Agli inizi del 1530 Cavalcanti ebbe subito l‟opportunità di fornire un importante contributo alla difesa della patria, essendo nominato fra gli oratori della milizia cittadina con il compito di spronare e motivare i soldati alla battaglia. Secondo la legge del 6 novembre 1528, infatti, una volta l‟anno, un giovane cittadino con spiccate capacità oratorie avrebbe dovuto tenere nelle principali chiese dei quattro quartieri di Firenze un discorso alle milizie, “confortandoli per quella alla obbedienza de‟ loro superiori, alla disciplina militare, et alla defensione della patria et conservazione della libertà di
200 Cfr. R
OTH, L’ultima Repubblica Fiorentina, cit. pp. 332-333. 201 V
ARCHI, Storia, cit., II, pp. 278-279. 202 Cfr. D‟A
66 quella”.203
Preziose testimonianze del significato politico, oltre che militare, della milizia cittadina, vero e proprio simbolo della lotta per la libertà di Firenze, le orazioni del 1530 furono pronunciate tutte tra il 3 e il 6 febbraio e furono affidate a personaggi di tendenza moderata: Lorenzo Benivieni, Piero Vettori, Pier Filippo Pandolfini e, appunto, Bartolomeo Cavalcanti.204 Quest‟ultimo, la cui eloquenza era ormai nota, pronunciò per primo la propria orazione nella chiesa di Santo Spirito,205 su gentile concessione dell‟amico Pier Vettori, al quale aveva chiesto “che gli venisse lasciata quella chiesa minore”,206
essendo angustiato da problemi di voce.
“Armato in corsaletto con buona pronunzia e bellissimi gesti”,207
Baccio esordì scusandosi per la propria inesperienza nell‟arte oratoria208
e tessendo le lodi della milizia cittadina, le cui “belle opere […] quell‟antica virtù de‟ gloriosi secoli non pur, dico, imitano, ma senza dubbio pareggiano, o forse avanzano”.209
Istituita con il compito di difendere il regime repubblicano e di accrescere la potenza e la gloria della città,210 la ben disciplinata milizia, infatti, si era fieramente opposta all‟esercito
203
ALBERTINI, Firenze, cit., p. 130. 204 Cfr. ivi, n. 4, pp. 130-131.
205 Oratione di Bartolomeo Cavalcanti Patritio Fiorentino. Fatta alla militare ordinanza fiorentina, il dì III di Febraio, MDXXVIII [la data è senza dubbio erronea], s. l. L‟orazione ebbe poi
numerose altre edizioni dal XVI secolo ai giorni nostri contenute in diverse collezioni: Orazioni diverse
di diversi rari ingegni, Venezia, 1546, pp. 30r-40r; Diverse orazioni volgarmente scritte, Venezia,
appresso Francesco Sansovino, 1561, vol. I, pp. 64r-69v (la collezione ebbe poi altre edizioni: nel 1562, in Venezia, appresso Francesco Rampazzetto, parte I, pp. 168r-173v; nel 1569, in Venezia, appresso Jacopo Sansovino, p.te I, pp. 168r-173v; nel 1575, in Venezia, al segno della luna, parte I, pp. 168r-173v; nel 1584, in Venezia, presso Altobello Salicato, parte I, pp. 168v-174r; nel 1741, in Lione, appresso Giuseppe e Vincenzo Lanais, vol. I, pp. 329-340); Prose fiorentine, cit., parte I, vol. 6, pp. 42-63; Scelta
d’orazioni italiane, cit., vol. I, p. 177; Raccolta di prose italiane, cit., vol. I, p. 314;DAZZI, Orazioni
politiche, cit., pp. 405-437;LISIO,Orazioni scelte, cit., pp. 11-33 (poi ristampata nel 1957 da Folena);
FANCELLI, Orazioni politiche, cit., pp. 9-24.
