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FRAGRANTIA ORIGENIS

2.1. La sopravvivenza di Origene nel Medioevo: il caso di Giovanni Scoto Eriugena

Nell’affrontare una storia (o meglio una controstoria) dell’idea dell’inferno nella prima età moderna, non ignoro che molteplici sono le tradizioni che concorrono a tale visione; e che la ripresa di Origene è ben lontana dalla spiegare, da sola, lo sviluppo di molte idee. Sullo sfondo vi è la grande divisione tra Platone e Aristotele, ma non solo. Pitagora, Epicuro, Lucrezio, la sapienza ermetica e quella cabalistica sono certo fonti altrettanto importanti. Se su queste tradizioni si daranno solo minori ragguagli senza pretendere di esaurirne le diramazioni non è solo perché la loro fortuna è stata maggiormente messa in risalta dagli storici della filosofia. La fortuna di Pitagora nel Rinascimento è stata infatti dovuta in gran parte all’aspetto numerologico e magico; quando si guarda al Pitagora teorico della metempsicosi esso viene immesso all’interno della prisca theologia, e quindi associato a Platone, a Plotino e in molti casi ad Origene. L’influenza di Epicuro e di Lucrezio pertiene invece ad un’altra sfera, quella della mortalità dell’anima, che trovò però le sue fonti maggiori in alcune interpretazioni dell’aristotelismo, su cui ci soffermeremo più oltre. In molti autori lo stesso pensiero di Epicuro fu del resto interpretato in chiave averroista. Più da vicino si seguirà invece la fortuna dell’idea di metempsicosi nell’ambiente ebraico.

In secondo luogo, si è deciso di avere un punto focale su Origene in quanto autore cristiano - per quanto se non proprio eterodosso quantomeno diversamente ortodosso - ; un autore peraltro di grande rilevanza per la storie dell’esegesi. La sua appartenza alla tradizione cristiana amplifica il suo impatto e le possibili sfere della sua influenza. L’opposizione al suo pensiero può inoltre vertere solo parzialmente sull’inconciliabilità tra filosofia e religione, ma implica una riflessione più ampia sulla natura dell’ortodossia e dell’eresia. Analizzare la ripresa di Origene comporta alcuni problemi: soprattutto non è chiaro cosa si intenda esattamente per origenismo e quali caratteristiche assuma. Bisogna inoltre stare attenti a comprendere con la maggiore “empatia” possibile il carattere di tale ripresa, analizzandone i significati nella giusta prospettiva. Il termine origenismo è di per sé ambiguo: storicamente indica quei seguaci del Padre Alessandrino, numerosi soprattutto nel monachesimo orientale, che estremizzarono la sua dottrina e vennero ripetutamente condannati dalla Chiesa. Le censure ecclesiatiche, e i suoi avversari teologici, non fecero in realtà troppa

distinzione tra Origene e gli origenisti, contribuendo alla confusione sulle reali dottrine di Adamantio. Ci soccore un'immagine di von Balthasar a dar ragione della difficoltà nel ricostruire la fortuna origeniana: il destino del suo pensiero, e non solo dei suoi testi, fu quello di un aereoplano che volava in alto e ha giaciuto poi in frammenti dispersi in seguito a una caduta. Non è solo una difficolta della ricerca e dell’esposizione. Risultò infatti complesso per molti autori, dinanzi a tale materiale sparpagliato, comprendere esattamente il ruolo e la collocazione dei frammenti: da parte di chi scrive si è consci però di dover stare attenti ad evitare di analizzare solo il reperto, perdendo di vista il nuovo veicolo costruito.

