le dita […]. Ma appunto il suo accanirsi lo situa rispetto allo smog ch’egli subisce; accanirsi a subire non è più soltanto subire. […] Rispetto alla corsa coi tempi di Anfossi, c’è nel «dottore» della Nuvola qualcosa di nuovo: un distacco critico dalla realtà subita, che viene configurando il subire come decisione di subire, e dunque come rifiuto di ogni evasione. […].66

Possiamo dire sostanzialmente che, se ne La speculazione edilizia si rischiava una rinuncia al soggetto troppo efferata, ne La nuvola di smog si vuole far vivere a pieno la negatività di questa realtà inquinata ma senza dover necessariamente «abdicare la propria soggettività»67 e, soprattutto, intravedendo nel finale un barlume di speranza del tutto mancante ne La

65

Italo Calvino, La nuvola di smog, in Gli amori difficili, op. cit., p. 179. 66

Contardo Calligaris, op. cit., p. 68. 67 Ivi, p. 71.

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speculazione edilizia. Esso si percepisce grazie allo sguardo rivolto alle campagne: il

protagonista, allontanatosi dal grigiore urbano, segue il percorso di alcuni carretti di lavandai che lo conducono in un sobborgo chiamato Barca Bertulla. Calvino a questo punto inizia una descrizione del luogo tutta naturale e piena di colori che, anche se solo per un istante, allieta la mente del protagonista:

Tra i prati e le siepi e i pioppi continuavo a seguire con lo sguardo […] i campi dove le donne […] passavano coi cesti a staccare la biancheria asciutta dai fili, e la campagna nel sole dava fuori il suo verde tra quel bianco, e l’acqua correva via gonfia di bolle azzurrine. Non era molto, ma a me che non cercavo altro che immagini da tenere negli occhi, forse bastava.68

La soluzione oggettivista neo-flaubertiana è invece quella che riguarda i racconti di Marcovaldo e l’insieme delle nostre “avventure”. Il punto di partenza è sempre il conflitto tra l’uomo e il mondo ma, in queste narrazioni, il particolare rilievo assunto dalla città (inteso sempre come spazio industrialmente sviluppato) ruota attorno agli (im)possibili rapporti con la natura nel primo caso, con gli altri esseri umani nel secondo.

Marcovaldo, «uomo di fatica»69 impiegato in una ditta che non si sa bene cosa produca e cosa venda, vive a stento con la moglie Domitilla e i suoi sei figli in una grande metropoli. Si presenta fin da subito come un soggetto inadatto alla vita urbana nella misura in cui

in mezzo alla città di cemento e asfalto, Marcovaldo va in cerca della Natura. Ma esiste ancora, la Natura? Quella che egli trova è una Natura dispettosa, contraffatta, compromessa con la vita artificiale70

A mo’ di esempio potremmo fare riferimento al primo racconto della serie, intitolato

Funghi in città, in cui l’umile protagonista si entusiasma per la scoperta della nascita di

68 Italo Calvino, La nuvola di smog, in Gli amori difficili, op. cit., p. 230. 69

Italo Calvino, Presentazione 1966 all’edizione scolastica di Marcovaldo, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. I, op. cit., p. 1233.

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alcuni funghi sul giaciglio della strada. È speranzoso di poterne riuscire a raccogliere una discreta quantità da poter gustare a cena con la sua famiglia, ingelosendosi al sol pensiero che anche qualcun’altro si potesse accorgere di quel “dono della natura” cresciuto in mezzo al grigio della città. Tuttavia, l’amara ironia della conclusione del racconto rivelerà la triste realtà dei fatti dopo che, non solo Marcovaldo e i suoi congiunti, ma anche altre persone gusteranno quei funghi selvatici:

[…] si rividero presto, anzi la stessa sera, nella medesima corsia dell’ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva tutti salvati dall’avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiati da ciascuno era assai poca.71

L’oggettivismo neo-flaubertiano, così come descritto da Calvino e studiato da Calligaris, appare evidente soprattutto grazie all’accorgimento formale della terza persona che restituisce quel distanziamento ironico dalla realtà operato dal punto di vista dell’intellettuale72

: «[…] L’ironia distaccata e illuminata [diventa] metafora della ricerca di forme dell’opporsi all’interno di quel subire che è l’oggettivismo: qui neo-flaubertiano».73

Allo stesso modo possiamo considerare la maggior parte dei racconti di AD, nei quali la realtà che viene narrata è quella dell’alienazione dell’uomo o della donna, concretizzata per lo più in una divisione, voluta o imposta, dagli altri e da se stessi:

