• Non ci sono risultati.

Frammentazione internazionale della produzione

Capitolo 2. La frammentazione internazionale della produzione

2.2 Frammentazione internazionale della produzione

Negli ultimi quindici anni si è assistito ad un sempre più marcato coinvolgimento dell'industria manifatturiera nelle grandi trasformazioni indotte dalla globalizzazione dei mercati e dalla conseguente ridefinizione della divisione internazionale del lavoro tra imprese. Questi processi hanno dato luogo ad evidenti effetti sulla struttura industriale del nostro paese: ispessimento del mercato dei beni intermedi, crescente ricorso al mercato per l'approvvigionamento dei fattori intermedi e forte sviluppo dell'attività di subfornitura. Come ripetuto più volte, l'incremento dei potenziali di frammentazione tecnica dei cicli produttivi, assieme alla riduzione dei costi di trasporto, di comunicazione e dei costi tariffari, alla riduzione delle barriere commerciali tra i paesi, hanno reso, oggi, decisamente più facile procurarsi input intermedi o far eseguire fasi di lavorazione in diverse parti del mondo. Si pensi ad esempio ai capi di abbigliamento firmati da un sarto italiano, ma spesso cuciti e confezionati in paesi dell'Europa centro-orientale, o ancora al noto marchio americano, Mattel, che commercializza prodotti (Barbie) che contengono una bassissima percentuale di materiali realizzati negli Stati Uniti28.

Questa modalità di organizzazione della produzione, che richiede il coinvolgimento di più

27

Baronchelli G., 2008:96.

45

paesi nel processo di produzione di uno stesso bene finale, viene definita frammentazione internazionale della produzione (FIP). Con tale concetto si intende “ il fenomeno di scomposizione tecnica e organizzativa dei cicli produttivi e la conseguente differenziazione spaziale (internazionale) nella localizzazione delle distinte fasi del processo industriale”29. In passato, i prodotti venivano esportati dal paese di origine solo a lavorazione conclusa, a prodotto finito. Oggi, il fenomeno si dimostra molto più complesso: il prodotto, infatti, può essere esportato per eventuali processi aggiuntivi della catena produttiva e successivamente reimportato, e ciò può ripetersi tutte le volte che risulta necessario al fine del completamento del processo produttivo. La possibilità di specializzazione in un determinato processo produttivo, piuttosto che in uno specifico bene finito, ha come conseguenza un considerevole incremento della quantità di scambi e del volume generale di commercio nei paesi che si sono specializzati nelle fasi produttive dove avevano un vantaggio comparato. Conseguentemente, la frammentazione della produzione ha permesso la nascita di un’amplissima gamma di piccole nicchie di specializzazione, consentendo a molti paesi, specie quelli in via di sviluppo, di specializzarsi in segmenti diversi, senza essere necessariamente concorrenti diretti per i beni finali.

Anche a livello di singola azienda però si sono verificati cambiamenti. Lo spezzamento della catena produttiva genera la nascita di tantissimi servizi di collegamento che vanno aggiungere complessità, rischi e costi al processo produttivo. Le aziende, infatti, oltre a sfruttare i vantaggi della localizzazione produttiva nelle diverse aree del mondo dovranno assumersi i rischi connessi: rischi di produzione, nuove strutture di monitoraggio, aumento delle asimmetrie informative contrattuali, costi di coordinazione dei collegamenti, etc. La frammentazione internazionale della produzione può essere realizzata in molte forme, tutte diverse tra loro, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche dell’azienda che la origina. Spesso si parla in modo indistinto di outsourcing e di offshoring. Nello specifico però con il termine offshoring ci si riferisce a quel processo di frammentazione industriale in cui, un’impresa trasferisce alcune delle sue operazioni all’estero, conservandone però la proprietà: ciò non comporta, quindi, necessariamente una esternalizzazione delle fasi del

46

processo produttivo che, difatti, possono rimanere entro i confini dell'impresa stessa, affidate ad una filiale estera o ad una impresa facente parte dello stesso gruppo. Il processo di outsourcing si attua, invece, attraverso l’acquisizione di beni intermedi, precedentemente realizzati entro i confini aziendali, da aziende esterne con le quali si instaura un rapporto contrattuale per l’acquisizione degli stessi.

