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LE MASCHERE DI ORIGENE

4. 1 Erasmo ed Origene: il De immensa Dei misericordia

Ex Origene praeter philosophica figmenta et insulsas allegorias fere nihil. Immo ex commentariis in Romanos Pauli quid aliud quam verborum turbam, ineptum et adulteratum.

(H. Bullinger, De Prophetae officio, et quando digne administrari possit, oratio, 1532)

Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale dolendoci dai peccati ci rifuggiamo nella

misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema

← (Canoni sulla giustificazione del Concilio di Trento (Sessione VI- 13 gennaio 1547) punto 8).

Nel 1499 Erasmo incontra un predicatore francescano di quarantaquattro anni, alto e ben prorporzionato, dall’aspetto sorridente e sereno. Senza gesticolare, alieno da eccessi declamatori e fiammate eccitanti, ma con perfetto controllo di sé stesso, inculcava con i suoi sermoni la conoscenza del Vangelo ed un entusiastico desiderio verso Dio. Jean Vitrier, questo il nome del frate, si era in giovinezza nutrito del pensiero scotista, apprezzava Girolamo ed Ambrogio, meditava profondamente sulle Epistole di Paolo, che conosceva perfettamente a memoria. Ma sopra tutti ammirava il genio di Origene di Alessandria. Quando il giovane Erasmo si meravigliò che potesse prendere tanto gusto alle opere di un eretico, fu colpito dal fervore della risposta di un uomo tanto sobrio. Chi aveva scritto tante e tali pagine in onore di Dio, replicò Vitrier, non poteva non essere ispirato dallo Spirito Santo. Gli consigliò dunque di alcuni testi da leggere. Grazie alla mediazione di Vitrier Erasmo pervenne ad Origene.414

Erasmo parve scoprire nel Padre Alessandrino uno spirito affine: giunse a dichiarare che di cristiana filosofia e di pio amore per Dio ne apprendeva più da una pagina di Origene che da dieci di Agostino415. Nelle sue opere, trova un Dio

massimamente clemente, che mostra la stessa misericordia nel Vecchio Testamento

414 Opus epistolarum D. Erasmi, (d’ora in poi EE) a cura di P. S. ALLEN e M. H. ALLEN, Oxonii,1906-

1952; IV, 508.

415 EE, III, Ep. 844, 337, 252-254; Responsio ad notulas Beddae, Erasmi Opera Omnia, Leyde, 1703-1706

(d’ora in poi LB), IX, 708 E. Ma le parole di ammirazione nei confronti di Origene si susseguono in molti punti dell’opera erasmiana.

così come nel Nuovo Testamento; un’esegesi raffinata e tecnicamente solida, che offre una soluzione a spinosi problemi scritturali; vi trova infine una sensibilità religiosa a lui consona, lontana dalla rabbia teologica, che procede nelle sue dimostrazioni senza asserzioni dogmatiche. Il suo origenismo non fu motivo superficiale o secondario ma agì profondamente nei suoi scritti, dal Commentario sull’Epistola ai Romani, alla Parafrasi di S. Matteo, alla Diatribé de libero arbitrio. La riabilitazione del Padre alessandrino più che vertere sulla figura, come pure avvenne, si compì dunque tramite il massiccio utilizzo che Erasmo fece del corpus origeniano e che sfociò nel progetto di pubblicazione dell’ Origenis Opera Omnia. L’incompiutezza di quest’ultima ha impedito che Erasmo ci fornisse un’Apologia, ma la posizione di Erasmo su Origene, testimoniata da numerose citazioni sparse nelle sue opere, è chiara. La presenza di proposizioni eterodosse nei suoi scritti non inficia le sue qualità di esegeta e teologo; queste possono essere state il frutto di interpolazioni, o se veritiere, forse residuo della formazione filosofica – “Ruinae occasio fuit philosophia platonica”416-, ma non si può comunque condannare

un autore senza possederne l’opera originale. Riprendendo le argomentazioni già utilizzate da Pico, Erasmo ricorda che la trattazione di Origene lasciava su molti punti il giudizio al lettore, limitandosi a riportare le diverse possibilità di interpretazione; e che alcuni argomenti non erano stati ancora definiti dogmaticamente dalla Chiesa. E’ questo uno dei punti che più fortemente spinge Erasmo verso Origene, e che accompagna la sua difesa del Padre Alessandrino: la rivendicazione della natura storica, e dunque, fluida della costruzione del dottrina. Erasmo non nasconde il suo debito verso Origene e ne rivendica la maestria nell’interpretare la Scrittura secondo una chiave allegorica: si veda ad esempio cosa dice nell’Enchiridion:

“Fra gli interpreti della divina scrittura scegli soprattutto quelli che si discostano il più possibile dalla lettera. Di questo tipo sono innanzitutto, dopo Paolo, Origene, Ambrogio, Girolamo, Agostino”…” “L’apostolo Paolo ha spiegato, dopo Cristo, il significato di alcune allegorie, e Origene, seguendolo, si è facilmente conquistato il primato in questa parte della teologia”417

Sul rapporto tra Erasmo ed Origene è stato scritto un ponderoso e ben documentato volume, che ripercorre l’influenza origeniana nell’Enchiridion militia

416 In Ps. XXVIII, LB., V, 432 C..

417 ERASMO DA ROTTERDAM, Enchiridion militis christiani, in Erasmo, Scritti religiosi e morali, a cura di C.

Christi, nella Diatriba de libero arbitrio e nelle tracce della comune attività esegetica418. Un

recentissimo testo ha inoltre dettaglitamente analizzato i debiti contratti da Erasmo verso il Commento all’Epistola ai Romani di Origene419.

Dell’innegabile influsso di Origene su Erasmo in questa sede interessa rimarcare la presenza del Padre Alessandrino rintracciabile nelle posizioni assunte da Erasmo sul problema del libero arbitrio, all’interno del dibattito che lo vide opposto a Lutero; in particolare si vuole qui analizzare la Concio de immensa Dei misericordia, opera spesso trascurata dalla critica, pubblicata presso Froben a Basilea, nel 1524, assieme ad una versione ampliata della Virginis et martyris comparatio. Lo stesso Godin nel suo informatissimo volume non ne parla; eppure la presenza di Origene è in quelle pagine traccia palpabile, seppur implicita.

Ma prima converrà soffermarci sulla Diatribè de libero arbitrio420: è noto che una

buona parte del polemico pamphlet antiluterano è ripreso da Origene, in particolare dal Commento all’Epistola ai Romani e dall’inizio del III libro dei Peri Archôn, che va sotto il nome di De arbitrii libertate, in cui è riportata la trattazione del Padre Alessandrino sul libero arbitrio. Da esso infatti derivano alcuni interpretazioni di esempi classici sulla trattazione del problema: dunque il caso del Faraone, il problema rappresentato dalla differente sorte di Giacobbe ed Esaù, ed il tema paolino dei vasi dal diverso contenuto. L’umanista batavo segue molto da vicino i ragionamenti origeniani, propenendo in parte anche gli stessi accostamenti di brani, e allontanandosene quando la trattazione rischia di intrecciarsi pericolosamente con la possibilità della preesistenza e l’eventualità di un progresso “terapeutico” dell’anima dopo la morte421.

418 A. GODIN, Erasme lectuer d’Origène, cit.; merita inoltre attenzione M. SCHAR, Das Nachleben des Origenes,

cit., p. 234 sgg. Sul tema si segnala anche il seguente lavoro, che non è stato possibile consultare, G. J. FOKKE, Chritus verae pacis auctor et unicus scopus. Erasmus and Origen, Tesi di dottorato in Teologia, Katholicke Universiteit te Leuven, 1977.

419 T. P. SCHECK,The legacy of Origen’s Commentary on Romans, Notre Dame 2008.

420 ERASMI ROTERODAMI, De libero arbitrio Diatribé sive Collatio, Basileae 1524. Per un’edizione italiana si

veda ERASMO - LUTERO, Libero arbitrio-Servo arbitrio, a cura di F. DE MICHELIS PINTACUDA, Torino 2004 (I ed. 1969), pur non essendo esente da pecche la traduzione di Roberto Jouvenal. Il primo rapporto tra Erasmo e Lutero risale al dicembre 1516: Spalatino (EE 501 t. II, pp. 416-418) segnala all’umanista che un monaco agostiniano tedesco discuteva la sua interpretazione dell’Epistola ai Romani, a riguardo del problema del peccato originale420. Due anni e mezzo dopo arriva la prima lettera di

Lutero ad Erasmo. Lo scontro sul liberto arbitrio, fatte salve le circostanze politiche che porteranno Erasmo a impugnare la penna, è già in nuce in quegli anni e verte sul dissenso riguardo l’interpretazione sul testo paolino.