Separazione dalla propria materialità corporale nella vergogna della signora Isotta di

L’avventura di una bagnante; separazione dalla persona amata in L’avventura di un viaggiatore e nella paradossale situazione di L’avventura di due sposi; separazione

dalla vita nel ritorno al lavoro di Gnei in L’avventura di un impiegato o nel delirio fotografico in L’avventura di un fotografo o in quello letterario in L’avventura di un

lettore.74

71

Italo Calvino, Primavera 1. Funghi in città, Marcovaldo ovvero le stagioni in città, in Calvino, Romanzi e

racconti, vol. I, op. cit., p. 1070.

72

Vedi p. 22. 73

Contardo Calligaris, op. cit., p. 50. 74 Ivi, p. 63.

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Anche in queste “avventure” compare il punto di vista dell’intellettuale che si esprime in terza persona, assumendo nuovamente un tono amaramente ironico e giudicante: prima ancora che nell’andamento narrativo, l’ironia si riscontra nei titoli dei racconti tutti introdotti dall’espressione «L’avventura di». È Calvino stesso a renderlo esplicito nella già citata Presentazione all’opera, in cui spiega che

[…] questa definizione di «avventura» ricorrente nei titoli dei singoli testi è ironica: […] nella maggior parte dei casi indica soltanto un movimento interiore, la storia d’uno stato d’animo, un itinerario verso il silenzio.75

Se prendiamo come esempio tra tutti L’avventura di un lettore, l’oggettivismo neo-flaubertiano in questione può ben rilevarsi: il protagonista Amedeo Oliva si reca al mare, portando con sé pochi effetti personali tra cui, il più prezioso, un libro di lettura che avrebbe dovuto essere il suo unico fedele compagno durante una giornata immersa nella solitudine. Fin dalle prime pagine del racconto viene presentato infatti come un uomo poco propenso alla socialità, desideroso di «ridurre al minimo la sua partecipazione alla vita attiva»76, ritenendola meno reale rispetto a quella riscontrata nelle sue amate letture: «era inutile, nulla eguagliava il sapore di vita che è nei libri»77. Con un’indole così delineata, l’incontro inaspettato con l’attraente bagnante (metafora del mondo reale) rappresenta il materializzarsi dell’esperienza alienante. Nonostante Amedeo sia, per tutta la durata della vicenda, combattuto tra il volerla ignorare (a vantaggio della forte curiosità che lo spinge a divorare i capitoli del libro) e avvicinare, il rapporto verrà consumato fugacemente e il racconto si chiuderà, esattamente come in Funghi in città, con una nota contemporaneamente amara e ironica:

75

Italo Calvino, Presentazione, in Gli amori difficili, op. cit., p. XII. 76

Italo Calvino, L’avventura di un lettore, in Gli amori difficili, op. cit., p. 76. 77 Ivi, p. 84.

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L’intesa amorosa era perfetta. Poteva forse essere protratta più a lungo; ma non era forse stato tutto fulmineo, in questo loro incontro? Imbruniva. Giù gli scogli s’aprivano, a scivolo, in una piccola cala. Adesso lei era discesa là e stava a mezz’acqua. – Vieni anche tu, facciamoci un ultimo bagno…– Amedeo, mordendosi un labbro, contava quante pagine mancavano alla fine.78

L’unione tra i due è effettivamente avvenuta, tuttavia si tratta di un mero atto fisico poiché il pensiero di Amedeo riguardo la maggiore veridicità del mondo della letteratura, non subirà variazioni rispetto a come ci era stato presentato all’inizio del racconto.

Possiamo concludere che, nel caso di AD, Calvino vuole rendere l’idea del distanziamento dalla realtà di cui sta parlando per cercare di essere il più obiettivo possibile, ed è per questo che li associamo alla categoria del realismo oggettivista neo-flaubertiano. Se ne La

speculazione edilizia la narrazione in terza persona serviva a rendere più esplicito il

suddetto «subire integrale» per nulla ironico, seguito da una totale rinuncia del soggetto, in

AD fa scorgere invece un cenno di ottimismo: Calligaris parla di una «presenza positiva –

anche se nascosta – del narratore»79 da ricollegarsi probabilmente al fatto che, sebbene il senso di questi racconti sia quello di una sfiduciata «mimesi […] dell’alienazione»80

, il soggetto si mette comunque alla prova e tenta il riscatto dalla realtà che sta subendo.