Si è detto come, nonostante le condanne, il pensiero di Origene continuasse ad irrorare il pensiero cristiano, in termini più o meno espliciti, e talvolta più o meno consapevoli. Origene era infatti un caposaldo dell’interpretazione biblica e permeava in maniera significativa il lavoro di Girolamo. Durante il Medioevo continuò la stessa circolazione dei testi del Padre Alessandrino, che erano stato tradotti in buona parte in latino da Rufino. Per quanto riguarda il dibattito su Origene, esso si incentrò molto sulla sua “salvezza”, tralasciando a volte la sua dottrina95; ci si sbizzarrì sulla sua sorte,

immaginandolo, a seconda dei casi, dannato, o graziato dal fatto che gli errori attribuitigli non furono compiuti per malizia ma per eccesso di zelo. Spiegare come mai un Padre tanto dotto, e nobile nella sua spiritualità, potesse aver concepito eresie così nefande, spinse ad interrogarsi sui motivi della “caduta” di Origene e a vociferare su una sua presunta apostasia, forse indotta da minacce dei pagani, a cui Adamantio non aveva avuto la forza di opporsi. L’eco di questa polemica, come già si è accennato e come si vedrà più diffusamente, giunse fino al Rinascimento.

I dibattiti sulla sua salvezza e le visioni delle beate sulla sua collocazione nell’aldilà non coprono ovviamente l’intera percezione medievale di Origene. Egli non mancò di far avvertire la sua influenza da un piano più propriamente dottrinale. Basti sottolineare che nella Glossa Ordinaria, il commento più comune della Bibbia steso tra XI e XII secolo, Origene era largamente seguito, laddove vi fosse stata una sua omelia o una sua traccia indiretta. Nell’analizzare il ruolo della patristica sulla Glossa, (nel caso specifico della citazione che segue, nella sezione sul Nuovo Testamento) è stato scritto: “The sources of this gloss follow the familiar pattern: Origen read,

95 Sulla fortuna nel Medioevo di Origene si vedano in particolare MCGINN, The Spiritual Heritage of Origen

in the West. Aspects of Origen’s Influence in the Middle Ages, in PIZZOLATO-RIZZI, Origene. Maestro di vita

spirituale, Milano, 2001, 263-289; H. DE LUBAC, Esegesi medievale, Roma 1967: The Reception of the Church

revised and incorporated by Jerome, who is turn read, revised and incorporated by a Carolingian author.”96 A proposito di tale influenza Hugo von Balthasar ha rimarcato

come nessun autore sia, quanto Origene, “invisibilmente onnipresente.” Riferendosi a tale antitesi McGinn ha sottolineato la difficoltà di ricostruire tale influenza invisibile nella storia della teologia, provando a fornire alcuni case studies riguardanti il Medioevo. E’ chiaro che, come in ogni epoca, Origene venne sollecitato secondo le sensibilità e le esigenze teologiche del momento, con la cautela di non toccare gli aspetti dottrinalmente pericolosi: cioè l’indagine trinitaria e le speculazioni escatologiche. Rimaneva diponibile in ogni caso una gran parte del suo pensiero: l’eccezionale erudizione e le fologoranti intuizioni riversate nei lavori esegetici (anche se nella stessa esegesi Origene poteva risultare scomodo e ingombrante), ma soprattutto l’omiletica calorosa e confidenziale. A Origene guarda ad esempio con attenzione Bernardo di Chiaravalle97, e ciò si spiega anche con la relativamente

massiccia presenza di manoscritti origeniani nell’abbazia di Clairvaux. Bernardo, pur condannandolo, utilizza ampiamente nei suoi sermoni i commenti del Padre, anche se spesso in maniera implicita. Non sorprende più di tanto inoltre il fatto che la fonte principale dei Sermones supra Cantica di Bernando fu proprio Origene, vista l’importanza della sua interpretazione sul Cantico dei Cantici. Alcuni autori hanno in effetti sottolineato come proprio nel XII secolo abbia luogo una prima ripresa della fortuna origeniana98: sappiamo in ogni caso che è un autore ben presente anche ad