421 Le segue non in maniera pedissequa, attuando ad esempio una scelta tra i passi affrontati da

Origene, privilegiando quelli paolini a scapito delle citazioni veterotestamentarie. Come si è detto la differenza sostanziale risiede nel fatto che Erasmo non può accettare l’utilizzo origeniano dell’argomento della diversità delle creature razionali, che presuppone la preesistenza delle anime. Per un’analisi più dettagliata della trattazione dei passi biblici in esame si veda A. GODIN, Erasme lectuer

Non è certo un Erasmo schiacciato su Origene , perché l’amalgama di problemi entro cui si muove Erasmo comporta un raffronto con Agostino e Pelagio, e poi con Tommaso e lo scotismo; ma indubbiamente Origene assume uno spessore peculiare. L’ispirazione origeniana non emerge soltanto da un’analisi filologica ma è chiara anche a considerare l’impianto stesso della disputa con Lutero. La metodologia ed i fondamenti ermeneutici enunciati da Erasmo rispecchiano infatti l’impronta del Padre Alessandrino: lo sono i richiami della Diatriba sulla necessità della prudenza e della christiana pietas una volta che ci si muove nel “santuario” della Scrittura; la denuncia del pericolo del dibattere alcuni argomenti in pubblico; l’adesione ad una pedagogia divina progressiva, che svela i suoi misteri gradatamente; così come lo è il richiamo alla coesione interna della Sacra Scrittura, contro l’accentuata divisione tra Antico Testamento e Nuovo Testamento che fa Lutero, e alla consapevolezza sull’oscurita del testo biblico, che troverà nel riformatore un critico feroce. Erasmo utilizza il Padre Alessandrino per mettere sotto la lente d’ingrandimento la terminologia paolina e per rendere ragione degli stessi esempi addotti dell’autore della Lettera ai Romani. Alla traduzione rufiniana del De Principiis è stato anche ricondotta con efficacia la stessa costruzione grammaticale dell’argomento, in un’ultima analisi pelagiano, che riconnette il libero arbitrio e le capacità naturali alla grazia divina.422 Se l’uso di esse

va infatti ricondotto all’uomo, quelle facoltà provengono invece da Dio; sminuire il libero arbitrio significa non riconoscere la potenza di Dio. Argomento, se si vuole, solo retorico, utile a smontare l’accusa di deprezzare la grazia: ma significativo del debito che Erasmo contrae con Origene.

La posizione di Erasmo è legata, come nota a ragione Lutero, al tentativo di raffigurare il Dio cristiano come un Dio in primo luogo misericordioso, o meglio come un Dio in cui la giustizia segua la misericordia. Se per Lutero questa è una indebita manifestazione di orgoglio della ragione umana, che vuole tendere a usare le sue

d’Origène, cit., p. 469 sgg ; R. TORZINI, I labirinti del libero arbitrio p. 157 sgg.; T. P. SCHECK,The legacy of

Origen’s Commentary on Romans, cit., p. 129 sgg..

422 Cfr. R. TORZINI, I labirinti del libero arbitrio, cit., pp. 44-45. Rufino aggiunge il rafforzativo hoc ipsum:

“sed hoc ipsum, quod movetur, ex deo est”; hoc ipsum quod possumus vel velle vel efficere, a deo nobis datum esse”, “ex deo habemus hoc ipsum quod homines sumus” e così Erasmo nella Diatriba “cui debemuset hoc ipsum, quod sumus”, “hoc ipsum donavit..:”.. Per i debiti contratti da Erasmo verso Origene si guardi anche, nel testo di Torzini, le considerazioni a p. 85. Si riporta l’intero passo di I

Principi III, I 20 nel quale Origene esprime la propria posizione: “Dicono alcuni: Se da Dio viene il

volere e da Dio l’operare, anche se vogliamo e operiamo il male, poiché il volere e l’operare vengono da Dio, non siamo noi che operiamo le cose migliori, ma a noi sembra di farlo, mentre è Dio che lo concede: perciò anche in questo siamo dotati di libera scelta. A questo rispondiamo che le parole dell’apostolo vogliono dire che viene da Dio non volere cose buone e volere cose cattive, bensì volere e operare in senso assoluto.”

