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Capitolo 3. Determinanti sui paesi di origine e di destinazione degli IDE

3.5 The industrial commons

Nel capitolo sono stati discussi i vari effetti derivanti dall’internazionalizzazione, effetti diretti e indiretti, che in maniera più o meno positiva incidono sulla produttività dei paesi da cui hanno origine tali processi di internazionalizzazione. Per Castellani e Pieri, vi sono dei limiti quantitativi in termini di investimenti in entrata ed uscita oltre i quali, gli effetti inizierebbero a cambiare di segno.

Su quest’onda in America, si è acceso un dibattito sul ruolo della globalizzazione. In particolare, Gary Pisano e Willy Shih80, sostengono che l’eccessivo ricorso alla

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delocalizzazione, stia erodendo la competitività degli Stati Uniti, sempre più impoveriti di parte delle competenze necessarie per l’innovazione del prodotto, soprattutto nei settori ad alta intensità di tecnologia.

Le motivazioni che hanno spinto le imprese di tutto il mondo ad avviare processi delocalizzativi, risiedono, come già approfonditamente spiegato, nella necessità di ridurre i costi di produzione attraverso la delocalizzazione nei paesi a basso costo del lavoro, e di conseguenza concentrando l’attenzione delle imprese nazionali sulle attività ad alto valore aggiunto come ricerca, innovazione, marketing e comunicazione. Ma con la delocalizzazione delle attività manifatturiere sono state, involontariamente, spoostate anche le conoscenze, il “saper fare”, necessario al design e all’innovazione di prodotto.

Gli industrial commons altro non sono che capacità (tecniche, progettuali e operative) condivise all’interno di un settore industriale, quella cultura di prodotto fatta di professionalità, conoscenze tacite, reti di relazioni che sono legate al fare, alla manifattura. E come tali sono caratterizzati dal principio della non escludibilità, per cui nessuno può essere escluso dalla loro utilizzazione, e dal principio della rivalità, secondo cui lo sfruttamento di un bene comune riduce, tanto o poco, la possibilità di consumo da parte di altri individui81. In altri termini, oltre una certa soglia di consumo, quello che ne emerge è l’incapacità del sistema di rigenerare il livello di risorse necessarie allo sviluppo. L’idea è che anche l’economia, e non solo l’ambiente, rischia di superare la soglia di sostenibilità: se non vengono replicate le risorse di conoscenza necessarie a governare processi industriali complessi, si perde anche la capacità stessa del controllo su tali processi.

In America l’outsourcing/offshoring ha investito, negli ultimi due decenni, non solo le attività di supporto a minor valore aggiunto, ma ha via via riguardato l’intero processo produttivo, investendo anche la ricerca e lo sviluppo del prodotto.

Spostare all’estero la produzione è stata una mossa consigliata dai principali esperti di strategia aziendale, ma la conseguenza, inaspettata, è stata che in molti casi gli Stati Uniti hanno perso le conoscenze, il personale qualificato e l’infrastruttura logistica necessaria per produrre molti dei prodotti d’avanguardia ad alta tecnologia che essi stessi avevano

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I beni comuni si distinguono dai beni pubblici in quanto l’uso di un bene pubblico non ha conseguenze sull’ammontare e sulla disponibilità dello stesso bene a favore di un altro utilizzatore.

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inventato.

A titolo di esempio, Pisano e Shih, osservano il settore dell’ITC: gli Stati Uniti hanno già perso le capacità in merito alla realizzazione degli desktop, notebook e netbook, dischi rigidi, router, etc. E sono a rischio di perdere i server blade, telefoni mobili e apparecchiature di rete core. Si pensi a Kindle, l’eBook reader commercializzato da Amazon, il quale non viene più realizzato negli Stati Uniti: il flex connector del circuito, la batteria e la scheda di controllo sono prodotti in Cina, il display elettronico in Taiwan, la scheda wirless in Sud Corea. A dimostrazione del fatto che le competenze specializzate per la realizzazione di queste parti, sono tutte localizzate al di fuori degli Stati Uniti.

Il danno che ne deriva però, non riguarda esclusivamente la singola impresa, ma anche tutte le imprese che entrano in relazione con la stessa, oltre a quelle collegate al settore come i fornitori di materiali, attrezzature e componenti avanzati. Si danneggiano, così, le “capacità collettive” che formano la base per l’innovazione e la competitività futura: le conoscenze e capacità insite nella ricerca e sviluppo; abilità avanzate nell’ingegneria e nello sviluppo di processi; competenze manifatturiere su tecnologie specifiche.

Gary P. Pisano e Willy C. Shih, nella loro teoria sfatano la convinzione diffusa “che le economie avanzate come gli Stati Uniti non abbiano più bisogno della produzione manifatturiera, potendo prosperare esclusivamente come hub per la progettazione e l’innovazione ad alto valore aggiunto”. Gli autori però ritengono che “una volta che la fabbricazione viene data in outsourcing, le conoscenze d’ingegneria dei processi non possono essere mantenute perché dipendono dall’interazione quotidiana con la produzione manifatturiera. Senza la capacità di ingegneria dei processi, infatti, per le imprese diventa sempre più complicato condurre ricerche avanzate sulle tecnologie di nuova generazione. Di conseguenza, senza la capacità di sviluppare tali processi, non si riescono più a sviluppare nuovi prodotti. Nel lungo periodo, quindi, un’economia priva dell’infrastruttura per attività di fabbricazione e d’ingegneria dei processi perde la capacità di innovare” 82

. E, nel caso americano, per tornare su un percorso di crescita sostenibile sarebbe necessario

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Pisano G. e Shih W.C., 2010, articolo pubblicato sul Il Sole 24 ORE.

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rinvigorire le capacità d’innovazione oltre che investire in ricerca di base e ricerca applicata. Per quanto riguarda l’Italia, la tesi di Pisano e Shih, può apparentemente non interessare visto che le imprese del nostro Paese hanno sfruttato proprio gli industrial commons per accrescere la competitività sui mercati internazionali (lavorazioni artigianali, conoscenze legate al prodotto e alla manifattura, etc). Tuttavia, è importante non sottovalutare il problema perché può presentarsi in futuro come nel caso americano.

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Capitolo 4. L’internazionalizzazione del settore