Ildegarda di Binden, che lo colloca sì all’inferno per essersi ingiustamente inorgoglito della sua sapienza, ma fa largo uso delle Omelie origeniane nelle sue riflessioni più tarde.99 Un qualche interesse dovette destare anche in Roberto Grossatesta che

attorno al 1235 acquistò alcuni manoscritti di Origene e ne ritradusse in latino le Omelie. Complessa è la visione che di Origene ha Tommaso d’Aquino: lo cita frequentemente, nei Commenti ai Vangeli e nella Summa Theologiae, stigmatizzandone

96 cfr E. A. MATTER, The Fathers in the Glossa Ordinaria, in The Reception of the Church Fathers in the West,

cit., pp. 83-112; in particolare pp. 87-88, p. 98, p. 102, p. 105 da cui è tratta la citazione.

97 Vi è una bibliografia abbastanza ampia sui rapporti tra i due autori: cfr. J.LECLERQ, Recueil d’études sur

Saint Bernard et ses écrits, Roma, 1962 e l’articolo dello stesso autore Saint Bernard et Origène d’après un manuscrit de Madrid, in “Revue Bénédectine”, 59, 1949; G. BARDY, Saint Bernard et Origéne? in “Revue du moyen âge latin” 1, 1945; J. DANIELOU, S. Bernard et le Pères grecs in Saint Bernard Théologien, Roma, 1953; in particolare sul commento al Cantico dei Cantici cfr. L. BRESARD, Bernard et Origène commentent le Cantique in “Collectanea Cisterciensia”, 44, 1982 e dello stesso autore Bernard et Origène. Le symbolisme nuptial dans

leurs ouvres sur le Cantique in “Cîteaux”, 36, 1985.

98 Oltre ai lavgori di McGinn e De Lubac cfr, J. LECLERQ, Recueil, cit.. e G.R. EVANS, Origen in the

Twelfth Century, in Origeniana Tertia. The Third International Colloquium for Origen Studies, Roma, 1985, pp.

279-285.

però le derive platoniche e in particolare l’errore in cui era incappato nella definizione trinitaria. Non trova soddisfacente inoltre la visione origeniana della prescienza divina, che viene utilizzata dall’autore del Peri Archon come chiave per risolvere il problema del rapporto tra predestinazione, libero arbitrio e giustizia divina100. La

formulazione origeniana del problema era infatti che “una cosa non si verificherà per il fatto che Dio sa che avverrà; ma poiché avverrà è conosciuta da Dio prima che accada”101; per il Padre Alessandrino era funzionale a salvaguardare il libero arbitrio

in funzione antignostica. A Tommaso una dottrina di tal genere pare ledere la potenza divina, che si trova a dover dipendere nella sua conoscenza dal contingente: Dio diventerebbe un profeta piuttosto che un artefice. In ogni caso, questo dibattito sulla prescienza, nella prospettiva polemica utilizzata da Origene, sarà un punto che riemergerà nel XVI secolo nella diatriba che vide opposti Erasmo e Lutero.

E’ interessante notare che il Padre Alessandrino ricomparve in questo periodo anche da Oriente, nella sua veste però più acre e polemica: nella diatriba tra greci e latini sull’esistenza del Purgatorio, infatti, gli ortodossi accusarono i cattolici di riprendere appunto il pensiero origeniano102.

Ad uscire da questo quadro limitato all’Origene omiletico ed esegetico furono, forse anche per il diverso spessore e la diversa curiosità intellettuale, due autori distanti nel tempo, ma accomunati dal progetto di un neoplatonismo cristiano: Giovanni Scoto Eriugena nel IX secolo, e Meister Eckhart a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Contravvenendo ad un ordine cronologico, si accennerà prima brevemente al mistico tedesco, perché il caso di Giovanni Scoto Eriugena, per il radicamento delle idee origeniane nel suo pensiero, costituisce un importantissimo hapax nella storia della fortuna del Padre Alessandrino; converrà dunque trattarne a parte. Per quanto significativa, è invece minore l’impronta origeniana su Meister Eckhart. Il domenicano tedesco, nel suo progetto di rifondazione del platonismo cristiano, si affida, in alcuni punti cruciali, all’autorità origeniana, senza mai esprimere note di biasimo103. In particolare ne riprende l’interpretazione dell’immagine paolina

100 Vedi a tale proposito I. BACKUS, The Reception of the Church Fathers, 354 sgg; Origene. Dizionario, cit.

lemma Origenismo.