categorie per giudicare della giustizia di Dio, per Erasmo al contrario tutto ciò che invece esula da questa base minima della rappresentazione divina rientra negli adiaphora. Tale preoccupazione spiega a mio avviso anche le contraddizioni, non poche e non piccole, in cui Erasmo cade nel Libero Arbitrio, entrando in un terreno preliminarmente dichiarato complesso e periglioso, che sembrava rientrare nelle questioni dichiarate non indagabili, e certamente non indagabili con il clamore suscitato dalla disputa. Se all’inizio del rapporto a distanza il dissenso rintracciabile con la costituenda visione luterana verte sul problema del peccato originale, (cioè il cap. 5 dell’Epistola ai Romani), nel Libero Arbitrio questo tema viene lasciata in disparte, anche se permane in Erasmo il dubbio sulla trasmettibilità della colpa. Lo scontro frontale avviene sull’interpretazione di Rom, 9, e in particolare sui passi riguardanti l’indurimento del cuore del Faraone e la preferenza di Dio tra Giacobbe ed Esaù. Paolo era dell’avviso che l’uomo non potesse chiedere conto a Dio della sua giustizia e della sua misericordia. Agostino vi si era ricollegato (De diversis quaestionibus ad Simplicianum, 1, 2, 16) legando l’imperscrutabilità alla mancanza di misericordia verso i reprobi, linea che segue anche Lutero nel Servo Arbitrio. Per Erasmo, fortemente debitore verso Origene, è invece lecito, o almeno naturale, interrogarsi sulla giustizia e sulla misericordia di Dio. Il punto è centrale nella disputa, perché è uno degli argomenti scritturali principali utilizzato dagli avversari del libero arbitrio. Nel De libero arbitrio accingendosi ad affrontare questo punto Erasmo afferma: “Quoniam autem absurdum videtur ut Deus, qui non solum iustus est, verum etiam bonus, indurasse dicatur cor hominis, ut per illius malitiam suam illustraret potentiam, Origenes libro Peri Archôn tertio sic explicat nodum.”423 Un richiamo dunque esplicito,

reso ancora più significativo dal fatto che il libro di Origene è l’unica opera a cui si rimanda nella diatriba. L’affermazione peraltro parafrasa quasi Origene per quanto riguarda la bontà di Dio: scrive infatti il Padre alessandrino: “Poiché alcuni considerano Dio giusto, noi buono e giusto, esaminiamo come il giusto e buono indurisca il cuore del Faraone.” E ancora: “Osservino l’intendimento di Dio, giusto e buono secondo la sana concezione, soltanto giusto, se ricusano e se vogliamo concedere loro ciò per il momento; e spieghino come possa apparire che Dio buono e giusto, o anche soltanto giusto, giustamente faccia indurire il cuore di quello che va in perdizione per l’indurimento e come egli possa essere responsabile con giustizia della

perdizione e della disubbidienza di coloro che vengono da lui puniti per l’indurimento e la disubbidienza”424 Nel De libero arbitrio Erasmo riprende il filo dell’impostazione

origeniana, basata sull’assunto che Dio ha offerto al Faraone la possibilità del pentimento, ma su di lui ricade la colpa dell’indurimento del cuore, perché ha sdegnosamente rifiutato le vie della salvezza. Più in generale Godin rileva come Erasmo oltre ad aver seguito nel De libero arbitrio lo schema generale del Peri Archôn, III, 1, nello specifico punto segua da vicino l’andamento dell’esposizione origeniana, portando nello stesso ordine i tre tipi di prove addotte da Origene a confortare la sua tesi: comparazioni paoline, argomenti “familiari” (il padrone e lo schiavo in Origene, il padre e il figlio in Erasmo) e espressioni metaforiche dei Profeti.425 Utilizzando

Origene, peraltro in questo punto approvato dalla Chiesa, “Erasme était parvenu dans son De libero arbitrio à donner une solution cohérente au problème exègètique et doctrinal posè par le cas du Pharaon”426; il tema verrà ripreso anche nell’Hyperaspites,

dove si confutano punto per punto le obiezioni contenute nel De servo arbitrio. In quest’ultima opera Lutero riconosce la centralità del punto in questione e si applica a una confutazione antiorigeniana che, secondo Godin, tradisce nei suoi eccessi l’imbarazzo di fronte alla forte dimostrazione origeniana. Sulle prove scritturali adotta un atteggiamento di “contrapposizione”, ribaltando l’interpretazione di tutti i luoghi addotti da Erasmo; per quanto riguarda Origene riporta il motivo classico dei suoi errori e della sua caduta. Nell’Hyperaspites Erasmo ripropone le sue argomentazioni e difende la figura di Origene e la sua interpretazione delle Scritture: “Primum, quod inquirens scripta iste, non definens; deinde quod priscis temporibus, quibus adhuc fas erat de multis dubitare, de quibus nunc ambigere fas non sit.”427 Soprattutto rivendica

nuovamente la necessaria complementarità della bontà e della giustizia divina, che si contrappone all’estrema conseguenza, un Dio né buono né giusto, cui pare giungere la posizione luterana.