I due concetti tuttavia si possono leggermente sovrapporre. Se infatti con l’offshoring ci si riferisce all’acquisizione di beni e servizi da aziende collocate al di fuori del paese d’origine (e ripetiamo non necessariamente al di fuori dei confini aziendali), l’outsourcing prevede la ricollocazione dei fattori produttivi e dei processi industriali, spostandoli verso imprese esterne e indipendenti, dove però l’origine di queste ultime non è importante. Entrambi i fenomeni possono riguardare tutte le attività della catena del valore, dalle attività di servizio alle attività di IT (gestione hardware, preparazione software ad hoc per l’azienda, etc.), alle attività di gestione del personale (formazione, contabilità, gestione e sviluppo del personale) ed infine possono riguardare le attività produttive o di ricerca e sviluppo. I processi citati formano parte di un fenomeno ancora più vasto inteso come “global reallocation” che fa riferimento al trasferimento, voluto o meno, delle fasi dei processi produttivi dei beni e servizi, permettendo sia l’espansione delle aziende verso altre location del mondo, sia la stipulazione di accordi tra imprese. Al fine di evitare confusioni fra le varie terminologie, si procederà utilizzando le definizioni fornite dall’UNCTAD e dal WTO nei loro report annuali [Tabella 3].

47 Tabella 3.Outsourcing e Offshoring

LOCATION

Home country Foreing country

O

WNE

RSH

IP Internalized

Domestic vertical integration (in-house production, captive onshore outsourcing)

Vertical FDI (captive offshoring)

Esternalized (outsourcing)

Domestic external production (domestic onshore outsourcing)

Production outsourced to unaffiliated foreing

provider (offshore outsourcing)

Fonte: WTO, World Trade Report 2005, 2005, p. 267 and UNCTAD, World Investment report 2004: The Shift Towards Service, 2004, p. 148

Si possono individuare quattro possibili combinazioni produttive intrecciando in modo diverso le variabili proprietà (ownership) e localizzazione (location) della produzione; in ogni caso comunque, le varie tipologie rappresentano una forma di scambio di beni intermedi che si vengono a formare con la frammentazione della produzione. Se l’azienda realizza beni intermedi entro i confini aziendali, ovvero dalle sue divisioni verticalmente integrate localizzate nello stesso paese, si parla di produzione domestica in senso stretto (in- house production), primo quadrante in alto a sinistra. Se invece l’azienda mantiene il controllo della fase produttiva dei beni intermedi ma localizza la produzione all’estero, si parlerà di captive offshoring. Nel caso di domestic onshore outsourcing l’azienda decide di cedere il controllo produttivo nello stesso paese di origine. Ed infine, l’offshore outsourcing o esternalizzazione internazionale, prevede la cessione completa della proprietà produttiva oltre i confini nazionali ed oltre i confini dell’azienda stessa, basando le relazioni tra aziende su rapporti contrattuali.

Spesso si sente parlare in modo generico di delocalizzazione e rilocalizzazione. Con il primo termine si intende la cessazione, totale o parziale, da parte di un’impresa, di un’attività economica e produttiva all’interno di un dato paese, quello di origine, e la sua successiva riapertura all’estero attraverso investimenti diretti (in questo caso il termine delocalizzazione può essere come sinonimo di captive offshoring) o , alternativamente, mediante l’attivazione di flussi di interscambio commerciale, come ad esempio accade con

48

accordi di fornitura (in questa seconda ipotesi, utilizzando la terminologia pocanzi vista, si parlerà di offshore outsourcing). La rilocalizzazione, invece, può essere definita come delocalizzazione totale o completa, ovvero derivante dalla chiusura di uno stabilimento ed apertura delle medesime attività in un’altra parte, diverso da quello di origine. Anche se, spesso, i termini vengono utilizzati come sinonimi, di seguito si parlerà indistintamente di delocalizzazione e captive offshoring.