101 Cfr. ORIGENE, Commento alla Lettera ai Romani, a cura di F. COCCHINI, Casale Monferrato 1985, lib.

VII, cap. VIII, pp. 390-391

102 cfr. P. RONCAGLIA, Georges Bardanès métropolite de Corfou et Barthélemy de l’ordre franciscain. Les discussions sur

le Purgatoire, Roma 1953, pp. 57 sgg.; LE GOFF, La nascita del Purgatorio, cit., p. 319 e sgg.

103 Su Origene e Meister Eckhart si guardino H. RHANER, Symbole der Kirche, Salzburg, 1964, pp. 81 sgg.;

E. H. WEBER, Maître Eckhart et la grande tradition théologique, in, Eckhardus Theotonicus. Homo doctus et sanctus, a cura di H. STIRNIMANN- R. IMBACH Freiburg, 1992, pp. 97-125; MCGINN, op. cit., p. 282 sgg.

del seme, come relazione tra Dio e l’anima, che si presenta come una dei capisaldi della sua dottrina104. Secondo Meister Eckhart, il seme di Dio nel cuore dell’uomo

impedisce all’uomo di peccare, è necessario per il compiersi del processo della redenzione e fonda la possibilità della conoscenza mistica.

Il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena105 ci consente di mostrare che la

circolazione delle dottrine origeniane non terminò, ed anzi incise profondamente in una rielaborazione teologico-metafisica, come quella dell’Eriugena, pari all’originale per profondità ed acutezza. Non è del resto un caso l’utilizzo di Origene, in un autore così tentato dalla tensione monistica del cosmo, come l’Eriugena: il Padre Alessandrino si viene ad aggiungere allo Pseudo-Dionigi l’Aereopagita (di cui Eriugena traduce il Corpus Aereopagiticum) e Gregorio di Nissa, nel trittico di rimarcabili influenze platonizzanti che si scorgono nel pensiero del filosofo irlandese.

Già Prudenzio di Troyes rinviene la stretta vicinanza tra i due autori. Non si può analizzare qui in dettaglio questo rapporto, ma alcuni aspetti andranno comunque rimarcati. Non è un particolare irrilevante, in primo luogo, che Giovanni Scoto Eriugena utilizzi Origene, senza condannarlo, non solo come esegeta, ma anche come teologo e filosofo. Dalle sue parole il Padre Alessandrino emerge infatti come il teologo (summus sanctae scripturae expositur) ed il filosofo (diligentissimus rerum inquisitor) per eccellenza. Ma soprattutto ne accoglie alcune lezioni su dei temi estremamente controversi.

Per Giovanni Scoto Eriugena infatti l’umanità è stata creata secondo un’immagine che rispecchia l’indivisibilità e l’unità divina: tale immagine, tale unità è principio e termine dell’esperienza umana. Il redditus di tutte cose verso Dio non è un aspetto secondario del pensiero eriugeniano, ma anzi il vero fulcro della sua trattazione106. Nel Periphyseon, nella convinzione della similarità tra la creazione

dell’anima e la sua sorte dopo il dissolvimento del legame corporeo, che consisterà appunto in un riassorbimento verso un principio unico spirituale, l’Eriugena, posto di fronte ai problemi legati al racconto della Genesi, si appella più volte ad Origene. Interpreta così le specie di animali riportate nel libro biblico come diversi moti e

104 Sulla centralità di questa metafora nella tradizione cristiana, ed in particolare sul tema della

resurrezione, cfr. C. WALKER BYNUM, The resurrection of the dead, cit.