206 BNCF, Magliabechiano IX, 64, p. 16 (cfr. L
O RE,La crisi, cit., p. 115). 207V
ARCHI, Storia, cit., II, p. 256. 208
“Dura e faticosa impresa mi sarebbe stata in ogni tempo, o popolo fiorentino, il parlare in pubblico, non mi essendo io nell‟arte del dire, come sogliono li studiosi di quella, esercitato già mai […] poi che da quelli signori, i quali hanno voluto che presso di me vaglin più i loro comandamenti che appresso di loro le mie oneste escusazioni, è stata sottoposta al pericolo della mia rozza lingua et inesercitata la virtù e la gloria della salutevole milizia nostra, se però oscurare od illustrare possono quella l‟altrui parole, io mi sforzerò di far sì, che voi giudicherete che, se io non arò questo solenne giorno come si conveniva celebrato, arò certamente dimostro d‟averlo in reverenza” (LISIO, Orazioni scelte, cit. , pp. 11-12). Naturalmente le scuse del giovane Bartolomeo sono frutto di una forma convenzionale più che di una effettiva inadeguatezza al compito che gli era stato affidato, visto che egli aveva studiato l‟eloquenza antica e si era già esercitato nell‟arte oratoria nel corso delle sue prime missioni diplomatiche.
209 Ivi, p. 12.
210 “Onde noi veggiamo quelle [città], in cui il bel componimento della Repubblica con la bene ordinata milizia fu bene fortificato, non solo aver potuto il loro quieto e libero stato da i suoi nemici difendere e lungo tempo mantenere, ma ancora col valor di quella acquistare potenzia grandissima e conseguire gloria immortale. E che è necessario che io vi nomini Atene? Vi lodi Sparta? Vi celebri Roma?” (ivi, pp. 14-15).
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imperiale, rinfrancando la popolazione dinanzi al pericolo della guerra e salvando Firenze dalle armi straniere.211 Contro l‟ardore e l‟eroismo dei difensori, secondo Baccio, nulla avevano potuto le armi degli “ignoranti barbari”,212
costretti ad un assedio che si prospettava per loro sempre più cruento e lungo. Infatti, supportati da “invittissimi capitani e valorosi soldati”213
corsi in aiuto della città toscana, i fiorentini resistevano valorosamente ad ogni difficoltà, forti del loro smisurato amore per la patria e la libertà:
O amor della libertà, quanto sei efficace! O carità della patria, quanto sei potente! Ché quelli effetti subitamente produci, i quali da un lungo uso, da una molta esperienza, da una certa e lunga disciplina sogliono esser prodotti. Tu fai che lo splendore delle non più vedute barbare armi i nostri occhi non abbaglia, che noi arditi mirar possiamo ne‟ feroci aspetti de‟ rabbiosi nemici, che i maggior disagi a noi sono piaceri grandissimi, che le più dure fatiche dilettevoli giuochi reputiamo, che nella povertà viviamo lieti, ne i grandissimi pericoli pieni di securità. Tu infiammi i già tiepidi nostri cuori: tu armi e fortifichi i già nudi e deboli animi nostri: tu dalle più spaventevoli cose gli rendi invitti: tu le crudeli ferite, tu l‟acerba morte ne fai lieti ricevere.214
Alla celebrazione della milizia Cavalcanti legava indissolubilmente il tema della volontà divina, secondo una concezione di origine savonaroliana.215 Sin dalle prime battute Baccio affermava infatti che la milizia era nata per volere di Dio,216 legittimo ed
211
“Quando le orribili armi, che già tanti anni affliggono la misera Italia, vedesti contro la vostra cara patria furiosamente muoversi: il nome delle quali, essendo già per molte vittorie formidabile al mondo divenuto, non poté però, sì come quelli speravano, i vostri generosi cuori spaventare; anzi, non sendo ancora ridotte nella città quelle da voi condotte genti che al nemico esercito prima s‟opposero, non solo con franco animo sosteneste il terrore che quello contro alla città impetuosamente corrente dar ne poteva, ma reggeste ancora le sbattute menti de‟ vecchi padri, et i naturalmente freddi cuori riscaldaste della canuta etade; e così, avendo con la grandezza dell‟animo vostro alla gloriosa difesa della patria li altrui animi accesi, i corpi vostri alle grandissime fatiche e talli orribilissimi pericoli della guerra prontamente esponeste” (ivi, pp. 15-16).