Nonostante l’eterogeneità del fenomeno a livello aggregato, gli elementi che indirizzano e determinano il fenomeno della frammentazione della produzione sono comuni a tutte le tipologie. Il primo, e più importante, è stato senza dubbio la progressiva riduzione delle barriere commerciali e dei costi di trasporto, che, come più volte ripetuto, ha favorito, soprattutto nel mercato dei fattori intermedi, l'affermazione di produttori localizzati in paesi emergenti o in via di sviluppo che hanno affiancato, e a volte sostituito, i precedenti fornitori nazionali e locali. Una seconda determinante è da ricercarsi nello sviluppo e nella diffusione capillare delle tecnologie dell'informazione e comunicazione (ITC), che hanno alimentato la riorganizzazione produttiva attraverso due canali: riducendo i problemi della lontananza geografica e conseguentemente permettendo la riduzione dei costi di coordinamento tra gli agenti e rendendo più semplice la separazione nello spazio e nel tempo delle differenti funzioni e attività che costituiscono il processo produttivo.

La frammentazione internazionale della produzione è stata accelerata, inoltre, da un mutamento nella strategia delle imprese multinazionali, sempre più inclini a delegare parti del processo produttivo a sub-fornitori locali o di altri paesi, per ridurre i costi, aumentare l'efficienza delle procedure di produzione just in time30 o acquisire maggior potere contrattuale con i governi locali31.

Infine, un ulteriore contributo è stato fornito dalla diffusione, in molti paesi emergenti, di contesti istituzionali e legali più favorevoli che hanno permesso un miglioramento nella qualità dell'enforcement dei contratti e indotto una maggior fiducia nelle relazioni di

30 La tecninca Just in Time (JIT), espressione inglese che significa “appena in tempo”, è una politica di

gestione delle scorte che utilizza metodi tesi a migliorare il processo produttivo, cercando di ottimizzare non tanto la produzione quanto le fasi a monte, di alleggerire al massimo le scorte di materie prime e di semilavorati necessari alla produzione.

49

mercato tra imprese.

Alla tradizionale specializzazione internazionale basata sui vantaggi comparati interindustriali, la FIP aggiunge, quindi, una specializzazione intra-industriale che si manifesta nella crescita del commercio di componenti e prodotti appartenenti allo stesso settore. In particolare, l'operazione di frammentazione della produzione può derivare da richieste di capacità e competenze differenti, dove alcune regioni hanno maggiori conoscenze e sono più produttive nello svolgere una determinata operazione, mentre altre regioni sono più produttive in fasi differenti. Ciò è confermato, come visto nel capitolo precedente, nel modello ricardiano che giustifica l'origine del commercio internazionale grazie alla diversa disponibilità di fattori o di produttività nelle diverse regioni.

A livello mondiale, i settori che hanno maggiormente fatto ricorso alla FIP sono: il settore del tessile e dell’abbigliamento, nei quali la delocalizzazione da parte dei paesi sviluppati riguarda le fasi labour-intensive del processo produttivo verso paesi caratterizzati da un basso costo della manodopera; il settore dell’elettronica, dove la delocalizzazione ha investito caratterizzato le fasi produttive a monte (capital intensive) a favore di paesi tecnologicamente avanzati, e le fasi di assemblaggio di componenti intermedi verso i paesi a basso costo del lavoro (labour intensive). Nel caso italiano il fenomeno (in particolare per offshore outsourcing e captive offshoring) è concentrato nei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, scarpe e arredamento) .

2.3 Teorie di riferimento per la frammentazione internazionale