Nell‟estate del 1548, dopo quasi undici anni passati a Ferrara, Cavalcanti si trasferì a Roma per entrare al servizio del pontefice Paolo III Farnese, acerrimo nemico di Cosimo I de‟ Medici. In un periodo oscuro, pieno di ambiguità e tensioni, come quello della fine del papato, Cavalcanti fu impiegato dalla Santa Sede sia come consigliere in politica estera – scrisse per il papa il Discorso sopra la concessione delle
facoltà all’Imperatore e ben quattro memoriali – sia come inviato speciale in due
delicate missioni diplomatiche in Piemonte e a Parma. Alla morte del pontefice (novembre 1549), Baccio decise di rimanere a Roma alle dipendenze della famiglia Farnese e al seguito del cardinale Alessandro partecipò al conclave che elesse al soglio pontificio, con il nome di Giulio III, il cardinale Giovanni Del Monte. In seguito, l‟esule passò al servizio del duca di Parma Ottavio e, nella tarda primavera del 1551, si trasferì nella città emiliana, dove fu impiegato in diversi incarichi amministrativi e partecipò in prima persona alle vicende della guerra per il possesso di Parma e Piacenza. Rendendosi utile al duca grazie ai suoi preziosi consigli e alle sue conoscenze presso la corte francese, Baccio seguì così da vicino l‟evolversi del conflitto e finì per essere addirittura tra i firmatari della tregua che pose termine alle ostilità con il successo di Ottavio e del re di Francia Enrico II (maggio 1552).
Nel periodo compreso fra il 1548 e il 1552 Cavalcanti fu dunque al servizio dei Farnese, ai quali sarebbe rimasto legato per tutta la vita, come testimoniano le sue lettere indirizzate fino al 1561 al cardinale Alessandro e al duca Ottavio. Impegnato in un‟attività diplomatica intensa e coinvolto come mai prima in affari di Stato, egli, in questo lasso di tempo di circa quattro anni, abbandonò completamente gli studi e sembrò persino dimenticare la causa antimedicea. Nel corso della missione presso il sovrano francese per conto di Paolo III, infatti, Cavalcanti passò per Firenze, dove tentò una riconciliazione con il duca Cosimo I. Una decisione grave, alla quale l‟esule fu
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spinto da ragioni personali, che non deve far dubitare però delle sue convinzioni repubblicane. Benché il tentativo avesse avuto buon esito, Baccio scelse infatti di non far ritorno in patria e anzi appena si presentò l‟occasione di portare un nuovo attacco al ducato fiorentino, con lo scoppio della guerra di Siena, egli lasciò subito Parma per schierarsi ancora una volta in prima fila nella lotta antimedicea.
1–I CONSIGLI A PAOLO III E LA MISSIONE AL RE DI FRANCIA
Agli inizi dell‟estate del 1548 Cavalcanti ricevette, tramite il cardinale Ridolfi, un invito a recarsi a Roma al servizio di Paolo III. Così, lasciata Ferrara col consenso del duca Ercole II d‟Este,1
Baccio partì alla volta della città pontificia, dove giunse intorno al 9 luglio, stabilendosi a casa del genero, il ricco banchiere fiorentino Pierantonio Bandini:2 “arrivò qui non ieri l‟altro Baccio Cavalcanti, che andò a smontare a casa del Bandino et a quel che io ritraggo è venuto chiamato d‟ordine di Sua Santità col mezzo del Reverendissimo Ridolfi”.3
Inizialmente il papa, che era stato spinto a prendere al suo servizio l‟esule in seguito alle belle parole che avevano speso in suo favore i cardinali Ardinghelli e Ridolfi, oltre ad altri personaggi che ruotavano attorno alla corte pontificia,4 diede l‟impressione di non sapere bene come impiegare l‟esule. Stando infatti alle parole del Buonanni, che da agente mediceo e segretario
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In una lettera al suo ambasciatore a Roma (senza data) il duca di Ferrara Ercole II acconsentì, seppur con dispiacere, apprezzando molto i servigi del fiorentino, alla richiesta di Paolo III di avere il Cavalcanti al suo servizio: “Se bene vi scrivemo con questa nostra l‟officio che voi avete da fare in nome nostro con la Santità de nostro Signore per messer Bartolomeo Cavalcanti, non volemo però che voi le diciate altro se non che avemo inteso da lui, il quale già alcuni anni abita in Ferrara et ultimamente si trova al nostro servizio, che monsignor reverendissimo Ridolfi l‟ha ricercato per parte di Sua Beatitudine di andarla a servire, et perciò ci ha domandato licenza di poterlo fare con nostra buona satisfatione, et sebbene malvolentieri ci priviamo ogni quale giorno dei nostri servitori, nondimeno che non potendo noi mancare di obbedire a Sua Santità in tutto quello che possiamo fare per suo servizio, semo stati contenti de darli la suddetta licenza, dicendole anche che per quello che avemo potuto conoscere delle sue azioni volemo credere che ella resterà ben sotisfatta del suo servizio. Et non ve estenderete più oltre, dicendo però ad esso Cavalcanti quando da lui ne fosti ricercato al suo giungere in Roma, che non siete mancato di fare quell‟officio che si conviene nella qui allegata” (CAMPORI, Diciotto lettere, cit., p. 7).