212
Ivi, p. 16. 213 Ivi, p. 19. 214 Ivi, p. 18. 215
Cfr. L. POLIZZOTTO, The Elect Nation. The Savonarolan Movement in Florence (1494-1545), Oxford, Clarendon Press, 1994, p. 361, secondo cui l‟impronta savonaroliana permeava tutti i discorsi degli oratori alla Milizia.
216 “Chi negherà che il nostro celeste unico Re con pietoso occhio questa sua republica non riguardasse, quando egli illuminò l‟intelletto de‟ nostri savi padri e mosse le menti di questo generoso popolo ad introdurre nella città con nuovi e salubri ordini la disciplina militare? Avevaci quello restituita dopo molti anni la desiderata libertà, avevaci ridotti in buono e legittimo governo; ma poco sicura e poco stabile libertà, debole molto et imperfetta forma di Repubblica ne aveva renduta, se di fortificare i civili ordini con li militari grazia di poi non ne avesse prestata” (LISIO,Orazioni scelte, cit., p. 13).
68 “eterno Re” di Firenze,217
e che la “santa religione”218 era guida essenziale delle azioni umane. Riprendendo in più punti i contenuti della predicazione del frate, inestinguibili dalla dimensione specificatamente politica, il giovane oratore delineava quindi una sorta di religione della virtù secondo la quale Dio aiutava chi lottava per la libertà:219 seguendo gli insegnamenti di Cristo re, il popolo fiorentino, nazione eletta, avrebbe operato sempre in maniera virtuosa e non avrebbe avuto nulla da temere di fronte ai propri nemici.220 A Firenze, città di Dio, era infatti riservato, secondo Baccio, un destino speciale:
Altro da voi non vuole il nostro re, se non che li animi vostri, del suo amore infiammati, siano in tra voi col santissimo vincolo et indissolubile nodo della carità congiunti insieme e legati. Questa è quella religione, la quale se in te regnerà, o popolo fiorentino, sarai da quello come suo devoto e fedele servo, non solo difeso sempre e liberato dalli tuoi nemici, ma vittorioso e trionfante sopra li altri popoli esaltato: altrimenti non sia di noi chi nella propria virtù confidi e speri cosa alcuna poterli succedere felicemente; perché l‟opere nostre torte siano, se dalla luce della divina religione, che per diritto cammino ci guida, saremo privi.221
Con Dio al suo fianco Firenze non aveva di certo bisogno “d‟umano soccorso”222, né doveva rimpiangere “tutti gli amici popoli e principi” che l‟avevano
abbandonata al suo destino.223 Ultimo baluardo italiano dinanzi all‟avanzata delle armi straniere,224 la città toscana infatti, sull‟illustre esempio antico dei saguntini e di
217
Ivi, p. 18. Il 9 febbraio 1528 il gonfaloniere Niccolò Capponi aveva nominato Cristo re di Firenze (Cfr.D‟ADDARIO, La formazione, cit., p. 129).
218 L
ISIO,Orazioni scelte, cit., p. 22. 219 Cfr. M.V
IROLI, Il Dio di Machiavelli e il problema della morale dell’Italia, Bari, Laterza, 2005, pp. 214-215.
220
“Ma a voi si conviene, valorosi giovani, usare virtuosamente quello strumento, che per la difesa e conserva mento di quella prendesti e consacrasti al nostro Re: il che farete a pieno, se con religione et obbedienza grande eserciterete la militare disciplina, et a quella apprendere tutti sempre intenti et a sostenere morte per la patria pronti sarete. Però che, essendo la santa religione quella che il sommo Dio, il quale delle nostre cose è rettissima regola d‟ogni bene e grazia vivo fonte, ne fa amico, come potremo noi direttamente e felicemente operare già mai, se di quella mancheremo?” (LISIO,Orazioni scelte, cit., p.