105 Su Origene e Giovanni Scoto Eriugena cfr. MCGINN, op. cit., p 266 sgg. e D. MORAN, Origen and

Eriugena, Aspects of Christian Gnosis, in The relationship between Neoplatonism and Christianity, a cura di T. FINAN e V. TWOMEY, Dublino 1992, pp. 27-53.

106 Cfr. History and Escathology in John Scottus Eriugena and his time, ed. by J. MCEVOY e M. DUNNE, Leuven

attività dell’anima; ne riprende la trattazione sull’allegoria del corpo mortale come “tunica di pelle”; lo utilizza come come autorità per quanto riguarda la natura “intellettuale” e non materiale del paradiso terrestre; arriva a citarne l’autorità su due punti estremamente pericolosi: il ritorno di tutti a Dio, cioè la famosa dottrina dell’apocatasi, e la salvezza dei demoni. Con un ardire che non ha probabilmente eguali nella storia della ripresa origeniana, è a proposito della teoria dell’apocatastasi che l’Eriugena sottolinea, ammirandola, la profondità filosofica di Origene. Dice infatti il maestro irlandese: “…audi magnum Origenem, diligentissimum rerum inquisitorem, in tertio libri PERI ARCHON de consummatione mundi, hoc est de summo bono, ad quod universa rationalibus natura festinat, ut Deus omnia in omnibus sit; non enim alia consummatio mundi est praeter Deum omnia in omnibus esse tractantem et dicentem”107. E poco dopo aggiunge una nota origeniana sulla

salvezza dei demoni, di cui egli condivide lo spirito e l'assunto. Le sostanze create da Dio, anche quella demoniache, permarranno: a perire sarà la malizia della loro perversa volontà108. Nella totalità perfetta, principio e termine assoluto ed eterno,

anche la malvagità dei demoni sarà infatti assorbita.

Date queste premesse è altresì evidente e ben comprensibile il fatto che, lungo tutto questo brano del V libro del Periphyseon, Giovanni Scoto Eriugena presenti una teoria sulla natura spirituale del corpo che risorgerà, molto vicina a quella concezione origeniana sulla quale ci siamo ampiamente soffermati affrontando l’Epistola di Girolamo109. Lo stesso inferno (e con esso il paradiso) non può essere un luogo

geografico, secondo lo Scoto Eriugena, perché gli spiriti non possono essere localizzati. Dinanzi a tante e tali affinità, è semplice spiegare come mai un testo omiletico dell’Eriugena, l’Homilia super Prologum Iohannis, che affronta appunto il tema della creazione divina, sia stato attribuito ad Origene e in quasi in tutti i codici110 sotto

questo nome circolò in Europa. Ad aggiungersi alle affinità speculative, interviene nel Prologo un continuo esercizio di lettura spiritualizzante del testo giovanneo, che richiamò alla mente il procedimento esegetico origeniano. Considerare tale testo di mano dell'Alessandrino non è senza conseguenze: vuol dire infatti immettere nel

107 SCOTUS ERIUGENE, Periphyseon, De Divisione Naturae, a cura di I. P. SHELDON-WILLIAMS e L. BIELER,

Dublin, 1978-1985; il V libro da cui si cita è in PL, 122 (929A-930D).

108 ivi, 931.

109 Cfr. C. WALKER BYNUM, The resurrection of the body, cit, p. 141 sgg.

110 cfr. E. JEAUNEAU, Introduction, pp. 78-129, a Jean Scot, Homelie sur le Prologue de Jean, Source

Chrétiennes 151, Paris 1969; per l'edizione italiana si veda Giovanni Scoto, Omelia sul Prologo di Giovanni, a cura di Marta CRISTIANI, Milano 1987, e la relativa Introduzione.

corpus origeniano la profonda ispirazione di Dionigi l'Aerepoagita, che permea l'opera dell'Eriugena, e dunque una più netta caratterizzazione gerarchica e “irradiante” del cosmo; può permettere inoltre di sospingere la cautela epistemologica origeniana fin verso la teologia apofantica, accentuandone il lato mistico.