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Cfr.A.MEROLA, Pierantonio Bandini, in DBI, V (1963), pp. 719-720.
3 ASF, Mediceo del Principato, 3267, c. 95v, lettera di Averardo Serristori a Cosimo I, Roma, 11 luglio 1548.
4 Cavalcanti raccontò infatti al duca di Ferrara (23 luglio 1548) di essere stato raccomandato al papa da diversi personaggi, primi fra tutti Ardinghelli e Ridolfi: “rispose Sua Beatitudine in questa sentenza, che la relazione ch‟ella aveva avuto di me dalla buona memoria del cardinale Ardinghello e di poi da molte altre persone segnalate e ultimamente dal cardinale Ridolfi, l‟aveva indotta a tale inclinazione verso di me e a desiderare d‟avermi appresso di lei” (CAVALCANTI, Lettere, cit., p. 154).
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dell‟ambasciatore fiorentino Averardo Serristori seguiva da vicino le mosse dei fuorusciti che transitavano per Roma, il pontefice non aveva ancora deciso se avvalersi di Cavalcanti all‟interno della Segreteria o piuttosto usarlo come agente diplomatico:
Venne in questa corte Baccio Cavalcanti […] Passò di Bagnaia dove stette un giorno o due con reverendissimo Ridolfi che negoziò ai mesi passati con Sua Santità questa venuta. È stato due volte col cardinal Farnese il quale per quanto ho ritratto, ha conferito seco largamente gran parte dello stato delle cose loro et delle intenzioni di Sua Santità ma non circa il caso suo, né per quel che sia stato chiamato, del che sino a qua non ne ha avuto lume alcuno. Qui si sente variamente. Alcuni che non sono molti dicono che servirà nel principale luogo della Segreteria. Alcuni che sarà dato alla cura et governo del duca Orazio et i più perché Sua Santità abbia a servirsene nel mandarlo innanzi e indietro in questi negozi col Cristianissimo [Enrico II]. Per ancora non ha avuta udienza da Nostro Signore et stima di poterla avere domani.5
In realtà Paolo III, che voleva approfittare della perizia che Baccio aveva nelle cose francesi e servirsi di lui come consigliere in politica estera, aveva solo bisogno di conoscerlo meglio prima di affidargli qualche incarico. Pertanto, dopo un primo incontro di presentazione,6 il papa convocò l‟esule altre tre volte per metterlo al corrente delle linee guida del suo pontificato e della situazione nella quale si trovava sul piano internazionale la Santa Sede, dilungandosi con lui in problemi di politica estera:
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ASF, Mediceo del Principato, 3267, cc. 106r-107r, lettera di Buonanni a Cosimo I, Roma, 14 luglio 1548. Due giorni dopo Serristori scrisse a Cosimo che, benché il papa avesse incontrato l‟esule, non aveva ancora deciso come impiegarlo: “al Cavalcante dette ieri Sua Beatitudine udienza et li fece grata accoglienza, mostrando d‟avere avuta cara la sua venuta per servirsene, ma non gli accennò in che carico, né si penetra, et si stima abbia a star di così qualche giorno” (ivi, c. 116r, lettera di Serristori a Cosimo I, Roma, 16 luglio 1548). Inoltre, secondo l‟agente mediceo, i dubbi circa l‟incarico da assegnare a Baccio accompagnarono il pontefice ancora per diversi giorni: “il Cavalcante è stato già 3 volte o 4 volte con Sua Santità la quale ritraggo che ha conferito seco largamente lo stato di tutte le cose sue et mostrò di havere molta fede in lui, al quale pare che abbi accennato di voler servirsene in cose di scrivere. Pur non ne ha alcuna risoluzione et potrà esser non la vegga così presto” (ivi, c. 133r, lettera di Serristori a Cosimo I, Roma, 21 luglio 1548).