22). 221 Ivi, pp. 24-25. 222 Ivi, p. 21. 223 Ivi, pp. 20-21.
224 “Pochi, ma veri, d‟Italia e della bellicosa Toscana figlioli combattono contro ad innumerabile moltitudine di rabbiose fiere sin dell‟ultima Spagna e della più fredda Germania venute a divorarne […] E voi, o gloriosi della fiorentin città difensori, sete i primi che ritardate il corso delle vittorie di coloro, a i quali non parte alcuna d‟Italia, non tutta insieme e con famosissimi principi collegata, ha potuto resistere: in maniera che voi soli il perduto da lei onore in tante guerre in questa sola impresa la recuperate” (ivi, pp. 19-20).
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Temistocle,225 conduceva da sola e con grande onore la sua santa e giusta impresa. Tuttavia, dietro questa decisa esaltazione della resistenza dei fiorentini, unici difensori del “nome italiano da barbare et di quello inimicissime nazioni”,226
si nascondeva in realtà la profonda delusione del Cavalcanti nei confronti dei francesi e dei collegati della Lega che avevano lasciato sola la repubblica nel momento del bisogno: “Ah! Pigra Italia, e quando fia che dal lungo tuo sonno ti risvegli? Ah! Ingrata, che abbandoni la salute di coloro i quali insieme con quella l‟onore tuo col proprio sangue difendono. Ah! Potentissima e generosissima Francia, come puoi tu così atroce spettacolo de‟ tuoi fedelissimi amici in estremo pericolo posti, oziosa riguardare?”.227
Pur essendo certi della vittoria,228 grazie all‟aiuto divino e all‟abilità delle milizie, i fiorentini dovevano però prestare attenzione alle numerose insidie che potevano nascere all‟interno delle stesse mura di Firenze. Infatti, ben sapendo che le discordie, che sino ad allora avevano lacerato il tessuto cittadino, erano sempre in agguato, il giovane Baccio, richiamandosi ancora una volta agli insegnamenti di Dio e alla carità cristiana, affermava la necessità per il bene pubblico di mantenere all‟interno della città “la santa unione, la pace e la concordia”, allontanando invece “gli animi d‟inimicizia, d‟odio, d‟invidia e dell‟altre umane passioni”.229
Convinto che solo l‟unione avrebbe permesso agli assediati di fronteggiare un nemico tanto forte, Cavalcanti finiva persino per trasformare il suo accorato invito alla concordia in un imperativo rivolto ai suoi concittadini:
Non sapete quanto vi siano grandi e soavi i frutti della civile concordia, e quanto aspri e gravi i danni della discordia? Delle quali questa le più potenti e felici città conduce in breve tempo ad estrema miseria, quella una, quantunque debole et afflitta, ha forza di reggere e, liberandola dalle avversità, renderla finalmente beata. Spengasi, spengasi nei vostri petti ogni scintilla di pestifero sdegno: accendasi in quella ardente fiamma di sincero e salutifero amore: veggino e temino insieme i vostri nemici di giusta ira e di ostile odio contro loro et in tra voi di civile mansuetudine e di fraterna benevolenza ripieni gli animi vostri: combattete virilmente col ferro contro a quelli; contendete civilmente in tra voi con le virtù.230
225
Cfr. ibidem. 226 Ivi, p. 19. 227 Ivi, p. 21.
228 “Per la qual cosa non patirà il tuo sempre vittorioso Re che cotanta virtù e cotanta fede perisca già mai, e quella libertà che così dolce ti restituì, salvata di tanti perigli, più che mai sicura e soave ti farà” (ivi, p. 22).