Non saprei ben ponderare però quale possa essere stato l’esatto peso del testo di Giovanni Scoto Eriugena nella circolazione delle idee di Origene. La stessa fortuna del filosofo irlandese è infatti stata altalenante. Queste sue stesse dottrine vennero inoltre gravate da condanne ecclesiastiche, giunte sia durante la vita sia postume, come quella conciliare del 1210 che intimava di bruciare il Peryphiseon. Indubbiamente il platonismo medievale del XII secolo guardò con interesse ad entrambi gli autori, e potrebbe darsi che la nuova sensibilità origeniana del XII secolo sia stata dovuta anche all’influsso di Giovanni Scoto Eriugena. Per quel che ci interessa l’aspetto misericordioso delle dottrine origeniane (ed eriugeniane) non venne preso troppo in considerazione, come in parte abbiamo già accennato. Ne è un ulteriore esempio una vicenda che coinvolse l’Eriugena: il suo testo è infatti rimesso in circolazione da Onorio di Autun nel Clavis Physicae. L’opera riprende infatti la visione monistica e spiritualizzante del Peryphiseon: ma Onorio affidò la propria visione più strettamente escatologica ad un’altra opera, l’Elucidarium, esempio, come abbiamo già visto, di una cupa e terrificante pastorale incentrata su una minuta descrizione delle pene infernali. Nonostante il fatto che le due opere fossero destinate a pubblici diversi, l’ossimorica produzione di Onorio ha del sorprendente: meno sorprendente è che l’Elucidarium ebbe una fortuna maggiore della Clavis.

Mi sembra in ogni caso che le sorti successive di Scoto Eriugena ed Origene siano parallele e non intrecciate: è certamente vero che molti personaggi legati alla fortuna di Origene sono attratti dal pensatore irlandese o si sono formati in ambienti scotisti, ma a pesare saranno altri fattori. Quando il pensiero di Origene inizierà ad avere una forza di penetrazione sempre maggiore, sarà infatti facilitato da un lato dalla fortuna più generale dell’intera patristica, e dall’altro dal suo inserimento, seppure a latere, nella genealogia della prisca theologia, in quella lista di sapienti antichi cioè, le cui intuizioni confermano la bontà sia della religione che della filosofia.

2.2. Tra rinascita monastica e Umanesimo

“Dans l’Occident chrétien, la pensée d’Origene a longtemps circulé comme una rivière souterraine, avec –de loine en loin- d’éclatantes résurgences qui coïncident généralment avec des réveils littérarires (IX, XII, XVI siècles), la continuité profonde du courant étant assureé par la littérature spirituelle, surtout monastique.(..) A la Renaisance, ce sont le milieux humanistes de Florence, de Venise et de Rome qui ont fourni, dès la seconde moitié du XV siècle, les premiers et le plus enthousiastes artisans de la résurrection d’Origène : Matteo Palmieri et Leonardo Datti, Jean Pic de la Mirandole, Alde Manuce, Gilles de Viterbe, pour ne citer que les plus célèbres ou le plus audacieux.(...) Dans ce formidable laboratiore d’idèes que fut l’Académie platonicienne de Florence, accueillante à tous les courants de pensée de l’Antiquité profane et chrétienne, le personne et l’œuvre d’Origène ont naturellement suscité des curiosités et des défenses passionnées.”111

Gli albori dell’umanesimo segnano un nuovo interesse verso la fortuna origeniana e le sue citazioni si moltiplicano, anche se prevale, come è chiaro, la cautelativa condanna. Sono piccoli granelli di una slavina che si sta mettendo in moto, granelli a mano a mano sempre più significativi. Nell’Epistolario del Petrarca, così legato ad Agostino, ritoviamo le accusa sulla dottrina della metempsicosi e sugli

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