78

Ivi, p. 89. 79

Contardo Calligaris, op. cit., p. 64. 80 Ivi, p. 63.

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2. «Amore e assenza»

2.1. Le “avventure”: trame, tematiche e caratteristiche

Credo sia utile, a questo punto, soffermarsi sui contenuti e sulle peculiarità relative alle singole “avventure” di AD, affinché si comprendano fin da subito affinità e differenze tra di esse.

L’avventura di un soldato, alla quale si è già accennato nel capitolo precedente, narra i

combattuti pensieri del soldato Tomagra alle prese con un atto di seduzione nei confronti di una donna senza nome, dall’espressione rigida e a tratti assente, appena giunta nel suo stesso compartimento ferroviario. È un racconto interamente basato sulla gestualità, unico mezzo attraverso cui il fante si avvicinerà alla sconosciuta: il testo pullula di descrizioni dettagliate sui movimenti implicitamente sensuali del corpo, mani o gambe che Tomagra indirizza verso la donna, sperando di non essere troppo invadente e soprattutto domandandosi continuamente se tali attenzioni fisiche siano in qualche modo apprezzate o, quantomeno, non rifiutate. Nel finale del racconto è il buio di una galleria a conferire più coraggio al nostro protagonista, il quale si lascia andare a un’avance più “estrema”: «avanz[a] una mano trepida […] verso il seno, grande e un po’ abbandonato alla sua pesantezza» (AD, p. 13). A proposito, è utile ricordare che questo racconto sarà proprio uno di quelli che subirà i tagli maggiori, in linea con il continuo lavoro di riprese e rivisitazioni che contraddistingue l’operato di Calvino: si tratterà, dice egli stesso, di riduzioni adoperate soprattutto in senso «antipornografico»81, limitando il più possibile l’inserimento di dettagli corporei e descrizioni eccessivamente erotiche. Così la conclusione del racconto, seppure non in modo esplicito, lascia dedurre che il rapporto sia

81

Cfr. Bruno Falcetto, Note e notizie sui testi, in Calvino, Romanzi e racconti, vol. II, op. cit., pp. 1275 e 1298.

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stato consumato dopo che i due sono rimasti soli nel compartimento condiviso: «quando Tomagra si alzò e sotto di lui la vedova restava con lo sguardo chiaro e severo, […] egli ebbe ancora un moto di paura d’avere, lui fante Tomagra, osato tanto» (AD, p. 15). Eppure, come sottolinea Franco Ricci in uno studio dedicato a I Racconti di Calvino, l’unione o la non unione fisica tra i due protagonisti «is parenthetical»82, poiché ciò che conta è il fatto che Tomagra è regolato, esiste e agisce solo in funzione della sua divisa da soldato: siamo di fronte a una perdita di spessore dell’io, inteso come uomo:

His uniform is the mediating object, it legitimizes his existence; it protects him from the outside world by providing a codified shield of coherence that moves beyond the obvious fact that he is first and foremost a man. His avances cannot be denied, “simply because of his miserable position as a soldier”.83

Di questa prima “avventura”, inoltre, si evidenzia una certa unitarietà del registro espressivo, oltre a una totale assenza di dialoghi non solo tra i due “amanti”, ma anche tra gli altri viaggiatori che, al loro fianco, hanno assistito a questo celato corteggiamento. In ogni caso, la dinamica della vicenda riusciamo perfettamente a immaginarla nella nostra mente grazie all’accuratezza calviniana nel descriverla e, difatti, nonostante le molte perplessità dell’autore, su L’avventura di un soldato verrà adattato uno degli episodi cinematografici più riusciti del tempo: diretto e interpretato da Nino Manfredi, apparirà sugli schermi nel 1962 all’interno del film ispirato proprio ad AD e di cui riporta, infatti, lo stesso titolo.

L’avventura di un bandito è invece il racconto di Mario Albanesi chiamato Gim Bolero,

fuorilegge colto in flagrante dai poliziotti in una «città nuova» (AD, p. 16) non identificata. Per sfuggire al suo destino, l’inseguito busserà in piena notte alla porta di Armanda, una prostituta che vive con suo marito Lilin, uomo sfaticato e dedito solo all’alcool e al fumo.

82

Franco Ricci, Difficult Games. A Reading of I racconti by Italo Calvino, Wilfred Laurier University Press, Waterloo (Ontario, Canada), 1990, p. 67.

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