229 Ivi, p 23. 230 Ivi, p. 24.
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Strettamente connesso al tema della concordia era poi quello dell‟obbedienza militare e civile. Per la salvezza di Firenze era infatti fondamentale mantenere la disciplina all‟interno dell‟esercito, poiché “se ogni uomo volesse comandare, mancherebbe chi obbedisse e, mancando l‟obbedienza, si dissolverebbe questa militare compagnia”.231
Ma ancor più importante era per Cavalcanti rispettare le leggi e il governo, perché “le civili congregazioni […] tanto si conservano, quanto in esse l‟osservanza delle leggi e l‟obbedienza de‟ ministri di quelle regna”.232
Con queste parole, naturalmente, Bartolomeo intendeva esprimere il suo disprezzo nei confronti dei disertori e di quanti avevano abbandonato la città. Tuttavia, dietro la richiesta di obbedienza incondizionata, che non a caso si ritrova anche nell‟orazione alla milizia pronunciata due giorni più tardi dall‟amico Pier Vettori,233
si celava, ad un tempo, la decisa condanna dei radicali, contrari ad ogni tipo di accordo col papa e con l‟imperatore, e il pieno appoggio alla linea moderata assunta dal governo repubblicano con Raffaello Girolami.
L‟appello alla concordia e all‟obbedienza si concludeva infine con una serie di doveri morali ai quali i miliziani avrebbero dovuto attenersi: allontanando “ogni molle pensiero” e “le donnesche delicatezze”, essi avrebbero dovuto perseguire la “militare antica rozzezza”, “seguitare i virili et onesti esercizi” ed “essere amici delle fatiche et nemici dell‟ozio, perché quelle partoriscono gloria, questo è padre dell‟ignominia”.234
Per avere successo in guerra, dunque, i cittadini, dovevano essere virtuosi e pronti ad ogni cosa, persino alla morte, dedicandosi “con tutto l‟ingegno et con tutto il corpo allo studio et all‟esercizio delle cose militari”.235
Coraggio, amor di patria, frugalità e resistenza alle fatiche erano quindi le virtù che i fiorentini dovevano possedere e alle
231 Ivi, p. 26. 232
E più avanti aggiungeva il Cavalcanti: “il disubbidiente soldato partorisce nella guerra danni incredibili, sì come l‟obbediente produce frutti meravigliosi, et il contumace cittadino nella repubblica è perniziosissimo, l‟obbediente a quella è utilissimo. Per il che dobbiamo con somma reverenza obbedire ai nostri maggiori e conoscere che, se de‟ mercenari disubbidienti soldati è gravissimo il peccato, non è però altro che un solo; ma noi, che con l‟armi servendo alla nostra città e di cittadino e di soldato insieme la persona rappresentiamo, se nella milizia siamo disubbidienti, commettiamo doppio errore, e contro alla patria come cittadini e contro a i militari ordini come soldati; e per la medesima cagione, se nella civiltà ripugniamo a i comandamenti de‟ magistrati, e come insolenti e come ribelli sodati pecchiamo” (ivi, p. 27).
233 Cfr. A
LBERTINI, Firenze, cit., p. 421;LO RE,La crisi, cit., p. 119. 234 L
ISIO,Orazioni scelte, cit., pp. 29-30. 235 Ivi, p. 29.