***

424 I Principi, cit., III, I, 10. p. 377. 425 A. GODIN, op. cit., p 477. 426 ibidem, p. 534.

Originariamente concepita come sermone per la consacrazione di una cappella dedicata alla grazia divina, la Concio non fu probabilmente pronunciata, o almeno, data la lunghezza eccessiva, non lo fu nella versione a noi giuntaci. Al di là di questo dato, certamente la preoccupazione di Erasmo in questa Concio è pastorale più che dottrinale; e in questo senso è perfettamente riuscita. Ne scrive Micheal Heath: “As an example of ideal Erasmian preaching, grounded in Scripture and designed to uplift the hearts of the faithful, De immensa Dei misericordia could hardly be better.”428

Il sermone è una celebrazione della misericordia divina, attraverso la quale la salvezza è per tutti possibile. Ma non si tratta solamente di un’occasionale opera di edificazione; assieme alla coeva e più famosa Diatriba de libero arbitrio, la Concio rappresenta la risposta erasmiana a Lutero. Si potrebbe dire che di quest’ultima opera ne è un complemento; non è errato in effetti vedere in parte della Concio una chiarificazione sul ruolo della grazia divina nella giustificazione. La destinazione della predica non deve cioè far dimenticare i fili profondi che la legano all’elaborazione teologia di Erasmo di questa fase.

Il De immensa Dei misericordia si sviluppa attraverso l’esposizione di precise coppie di opposti, che si ripresentano più volte: l’uomo deve guardarsi da due mali, l’eccessiva fiducia in sé stesso e la disperazione per la propria salvezza: “Inter multa mala, quae genus humanum pertrahunt in aeternum exitium, duae praecipuae pestes sunt, et capitales, a quibus in primis oportet cavere quibus cordi pietas est, quique desiderant ad aeternae felicitatis consortium pervenire. Eae sunt, fiducia sui ac desperatio, alteram parit mens elevata adversus Deum, quam excaecavit amor sui: alteram gignit hinc perpensa criminum admissorum magnitudo, hinc Divini iudicii severitas absque recordatione misericordiae.”429 Seguendo queste due principali linee

espositive Erasmo, da una parte, rielabora motivi tipicamente paolini e luterani intorno alla giustificazione per fede, utilizzando passi che farebbero pensare ad un’antropologia profondamente pessimistica; dall’altra pone l’accento sul suo libero arbitrio e sul tema umanistico della dignità dell’uomo. Ma questa apparente contrapposizione, come si vedrà, è superata dal richiamo, che pervade l’opera, all’

428 M. J. HEATH, Introductory note al Concio de immensa Dei misericordia, in Collected works of Erasmus, 70,

Spiritualia and Pastoralia,Toronto 1998, p. 70.

429 Del De Magnitudine Misericordiarum Domini Concio, si utilizza la versione contenuta in LB, V, pp. 558-

“immensa Dei misericordia”, attributo di un Dio che incorpora la giustizia nella sua bontà, e che pone l’uomo al centro del suo disegno.

Lontana dal piano della discussione teologica e rivolta all’esperienza personale, questo trattato appare venato a tratti di filo-luteranesimo, tanto forte è il richiamo alla fede di contro alla miseria dell’uomo e alla sua conseguente incapacità al bene; un consenso che però rifiuta le posizioni estreme che viene ad assumere Lutero. Sembra possibile del resto, in base ad altri passi nel corpus erasmiano430, leggere un attacco

frontale a Lutero in queste parole. “Porro quemadmodum minus iniurius est in hominem, qui non creedit illum [Deum] esse, quam qui credit esse crudelem aut vanum: ita levius impii sunt, qui prorsunt negant esse Deum, quam qui credunt illum esse inexorabilem, spoliantes eum a virtute, sine qua Reges iam non Reges, sunt, sed Tyranni”431. Potrebbe essere una delle obiezioni mosse da Origene agli Gnostici; non

è un caso che nel Hyperaspites dove Erasmo obietta a Lutero con parole simili, la divergenza, che verte sul libero arbitrio, si fonda anche sull’importanza ed attendibilità di Origene come interprete della Scritture. Ma su questo passo si rifletterà più ampiamente oltre.

“Erasmo” – scrive Silvana Seidel Menchi – “è in grado di distinguere esattamente fra l’intuizione germinale dalla quale è scaturito il discorso di Lutero e i suoi esiti controversistici volutamente paradossali. Sull’intuizione germinale egli è sostanzialmente consenziente. Per quanto quell’intuizione resti estranea alla sua personale sensibilità e al suo orizzonte intellettuale - come può restare estranea un’esperienza accentuatamente mistica a una mente lucida, ironica e un po’ fredda- tuttavia la sua familiarità con il patrimonio scritturale e ideale del cristianesimo lo rende sensibile alla forza d’attrazione e alla carica di verità religiosa, che si irradiano dall’ideale di uomo cristiano intravisto e delineato da Lutero: un uomo che rinuncia a

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