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Il fragmentum dello Scritto su Pirro

A NALISI DELLA TRADIZIONE POLIBIANA

2.3 Testimonia e fragmenta veicolati da Polibio: presentazione e analisi lessicale, metodologica e tematica

2.3.7 Il fragmentum dello Scritto su Pirro

Se nei fragmenta 6a e 6b Polibio non espresse critica alcuna riguardo al lavoro del predecessore in continuità con il quale egli stesso avrebbe avviato la propria opera, nel fragmentum 36, l’unico in cui, all’interno della tradizione indiretta dell’opera timaica, si faccia riferimento ad uno Scritto su Pirro – nonostante il fragmentum non riguardi direttamente la figura dell’Epirota –, il Megalopolitano riprendeva la sua consueta e metodica critica al predecessore, sebbene in tal caso il suo non fosse tanto un giudizio di metodo inerente, ad esempio, la mancanza dell’indagine personale e autoptica – uno dei capisaldi della polemica di Polibio a Timeo –, quanto, piuttosto, un’accusa e una denuncia dell’ignoranza e della pedanteria del Tauromenita.

F 36 = Polyb. XII, 4b, 1-3; 4c: καιὰ μηὰν νἐ το ςῖ Περιὰ Πύρρου πάλιν φησιὰ τουὰς ωμαίους Ῥ τιἔ ν νῦ πόμνημαὑ ποιουμένους τ ςῆ καταὰ τοὰ λιονἼ πωλείαςἀ , νἐ μέραιἡ τινιὰ κατακοντίζειν ππονἵ πολεμιστηὰν προὰ τ ςῆ πόλεως νἐ τ ιῶ Κάμπωι καλουμένωι, διαὰ τοὰ τ ςῆ Τροίας τηὰν λωσινἅ διαὰ τοὰν ππονἵ γενέσθαι τοὰν δούριον προσαγορευόμενον, πρ γμαᾶ πάντων παιδαριωδέστατον· ο τωὕ μεὰν γαὰρ δεήσει πάντας τουὰς βαρβάρους λέγειν Τρώων πογόνους ἀ πάρχεινὑ ·σχεδοὰν γαὰρ πάντες, εἰ δεὰ μή γ’οἱ πλείους, τανὅ ἢ πολεμε νῖ μέλλωσιν ξἐ ρχ ςἀ ῆ ἢ διακινδυνεύειν πρός τινας λοσχερ ςὁ ῶ , ππωιἵ προθύονται καιὰ σφαγιάζονται, σημειούμενοι τοὰ μέλλον κἐ τ ςῆ τοῦ ζώου πτώσεως, (4c) ὁ δεὰ Τίμαιος περιὰ το τοῦ τοὰ μέρος τ ςῆ λογίαςἀ οὐ μόνον πειρίανἀ , τιἔ δεὰ μ λλονᾶ ψιμαθίανὀ δοκεῖ μοι πολληὰν πιφαίνεινἐ , ςὅ γε διότι θύουσιν ππονἵ , ε θέωςὐ πέλαβεὑ το τοῦ ποιε νῖ α τουὰςὐ διαὰ τοὰ τηὰν Τροίαν ποὰἀ ππουἵ δοκε νῖ αλωκέναιἑ .

“E certamente negli scritti su Pirro di nuovo egli (Timeo) dice che i Romani, ancora adesso scrivendo memorie sulla distruzione di Ilio, un giorno uccisero con la lancia il cavallo da guerra in difesa della città in un luogo chiamato Campo (Marzio), dicono perciò che la presa di Troia sia avvenuta a causa del cavallo di legno, la cosa più puerile di tutte: così, infatti, mancherà solo che lui cominci a dire che tutti gli stranieri siano discendenti dai Troiani; forse tutti, infatti, altrimenti la maggior parte, sia quando siano sul punto di combattere all’inizio, sia quando facciano un tentativo assolutamente arrischiato contro alcuni, consultano la divinità mediante il sacrificio del cavallo e lo sgozzano, traendo presagi sul presente dall’abbattimento dell’animale. (4c) Mi sembra che Timeo, riguardo questa parte di irrazionalità, palesi non solo ignoranza, ma soprattutto molta pedanteria, proprio lui che, poiché essi sacrificano il cavallo, subito ha pensato che essi facessero questo per mostrare che Troia fosse andata distrutta a causa del cavallo”.