6 È lo stesso Cavalcanti a raccontare il suo arrivo a Roma e il primo incontro avuto con il pontefice in una lettera al duca di Ferrara Ercole II del 23 luglio 1548: “arrivai qui, sono oggi 20 giorni, sano come anche sono per grazia di Dio e mi presentai al Reverendissimo et Illustrissimo Farnese, il quale m‟accolse con dimostrazione straordinaria d‟amorevolezza e di desiderio della venuta mia, dandomi ferma speranza che le cose mie passerebbono talmente che io resterei contentissimo di Sua Santità e di lui offrendomi quanto poteva a mio benefizio. Di poi mi presentò a Nostro Signore al quale io dedicai la mia servitù con le più accomodate parole ch‟io seppi, scusando l‟insufficienza e promettendo a Sua Santità tanta fede, integrità e unione con la volontà Sua, quanta si potesse desiderare in un vero gentiluomo e servitore. Rispose Sua Beatitudine […] che, vedendo quanto spontaneamente io era venuto e quanto liberamente io mi rimettevo in lei, era costretta a fare tanto maggior dimostrazioni verso di me, e che altre volte voleva parlarmi più particolarmente e che per allora m‟accettava al suo servizio e darebbe ordine alle cose mie quanto all‟onore e quanto all‟utile (che tali furono le parole proprie), in maniera che io mi rallegrerei d‟esser venuto al suo servizio” (CAVALCANTI, Lettere, cit., p. 154).
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Da quel tempo in qua Sua Santità m‟ha voluto tre volte; la prima mi fece un lungo discorso delle intenzioni sue e dell‟opere ch‟ella ha fatto per pacificare la Cristianità in tutto il suo pontificato; la seconda conferì meco molto confidentemente lo stato presente delle cose sue e volle ch‟io ne dicessi l‟opinione mia, sopra che domandai e ottenni tempo d‟un giorno a pensare e ieri stetti con Sua Santità tre ore sopra questa materia, nella quale ella mostrò con tali parole di restare tanto satisfatta di me che io non posso non mi reputare di questo sommamente onorato e contento […] e ieri finì il parlar suo col dire che non differirebbe più a dar ordine (per riferir le parole proprie) alle provvisioni e alle stanze mie, accennando d‟aspettare di vedere il Reverendissimo Farnese, il quale ora è guarito.7
Questi primi incontri tra Cavalcanti e Paolo III lasciarono in entrambi un‟ottima impressione. Da parte sua, infatti, l‟esule arrivò a definire il pontefice “un oracolo quando parla delle azioni umane”, elogiandolo come ricco di “prudenza e generosità d‟animo”, oltre che “sano e vivace meravigliosamente del corpo e dell‟animo”.8
Allo stesso modo il papa, assieme agli altri membri della casa Farnese e a Marcello Cervini cardinale di Santa Croce, mostrò di apprezzare le qualità del fiorentino con “dimostrazioni notabili di buona opinione e di buona volontà”, al punto che Cavalcanti con un certo orgoglio poteva scrivere ad Ercole II: “ogni uomo mi pronostica non mediocre onore e bene”.9
L‟esule non si sbagliava, visto che dopo questi primi incontri Paolo III gli concesse “una provvisione di 50 scudi al mese et stanza in palazzo per suo abitare”10 e cominciò a servirsi di lui “nelle più importanti e secrete cose sue”.11 Il pontefice, infatti, non esitò ad avvalersi dei preziosi consigli di Baccio, chiedendogli di esprimersi sulla condotta che egli avrebbe dovuto tenere nei confronti di Enrico II e di Carlo V in un periodo (seconda metà del 1548) che si preannunciava molto delicato per le sorti dello Stato pontificio.