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quali la stessa città di Firenze, come fosse una persona, si richiamava nel rivolgere ai suoi cittadini un ultimo e toccante appello a sacrificare anche la vita per difenderla:
Figliuoli miei, poi che con questo fato io dalle tenacissime unghie de‟ tiranni tratta e libera a voi restituita, che prima la vostra carità verso di me dovessi io provare nelle miserie mie, che voi nella prosperità gustare la dolcezza della libera patria vostra, confortami grandemente in queste mie calamitadi il conosciuto vostro ardente amore; e voi dovete molto rallegrarvi che di dimostrare quello con tanto onore e lode vostra vi sia stata data occasione. Quanto è stato contro a me grande l‟impeto de‟ furiosi nemici, tanto di gloria le sopportate fatiche, il sudore, il sangue sparso per la mia salute vi hanno guadagnato. Ma i frutti della vostra virtù mi tornerebbono vani e la luce della vostra gloria resterebbe spenta, se, quanto il furore e la potenzia delli vostri nemici et i miei pericoli insieme crescono, tanto ancora in voi la fortezza delli animi vostri non crescesse. Voi vedete come da tutte le parti, quasi mansueto animale, da fameliche e del mio sangue sitibonde fiere sono circumdata, e come dalla crudelissima morte, la quale, ohimè! Di darmi ogn‟or minacciano, altro scampo, misera! Non ho che la vostra virtù! […] Oh! Beati, et infinitamente beati, coloro ai quali è conceduto potere insieme e volere con la loro morte la vita della patria difendere e, quanto più possono, conservare.236
Con sincera commozione, dunque, Cavalcanti concludeva l‟orazione con quest‟ultimo eloquente appello alla difesa della patria, al quale faceva seguito, ancora una volta con un apparato retorico tipicamente savonaroliano, un appassionato richiamo a Dio, protettore di Firenze: “te, o nostro fortissimo Re, umilmente preghiamo che tanto ne presti della tua fortezza, che, essendo disposti a ricever morte per la salute di questo tuo popolo, te imitando, tuoi veri figliuoli ci dimostriamo”.237
Incentrata sulla virtù fiorentina, sull‟amor di patria e libertà, sulla necessità di concordia fra i cittadini e sull‟importanza della religione come elemento portante della vita civile, l‟orazione di Cavalcanti consisteva in un energico incitamento a combattere in difesa della repubblica. Tuttavia in essa non sempre si trovava una convinta promessa di vittoria, ma vi serpeggiava in alcuni passi la preoccupazione per la difficoltà della situazione e la consapevolezza del fatto che amor di patria e sacrificio non sempre erano sufficienti.238 Questa sottile ambiguità di fondo si spiega col fatto che Cavalcanti, da moderato, non disdegnava affatto l‟idea di cercare un accordo col papa e l‟imperatore
236 Ivi, p. 31. 237 Ivi, p. 33. 238 Cfr. B
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(come aveva già consigliato nel corso della sua missione in Francia dinanzi al tergiversare di Francesco I) per porre fine ad un assedio che si faceva sempre più duro e scongiurare così la possibilità di un saccheggio: non a caso qualche mese dopo si sarebbe schierato dalla parte di Malatesta Baglioni a favore di una capitolazione patteggiata con gli imperiali. Tuttavia, come dimostra l‟orazione, almeno per il momento prevaleva in Cavalcanti l‟entusiasmo per la difesa della patria e la convinzione di poter resistere a lungo.239
Pervaso da un sentimento di repubblicanesimo militante ed infarcito di reminescenze classiche, il testo del giovane fiorentino risultava in definitiva un tipico esempio di letteratura classico-repubblicana del Cinquecento, in cui i modelli e i valori dell‟oratoria e della storiografia greche e latine, lungi dall‟essere ripresi passivamente, erano sentiti come perfettamente applicabili alla situazione storica e sociale di una repubblica contemporanea quale Firenze:
E che è necessario che io vi nomini Atene? Vi lodi Sparta? Vi celebri Roma? Delle quali, sì come avete voluto i meravigliosi e salutari ordini imitando simili a quelle, il più che si potesse, fare la città vostra, così ancora seguendo i vestigi de‟ loro forti e valorosi cittadini avete saputo mostrare a i presenti secoli che l‟antico valore non è già spento, ma in voi con gloria grandissima del nome vostro si riaccende.240
Con queste parole, che evidenziavano l‟importanza degli esempi tratti dalla classicità, Cavalcanti, inoltre, riprendeva il celebre passo della canzone Italia mia del Petrarca, usato anche dal Machiavelli a chiusura del Principe: “Virtù contra furore / Prenderà l‟arme, e fia ‟l combatter corto, / Ché l‟antiquo valore / Ne l‟Italici cor non è ancor morto”.241
E in effetti, accanto agli scrittori antichi (Aristotele e Tucidide su tutti), erano proprio il Petrarca, con Dante e Boccaccio, e soprattutto il Machiavelli (si pensi ad esempio allo spazio dedicato nell‟orazione alla superiorità delle milizie cittadine sui