Per il commento del fragmentum 36 mi sono parse convincenti le riflessioni proposte da C.A. Baron107, che ha dedicato qualche pagina all’argomento. Innanzitutto,

lo studioso avvia la discussione sottolineando che F 36 possa considerarsi a tutti gli effetti una digressione di carattere etnografico, riguardo alla quale non si sa se dovesse precedere il racconto di una battaglia specifica, oppure se costituisse una vera e propria introduzione etnografica alla narrazione dell’intero conflitto. Nonostante tali dubbi, quel che è certo, secondo lo studioso, è che la digressio timaica dovesse appartenere ad un

contesto relativo all’esposizione di contrasti militari che vedevano protagonista, da una parte, la nascente potenza di Roma e, dall’altra, probabilmente, l’Epirota: soltanto in un contesto bellico caratterizzato da tali fazioni, infatti, troverebbe giustificazione la scelta timaica di ribadire, attraverso il riferimento alla perpetuazione dell’antico rito dell’October Equus da parte dei Romani, le origini troiane dell’Urbs, la necessità di affermare le quali dovrebbe essere considerata, in primis, in relazione al fatto che Pirro si presentasse come discendente di Achille, secondo una versione accreditata anche da altri autori108. Evidentemente, dunque, Timeo non avrebbe di certo rinunciato alla

possibilità di creare, o meglio, di confermare un collegamento, che doveva essere già esistente, tra l’epico scontro tra Europa e Asia, rispettivamente rappresentate da Achille e da Troia, e la nuova opposizione che andava profilandosi tra Pirro e Roma. Nella seconda parte del fragmentum si fa spazio il severo giudizio di Polibio, secondo la cui opinione, Timeo, nella descrizione della tradizione cerimoniale dell’October Equus, presentava un rito che, in realtà, era caratteristico di tutti i popoli barbari in un momento che precedesse uno scontro o una battaglia: non per questo, dunque, il Megalopolitano evidenziava che si potessero considerare tutti questi popoli come discendenti dei Troiani. A proposito di queste riflessioni, dunque, C.A. Baron invita alla cautela nell’accreditare le polibiane posizioni di denuncia dell’ πειρία e della ψιμαθίαἀ ὀ timaiche. Nello studio del fragmentum 36, quindi, concordo con lo studioso relativamente alla necessità di considerare il vizio polibiano nella restituzione di questo passaggio timaico, passaggio in cui il filtro del Megalopolitano ha fatto sì che le connessioni delle origini dell’Urbe con Troia apparissero come un prodotto dell’immaginazione timaica e non, invece, come il recupero di una precedente tradizione109. Come già accennato, il fatto che, in questo luogo, l’accusa di Polibio a

Timeo non avesse carattere, propriamente, metodologico – riferendosi, quindi, ad argomenti inerenti le modalità dell’investigazione personale e autoptica e la necessità di una conoscenza ed esperienza degli affari politici e militari –, ma si limitasse a denunciare soltanto le presunte ignoranza e pedanteria del predecessore sarebbe, piuttosto, sintomo evidente, secondo lo studioso, della volontà di Polibio di screditare il Tauromenita presso i lettori romani, additando, per questo motivo, i supposti scivoloni

108 Cfr. Plu. Pyrrh., I.

timaici proprio in relazione ad argomenti inerenti Roma: “considering Timaeus’ popularity at Rome, this passage would seem an ideal place for Polybius to put his predecessor’s mistakes concerning the city’s history on display”110.

Nel presente capitolo verrà presentata una schematizzazione dei temi individuabili nella media- zione dell’opera timaica realizzata dagli altri autori che, come Polibio, abbiano potuto attingere all’opera del Tauromenita, sia direttamente, sia indirettamente. In particolare, la convenienza di tale sin- tesi ritengo si palesi in relazione all’opportunità che essa offre di comprendere, con maggiore discerni- mento e per confronto, il recupero timaico realizzato da Polibio, soprattutto per quanto riguarda la ma- teria che lo storico di Megalopoli scelse di recuperare dal predecessore siciliano. Ancora, il confronto serrato tra quanto Polibio ha conservato dell’opera del Tauromenitanus – pur con gli intenti polemici di cui si è già parlato – e quanto è stato trasmesso dal recupero degli altri autori credo sia operazione ne- cessaria per riflettere sul dato incontrovertibile secondo cui – come è possibile evincere dallo studio dei frammenti polibiani affrontato nel capitolo precedente – il Megalopolitano attinse all’opera del prede- cessore innanzitutto perchè fonte storiografica obbligata e unica superstite per l’informazione storica relativa sia agli eventi della Sicilia tra i secoli V e IV, sia a quelli immediatamente precedenti lo scoppio della prima guerra punica.

Nella presentazione dei testimonia e dei fragmenta timaici mediati dagli altri autori ho seguito un criterio d’esposizione privilegiando l’ordine cronologico dei vettori di conservazione dell’opera del Tauromenita – dopo lo studio del materiale trasmesso da Polibio –, considerando, innanzitutto, quanto tradito dagli autori greci e soffermandomi, successivamente, sulla mediazione scoliastica e degli autori latini.