Intenzionato a salvaguardare gli interessi del papato e ad accrescere il potere della propria famiglia, Paolo III aveva attuato sin dall‟inizio del suo pontificato una politica di neutralità tra Francia e Asburgo, che però, nella seconda metà degli anni ‟40,
7 Ibidem.
8 Ibidem. 9
Ibidem.
10 ASF, Mediceo del Principato, 3267, c. 159r, Lettera di Buonanni a Cosimo I, Roma, 9 agosto 1548. Tuttavia l‟agente mediceo aggiungeva che “quel che gl‟abbi a fare non sa per ancora”.
11 C
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era entrata progressivamente in crisi.12 I rapporti con l‟imperatore, che non erano mai stati idilliaci, erano infatti peggiorati sempre più, soprattutto dopo la decisione da parte del papa di concedere a suo figlio, Pier Luigi Farnese, il titolo ducale per i territori di Parma e Piacenza (1545). Creato dal pontefice con il duplice obiettivo di curare gli interessi della propria famiglia e di consolidare la difesa delle terre ecclesiastiche dinanzi all‟acuirsi delle tensioni in Italia, il nuovo Stato era stato avvertito con un certo fastidio dall‟imperatore, che lo considerava un pericoloso centro di politica anti- spagnola. Inoltre, il ritiro delle truppe pontificie dalla guerra che Carlo V conduceva contro la lega di Smalcalda e la traslazione del concilio da Trento a Bologna (marzo 1547), cui gli Asburgo si erano opposti, non avevano fatto altro che peggiorare le relazioni fra impero e papato. Così nel settembre 1547 don Ferrante Gonzaga, governatore imperiale di Milano,13 sfruttando un certo dissenso che si era creato a Parma e Piacenza nei confronti del nuovo duca, organizzò, con il consenso dell‟imperatore, una congiura che portò all‟uccisione di Pier Luigi Farnese. Subito il Gonzaga occupò la città di Piacenza, che passò così agli Asburgo, ma non riuscì ad entrare a Parma, ostacolato dalle milizie del capitano Alessandro da Terni, congiunte con quelle di Sforza Pallavicino e del Santa Fiora.14 Si trattò di un vero e proprio attacco agli interessi del papa, cui ne seguì subito dopo un altro. Intenzionato a dare un seguito alla vittoria contro gli smalcaldici, infatti, Carlo V, all‟insaputa del papa, sottoscrisse un accordo in materia di religione con i protestanti tedeschi. Noto con il nome di „Interim‟, esso constava di 26 articoli, i quali, pur contenendo espressioni generalmente cattoliche, erano stati in realtà redatti in maniera piuttosto vaga, affinché il testo fosse facilmente piegabile all‟interpretazione che si desiderava. Dopo averlo presentato in maggio alla dieta di Augusta, l‟imperatore informò finalmente il papa, chiedendogli di inviare uno o più appositi legati con ampie “facoltà”, ovvero con poteri per l‟approvazione e l‟applicazione caso per caso dell‟accordo.15
La questione di Parma e Piacenza e l‟„Interim‟ di Augusta, vero e proprio abuso di potere oltre che minaccia ai diritti del pontefice, erano ragioni gravi che potevano indurre Paolo III ad abbandonare finalmente la neutralità perseguita fino ad allora.
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Cfr. PASTOR, Storia dei papi, cit., voll. III, IV, V e VI; CAPASSO, Paolo III, cit., voll. I-II. 13 Cfr. G.B
RUNELLI, Gonzaga Ferrante, in DBI, LVII (2001), pp. 734-744. 14 Cfr.C
APASSO, Paolo III, cit., II, pp. 590-611. 15 Cfr. ivi, pp. 639-654.